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I livelli della concertazione

La concertazione come strumento di regolazione sociale

7. I livelli della concertazione

Si è portati a guardare alla concertazione anche come uno strumento utile al raggiungimento degli obiettivi di politica economica e sociale attraverso interventi che siano coerenti dal centro fino a tutti i livelli di governo.

Il livello nazionale, ormai sovranazionale, regionale e locale non possono più essere considerati slegati, anche perché le politiche che promuovono politiche occupazionali e di sviluppo mirate sono in linea con i sistemi di decentramento delle funzioni di governo e regolative. Infatti, il decentramento è da considerarsi nel senso della sussidiarietà verticale, che se da un certo punto di vista sembrerebbe presupporre un restringimento dell’ambito di intervento, dall’altro viene ricercata l’istituzione o il soggetto più prossimo all’interesse da soddisfare.

Per tale motivo, era parso opportuno pensare in questo senso all’attivazione di politiche di concertazione sociale più vicine al livello territoriale o settoriale che però non sono riuscite ad avere il positivo riscontro da tutti auspicato225.

I padri costituenti non pensavano alla sussidiarietà verticale, così come oggi è conosciuta, ma avevano intravvisto il sovrapporsi dei piani di intervento per il soddisfacimento degli interessi dei cittadini; la sussidiarietà verticale, che combinata con quella orizzontale, ha condotto verso l’attuazione di fatto del pluralismo sociale, garantito dalla stessa Costituzione, attraverso l’azione delle organizzazioni e dei soggetti esponenziali di interessi privati (economico, professionale, etc..).

A questo si era aggiunto che, in una fase di crisi economica profonda, le parti sociali dovevano agire con maggiore incisività, partecipando allo sviluppo delle relazioni industriali in campo nazionale e contemporaneamente comunitario e globale, considerando i limiti di legittimazione e di rappresentatività che devono essere affrontati e risolti giuridicamente.

Per quanto riguarda il livello cosiddetto macro, ossia quello delle grandi intese

225 P.ALBI, La contrattazione sindacale nella programmazione dello sviluppo, in Dir. Lav. Rel. Ind.,

trilaterali tra Stato, sindacati e associazioni imprenditoriali, la mancanza di giuridificazione è considerata una condizione essenziale per la realizzazione della concertazione sociale. Infatti la concertazione potrebbe realizzarsi effettivamente solo conservando un alto grado di informalità o di una formalizzazione non giuridificata.

A livello nazionale era affiancato quello locale ma anche quello sovranazionale, intendendo per quest’ultimo la concertazione a livello comunitario.

Il meccanismo concertativo aveva trovato significativo riscontro operativo nel quadro della promozione di iniziative a sostegno dello sviluppo locale principalmente attraverso gli strumenti della programmazione negoziata, i quali avevano trasferito la pratica della concertazione a livello territoriale nell’intento di offrire condizioni favorevoli allo sviluppo dell’occupazione in quelle aree caratterizzate da una forte depressione socio-economica.

I contratti d’area, i patti territoriali e gli accordi di programma226. non erano altro che tavoli di concertazione nei quali le parti sociali si sedevano con le istituzioni rappresentative del potere politico per sollecitare investimenti a favore della promozione dell’occupazione e per l’insediamento di nuove iniziative imprenditoriali.

Proprio come nel livello nazionale i tavoli di concertazione si andavano a configurare come accordi tripartiti o bipartiti, a seconda che i poteri locali facessero da mediatori nella contrattazione delle due parti sindacale e imprenditoriale o che facessero da soggetti protagonisti degli accordi, impegnando risorse economiche pubbliche o intervenendo direttamente con propri investimenti. Spesso a livello locale la concertazione non aveva avuto un grande successo, supplita spesso dalla stessa contrattazione territoriale anch’essa poco sviluppata soprattutto in quelle stesse zone depresse.

Le forme di concertazione a livello locale, soprattutto attraverso i patti territoriali, «hanno offerto notevoli spunti di riflessione sull’evoluzione degli assetti delle relazioni industriali e sul fenomeno della modulazione a livello locale della disciplina del rapporto di lavoro, per la lotta all’esclusione sociale e per lo sviluppo

dell’occupazione»227.

I programmi di sviluppo locale hanno come presupposto il decentramento delle prassi di concertazione al fine di coinvolgere le parti sociali nella gestione e nella scelta delle misure da adottare. Il coinvolgimento delle parti sociali nelle strategie locali di sviluppo del mercato del lavoro erano indicate nei grandi accordi di concertazione sin dagli anni Novanta228.

La programmazione negoziata è stato uno degli strumenti individuati per le strategie di sviluppo e di regolazione dei mercati del lavoro locali che hanno coinvolto le parti sociali. Della programmazione negoziata i contratti d’area229 hanno avuto una funzione importante nell’incubazione di nuove realtà imprenditoriali e l’offerta di nuove opportunità occupazionali orientate prevalentemente all’inclusione di soggetti svantaggiati. Le azioni attivate attraverso le politiche locali di promozione sono anche l’esito delle linee d’indirizzo inserite nei grandi accordi nazionali di concertazione. Il nesso che esiste tra indirizzi nazionali e attuazione locale ha consentito l’attivazione di più modalità d’intervento. Gli stessi Patti territoriali concertati sono stati un’esperienza concertativa importante in Italia soprattutto nel meridione del paese. Nelle aree depresse la contrattazione trilaterale e bilaterale si esprimono con strumenti diversi che partono dal sostegno alle economie locali per arrivare alla promozione di politiche attive del lavoro, progetti di formazione professionale e di promozione delle pari opportunità. Vi sono stati patti d’integrazione sociale, patti e intese programmatici, patti promozionali; in questi accordi si può vedere la via regionale alla concertazione230 nella quale vengono affrontati molti temi del diritto del lavoro soprattutto quello dello scambio tra condizioni di maggiore flessibilità e maggiori possibilità occupazionali.

I patti territoriali oltre che avere un forte legame con il livello nazionale, sono stati anche il mezzo attraverso il quale sono state attuate le politiche europee di sviluppo e sostegno alle aree depresse e ai settori in crisi di alcune regioni degli Stati membri.

I rapporti tra sindacati dei lavoratori, istituzioni locali, Stati nazionali e Unione

227 S. COSTANTINI, Verso una nuova stagione di concertazione territoriale?, in Lav. Dir., 2005, p. 27 e

ss..

228 B.C

ARUSO, Agire per accordi. La concertazione nazionale e locale, in La dimensione socaile delal contrattazione, 2001, p. 429.

229 P.ALBI, Art. 2, c. 203 ss. L. n. 662/1996, in Comm. Breve alle leggi sul lavoro, 2001, p. 2091 e ss.. 230 T.TREU, La via regionale alla concertazione, 2002, p. 3.

europea sono centrali nella disciplina del lavoro poiché sintetizzano le questioni principali in termini comparati e in chiave interdisciplinare231. Infatti in un momento particolare come quello attuale di allargamento a Est dell’Unione e la crisi internazionale che incombe sull’economie di tutti i Paesi, la sfida si muove su piani politici molto differenti: oggi è rimesso in discussione il sistema neoliberista a favore di uno Stato interventista e impegnato in azioni di politica economica che richiamano alla mente le principali teorie Keynesiane. Il confronto fra i massimi livelli di sistema economico-finanziari accentua la scelta fatta verso modelli di regolazione più o meno incisivi.

Se il livello nazionale ha indotto il legislatore statale a negoziare il contenuto dei provvedimenti legislativi, attraverso la ricerca del consenso preventivo con le parti sociali, a livello comunitario il metodo negoziale ha avuto ancora un maggior riconoscimento. La diretta partecipazione delle parti sociali ai processi decisionali non si colloca esclusivamente nella ricerca di una successiva effettività delle norme prodotte ma ha una collocazione istituzionale ulteriore che le pone, all’interno del Trattato europeo e nelle successive modificazioni, in una posizione di riguardo nella soluzione dei problemi regolativi in materia di politica sociale.

Dopo il Trattato di Nizza, le competenze dell’Unione in materia sociale sono state ampliate; difatti con il nuovo testo dell’art. 137 TCE si è riconosciuta la competenza comunitaria nel disciplinare, anche se con atti di soft-law, ambiti di regolazione fortemente caratterizzati dal tema sociale.

L’art. 137 TCE, quindi, risulta essere virtualmente più incisivo attraverso la nuova versione elaborata nel vertice di Nizza poiché, pur rimanendo norma inapplicata, può portare all’emanazione di regole minime di trattamento in quasi tutti i settori di interesse sociale. Come si dirà più avanti, le nuove procedure di governance legate alla cosiddetta Lisbon Strategy e all’Open Method of coordination, in mancanza di supporti e sostegni istituzionali ulteriori, sembrano non consolidarsi in un insieme coerente di politiche sociali in grado di aggredire la resistenza degli Stati meno virtuosi.

Vi è una diffusa preoccupazione, anche tra gli studiosi che hanno da sempre visto

231 G.ZILIO GRANDI, Spunti sui modelli relazionali tra Stato, sindacato e imprese negli Stati membri e nell’Unione europea, in Riv. Giur. Lav., 2003, 1, p. 823 e ss..

più le opportunità che i problemi derivanti dal processo di integrazione anche in campo sociale232, che il social dumping tra gli Stati, con l’ingresso dei nuovi paesi nell’Unione, sia non arginabile e che quindi le regole europee, troppo permissive, diventino in sostanza non la base di un “federalismo solidaristico” ma di un modello “ competitivo”, distruttivo nel lungo periodo persino per i faticosi compromessi sinora raggiunti nell’incompiuto sistema di governo dell’Unione.

Gli organi comunitari hanno avviato, di recente, un processo di coordinamento tra le politiche economiche e le politiche per l’occupazione e d’inclusione sociale233 che segna un passo significativo verso un riequilibrio tra le diverse aree del continente per evitare situazioni di cattiva concorrenza e assicurare un buon bilanciamento tra la crescita economica e l’equità sociale.

L’intervento delle parti sociali avviene in diverse fasi: una prima fase riguarda la collaborazione con la Commissione per la selezione delle materie oggetto di possibile azione comunitaria, che precede, invece, la decisione di avviare una negoziazione per la conclusione di un accordo collettivo europeo diretto a regolamentare autonomamente la materia. Quest’ultima fase si concreta con la comunicazione alla Commissione che sospende sino a un massimo di nove mesi l’iniziativa legislativa. L’eventuale accordo può trovare attuazione direttamente dalle parti sociali che su proposta della Commissione, su decisione del Consiglio o secondo procedure e prassi proprie degli Stati membri conferisce efficacia erga omnes.

I modelli di concertazione comunitaria sono al centro della dialettica tra le istituzioni europee, gli stati membri e le parti sociali. Il problema della consultazione e della collaborazione tra gli Stati membri e la Commissione in materia di diritto del lavoro è stato motivo di divergenza tanto da richiedere l’intervento interpretativo e dirimente le controversie da parte della Corte.

L’8 luglio 1985 la Commissione delle Comunità europee aveva emanato la decisione 85-1089 che istituiva «una procedura di comunicazione preliminare e di concertazione sulle politiche migratorie nei confronti degli Stati terzi». Contro questa

232 Cfr. S.S

CIARRA, Norme imperative nazionali ed europee, in

www.lex.unict.it/eurolabor/ricerca/wp/htm WP. C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, 2006, n. 44. 233 E.ALES, La modernizzazione del metodo di protezione sociale europeo, in Quad. Dir. Lav. Rel. Ind., 2004, p. 37 e ss..

decisione alcuni Stati membri avevano depositato numerosi ricorsi davanti alla Corte di Giustizia234; con la sentenza 9 luglio 1987, riunite le cause n. 281, 283, 287/85, la Corte aveva affrontato il delicato problema del funzionamento delle istituzioni comunitarie.

Gli Stati membri ricorrenti avevano chiesto l’interpretazione dell’art. 118 TCE poiché ritenevano che tale norma non conferisse alcuna competenza alla Commissione nell’ambito sociale (politiche migratorie rispetto ai paesi terzi, i programmi d’intervento indirizzati ai lavoratori cittadini di paesi terzi, gli studi su nuove questioni sociali, consultazione delle parti sociali, etc.) e soprattutto non giustificasse l’emanazione di atti vincolanti. Da una parte dissensi ma, soprattutto, la difesa a spada tratta della sovranità nazionale anche davanti a strumenti di tipo esortatorio o conoscitivo, dall’altra la Commissione che rivendicava il proprio compito di promuovere azioni in tema di politiche migratorie con diversi strumenti giuridici, anche vincolanti. La Commissione riteneva intervenire per regolare la consultazione del Comitato economico e sociale (CES) e/o studiare delle soluzioni di concerto con gli Stati membri e riteneva di poter esercitare, comunque, il proprio diritto di intervenire attraverso l’adozione di atti vincolanti. Davanti a una questione procedurale della consultazione del CES235 e del coinvolgimento più o meno obbligatorio degli Stati membri nelle decisioni in materia sociale, secondo la Commissione era giunto il momento di fornire un quadro giuridico appropriato che assicurasse la partecipazione degli Stati membri alla procedura di concertazione.

Nella requisitoria dell’Avvocato generale veniva proposta alla Commissione un’interpretazione evolutiva del ruolo conferito dall’ex art. 118 del Trattato mentre la Corte aveva preferito attestarsi su posizioni vicine alla tesi più riduttiva sostenuta dalle parti attrici. L’Avvocato, confermando la preventiva consultazione del CES prima dell’adozione di qualsiasi atto, proponeva un’interpretazione del termine

234 CGE 9 luglio 1987, riunite le cause n. 281, 283, 287/85, in Riv. Trim. dir. e Proc. Civ., 1988, p. 317

e ss..con commento di F.MANCINI, Modelli di concertazione comunitaria.

235 I primi programmi sociali, di fine anni Settanta, erano molto ambiziosi nonostante il momento

politico, storico ed economico della Comunità europea era in uno stato di ineffettività. Nelle conferenze tripartite svoltesi tra il 1970 e 1978 e nei numerosi Comitati consultivi specializzati, quali organi di assistenza e consulenza della Commissione e del Consiglio, tipici dei successivi anni ’80, si erano svolte le prime occasioni di dialogo sociale, magari più sotto la forma della «comunicazione» tar le parti sociali e le istituzioni comunitarie F.BANO-G. ZILIO GRANDI, (voce), in Digesto Disc. Comm. Priv., Aggiorn. IV, di prossima pubblicazione; R.NUNIN, Il dialogo sociale europeo, Milano, 2001, p. 8 e ss..

promozione in modo meno vincolante incentivando la concertazione su base volontaria da parte degli Stati membri.

La conclusione è che «la vicenda confermi appieno la giustezza dei rilievi236» soprattutto per ciò che riguardava la consultazione del CES, organismo composito, il quale parere avrebbe potuto indurre la Commissione a correggere la sua decisione evitando i ricorsi degli Stati.

La Corte aveva accolto i ricorsi di alcuni Stati e aveva deciso di annullare la decisione della Commissione che istituiva una procedura di concertazione preliminare e di concertazione delle politiche migratorie nei confronti degli Stati terzi.

8. El Consejo Económico y Social e il Consiglio nazionale dell’economia e del