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Gli Accordi e le politiche dei redditi.

La concertazione come strumento di regolazione sociale

9. Gli Accordi e le politiche dei redditi.

Ciò che rimane è il ricorso a norme sempre meno vincolanti e fondate sulla combinazione di strumenti di regolazione diversi per intensità e ampiezza dell’efficacia giuridica. Accordi e Protocolli, combinati con la contrattazione collettiva che hanno rappresentato per tutta la storia della concertazione la base normativa e la modalità di definizione degli strumenti

Lo strumento giuridico principale della concertazione, italiana e spagnola, non vi è dubbio sono gli accordi. A seconda del contenuto e della forma scelti, sono stati chiamati patti o protocolli, ma sono sempre riconducibili alla fattispecie degli accordi tra poteri politici e sindacati.

La concertazione aveva fondato la sua essenza sugli accordi bilaterali e trilaterali nei quali venivano trasfusi i contenuti delle trattative. Attraverso lo strumento degli accordi; infatti, gli accordi tra governo e parti sociali avevano conquistato uno spazio giuridico importante nella regolazione delle politiche sociali ed economiche. All’accordo era stato attribuito rilievo giuridico tra gli strumenti regolativi del capitalismo contemporaneo244, consentendo alle organizzazioni sindacali di accedere alle stanze delle decisioni pubbliche.

Ciò, almeno per l’ordinamento giuridico italiano, aveva posto un problema di centrale nella collocazione giuridica degli accordi. Sotto il profilo dell’efficacia giuridica degli accordi concertativi si era posto il medesimo problema dell’efficacia del contratto collettivo, se non peggio. Infatti gli accordi, per natura giuridica, potevano avere efficacia solamente per coloro i quali sottoscrivevano l’accordo e si impegnavano a rispettarlo. Certamente l’accordo, per contenuto e impatto politico e sociale, non era destinato a produrre effetti per i soli iscritti alle organizzazioni sindacali e datoriali che partecipavano ai tavoli di concertazione. Anzi, molto più dei contratti collettivi, che hanno necessità di un meccanismo complesso di estensione dell’efficacia soggettiva e oggettiva, gli accordi avevano maggiori possibilità di raggiungere direttamente tutti i lavoratori e gli imprenditori senza per questo rappresentarne la reale volontà. Ma a favore dell’estensione erga omnes degli accordi si poteva contare sull’intervento del governo il quale, nella sua duplice veste di attore della trattativa e titolare del potere politico d’indirizzo, recepiva i contenuti degli accordi con gli strumenti legislativi suoi propri o attraverso la conversione parlamentare in legge.

Gli accordi non potevano produrre un effetto legale diretto mentre si etra affermato che essi producevano effetti di «funzionalizzazione politico- contrattuale»245 dell’attività del governo e delle parti sociali, indipendentemente dalla rappresentatività dei soggetti che li hanno stipulati. Con tutta evidenza, una scarsa rappresentatività delle parti sociali avrebbe comportato per gli accordi da queste stipulati un minor effetto politico, oltre che giuridico. Anche le grandi confederazioni sindacali, di fronte alla frammentazione degli interessi dei lavoratori e allo

244 P.SCHMITTER W.STREECK, Comunità, mercato stato e associazioni?Il possibile contributo dei governi privati all’ordine sociale, in Stato e mercato, 1985, p. 27.

scollamento con le nuove tipologie di lavoro, avevano corso il rischio di essere chiamate a firmare accordi concertativi con scarso rilievo politico, magari per affermare maggiormente gli interessi della stessa organizzazione rispetto a quelli dei lavoratori. Il modello di concertazione era stato il presupposto degli interventi legislativi in materia di lavoro dipendente per tanti anni, a partire dai grandi accordi del ’92 e del ’93.

Così era parso anche più di recente, con il Patto per l’Italia del 5 luglio 2002, sottoscritto come accordo di concertazione anche se aveva coinvolto solo due delle tra grandi confederazioni sindacali246.

Il Patto conteneva l’impegno dell’adozione della concertazione quale metodo idoneo a garantire un efficace politica dei redditi, secondo quanto previsto dal protocollo del 1993 per dare stabilità e forza alla crescita economica e assicurare il perseguimento dell’equilibrio della finanza pubblica247. Un tradizionale patto di concertazione che richiama un altro importante accordo concertativo, quello del 1993. Dunque, secondo uno schema tipico, si sarebbero dovuti attivare i necessari tavoli per la definizione delle politiche da attuare sulla base delle linee concordate nel Patto. Il Patto del 2002 aveva, inoltre, impegnato il governo a portare in Parlamento proposte di intervento legislativo su diverse materie, non solamente in tema di rapporto di lavoro, ma anche sulle imposte, sulla sicurezza sociale e sul reddito, previdenza, occupazione etc., come era avvenuto fin dagli accordi del 1982- 83.

Ma nell’iter e anche nei contenuti «che [avevano] preceduto l’emanazione della riforma, sembra[va] che il metodo della concertazione [fosse] stato invece dimenticato»248.

Il governo aveva riproposto la scelta già praticata, a partire dal Libro Bianco sul

246 G. GIUGNI, La concertazione e la riforma del mercato del lavoro, in Rappresentanza, rappresentatività, sindacato in azienda ed altri studi. Studi in onore di Mario Grandi, Padova, 2005,

p. 279.

247 Cfr. il testo del Patto per l’Italia.

248 G.GIUGNI, La concertazione e la riforma del mercato …etc., cit., p. 279: «L’adozione del metodo

della concertazione, se non è solo apparente, richiede l’osservanza di prassi e affidamenti reciproci direttamente conseguenti. Sebbene, infatti, il patto non contenga procedure e impegni ma solo direttive politiche, gli attori della concertazione sono, comunque, tenuti al rispetto di determinate prassi e procedure ormai consolidate nel sistema di relazioni industriali. e che contraddistinguono il modello della concertazione da altri modelli delle relazioni tra governi e parti sociali, come quelli, ad esempio, di semplice consultazione o informazione».

mercato del lavoro del 2001, di applicare, nell’eventualità di disaccordo tra le parti sociali nel corso di un confronto. la regola della maggioranza. Questa scelta metteva fuori gioco qualunque potere di veto delle organizzazioni sindacali contrarie e rafforzava la propria posizione e il proprio ruolo. D’altra parte, se era noto che il sistema politico bipolare favoriva l’instaurazione di un rapporto privilegiato del governo con alcune organizzazioni delle parti sociali (le c.d. asimmetrie orizzontali), queste ultime manifestavano sempre di più la propria difficoltà nell’agire nelle relazioni industriali in un quadro politico, economico e sociale sempre più complesso e questa crescente “debolezza” del sindacato si manifestava anche nei rapporti con il potere politico, concretizzandosi nell’assunzione di posizioni accondiscendenti ovvero partisan249 .

Lo «strappo»250 del 5 luglio 2002 aveva segnato la rottura dell’unità sindacale ma in modo nuovo rispetto ai precedenti episodi di accordi separati, come invece era avvenuto nel 1994 per il Patto di San Valentino; nell’84 si era trattato di un fatto episodico e limitato nel tempo, mentre nel 2002 si erano verificate una serie di fratture a livello categoriale e territoriale, dai rinnovi contrattuali di alcuni settori (metalmeccanico in testa) alla definizione delle norme di ricezione della direttiva n. 99/70 sul contratto a termine e via dicendo.

In Italia l’accordo del 1993 era stato il classico testo concertativo intuibile fin dal titolo «Politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali,sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo». L’accordo aveva inteso rispondere a una forte inflazione attraverso un’azione comune del governo e delle parti sociali destinata a realizzare una politica dei redditi condivisa e programmata. La concertazione aveva vissuto il massimo splendore negli anni di crisi economica e delle politiche di contenimento della spesa pubblica e della riduzione dei tassi d’inflazione poiché ha condotto i governi a confrontarsi con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro proprio sulle politiche dei redditi.

In Spagna lo strumento degli accordi251 (a tutti i livelli nazionali, interconfederali

249 L.BELLARDI, Problemi e tendenze della contrattazione collettiva, in www.ildiariodellavoro.it ,2008,

p. 73.

250 A.P

ERULLI, La rappresentatività confederale…etc., cit., p. 618.

251 Alcuni accordi che sono stati analizzati per comprendere l’evoluzione in Spagna della

concertazione per accordi: El Acuerdo Económico y Social (AES) 1984; El Acuerdo de solución Extrajiudicial de Conflictos (ASEC) 1996; (El Acuerdo Básico Interconfederal (ABI) 1979, El

e territoriali) ha da sempre caratterizzato il fenomeno della concertazione per la definizione di molteplici aspetti. Ma negli accordi, soprattutto quelli a livello locale tra centrali sindacali e pubblici poteri locali, vengono definite le linee di crescita delle retribuzioni poi affidati alla contrattazione collettiva per la determinazione specifica dei livelli retributivi.

La verifica dell’efficacia degli accordi di concertazione sociale sulla materia delle retribuzioni sono stati oggetto di vaglio dei giudici di Spagna; la giurisprudenza spagnola è ricchissima di esempi252. Numerose pronunce perché altrettanto numerosi erano gli accordi di concertazione sul tema della definizione delle retribuzioni nel settore privato al fine di contenere i tassi d’inflazione e del costo del lavoro, nel settore pubblico, in aggiunta, il contenimento della spesa pubblica.

La conferma dell’importanza degli aspetti retributivi è venuto anche dal confronto più recente, nelle trattative che hanno preceduto il Protocollo del 2007, tra le parti sociali sul ruolo del contratto nazionale soprattutto del peso delle retribuzioni253.

La combinazione dell’aspetto retributivo con quello del decentramento contrattuale ha suscitato la riproposizione di un anacronistico, quanto sterile, dibattito politico sulle gabbie salariali. Il tema delle gabbie salariali, riproposto a distanza di circa venticinque anni, dalla Lega Nord ha provocato il corale giudizio negativo delle forze politiche e sociali. Nell’attualità del dibattito politico estivo254 la proposta di reinserire le gabbie salariali per differenziare territorialmente il valore dei salari. La differenza del costo della vita in alcune zone del Paese aveva condotto a supporre di aumentare i minimi salariali dei contratti collettivi, attraverso l’intervento

Acuerdo Marco Interconfederal (AMI) 1980, El Acuerdo Interconfederal (AI) 1983, El Acuerdo Interconfederal para la Estabilidad en el Empleo 1997, El Acuerdo Interconfederal sobre cobertura de vacíos 1997, El Acuerdo Interconfederal sobre Negociación Colectiva 1997). El Acuerdo para la Mejora y el Desarrollo del Sistema de Protección social 2001, El Acuerdo para la Negociación Colectiva 2001 (ANC), Acuerdos Nacionales de Formación Continua (ANFC) 2000, Acuerdo para la mejora y el desarrolllo del sistema de protección social, Madrid, 2001, Acuerdo para la mejora del crecimiento y del empleo, Madrid 2006, Acuerdo sobre medidas en materia de seguridad social, Madrid 2006.

252 Trib. Sent. 2 dic. 2004, rec. 30/2004; TSJ Galicai, Sent. 28 nov. 2007, rec. 327/2007; TSJ Galicia,

Sent. 30 abr. 2008, 452/2007, TSJ Canarias Satna Cruz Tenrife, sent. 29 sep. 1999, rec. 1719/1997, consultabili in www.laleydigitale.es. Sentenze riguardanti la richiesta di interpretazione e definizione della retribuzione sulla base di accordi di concertazione sottoscritti dalle centrali sindacali e i governo locali (molte nell’ambito del P.I.).

253 B

ELLARDI,L., La struttura della contrattazione collettiva: ragionando delal sua revisione, in Lav. Dir., 2007, I, p. 241.

254 G.EPIFANI, Epifani: sui contratti la Cgil sarà presente a tutti i tavoli, in La Stampa, 25 agosto

legislativo specifico, nelle aree nelle quali i prezzi al consumo e i servizi hanno un livello più alto. Un intervento legislativo in tema di definizione delle retribuzioni è ampiamente rifiutato per un evidente illegittimità costituzionale255. La Corte aveva escluso che lo stesso legislatore possa «negare la qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato»256.

Il ministro Sacconi, chiudendo la strada all’idea «incostituzionale257» delle gabbie salariali apre al dialogo per ciò che riguarda la contrattazione di secondo livello.

Il dibattito evidentemente si è spostato verso la ricerca di un accordo con le organizzazioni sindacali per incentivare la contrattazione di secondo attraverso sgravi fiscali e lo sviluppo di politiche di incremento della produttività.

Il Ministro tasta la disponibilità delle principali organizzazioni sindacali trovando una sponda nelle sigle che hanno sottoscritto l’accordo sulla contrattazione sul quale la CGIL ha dichiarato la propria contrarietà.