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L’accesso alle Banche dati pubbliche è disciplinato dall’art. 15, comma 10, l. n. 3/2012 ed è funzionale all’acquisizione dei dati da porre a confronto col piano di risanamento proposto ai creditori affinché possa esserne vagliata la credibilità.

L’esigenza di accedere a simili strumenti nasce dalla difficoltà di cogliere a pieno la situazione patrimoniale ed economica dei soggetti che attivano la procedura di composizione della crisi, ciò risulta infatti

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difficile nei confronti dei piccoli imprenditori e dei debitori civili, poiché non sono soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili.

Il legislatore ha così previsto la possibilità per gli OCC di venire a contatto con le informazioni detenute da Banche dati pubbliche allo scopo di soddisfare le ragioni finora esposte; attraverso tali strumenti l’Organismo ha la possibilità di valutare la credibilità del piano di risanamento offerto ai creditori, avendo a supporto una serie di informazioni idonee a determinare una rappresentazione, quantitativa e monetaria, degli atti di gestione del patrimonio del soggetto in difficoltà economica200.

L’accesso alle Banche dati pubbliche si pone in continuità coi compiti riconosciuti agli OCC, i quali infatti, solo su autorizzazione del giudice, hanno la facoltà, così come il giudice, in luogo del comma 10, di accedere ai dati contenuti dall’anagrafe tributaria, nei sistemi di informazione creditizia, nelle centrali rischi, compreso l’archivio centrale informatizzato di cui all’art. 30-ter, comma 2, del decreto legislativo n. 141/2010, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali e del codice di deontologia e buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e di puntualità nei pagamenti.

In merito ai significati riconducibile al concetto di Banche dati, una prima definizione è fornita dal Codice in materia di protezione dei dati personali (art. 4, lett. p), d.lgs. n. 196/2003): la Banca dati è “un qualsiasi complesso di dati personali, ripartito in uno o più siti”, organizzato secondo una pluralità di criteri determinati che ne facilitano il trattamento.

Tale definizione si ispira a quanto detta la direttiva comunitaria 95/46/CEE all’art. 2, comma 1, lett c), che attribuisce al concetto “archivio dati personali” il significato di “qualsiasi insieme strutturato di

200 A. PARINI, Accesso alle banche dati pubbliche, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 93.

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dati personali accessibili, secondo criteri determinati, indipendentemente dal fatto che tale insieme sia centralizzato, decentralizzato o ripartito in modo funzionale o geografico”.

Nonostante la disposizione comunitaria richiami gli archivi piuttosto che le banche dati, l’ambito di applicazione risulta comunque il medesimo per entrambe le normative, che, allo stesso modo, si preoccupano di disciplinare prima il trattamento dei dati contenuti nei sistemi di informazione e solo successivamente di determinarne l’organizzazione201.

Il dato personale può essere meglio tutelato solo se se ne disciplina il trattamento, definito come “qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione dei dati, anche se non registrati in una banca dati”.

Il dato costituisce il prodotto di un’attività qualificata dalla legge, il trattamento, la quale risponde al generale principio della garanzia dei diritti della persona fisica o giuridica a cui tali dati si riferiscono, il c.d. interessato.

Un’altra definizione di Banca dati si coglie dal disposto dell’art. 2, comma 1, n. 9, l. n. 663/1941, sulla protezione del diritto di autore e di altri diritti connessi al suo relativo esercizio: “le banche dati…sono raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti e individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo…La tutela delle banche dati non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto”.

201 F. CALDARELLI, Le Banche dati pubbliche: una definizione, in Dir. dell’inf., 2002, p. 321.

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In questo caso la normativa nazionale recepisce l’art. 1, comma 2, direttiva 96/9/CE che assicura un livello adeguato di tutela alle banche dati, affinché i loro gestori possano perseguirne un vantaggio economico.

La direttiva 96/9/CE ha chiaramente obiettivi diversi dalla direttiva 95/45/CEE, in precedenza richiamata, che, invece, ha come finalità la tutela dei diritti fondamentali, in particolare il diritto alla vita privata.

La nozione della banca dati risulta così, per sua natura, prestarsi a diversi scopi, è un concetto duttile e funzionale a ricomprendere diversi elementi a seconda delle finalità perseguite202.

L’art. 15, comma 10, tra le Banche dati a cui gli OCC possono accedere richiama anche l’Anagrafe tributaria istituita con d.P.R. n. 605/1973. È utilizzata per la raccolta e l’elaborazione dei dati relativi alla fiscalità dei contribuenti cittadini italiani, dei possessori di beni immobili sul territorio italiano, degli enti e privati residenti all’estero ma aventi nel distretto il comune di origine, degli stranieri residenti da almeno un anno e beneficiari di un reddito prodotto in quel territorio.

L’accesso all’anagrafe consente di acquisire informazioni ai fini dell’accertamento e dello studio dei fenomeni tributari. Sono raccolte inoltre in tali Banche dati le notizie relative a movimenti economici rilevanti che possono essere utilizzati, attraverso controlli incrociati con le pubbliche amministrazioni, per verificare l’effettivo reddito di chi usufruisce di particolari benefici fiscali e assistenziali.

Attraverso l’accesso a queste informazioni è possibile ottenere una rappresentazione veritiera e aggiornata della situazione economica e finanziaria dei soggetti censiti.

Le Centrali rischi sono Banche dati che raccolgono e gestiscono le informazioni che hanno ad oggetto i rapporti di credito di cui sono parte gli enti finanziari, le banche e le società finanziarie.

202 A. PARINI, Accesso alle banche dati pubbliche, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 95.

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I partecipanti comunicano, con cadenze periodiche, alle Centrali rischi il totale dei crediti verso i propri clienti, verso i soggetti che presentano una richiesta di finanziamento. In luogo delle informazioni che forniscono, tali enti hanno la possibilità di accedere alle banche dati che contribuiscono a formare con le loro segnalazioni, e hanno così la possibilità di conoscere l’intera storia creditizia del soggetto richiedente il finanziamento.

I dati contenuti nelle Centrali rischi raccolgono informazione di tipo anagrafico e relative al tipo di finanziamento richiesto: possono riguardare l’importo, lo stato della richiesta di finanziamento, l’esecuzione del contratto, la banca o la finanziaria che sta gestendo il credito e che ha trasmesso i dati. Contengono inoltre informazioni di natura contabile: la natura del debito residuo, l’andamento dei pagamenti ecc.

Oltre a garantire una rappresentazione veritiera e aggiornata della situazione economica e finanziaria dei soggetti censiti, tale strumento consente una migliore gestione dei rischi legati al mercato del credito

Il comma 10 sottolinea come nell’accesso e nel trattamento di tali dati debbano essere rispettate le norma a tutela della privacy, agendo nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali, del codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti.

L’art. 15, comma 11, stabilisce in riferimento al periodo di conservazione delle informazioni sui debitori che queste debbano essere distrutte contestualmente alla conclusione o cessazione della procedura, non potendo essere trattate e conservate per un periodo più lungo e per fini diversi.

Una volta intervenuta la distruzione se ne deve dare comunicazione al titolare dei dati tramite lettera raccomandata con avviso

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di ricevimento o tramite posta elettronica certificata, non oltre quindici giorni dalla distruzione medesima.

La possibilità di accesso alle Banche dati completa il quadro delle funzioni attribuite agli OCC, l’organismo risulta così detentore di poteri particolarmente ampi che necessitano di un’attenta sorveglianza da parte dell’autorità giudiziaria in sede autorizzativa, a maggior ragione se si tiene di conto che l’accesso alle banche dati è funzionale alla presentazione della domanda, e quindi in una situazione in cui non è ancora pendente alcuna procedura e il controllo del giudice appare particolarmente problematico203.

203 L. PANZANI, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, cit., p. 31.

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CAPITOLO V Le sanzioni penali

Sommario: 5.1. Le condotte illecite del debitore non fallibile prima della procedura di composizione della crisi - 5.2. Le condotte illecite del debitore non fallibile durante la procedura di composizione della crisi - 5.3. Le condotte illecite compiute dagli Organismi di composizione della crisi

5.1. Le condotte illecite del debitore non fallibile prima della procedura di composizione della crisi

Il legislatore nella redazione della legge n. 3 del 2012 inserisce un impianto sanzionatorio che costituisce un efficace deterrente nei confronti di possibili violazioni alle regole cardine della composizione della crisi da sovraindebitamento a opera del debitore o dell’Organismo di composizione della crisi.

Nonostante la natura privatistica delle soluzioni offerte in rimedio alla crisi, la cui attivazione è rimessa all’iniziativa del debitore e la cui esecuzione è sottratta al controllo dell’autorità giudiziaria, è previsto un apparato sanzionatorio che tutela interessi di natura collettiva omogenei, per natura e contenuto, a quelli delle procedure concorsuali e che comunemente sono individuati nel regolare svolgimento dell’economia e nella tutela dei creditori204.

La previsione di una specifica disciplina sanzionatoria differenzia la composizione della crisi da sovraindebitamento dagli accordi ex art. 182-bis che ne sono invece privi.

La natura collettiva degli interessi coinvolti è confermata dalla previsione della perseguibilità d’ufficio dei reati elencati dall’art. 16 della legge.

204 A. DI AMATO, Sanzioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 99.

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Il giudice del procedimento di composizione della crisi o il liquidatore che riscontri iniziative o atti in frode ai creditori compiuti per ottenere l’accesso alla procedura deve trasmettere senza ritardo la denuncia al pubblico ministero, il quale, laddove ritenga fondata la denuncia, promuove l’azione penale di fronte al giudice penale competente.

Allo stesso modo procede il tribunale nelle ipotesi di annullamento dell’accordo o del piano del consumatore quando, ai sensi degli artt. 14, comma 1, e 14-bis, comma 2, lett. b), il debitore abbia dolosamente aumentato o diminuito il passivo, sottratta o dissimulata una parte dell’attivo o dolosamente simulate attività inesistenti.

Dubbia rimane la scelta del legislatore di non delineare alcuna fattispecie di reato di natura colposa, mentre in ambito fallimentare condotte colpose, quali quelle di cui all’art. 217 e 220, comma 2, l. fall., sono penalmente perseguite, poiché anche comportamenti negligenti ed imprudenti possono compromettere gli interessi collettivi sottesi alle procedure205.

Le ipotesi criminose disciplinate mostrano la capacità della novella di rispondere alle condotte più gravi ed evidenti perpetrate dai protagonisti della procedura di composizione, cioè il debitore e l’OCC;

205 Cfr. art. 217 l. fall. “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell'articolo precedente: 1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica; 2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti; 3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento; 4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa; 5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare. La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta. Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni”. Cfr. art. 220 l. fall. “È punito con la reclusione da sei a diciotto mesi il fallito, il quale, fuori dei casi preveduti all'art. 216, nell'elenco nominativo dei suoi creditori denuncia creditori inesistenti od omette di dichiarare l'esistenza di altri beni da comprendere nell'inventario, ovvero non osserva gli obblighi imposti dagli artt. 16, nn. 3 e 49. Se il fatto è avvenuto per colpa, si applica la reclusione fino ad un anno”.

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tuttavia l’assenza di un profilo colposo e l’assenza di attenuanti o aggravanti speciali non consentono di contrastare le ipotesi di lesione degli interessi coinvolti, la cui tutela è affidata alla sola disciplina civilistica regolata dagli artt. 14 e 14-bis.

Diversamente dall’ambito fallimentare, il debitore è punito per le sole condotte illecite che sono collegate alla procedura di composizione della crisi, per la cui tutela opera piuttosto l’art. 641 c.p.

L’art. 16 disciplina sei fattispecie delittuose previste a carico del debitore e due fattispecie previste a carico dell’Organismo di composizione della crisi e del professionista che ne svolge le funzioni ex art. 15, comma 9.

Il primo comma disciplina i reati commessi dal debitore prevedendo come pena la reclusione da sei mesi a due anni e la multa da mille a cinquantamila euro, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”.

Tale clausola regola il rapporto di sussidiarietà con i più gravi reati di bancarotta fraudolenta nelle ipotesi in cui, nelle more del procedimento di composizione della crisi, il soggetto istante sia dichiarato fallito.

È possibile distinguere nell’ambito dei reati non colposi compiuti dal debitore le condotte illecite poste in essere prima dell’inizio della procedura e quelle compiute successivamente.

L’art. 15, comma 1, lett. a), punisce le condotte di chi, al fine di ottenere l’accesso alla procedura, abbia aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratto o dissimulato una parte rilevante dell’attivo o dolosamente simulata attività inesistente.

Queste condotte sono in parte riconducibili all’art. 236, comma 1, l. fall e all’art. 173 l. fall.206

206Cfr. art. 173 l. fall. “Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori. La comunicazione ai creditori è eseguita dal commissario giudiziale a mezzo posta elettronica certificata ai sensi dell'articolo 171, secondo comma. All'esito del

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L’art. 173 l. fall si distingue dalla disciplina in commento per il fatto che il compimento di atti in frode ai creditori determina l’effetto dell’apertura d’ufficio del procedimento della revoca dell’ammissione al concordato. La perseguibilità penale della condotta rileverebbe piuttosto dopo la dichiarazione di fallimento.

Gli atti di frode rilevanti per l’art. 236 l. fall. risultano essere: l’attribuzione di attività inesistenti e la simulazione di crediti in parte o in tutto inesistenti così da influire nella formazione delle maggioranze; l’art. 220 l. fall. completa il quadro con l’inclusione fra le condotte delittuose della dichiarazione di creditori inesistenti.

La lett. a), perché sia integrata l’ipotesi delittuosa, richiede che la condotta illecita sia accompagnata dallo scopo dell’agire delittuoso, il c.d. dolo specifico: è necessario che il debitore commetta le condotte illecite al fine di ottenere l’accesso alla procedura di accordo o di piano del consumatore ex art. 7 l. n. 3/2012.

L’elemento soggettivo pone una differenza sostanziale con l’art. 216 l. fall. che punisce i fatti di bancarotta fraudolenta, le cui ipotesi sono connotate dall’intento fraudolento diretto in via immediata alla massa dei creditori, anche col fine di ritardare o scongiurare l’accesso alla procedura. Nell’ambito della lett. a) l’apertura della procedura rappresenta invece il primo obiettivo dell’agire illecito del debitore.

Il dubbio in merito al dolo specifico in esame attiene al fatto che l’aumento o la diminuzione del passivo allo scopo di accedere ad una delle procedure di composizione della crisi ex l. n. 3/2012 non presenta un quid pluris che ne determina il carattere fraudolento e un pregiudizio per i creditori; né parte della dottrina ha compreso la scelta del legislatore

procedimento, che si svolge nelle forme di cui all'articolo 15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell'articolo 18. Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell'articolo 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato.”

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di punire allo stesso modo chi riduce il proprio debito in vista di un accordo e chi invece lo accresce, tenendo di conto che la condotta di riduzione del debito in una condizione di insolvenza può determinare un pagamento preferenziale, mentre la condotta di chi aggrava il proprio disavanzo ha certamente un effetto maggiormente pregiudizievole per i suoi creditori207. Tale dottrina aveva auspicato a una diversificazione delle due fattispecie in sede di conversione in luogo dei differenti indici di disvalore da cui sono gravate.

In riferimento alle condotte di sottrazione o dissimulazione di una parte rilevante dell’attivo, anche in questi casi il fine dell’azione è l’accesso alla procedura. Il richiamo ad una parte rilevante dell’attivo lascia però un margine di discrezionalità all’interprete nel qualificare rilevante la parte di attivo coinvolta. Tale incertezza interpretativa potrà essere sanata solo dalla prassi giurisprudenziale.

La condotta simulatoria, e non anche la dissimulatoria, è specificata dal termine “dolosamente”, quasi a volere attribuire alla prima condotta la necessità di un momento soggettivo ulteriore e diverso. In realtà si ritiene irrilevante tale specificazione, poiché altrimenti si dovrebbe escludere dall’operatività della norma tutte le simulazioni di attività inesistenti non corredate da artifizi e raggiri208.

Per il perfezionamento dei reati sub a) non è necessaria la presentazione della proposta, essendo invece sufficiente l’esteriorizzazione della volontà di accedere alla procedura.

Altre ipotesi di reati commessi dal debitore prima dell’inizio della procedura sono indicate dalla lett. b): la produzione di documentazione alterata o contraffatta, la sottrazione o l’occultamento o la distruzione in tutto o in parte della documentazione relativa alla situazione debitoria o

207D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, I reati nelle procedure concorsuali dei “non fallibili”, in Il fallimentarista, 21 dicembre 2012, p. 2.

208A. DI AMATO, Sanzioni, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 101.

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della documentazione contabile, se il debitore deve tenere scritture contabili.

Con contraffazione si fa riferimento alla riproduzione di un documento a imitazione di quello vero, mentre l’operazione di alterazione si rivolge al documento originale il quale viene modificato e manipolato.

L’oggetto materiale di tali condotte illecite è ogni documento idoneo a fornire informazioni sull’esposizione debitoria del debitore o sulla sua situazione contabile, dall’estratto bancario al contratto di finanziamento.

L’elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico, sarà punito il debitore che ha compiuto il fatto allo scopo di accedere alla procedura di accordo o di piano del consumatore ex art. 7 o, diversamente dall’ipotesi sub a), alla procedura di liquidazione del patrimonio ex artt. 14-ter ss.

5.2. Le condotte illecite del debitore non fallibile durante la