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ACCENNI GIURIDICI ED ECONOMICI FINANZIARI

1. I MUSEI D’IMPRESA

1.3 MUSEI D’IMPRESA: DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE

1.3.3 ACCENNI GIURIDICI ED ECONOMICI FINANZIARI

Attualmente ai musei aziendali non è riconosciuta una dignità istituzionale. Nonostante il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio abbia ampliato la lista dei beni da sottoporre a tutela, non è ancora stato introdotto il concetto di “bene industriale”. Non è quindi prevista una regolamentazione specifica per i musei d’impresa, in aggiunta, quest’ultimi, non ricadono nemmeno nell’ambito di applicazione dell’Art Bonus (d.l. n.83/2014) dato che sono principalmente delle istituzioni di carattere privato e non pubblico.

I musei aziendali si trovano ad essere accomunati dal fatto di “essere proprietà di privati o

di costituire un soggetto di diritto privato” (Bulegato, 2008, p.79), questo non esclude però

la presenza di alcuni casi in cui il museo afferisca ad un soggetto pubblico o pubblico- privato, si tratta quindi di un contesto che favorisce una grande quantità di ibridazioni. Il modello organizzativo-gestionale dipende da alcune scelte che opera l’azienda riguardanti: l’appartenenza o la separazione del patrimonio museale dalla realtà aziendale; chi prende le decisioni e definire se realizzare una struttura con finalità commerciali o senza scopo di lucro (Bulegato, 2008). Se si decide di creare un’attività orientata al profitto, e quindi di tipo commerciale, il museo risulta essere giuridicamente e funzionalmente integrato nell’impresa, questo significa che è un’unità operativa dell’azienda con un budget dedicato e pertanto deve seguirne le regole: il patrimonio rientra in quello aziendale e quindi nel caso in cui dovessero presentarsi delle difficoltà economiche potrebbe essere alienato senza nessun vincolo o ceduto. Inoltre, il personale

che gestisce il museo è interno all’azienda e le decisioni inerenti alla struttura vengono prese, in base alle sfere di competenza, dal consiglio di amministrazione, dall’assemblea dei soci e in alcuni casi dal proprietario. C’è la possibilità di istituire un’apposita società appartenente all’azienda e che si occupi di gestire le attività e le iniziative inerenti al museo, in questo caso si avrebbe una maggiore autonomia finanziaria, gestionale e decisionale. Quando si opta per realizzare una struttura non profit si può decidere di istituire un’associazione o una fondazione, in questo caso il museo giuridicamente indipendente, avrà i propri organi di governo e un proprio statuto e i finanziamenti deriveranno dalle voci di entrata. Tra le fonti di finanziamento più importanti troviamo quelle messe a disposizione dall’impresa tramite trasferimenti. In questo caso i soci possono essere soggetti esterni, privati o enti pubblici. Quest’ultimi partecipano con contributi o prestazioni gratuite. Nel caso delle associazioni, le decisioni vengono prese dall’assemblea dei soci, i quali, vista la struttura democratica dell’ente, hanno uguale peso e dignità. Nel caso della fondazione, invece, c’è un solo organo composto da amministratori con lo scopo di amministrare il patrimonio e le rendite. La fondazione viene utilizzata solitamente nei casi in cui le risorse destinate al museo vengano erogate direttamente dal fondatore, in modo tale che possa gestirle senza interferenze. Un’altra soluzione potrebbe essere rappresentata dalla fondazione di partecipazione che agevola la collaborazione tra soggetti pubblici e privati, enti locali, istituzioni e altre imprese. In questo tipo di fondazioni si partecipa apportando denaro o beni materiali e immateriali oppure servizi. Ogni categoria di partecipanti elegge un rappresentante negli organi direttivi, favorendo in questo modo la collaborazione tra istituti pubblici e privati, garantendo diritti e stabilità. La fondazione di partecipazione può essere accostata da organizzazioni con fini di lucro, le quali risultano essere strumentali e accessorie agli scopi istituzionali della fondazione (Bulegato, 2008; Negri, 2003).

Sempre più spesso viene richiesto ai musei aziendali di generare reddito per poter contribuire al proprio funzionamento, però, come per i musei tradizionali, anche nei musei d’impresa i margini di autofinanziamento non garantiscono una piena autonomia economica, quindi per perseguire l’equilibrio economico e finanziario è indispensabile il sostegno da parte dell’impresa, dei soci e dei soggetti pubblici e privati. Questo comporta che il museo venga gestito sempre più in un’ottica imprenditoriale, puntando sulle attività che portano maggiori ricavi. Le aree più importanti da questo punto di vista sono: bigliettazione, vendita di servizi, fundraising e vendita di prodotti editoriali e

culturalmente derivati. Ciononostante, pochissimi musei d’impresa hanno istituito un biglietto d’ingresso, perché lo ritengono controproducente in termini di immagini e di accessibilità, inoltre non vogliono suggerire al visitatore l’idea che si venda un prodotto (cioè la visita al museo) con lo scopo di aumentare le vendite generali dei prodotti dell’impresa (Negri, 2003). Per quanto riguarda la vendita dei servizi, l’impresa potrebbe organizzare visite guidate a pagamento, affittare gli spazi, organizzare eventi, noleggiare mostre o fornire assistenza per ricerche o restauri. In questo caso l’impresa non si rivolgerebbe solo ai suoi clienti tradizionali, ma raggiungerebbe un mercato più ampio nel quale si trovano altre aziende, musei e istituzioni, ma anche associazioni imprenditoriali. Da questo punto di vista ci sono molte opportunità che ancora non sono state sfruttate al meglio. Infine, per quanto concerne il fundraising, si tratta di un’attività alquanto critica, perché è necessario evitare conflitti in termini di immagini e comunicazione. Molto importante per questo aspetto sono le forme di sostegno al museo da parte dei privati associati, come ad esempio gli Amici del museo. Questa attività si combina con le relazioni pubbliche dell’impresa, aumentandone i benefici in termini di professionalità messe a disposizione del museo (Negri, 2003).

Un’azienda che decide di aprire un museo si trova anche ad affrontare una problematica relativa alle spese connesse ad esso e alla loro imputazione. La fonte di finanziamento principale deriva dalle risorse economiche che l’azienda decide di dedicare al museo usufruendo di solito di una parte del budget dedicato alla comunicazione. Quando si acquistano dei beni artistici o arredi la loro identificazione non pone grandi problematiche, infatti possono essere intesi come beni strumentali per l’arredo di spazi funzionali o dell’ufficio. Nel momento in cui si acquistano altre tipologie di beni come ad esempio delle macchine della produzione passata dell’impresa, la situazione risulta più complicata. Molte di queste spese possono essere collocate alla voce spese di rappresentanza deducibili in parte, oppure possono essere imputate alle spese di pubblicità che sono interamente deducibili. Le prime sono volte a rafforzare l’immagine dell’azienda, non ci sono corrispettivi e sono indirizzate ad un gruppo definito; le seconde sono strettamente legate all’offerta del prodotto, fanno nascere dei proventi e si rivolgono alla collettività. Nella teoria la distinzione è chiara, ma nella pratica la situazione risulta molto controversa, perché l’attività di un museo d’impresa può essere esplicitamente destinata alla vendita di prodotti attraverso un rapporto diretto con il consumatore, risultando così come un’attività pubblicitaria a tutti gli effetti. Ma qualora un’impresa

decidesse di acquistare una macchina d’epoca con il fine di esporla e collegarla con un messaggio chiaro ad un modello in produzione, il confine tra spese di rappresentanza o spese pubblicitarie diventa molto labile. Queste problematiche sono molto importanti quando il museo è strettamente integrato all’azienda, nel caso in cui il museo fosse sostenuto interamente dall’imprenditore con un bilancio a sé dedicato queste difficoltà di imputazione non si riscontrerebbero (Negri, 2003).