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L’art. 15, comma 1, lett. c), d), e) e f) punisce, sempre con la medesima pena prevista per le ipotesi sopra analizzate (reclusione da sei mesi a due anni e multa da mille a cinquantamila euro, salvo che il fatto non costituisca più grave reato), alcune condotte illecite del debitore poste in essere nel corso della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.

La condotta sub c) è connessa alla procedura di liquidazione del patrimonio poiché punisce chi abbia omesso di indicare i beni nell’inventario previsto ex art. 14-ter, comma 3.

Si distingue dall’ipotesi sub a) per non richiedere l’elemento soggettivo del dolo ulteriore orientato verso una specifica direzione; la condotta in questo caso integra un illecito già come attività omissiva, non è necessario l’attività dissimulatoria. Non è richiesto il dolo specifico, bensì il dolo generico.

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La disposizione non prevede una graduazione dell’illecito rispetto alla rilevanza economica del bene non indicato, per cui si deve ritenere che sia integrata la fattispecie delittuosa anche quando sia stato volontariamente o consapevolmente omessa l’indicazione di un bene di valore non elevato.

L’ipotesi sub c) è più severa rispetto a quella sub a), ed è difficile comprendere la ragione di una maggiore severità che il legislatore impone nell’ambito della procedura di liquidazione rispetto a quanto previsto in materia di accordi o di piani ex art. 7.

Probabilmente la spiegazione di questo sbilanciamento in termini di severità nei confronti della procedura ex artt. 14-ter dipende, probabilmente, dal fatto che il legislatore ha ritenuto di maggior favore per il debitore la procedura di esdebitazione attraverso la liquidazione dei propri beni, rispetto a quella dell’accordo o del piano, che in concreto si risolve in una ben magra soddisfazione per i creditori209.

Anche se l’omessa indicazione dei beni nell’inventario non rientra fra le cause di revocabilità del provvedimento di esdebitazione, è necessario ricordare che la condanna per uno dei reati di cui all’art. 16 l. fall. configura come condizione di inammissibilità per la liberazione del debitore dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti.

Invece, se l’omissione non viene scoperta prima del provvedimento di esdebitazione, il decreto emanato non potrà essere revocato, non essendo espressamente prevista tale ipotesi dal legislatore, salvo però il caso in cui l’omissione sia stata posta in essere per favorire un creditore a danno degli altri, in questo caso infatti il provvedimento è revocabile ex art. 14-terdecie, comma 5, lett. a).

Sub c) è punita l’esecuzione di pagamenti non previsti nel piano oggetto dell’accordo di ristrutturazione o nel piano del consumatore.

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Il pagamento difforme ex art. 13, comma 4, risulta inefficace nei confronti dei creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità di cui agli artt. 10, comma 2, e 12-bis, comma 3.

Una simile previsione promuove una interpretazione maggiormente restrittiva della fattispecie delittuosa, in base alla quale il reato si configura solo se sussiste un pregiudizio nei confronti dei creditori anteriori tutelati dalla generica inefficacia del pagamento.

Altra fattispecie delittuosa è individuata dalla condotta sub e) che ha natura residuale, ricomprendendovi tutte quei comportamenti del debitore che, a seguito del deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore e per tutta la durata della procedura, possono aggravare la sua esposizione debitoria.

Le condotte punibili sono quelle che determinano forme di debito non essenziali rispetto alle necessità del quotidiano, e ulteriori e diverse rispetto a quelle previste dal piano o dall’accordo210.

Infine, viene sanzionato il debitore che intenzionalmente non ha rispettato i contenuti dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del piano del consumatore (sub f)).

La condotta è punita solo quando produce un pericolo concreto alle ragioni dei creditori coinvolti. “La fattispecie è volta a punire l’intenzionale o addirittura preordinata frustrazione delle aspettative di recupero patrimoniale dei creditori, che il puntuale adempimento dell’accordo, al pari dell’esecuzione del piano, sono deputati a garantire”211. Sono punite dalla lett. f) le sole forme intenzionali di inadempimento: è punito il debitore che pur potendo conformarsi all’accordo sceglie invece di violarne il contenuto.

Da questa rassegna dei reati compiuti dal debitore nel corso della procedura risulta che l’elemento psicologico che deve integrare la

210 D. SPADAVECCHIA – D. NIZZA, op. ult. cit., p. 5.

211 A. FIORELLA – M. MASUCCI, Gestione dell’impresa e reati fallimentari, Torino, 2014, p. 223.

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fattispecie delittuosa è il dolo generico, che assume i connotati di dolo intenzionale nell’ambito delle ipotesi sub f).

Perché si configuri il reato il soggetto deve aver agito proprio per perseguire la violazione dell’accordo, non essendo sufficiente che egli agisca con dolo diretto, cioè che gli si rappresenti l’evento come verificabile con elevato grado di probabilità, o con dolo eventuale, cioè che egli accetti il rischio che l’evento si verifichi, è necessario, invece, che l’evento sia voluto e realizzato come obiettivo immediato e diretto della condotta e accessorio di questa212.

È necessario chiarire che, mancando disposizioni analoghe a quelle di cui all’art. 222 l. fall. (“Fallimento delle società in accomandita e in nome collettivo”) e di cui al Capo II del Titolo VI l. fall. (“Reati commessi da persone diverse dal fallito”), quando il debitore ha natura di impresa collettiva il soggetto attivo del reato va individuato nella persona fisica che ha posto la firma nella proposta di accordo di ristrutturazione o nella domanda di liquidazione e negli altri titolari di poteri gestori.

È possibile inoltre imputare il comportamento delittuoso a titolo di concorso alla condotta di altri soggetti, quali i componenti degli Organismi di composizione della crisi213.

5.3. Le condotte illecite compiute dagli Organismi di composizione