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Adimplento eius devotionis Il trasferimento definitivo dei Benedettini a Castelbuono: dall ’abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio all’abbazia

Ricerche VII edizione (2017)

APPENDICE DOCUMENTARIA

5. Adimplento eius devotionis Il trasferimento definitivo dei Benedettini a Castelbuono: dall ’abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio all’abbazia

In effetti, sembra che il Ventimiglia si fosse indebitato a tal punto nei confronti di quei frati da non poter più sostenere gli impegni assunti se, come riportano i documenti, lo stesso feudatario si trovava con un arretrato di oltre 1.300 onze da versare ai monaci: inoltre il principe non si era più curato di ottenere la dispensa per tre delle sette messe disposte da donna Maria nel proprio testamento40.

A distanza di dodici anni dall‘accordo, si concludeva il primo tentativo di trasferimento dei Benedettini dall‘abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio al nuovo monastero di Castelbuono, ideato e perseguito da Francesco III Ventimiglia: a costui non fu dato di assistere al compimento di questo disegno che, qualche anno dopo, venne definitivamente concretizzato dal figlio Giovanni.

5. Adimplento eius devotionis. Il trasferimento definitivo dei Benedettini a Castelbuono: dall’abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio all’abbazia dell’Annunziata (1654)

Motus ex ejus maxima devotione quam semper habuit et habet erga d(ict)os P(at)res Engij veteris d(ict)i Ord(ini)s S(anc)ti Bened(ict)i pro adimplento eius devotionis, ossia «per dimostrare l‘affetto e grande devoz(io)ne che sempre ha portato, e porta alla sud(ett)a Cong(regazio)ne e Religione del

e propria struttura conventuale destinata ad accogliere più che i quattro padri e il chierico previsti dall‘accordo del 1630.

38 AFT, documento del notaio Francesco Prestigiovanni in data 20 novembre II Indizione 1634,

Volume delle Scritture, Riassunto dei fatti, cit., c. 153r. Il documento è citato e riportato in stralci da E.

Magnano Di San Lio, Castelbuono, cit., p. 192, nota n. 574.

39 E. Magnano Di San Lio, Castelbuono, cit., pp. 193-194.

40 AFT, Volume delle Scritture, Riassunto dei fatti, cit., c. 153 v. Le somme dovute dal principe di

Castelbuono ammontavano a onze 419.3.7, relative alla soggiogazione delle 80 onze elargite nel 1632, più onze 895.7 riguardanti i 5.000 scudi del 1630.

P(adre) S(an) Bened(ett)o e per adempiere alla sua devozione» è la formula utilizzata dall‘Ill(ust)ris D(omi)nus D(on) Jo(ann)es Comes de XX(mi)lijs Marchio Jeracijs et P(ri)n(ci)pes huius Civ(ita)tis Castriboni, et Scalette per giustificare l‘operazione che portò, nel 1654, al definitivo trasferimento dei Benedettini da Gangi Vecchio a Castelbuono e all‘abbandono della vecchia e gloriosa abbazia: l‘affetto e la devozione sono evidentemente riferiti a Giovanni IV Ventimiglia, figlio di Francesco III e della principessa Maria Spadafora.

Il principe Francesco era morto senza vedere realizzato il suo desiderio di ricondurre entro i propri domini quell‘antico e prestigioso cenobio per il quale i suoi avi avevano speso notevoli energie: e questo dopo avere sposato altre due nobildonne siciliane ed essere stato Deputato e Vicario Generale del Regno41. Nel 1648 gli successe il figlio primogenito

Giovanni il quale, in maniera particolarmente determinata, entro pochi anni riuscì a dare compimento al disegno del padre: il trasferimento definitivo dei monaci da Gangi Vecchio a Castelbuono avvenne infatti nei primi mesi del 1654, dietro una serie di nuove concessioni da parte del giovane feudatario e grazie ad alcuni impegni assunti da ambo le parti42.

Alla risolutezza del marchese Giovanni riguardo il definitivo trasferimento dei Benedettini da Gangi Vecchio non corrispose tuttavia un impegno altrettanto concreto per lo sviluppo della sua capitale. Sposatosi nel novembre del 1647 con donna Felice Marchese Speciale Valdina, il principe e marchese Giovanni Ventimiglia - quarto membro dell‘antica famiglia a portare questo nome - preferì risiedere stabilmente a Palermo senza curarsi minimamente della capitale del suo Stato: anzi, sembra proprio che egli avesse totalmente rifiutato un qualsiasi rapporto con la città di Castelbuono se, primo dei Ventimiglia, dispose nel suo testamento di essere sepolto nella cappella di Sant‘Anna del convento della Misericordia a Palermo43. Eppure egli riuscì in ciò in cui suo padre aveva fallito. [Fig. 5]

Prima di ogni cosa il principe Giovanni ottenne la dispensa pontificia sulle tre messe. Nel novembre del 1651, infatti, egli chiese alla Santa Sede di poter celebrare quattro delle sette messe disposte dalla madre, portando a motivo le difficoltà avanzate dai monaci per la celebrazione di tutte quante le messe giornaliere44. Per anticipare i tempi, in attesa del

pronunciamento della Santa Sede, nel febbraio dell‘anno seguente il nobiluomo stipulò un

41 F. San Martino De Spucches, Storia dei feudi, cit., quadro 411, p. 14: riporta l‘autore che Francesco

Ventimiglia fu Deputato del Regno fino al 1651. Fra i motivi che portarono Francesco Ventimiglia a un ulteriore indebitamento sembra che vi fosse anche l‘acquisto, dal re Filippo IV, del mero e misto impero sul principato di Castelbuono, per la considerevole cifra di 75.600 scudi, ossia ben 1.512 onze: cfr. A. Mogavero Fina, Castelbuono, cit., p. 34.

42 Riportando un documento del notaio Luciano Russo (o Rosso), il Magnano di San Lio ritenne che

il trasferimento dei monaci da Gangi Vecchio a Castelbuono avvenne nel 1652, così come previsto da un accordo: cfr. E. Magnano Di San Lio, Castelbuono, cit., p. 194. In effetti il trasferimento definitivo avvenne due anni dopo, nel 1654, anche a motivo del fatto che la dispensa per le tre messe fu ottenuta dal Ventimiglia solamente nel 1653: probabilmente alla base di questo mancato trasloco c‘era ancora qualche incomprensione fra i monaci e il marchese di Geraci, definitivamente superata nel gennaio del ‗54.

43 E. Magnano Di San Lio, Castelbuono, cit., p. 220 e p. 240, nota n. 735.

44 AFT, lettera del 18 novembre 1651 contenuta nel documento di transazione fra il Decano del

monastero di Gangi Vecchio e il marchese Giovanni Ventimiglia per il trasferimento definitivo a Castelbuono, Volume delle Scritture, cit., cc. 52-77 v. La lettera è riportata a cc. 61v-62.

accordo con i frati di Gangi Vecchio45, intesa che però non produsse il tanto atteso

trasferimento per il ritardo nella concessione della dispensa: l‘Arcivescovo di Messina infatti, Delegato apostolico della Sacra Congregazione dei Cardinali del Concilio Tridentino, dopo avere verificato che le 80 onze annuali sarebbero state insufficienti per la celebrazione delle sette messe quotidiane e per l‘acquisto dei paramenti sacri, della cera, del vino, dell‘olio e per gli altri servizi necessari, autorizzò la riduzione alle quattro messe giornaliere solamente nel novembre del 1653, fissando il corrispettivo a 2 tarì per ogni singola messa46.

Ottenuta l‘esenzione, la strada per il tanto atteso trasloco appariva oramai spianata: nel settembre dello stesso anno il Capitolo Generale dei Cassinesi, tenutosi a Palermo, aveva infatti accordato il permesso per il trasferimento dei monaci da Gangi Vecchio a Castelbuono47. Una nuova e definitiva transazione venne quindi stipulata il 5 gennaio 1654

presso il notaio Luciano Russo, allo scopo di regolamentare in maniera molto più puntuale i termini del trasferimento: sulla base delle originarie concessioni del marchese di Geraci, l‘accordo venne sottoscritto dal Decano del monastero, don Angelo da Messina, in virtù di procura registrata con atto del notaio gangitano Tommaso di Salvo in data 24 settembre 1653, mentre era Abate di Gangi Vecchio don Giulio Marchesana48.

Dopo una lunga introduzione nella quale veniva ripercorsa la vicenda del legato di donna Maria Ventimiglia e Spatafora e la successiva donazione della chiesa dell‘Annunziata da parte del principe Francesco III Ventimiglia, e dopo aver ribadito la massima devozione della famiglia per i Benedettini di Gangi Vecchio, l‘accordo elencava una serie di condizioni che avevano il sapore di un vero e proprio patteggiamento. In primo luogo il marchese Giovanni concedeva ai monaci di Gangi Vecchio metà del feudo di Tornexia con tutti gli alberi di olive, aranci, gelsi, i giardini, i terreni scapoli e tutte le fabbriche esistenti, eccetto il trappeto delle olive: il marchese si riservava il diritto di proibire la macina delle olive negli altri trappeti

45 ASPa-TI, Fondo notai defunti, atto del 5 febbraio 1652, notaio Luciano Russo, vol. 2398 C, cc. 157

e segg.: il documento è citato anche in E. Magnano Di San Lio, Castelbuono, cit., p. 194, nota n. 586.

46 AFT, dispensa del 28 novembre 1653 contenuta nel documento di transazione fra il Decano del

monastero di Gangi Vecchio e il marchese Giovanni Ventimiglia per il trasferimento definitivo a Castelbuono, Volume delle Scritture, cit., cc. 52-77 v: il testo della dispensa è riportato a cc. 62-65.

47 Ivi, Riassunto dei fatti, cit., c. 154. Il permesso venne accordato dal Capitolo Generale il 10 settembre

1653.

48 Ivi, documento del 5 gennaio VII Indizione 1654, Transactio Pro Venerabili Monasterio SS.

Annunciationis Castriboni cum Domino Don Joanne de XXmiliis, accordo di transazione fra il Decano del monastero di Gangi Vecchio e il marchese Giovanni Ventimiglia per il trasferimento definitivo a Castelbuono, cc. 52-77 v, cit.. Il documento, fra l‘altro riportato in sunto anche in Riassunto dei fatti, cit., cc. 154-155, è integralmente pubblicato in S. Farinella, L‘abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio, cit., Appendice dei documenti, doc. n. 16, pp. 215-218. Riguardo al trasferimento dei monaci da Gangi Vecchio a Castelbuono il Pirri addusse invece la motivazione delle incursioni dei briganti: «… Sub eo in oppidum Castelli boni Monachi commigrantes, novum Coenobium moliri coeperunt, ac vetus Gangii Praedonibus passim, incursionibusque iniquotum hominum obnoxium reliquerunt. Huic translationi Hieracii Marchio manus adjutrices extendit, bonisque, ac censibus rem familiarem adauxit …». Cfr R. Pirri, Sicilia Sacra, cit., parte II, libro IV, notizia VIII, p. 1227-1228.

della zona e il diritto ―del nozzulo‖ e ―del tarì‖ per la macina e la produzione dell‘olio nel suo trappeto49.

Il territorio assegnato ai Benedettini confinava con il feudo delli frassani e con il feudo di bisconti ed era delimitato dal ―pizzo di piano grande‖ e dal ―fiume grande‖ che formava il confine del feudo di Tornexia: il predetto feudo costituiva parte dei 4.000 scudi legati dalla madre del marchese Giovanni, mentre per la restante parte lo stesso feudatario assegnava ai monaci alcuni uliveti esistenti nel territorio di Pollina. Il tutto previa stima fatta da tre esperti estimatori: Pietro Bisignano, alias Cicchella, eletto dal Decano di Gangi Vecchio, Angelo Battaglia chiamato da Giovanni Ventimiglia, e mastro Giuseppe Conforto, Capo Mastro castelbuonese, nominato dalle parti di comune accordo50.

Naturalmente la nuova donazione prevedeva che i monaci osservassero alcune clausole espressamente indicate nell‘accordo: intanto le olive raccolte dagli stessi frati o dai loro gabelloti dovevano essere macinate solamente nel trappeto del marchese esistente nel feudo di Tornexia, pagando il peso feudale del diritto di nozzulo e del tarì e sottostando alla nomina, da parte dello stesso feudatario, delle ―persone trapettarie‖, ossia dei sovrintendenti alla macina; né i monaci né i loro gabelloti potevano costruire trappeti, mulini, martelletti, paratori, centimoli, pisti, cartere né nessun‘altra specie di costruzione atta allo sfruttamento dell‘acqua del fiume: solamente veniva accordato l‘uso di quell‘acqua per l‘irrigazione dei giardini, delle noare (noccioleti), e degli orti. La contravvenzione a tale obbligo comportava, da parte del marchese di Geraci, la facoltà di poter abbattere quelle fabbriche senza alcuna autorizzazione o ordinanza da parte dei Giudici.

La condizione più impegnativa per l‘Abate era il trasferimento a Castelbuono di tutti i monaci di Gangi Vecchio, senza la possibilità di fare ritorno nell‘antica abbazia: l‘accordo prevedeva che potesse rimanere solo il padre Cellerario o un altro monaco per la cura dei beni del vecchio monastero.

A fronte degli obblighi derivanti ai monaci dalle donazioni di Giovanni Ventimiglia, gli stessi Benedettini posero alcune condizioni alle quali lo stesso marchese, per la rapida risoluzione della faccenda, non poté che sottostare: il feudatario si obbligava infatti a pagare ai frati le 885.7 onze di debito contratto dal padre, assegnando alcune partite d‘olive (sulle quali il feudatario trattenne astutamente l‘equivalente per il diritto di nozzulo e del tarì), mentre per le rimanenti 419.3.7 onze non pagate dal principe Francesco per la celebrazione delle messe lo stesso Giovanni Ventimiglia si obbligava ad assegnare ai Benedettini altre fabbriche e altri alberi d‘olive. Inoltre, dopo due giorni dalla stipula della transazione, il marchese era obbligato a depositare presso una persona di fiducia degli stessi monaci la somma di 100 onze, da servire per le riparazioni da apportarsi alle fabbriche del monastero castelbuonese51.

49 Il ―diritto di nozzulo‖ (nocciolo) prevedeva che alle olive da macinarsi nei trappeti del marchese di

Geraci venisse effettuata una sola passata della mola e che al predetto feudatario spettasse il nocciolo (e la polpa), sostanzialmente i due terzi del prodotto.

50 Giuseppe Conforto era noto anche nell‘ambiente gangitano per essere stato impegnato, proprio in

quegli anni (1645-47), nella realizzazione del portale della chiesa di Santa Maria della Catena di Gangi: cfr. ACMG, Libro dei conti della chiesa di Santa Maria della Catena, vol. 1643-1677, anni 1644/45-1646/74, c. 2 v-8 v. Si cfr. pure S. Farinella, La chiesa di Santa Maria della Catena in Gangi. Guida alla storia e all‟arte, Madonnuzza - Petralia Soprana 2003, passim.

Le nuove fabbriche concesse dal Ventimiglia erano poste vicino alla porta detta ―Felice‖, un tempo chiamata Porta di Pollina perché si apriva sulla strada che da Castelbuono conduceva alla vicina cittadina madonita: confinavano poi con la strada dell‟Arbori, dov‘era una fontana, e col giardino grande del marchese. Ai monaci venne anche concessa la facoltà di aumentare quei locali, attraverso la costruzione di nuovi vani e senza che il Ventimiglia o i Giurati di Castelbuono potessero impedirlo: tuttavia ai frati era fatto obbligo di non poter chiudere la Porta Felice che doveva rimanere utile al pubblico transito, pur potendovi costruire sopra alcune stanze.

Per consolidare la transazione, il marchese di Geraci legò le concessioni all‘impegno dei Benedettini di non violare gli accordi, primo fra tutti quello di non fare mai più ritorno nell‘abbazia di Gangi Vecchio: nel caso contrario infatti sia la chiesa dell‘Annunziata, sia le rendite, le fabbriche, la metà del feudo di Tornexia con tutti i suoi fabbricati e le terre, come anche gli uliveti e i nuovi fabbricati concessi nei pressi della Porta Felice sarebbero ritornati immediatamente in potere del Ventimiglia, senza bisogno di ratifica da parte del tribunale. Di contro però, nel caso in cui il contratto fosse stato dichiarato nullo, tutti i privilegi e le concessioni fatte dal padre del marchese nel 1630, comprese quelle previste dalla transazione in questione, sarebbero rimaste valide e di appannaggio degli stessi monaci.

Stipulato l‘accordo, i Benedettini di Gangi Vecchio non opposero dunque alcuna obiezione al loro trasferimento e al conseguente abbandono della vecchia abbazia: tanto più che, conservando i precedenti possedimenti, essi avrebbero accresciuto di molto le loro rendite e le proprietà immobiliari. In più da Giovanni Ventimiglia i monaci ottenevano ancora altri benefici che, senza dubbio, li ponevano in una posizione di privilegio rispetto agli altri Ordini religiosi presenti a Castelbuono: essi ottennero infatti la possibilità di spendere tutte le rendite e le entrate dell‘abbazia di Gangi Vecchio per il mantenimento del monastero di Castelbuono, senza alcuna limitazione, la possibilità di servirsi dello spandente dell‘acqua corrente che il marchese avrebbe portato al suo castello e infine la concessione del terreno dov‘erano alcune fabbriche iniziate dagli stessi monaci negli anni del primo tentativo di trasferimento. Queste ultime in particolare, delle quali era stato fatto il designo e del cui terreno era stato stipulato contratto di concessione da parte del principe don Francesco Ventimiglia, confinavano con il Piano di San Paolo nei pressi della cosiddetta ―porta falsa‖. La transazione avrebbe dovuto essere resa esecutiva entro il termine di tre mesi con la stipula del contratto, termine oltre il quale si avrebbe avuto l‘annullamento di quanto convenuto. Evidentemente il termine venne rispettato, ed entro il mese di aprile del 1654 i Benedettini di Gangi Vecchio si trasferirono definitivamente nel monastero di Castelbuono, lasciando praticamente in abbandono l‘antica e gloriosa abbazia di Santa Maria52. [Fig. 6]

stata richiesta in deposito da parte dei monaci per il trasporto dei mobili da Gangi Vecchio a Castelbuono: evidentemente questa clausola fu motivo di disaccordo se, nella transazione definitiva del 1654, venne modificata vincolando quella somma alla riparazione delle fabbriche castelbuonesi.

52 Rilevo come, nonostante la particolare minuzia nell‘imposizione delle clausole da ambo le parti, il

marchese di Geraci non abbia mantenuto fino in fondo gli impegni presi, non assegnando in toto quanto promesso: ciò è quanto sembra rilevarsi dal Riassunto dei fatti citato in AFT, vol. 1, Volume delle

Scritture, cit., c. 15, dov‘è espressamente affermato che «…j fondi assignati ai monaci furono