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CAPITOLO 2 – IL CAMBIAMENTO CLIMATICO NEL SISTEMA AGRICOLO E VITIVINICOLO: impatti e adattamenti

2.3 L’adattamento in agricoltura

L'adattamento al cambiamento climatico è un processo continuo e in costante evoluzione che coinvolge molti processi intrapsichici che influenzano le reazioni associate agli impatti negativi dei cambiamenti climatici. I produttori, però, sono esposti a rischi che vanno anche al di là del clima e del meteo. Infatti, sono diverse tipologie di rischio associate all’agricoltura, tra cui il rischio di produzione, il rischio di prezzo o di mercato, il rischio istituzionali, il rischio finanziario e il rischio personale (Belliveau et al., 2006). A questi rischi sono generalmente associate le pratiche o strategie di adattamento dei produttori per ridurre il rischio e la vulnerabilità del sistema.

Nonostante la conoscenza riguardo alla capacità di adattarsi ai cambiamenti climatici sia ancora limitata ed i concetti utilizzati in questo campo accademico spesso criticati (Hinkel, 2011; Janssen & Ostrom, 2006), le definizioni di adattamento sono per lo più variazioni su un tema comune (Smit & Wandel 2006a). Brooks (2003) descrive l'adattamento come "rettifiche nel comportamento di un sistema e le caratteristiche che aumentano la sua capacità di far fronte allo stress esterno". Bryant et al., (2000), nel contesto del cambiamento climatico, definiscono gli adattamenti come "aggiustamenti nei sistemi ecologici-socio-economici in risposta a stimoli climatici in atto o

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prevedibili". Pielke (1998) definisce gli adattamenti come le "rettifiche di singoli gruppi e comportamenti istituzionali, al fine di ridurre la vulnerabilità della società al clima."

La capacità di adattamento, invece, è definita come la capacità di un sistema di adattarsi o recuperare, anche conosciuta come adattabilità, cooping o resilienza (Belliveau et al. 2006) oppure la capacità di far fronte ai cambiamenti climatici, tra cui la variabilità climatica e gli eventi estremi, al fine di limitare i potenziali danni, sfruttare le opportunità emergenti e/o far fronte alle sue conseguenze (Reidsma et al. 2010). È, infatti, oramai ampiamente accettato che adattamenti di vario genere possono aumentare o mantenere la competitività aziendale e modificare l’entità gli impatti dei cambiamenti climatici (Yohe & Tol, 2002; Smit & Pilifosova, 2003).

Pertanto, al fine di valutare (e in ultima analisi, ridurre) la vulnerabilità di un sistema, di una comunità o di una regione al cambiamento climatico, è necessario comprendere la capacità di adattamento di tale sistema, comunità o regione, tenendo in considerazione che è difficile valutare i processi di adattamento e, ancor più, quantificare il loro reale impatto. Infatti, per valutare la vulnerabilità di un sistema è necessario stimare anche le forze non-climatiche (politiche, economiche, istituzionali e biofisiche) che contribuiscono alla sua caratterizzazione (Belliveau et al., 2006).

Inoltre, per valutare la capacità di adattamento ed i fattori che la influenzano è necessario, però, definire il livello dell’indagine a cui fare rifermento. Il terzo rapporto dell'IPCC riporta le cinque caratteristiche che determinano la capacità di adattamento dei territori o delle regioni: la ricchezza economica, la tecnologia, le informazioni e le competenze, le infrastrutture, le istituzioni e l'equità (Smit et al., 2001).

Un’ulteriore classificazione dei fattori che influenzano la capacità di adattamento è riportata da Yohe e Tol (2002): (1) la gamma di opzioni tecnologiche disponibili per l'adattamento; (2) la disponibilità di risorse e la loro distribuzione tra la popolazione; (3) la struttura delle istituzioni, l'assegnazione derivata del potere decisionale ed i criteri di decisione utilizzati; (4) lo stock di capitale umano, compresa l'istruzione e la sicurezza personale; (5) lo stock di capitale sociale, compresa la definizione dei diritti di proprietà; (6) l'accesso ai processi di ripartizione dei rischi; (7) la capacità dei decisori di gestire le informazioni, i processi attraverso i quali questi decisori definiscono la credibilità delle informazioni, la credibilità dei decisori stessi; e (8) la percezione della fonte di stress e la significatività dell’esposizione a livello locale.

Le otto variabili appena elencate sono considerate predittori validi per l’adattamento (Burch & Robinson, 2007), ma non sono disegnati per un particolare settore e non spiegano completamente le realtà dei piccoli agricoltori che lottano per adattarsi alla variabilità climatica.

Se si vuole quindi analizzare l’adattamento nel settore agricolo, è possibile valutare l’adattamento a breve-medio termine rispetto all’adattamento a lungo termine dei sistemi agricoli e colturali (Olesen & Bindi, 2002; Schneider et al.; 2000). L’adattamento a breve-medio termine riguarda la regolazione della produzione senza grandi cambiamenti di sistema, intervenendo, ad esempio, sulle pratiche agricole e sulle strutture aziendali. L'adattamento a lungo termine si riferisce a grandi cambiamenti strutturali dei sistemi agricoli. Il grado di risposta del settore agricolo al cambiamento climatico è strettamente legato e dipendente dalle aspettative degli operatori, dalla loro

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conoscenza e capacità di prevedere gli impatti dei cambiamenti climatici, dalla capacità di adattamento e dalla velocità di sviluppo delle tecnologie, nonché dalle risposte politiche.

Un secondo livello analitico per la valutazione dell’adattamento nel settore agricolo può basarsi su un approccio micro, ad esempio: a livello di azienda, che permette un'analisi più dettagliata delle risposte e degli adattamenti, delle innovazioni tecnologiche, della sostenibilità delle pratiche agricole, dell'uso del suolo, degli effetti della distribuzione del reddito, ecc. La capacità di adattamento di un’azienda, infatti, può dipendere dagli strumenti e dalle risorse disponibili che si riferiscono agli elementi terra, lavoro e capitale, tra cui il reddito agricolo, l'accesso al credito, le attrezzature, la tecnologia, le capacità del contadino in relazione alla sua/sue abilità, l’età e la percezione del rischio. La capacità di adattamento di un’azienda dipende anche da fattori esterni, come la disponibilità di programmi di sostegno del governo, lo sviluppo delle biotecnologie, la domanda di mercato per le colture adatte ai cambiamenti climatici, la disponibilità e la precisione delle previsioni meteorologiche (Belliveau et al., 2006).

Inoltre, le caratteristiche della azienda sono un fattore importante: un cambiamento nella intensità della produzione o nelle dimensioni aziendali, per fronteggiare le sfide climatiche, può avere un impatto sulle performance aziendali (Reidsma et al., 2009).

La capacità di adattamento a livello di azienda è, quindi, influenzata da diversi fattori che riflettono sia le caratteristiche locali del sistema e sia le variabili esterne (Watts & Bohle, 1993; Wheaton & Maciver, 1999; Kelly & Adger, 2000; Smit & Wandel, 2006).

Infatti Belliveau et al. (2006) associa la capacità di adattamento al concetto di vulnerabilità del sistema in quanto rappresenta la molteplicità dei processi interconnessi che si verificano a diverse scale. Essa riflette le caratteristiche dinamiche del sistema, così come le condizioni più generali o i processi all'interno del quale opera il sistema (Hammer et al., 1999; Wilbanks & Kates, 1999; O’Brien et al., 2004). Dato che l'adattamento è spesso concepito come un fenomeno site-specific, molti autori sostengono la necessità di analizzare l’adattamento più a livello locale, al fine di ottenere una migliore comprensione dei processi fondamentali alla base di adattamento e migliorare l’orientamento delle politiche di adattamento da parte dei governi nazionali e locali, ONG e donatori bilaterali (Boko et al., 2007; Mano & Nhemachena, 2007; Smit & Wandel, 2006b). Quindi, più dettagliato è il livello dell’indagine maggiore è la possibilità di catturare la variazione locale.

In qualsiasi caso, comunque, sia la valutazione dell’adattamento a breve-medio o lungo termine oppure a livello micro o macro, bisogna comunque tenere in considerazione che i sistemi agricoli sono ecosistemi antropici, quindi la risposta umana è fondamentale per la comprensione e la stima degli effetti del cambiamento climatico sulla produzione alimentare e sull’offerta. Inoltre sono sistemi agricoli dinamici: continuamente produttori e consumatori rispondono ai cambiamenti nella resa delle colture e del bestiame, ai prezzi alimentari, alla disponibilità delle risorse ed ai cambiamenti tecnologici.

In effetti, l'adattamento include non solo l'insieme delle azioni intraprese per fronteggiare il cambiamento, si riferisce anche al processo decisionale associato alla gestione del cambiamento

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stesso (Park et al., 2012), ponendo l'accento sulle persone o "attori" che rispondono direttamente a specifici stimoli ambientali (Nelson et al., 2007).

Considerare queste modificazioni e gli adattamenti che ne derivano è difficile ma è fondamentale al fine di misurare accuratamente gli impatti del cambiamento climatico (Adams et al., 1998). Un passo importante in questa direzione è stato fatto da Below et al. (2012), i quali, nel loro studio, sviluppano un indice di adattamento per attività (AAI), che esplora la relazione tra le variabili socio- economiche e la propensione di adattamento degli agricoltori, mediante un'analisi fattoriale esplorativa e un modello di regressione lineare multipla utilizzando variabili latenti

Secondo Smit & Skinner (2002), gli adattamenti in agricoltura comprendono una vasta gamma di tipologie (manageriali, tecniche e finanziarie), di scale (locale, regionale e globale) e attori (agricoltori, industrie e governi). Il processo decisionale che sta alla base dell’adattamento ai cambiamenti climatici può essere considerato come separato da altre decisioni agricole, infatti la maggior parte delle opzioni di adattamento rappresentano modifiche alle consuete pratiche agricole. Reidsma et al. (2010) raggruppa le misure di adattamento in quattro categorie principali (1) pratiche di produzione agricola, (2) gestione finanziaria dell'azienda, (3) sviluppi tecnologici e (4) programmi di governo e assicurazioni.

Al contrario, Chambers (1989) ha costruito la sua teoria della vulnerabilità e dell'adattamento su numerosi casi studio applicati a piccoli agricoltori di ceto non abbiente, concludendo che, questi, di solito, cercano di ridurre la vulnerabilità non per massimizzare il reddito ma sviluppando e diversificando il proprio portafoglio di beni di capitale.

Aumentare la dimensione aziendale potrebbe, invece, aumentare la produzione totale, ma potrebbe anche rendere le aziende agricole più vulnerabili ai cambiamenti climatici, amplificando l’impatto negativo di temperature più elevate, in paesi come la Francia, i paesi del Regno Unito e Benelux (Reidsma et al., 2009). In generale, comunque, maggiori dimensioni aziendali caratterizzano aziende più propense ad adottare strategie di adattamento in quanto hanno a disposizione quote maggiori di capitale e di risorse (Gbetibouo, 2009; Armah, et al., 2013).

I fattori segnalati per influenzare positivamente l'adattamento includono, inoltre, il sesso degli intervistati, l’esperienza in ambito agricola, la consapevolezza della riduzione delle colture, l'età, l'istruzione, dimensioni aziendali, la consapevolezza dei cambiamenti climatici, il reddito e l'esistenza di mercato in comunità (Armah, et al., 2013).

Gli assunti di base dello studio di Below et al. (2012) sono che gli agricoltori che applicano un elevato numero di pratiche efficaci per l'adattamento alla variabilità climatica possono rispondere meglio ai cambiamenti climatici e che l'adattamento degli agricoltori dipende linearmente dalla loro percezione delle variabili climatiche esterne, dalle caratteristiche socio-economiche delle famiglie e dell’azienda, dalle condizioni del quadro istituzionale, e dall'accesso alle infrastrutture.

Antle et al. (2004) sostengono che esista una relazione direttamente proporzionale tra il rendimento netto e gli impatti climatici, derivanti principalmente dalla fertilizzazione con CO2, e

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grado di adattamento, con una relazione negativa negli scenari di “non-adattamento” e positiva in quelli di “adattamento”.

Una recente revisione conclude che la capacità di adattamento dell’agricoltura ai cambiamenti climatici può aumentare notevolmente, sempre all'interno di intervalli di riscaldamento accettabili dal sistema, applicando le corrette pratiche agricole e utilizzando le tecnologie esistenti (Nicholas & Durham, 2012). Le pratiche agricole di adattamento includono la diversificazione delle attività e l’intensificazione delle produzioni vegetali e zootecniche (compresa la sostituzione delle colture), il cambio dell’uso del suolo e la topografia, l'irrigazione, e la tempistica delle operazioni. Altre pratiche per la riduzione del rischio, come l’utilizzo di modelli previsionali, l’assicurazione o la messa in sicurezza del reddito extra-agricolo, sono prese in considerazione dai produttori (Bradshaw et al., 2004). Altri esempi di adattamento al cambiamento climatico in agricoltura, a livello di azienda, sono rappresentati dalla scelta delle date di semina e raccolta, dalla rotazione delle colture, dalla selezione di determinate colture e varietà, dall’uso/consumo di acqua per l'irrigazione, dall'uso di fertilizzanti e dalle pratiche di coltivazione (Adams et al., 1998). Questi adattamenti sono la naturale conseguenza della volontà del produttore di minimizzare le perdite di produzione a causa del cambiamento climatico e massimizzarne i benefici in stagioni favorevoli. A livello di mercato, le principali opzioni di adattamento agiscono sui prezzi e sulle strategie di mercato: il commercio, sia internazionale che internazionale, è in grado di riallocare le forniture di materie prime agricole provenienti da zone di sovrapproduzione a zone caratterizzate da scarsità produttiva. A lungo termine, l'adattamento potrebbe includere lo sviluppo e l'utilizzo di nuove varietà meglio “adattabili” a climi futuri, la scelta di investimenti in infrastrutture per l'irrigazione e in sistemi assicurativi contro pioggia ed eventi estremi (Adams et al., 1998).