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Nel patrimonio attivo del debitore sovraindebitato fanno parte tutti i beni e i diritti del debitore, compresi gli accessori, pertinenze e frutti prodotti dai beni dello stesso (art. 14-novies, secondo comma).

Non fanno parte del patrimonio: i crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c.; i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento,

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gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la propria attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicati dal giudice; i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall’art. 170 c.c.; le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.

La disciplina codicistica impone al debitore di rispondere alle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. L’art. 2740 c.c. non conosce il limite temporale dell’art. 14-undecies in base al quale i beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione di cui alla l. n. 3 del 2012 vanno a far parte del patrimonio liquidabile e deve essere integrato l’inventario e il programma di liquidazione con l’annotazione degli stessi.

Tali beni sopravvenuti entrano a far parte del patrimonio attivo dedotte le passività per l’acquisto e la conservazione.

L’art. 42, comma 2, l. fall. è assolutamente conforme all’art. 2740 c.c. poiché non prevede alcun limite temporale all’acquisizione al fallimento dei beni sopravvenuti, prevedendo che tutti i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività, sono compresi nella massa attiva. Il comma successivo riconosce al curatore la possibilità, previa autorizzazione del comitato dei creditori, di rinunciare all’acquisizione dei beni sopravvenuti, quando ritenga che i costi da sostenere per l’acquisto e la conservazione siano superiori al valore di realizzo degli stessi.

Le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni nella procedura in commento, così come nella procedura fallimentare, sono trattate alla stregua di crediti sorti in occasione e in funzione della liquidazione per cui soggetti al relativo regime di cui all’art. 14- duodecies, comma 2.

L’incremento patrimoniale nella disciplina di cui agli artt. 14-ter ss. non è rimesso ad una scelta del liquidatore, ma rappresenta un

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automatismo legislativo: i beni sopravvenuti per espressa previsione dell’art. 14-undecies sono oggetto della domanda di liquidazione che ha introdotto la procedura, è ovvio che siamo di fronte ad una fictio iuris, la volontà del legislatore è quella di acquisire automaticamente tali beni al patrimonio del debitore.

A fronte dell’automatismo legislativo con cui tali beni vengono acquisiti al patrimonio da liquidare, ci si chiede se possa operare anche nella procedura in commento una disposizione quale quella del terzo comma dell’art. 42 l. fall. Quello che si vuole capire è se il liquidatore ha un margine di azione per evitare l’acquisizione di un bene i cui costi sono maggiori rispetto all’ipotetico valore di liquidazione.

La soluzione più ragionevole accorda tale facoltà al liquidatore, tuttavia si ritiene indispensabile il consenso dell’intera massa creditoria, dopotutto nella disciplina fallimentare la rinuncia del curatore all’acquisizione del bene alla massa attiva è subordinata all’autorizzazione del comitato dei creditori. Inoltre l’atto di rinuncia del liquidatore altro non è che un atto dispositivo del patrimonio da liquidare, per cui pare non essere possibile prescindere dal consenso dei creditori.

In merito al titolo di ingresso dei beni sopravvenuti nel patrimonio da liquidare, sembra che esso possa essere solo quello negoziale, inter vivos o mortis causa155; le azioni giudiziarie si rivolgono solo ai beni che già fanno parte del patrimonio del debitore e questa limitazione è concepibile in luogo della incerta durata dei procedimenti civili.

La rubrica dell’art. 14-undecies fa riferimento anche ai crediti sopravvenuti, ma la trattazione dell’articolo manca della relativa regolamentazione. Anche i crediti sopravvenuti costituiscono componenti del patrimonio del debitore. Appare ragionevole ritenere che siamo di fronte ad una mera omissione materiale nella redazione del testo normativo, in quanto i crediti sopravvenuti sono menzionati nella rubrica

155 G. DI MARZIO, L’estensione e la tutela del patrimonio oggetto di liquidazione nella novella legislativa, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p.

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dell’articolo, per cui è conforme ad un’interpretazione teleologica l’estensione della disciplina prevista per i beni sopravvenuti anche ai crediti156.

La tutela legale del patrimonio da liquidare è offerta dagli artt. 14- quinquies, comma 2, lett. b) e 14-duodecies, commi 1 e 2, l. n. 3 del 2012, affinché sia evitata la sua aggressione e leso il principio della par condicio creditorum.

Sulla base della prima delle norme richiamate, il decreto di apertura deve disporre che creditori aventi titolo o causa anteriore al decreto stesso non possono iniziare o proseguire azioni individuali cautelari o esecutive, né acquistare diritti di prelazione sul patrimonio oggetto della liquidazione, fino alla data in cui il provvedimento di omologazione è definitivo. In merito al riferimento al decreto di omologa, come già detto in precedenza, esso rappresenta un errore del legislatore che intendeva riferirsi piuttosto al decreto di chiusura della procedura di liquidazione.

I creditori con causa o titolo posteriore alla data di esecuzione della pubblicità del decreto di apertura non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del patrimonio da liquidare (art. 14- duodecies, comma 1). È prevista un’analoga disposizione in ambito di accordi (art. 12, comma 3) e di piano del consumatore (art. 12-ter, comma 2) omologati dal tribunale.

Restano consentite ai creditori con causa o titolo posteriore le azioni di accertamento o cautelari, oltre alla possibilità di ricevere pagamenti o adempimenti spontanei, questo è quanto sembra risultare dal dato testuale della disposizione.

In realtà le azioni cautelari e l’acquisto di diritti di prelazione ad opera dei creditori posteriori sono preclusi in luogo del combinato disposto dell’art. 14-quinquies, comma 3, e dell’art. 2915, comma 1, c.c.: l’art. 14-quinquies al terzo comma paragona il decreto di apertura della

156 G. DI MARZIO, op. lo. ult. cit.

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procedura a un atto di pignoramento, la previsione generale dell’art. 2915 c.c. determina l’inefficacia degli atti che importino dei vincoli di indisponibilità pubblicizzati dopo la trascrizione dell’atto esecutivo, determinando così la superfluità del divieto di cui all’art. 14-duodecies, comma 1.

Tuttavia il primo comma dell’art. 14-duodecies ha una ragione di esistenza, rintracciabile nel fatto che non tutte le procedure esecutive contemplano la costituzione di un vincolo di indisponibilità (ad esempio le procedure di esecuzione per consegna o rilascio, o di esecuzione di obblighi di fare e non fare), in questi casi l’art. 2915 è inapplicabile e trova operatività il primo comma dell’art. 14-duodecies, comma 1.

Il secondo comma dell’art. 14-duodecies in riferimento ai crediti sorti in occasione o funzione della procedura di liquidazione stabilisce che debbano essere soddisfatti con preferenze rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno e ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti. Un’analoga disposizione ricorre anche per gli accordi e il piano del consumatore (art. 13, comma 4-bis). Il riferimento è ai “creditori della procedura”, termine che ricomprende sia i creditori della liquidazione concorsuale sia quelli delle procedure compositive ex art. 7 l. n. 3 del 2012, titolari dunque di un credito prededucibile.