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Il monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio: un orgoglio di famiglia La fondazione e le prime dotazioni dei Ventimiglia conti di Geraci e di Collesano (1366-

Ricerche VII edizione (2017)

APPENDICE DOCUMENTARIA

2. Il monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio: un orgoglio di famiglia La fondazione e le prime dotazioni dei Ventimiglia conti di Geraci e di Collesano (1366-

1372)

Il rapporto dei Ventimiglia con i Benedettini di Gangi Vecchio datava a tempi remoti, addirittura alla fondazione stessa del monastero della quale i conti di Geraci si consideravano i veri promotori: del resto la famiglia non era nuova a imprese di questo genere, avendo già sperimentato la propria partecipazione a fondazioni monastiche sia nella loro contea (l‘eremo di frate Guglielmo a Castelbuono, poi divenuto l‘abbazia di Santa Maria del Parto13)

che in altre parti del regno di Sicilia (il convento di San Francesco a Salemi). Non c‘è dubbio che senza il consenso del feudatario nessun tipo di attività edificatoria o di insediamento sarebbe stata possibile in uno Stato feudale, ma favorire e anzi incentivare la costruzione del monastero benedettino di Gangi Vecchio - essendo i Ventimiglia signori di Gangi - faceva parte di una sana devozione, come vedremo non del tutto disinteressata, che vedeva la famiglia aristocratica madonita adoperarsi a favore dei bisogni di quei frati ora elargendo benefici e privilegi, ora offrendo donazioni, permute o vendite di beni immobili a prezzi vantaggiosi, ora intervenendo in liti e problemi che coinvolgevano l‘abbazia e proteggendo di fatto la comunità monastica.

Il monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio era sorto nel 1363 ad opera di un gruppo di uomini - due sacerdoti e cinque chierici - desiderosi di vivere sotto la Regola del Santo di Norcia: la fondazione del cenobio si inseriva pienamente nel disegno insediativo perseguito dall‘Ordine in Sicilia in quel momento e si collocava all‘interno del quadro di rinnovato fervore religioso che, in quel torno di tempo, avrebbe portato all‘istituzione di nuovi monasteri da parte dei Benedettini. Fra il quarto e il penultimo decennio del Trecento si assistette infatti sul territorio siciliano a una nuova ondata di insediamenti monastici - la terza, dopo quella dei tempi di papa Gregorio Magno (540-604) e quella dell‘epoca normanna -: da Palermo a Messina a Catania, attraverso l‘interno dell‘isola, l‘entusiasmo per la vita cenobitica percorreva gran parte della Sicilia e portava diverse persone, sia presbiteri che laici, ad abbandonare il decadimento generale della società e a unirsi insieme per vivere in comunità. In tale quadro aveva preso avvio infatti la rifondazione dell‘antica abbazia di San Martino delle Scale, ricostruita nel 1347 ad opera di Angelo Sinisio, e nel 1361 la fondazione del monastero di San Placido di Calonerò nei pressi di Messina; nel 1363, grazie all‘interessamento del conte di Mistretta e Maestro Giustiziere del Regno, Artale Alagona, era stato fondato il monastero di Santa Maria di Nova Luce, presso Catania, mentre nel 1420 sarebbe stata la volta del monastero di Santa Maria di Fundrò presso Piazza Armerina. Il monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio venne costruito a poca distanza dal borgo di Gangi, in un fondovalle carico di storia e di preesistenze14: qui erano le sorgenti di uno dei

tre rami che formavano il fiume Salso - l‘antico Imera meridionale - e in questo stesso luogo si percepiva ancora la presenza di un insediamento di età romano-imperiale vissuto quasi

ed accresciuta da V. M. Amico, Palermo 1733, tomo II, notizia ottava, p. 1228.

12 Vito Maria. Amico, Lexicon Topographicum Siculum, Catania 1760, tomo terzo, p. 203. 13 A. Mogavero Fina, L‟abbazia di Santa Maria del Parto, Palermo 1970.

14 Per un approfondimento sulla fondazione del monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio rimando

ininterrottamente fino all‘epoca bizantina e alto medievale, divenuto in epoca araba e normanna un modesto casale rurale, distrutto infine nel 1299 da Federico III d‘Aragona e dal conte Enrico Ventimiglia nel corso dell‘assedio alla vicina Gangi duranti i rigurgiti filo angioini del post ―Vespro‖. Da qui l‘aggettivo ―vecchio‖ dato al casale che portava lo stesso toponimo del centro principale15.

In quello stesso luogo - isolato nella campagna ma sufficiente vicino al borgo, con la presenza di acque e di vegetazione, di boschi e di materiale per la costruzione e perciò ideale per l‘insediamento cenobitico secondo gli schemi monastici benedettini - sorgeva una piccola chiesetta diruta, retaggio del distrutto casale, dedicata a Santa Maria e tenuta in beneficio da due chierici che si sarebbero uniti ai sette fondatori del cenobio: attorno ad essa sorse allora il piccolo monastero, la cui fondazione venne sancita dall‘arcivescovo Dionisio di Messina con un privilegio dell‘8 febbraio 136416.

La costruzione dei primi ambienti e l‘organizzazione del monastero durarono circa due anni, se l‘elezione del primo Priore avvenne nel 1366: con una lettera del 21 giugno 1366 data nel casale di Regalbuto ancora l‘arcivescovo Dionisio confermava infatti l‘elezione a Priore di Gangi Vecchio del sacerdote Giovanni Parrinello, ispiratore spirituale della fondazione del monastero, che in onore del Santo sotto la cui Regola aveva scelto di militare volle essere chiamato con il nome di Benedetto17.

Per l‘area madonita e nebrodense del Valdemone il monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio divenne in breve tempo un importante centro di vita spirituale, punto di riferimento per quelle popolazioni sopraffatte dalla miseria e dal decadimento.

Il cenobio ricadeva sotto il dominio feudale di Francesco II Ventimiglia, conte di Geraci e di Collesano e signore di Gangi, il quale mostrava una particolare attenzione per l‘insediamento degli Ordini monastici nei propri domini, favorendone e incentivandone in tutti i modi l‘attuazione: per un verso ciò era dovuto alla devozione sua e della famiglia verso la Chiesa - e nello specifico verso gli Ordini religiosi -, ma per altri versi una tale attenzione faceva parte di un precisa strategia politica che tendeva a porre in una posizione privilegiata quei signori feudali che promuovevano il costituirsi di nuove comunità monastiche nei loro territori. Dotare i monasteri di terre e di privilegi faceva parte infatti di quella politica di incentivazione e di potenziamento dei singoli cenobi che mirava ad accrescerne l‘importanza, in vista di quel salto di qualità che consentiva l‘accesso di priori e abati nel consiglio del Regno, cosa che come vedremo si verificherà puntualmente anche per il nostro monastero: del resto i Ventimiglia avevano la consapevolezza che una nascente comunità monastica avrebbe avuto bisogno dell‘appoggio del feudatario del posto e, certi del prestigio che ne sarebbe derivato alla famiglia, essi agirono con tempestività in tale direzione.

A dieci giorni dalla conferma ufficiale del priore Benedetto da parte della Curia messinese, il conte Francesco mise in atto quella strategia, infarcita di sano trasporto devozionale e di accorta politica territoriale mista alla compiacenza e all‘orgoglio di considerarsi il ―fondatore‖ del cenobio, fatto che avrebbe notevolmente accresciuto il suo prestigio. Il 2 luglio 1366 il conte di Geraci provvide infatti a dotare il monastero di Gangi Vecchio di una

15 Sulla questione si veda a S. Farinella, Gangi. La Storia dal Medioevo al Novecento. 1. Dalla fondazione

normanna alla fine del Medioevo (XII-XV secolo), Nepi (VT) 2017.

16 BCRS-Pa, Opus Privilegiorum, cit., Privilegia fundactionis Monasterij Gangij veteri, parte II, cc. 1r/v. 17 Ivi, parte II, cc. 5v-6.

vigna e di alcune terre vacue (incolte) contigue al cenobio18. La donazione fu in effetti

particolarmente complessa: sembra infatti che la vigna e le terre fossero già in possesso di un certo Andrea de Chunna, che pagava un censo annuo di 7 tarì e 10 grani alla curia comitale dei Ventimiglia: lo stesso de Chunna aveva venduto al monastero quei beni, caricati dell‘onere del sopradetto censo, ma il conte Francesco non esitò a fare revocare la vendita e a donare gratuitamente ai Benedettini quelle terre, sollevandoli dall‘onere del censo alla curia comitale. Se dal documento di assegnazione (in questo come negli altri successivi) risalta in maniera esplicito il riferimento alla fede e alla devozione verso la Vergine Maria (titolare del monastero nuovamente fondato) da parte della famiglia19, così come l‘attenzione dei

Ventimiglia verso l‘aldilà per cui veniva invocata l‘indulgenza e la remissione dei peccati a essi spettante in cambio della devozione verso quella comunità monastica (in tutti i documenti è esplicitata la costante, quasi ossessiva preoccupazione per la sorte della loro anima nella formula pro salute anime nostre), dallo stesso documento traspare tuttavia l‘azione non disinteressata del conte di Geraci che tendeva a stabilire la sua autorità sul monastero: da accorto uomo politico, il Ventimiglia legò infatti quella donazione alla clausola che il Priore e i monaci avrebbero dovuto abitare per sempre nel monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio - ossia non avrebbero dovuto spostarsi in altro luogo, meno che mai al di fuori dei territori ventimigliani -, pena la revoca dell‘assegnazione e il ritorno delle terre alla curia comitale.

A distanza di sei anni da questa prima concessione di terre che consentiva ai frati di poter avviare la vita monastica secondo il modello benedettino di autosufficienza, una seconda assegnazione del conte di Geraci ampliava di molto i confini della proprietà del cenobio. Con un documento del 20 marzo 1372 (che nella prima parte conferma la precedente dotazione) Francesco II Ventimiglia concedeva infatti al monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio il vicino feudo di Camporotondo e uno ―stazzone‖ per la produzione di tegole e mattoni in terracotta, specificando ancora che ciò avveniva per la salute dell‘anima sua e dei suoi familiari20.

Il documento è molto interessante per la minuziosa descrizione dei confini del feudo, ancora oggi in gran parte individuabili grazie alla presenza degli originari toponimi, e testimonia l‘interesse di Franciscus de Ventimilio Comes Ventimilii, Isole [sic] Majoris Cometatus Giracii et Gulisani utriusque Petralie Dominus ac regni Sicilie Major Cammararius verso quella nuova realtà

18 Ivi, parte II, cc. 65 r-v.

19 È spesso utilizzata la formula Divinu Intuitu et Beate virginis Marie devotione in riferimento alla

devozione dei conti di Geraci.

20 AFT, Dotazione del feudo di Camporotondo al monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio da parte di Francesco

II Ventimiglia, Conte di Geraci e di Collesano, 20 marzo 1372, vol. 3, Atti dell‟avv. Giuseppe Cocilovo. Autorità avanti cui pende la lite. Corte d‟Appello 1^ Sezione Fascicolo 10 del Sig. Vincenzo Tornabene contro il Sindaco del comune di Gangi, cc. 273-276 v. Il documento si trova pure in BCRS-Pa, Opus privilegiorum, cit., p. II, cc.

65 v-67 v. Sia nella copia dell‘AFT, estratta dall‘originale che si conservava presso l‘archivio del Monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio in Castelbuono, sia in quella della BCRS-Pa, il documento di dotazione del feudo di Camporotondo del 1372 è sottoscritto anche da un Giovanni Ventimiglia fregiato del titolo di comes: è da escludere che a quella data possa trattarsi di Giovanni, futuro primo marchese di Geraci, figlio di Enrico e nipote di Francesco II Ventimiglia, a meno di non considerarlo in fasce. Propendo quindi più per un errore di trascrizione considerato che, oltre ad Enrico, l‘altro figlio del conte Francesco si chiamava Antonio.

monastica presente nei suoi domini, in linea del resto con quanto avveniva negli altri cenobi esistenti nella vasta contea ventimigliana: così nell‘abbazia di Santa Maria del Parto a Castelbuono, alla quale il conte Francesco donava il feudo di San Gregorio (o di San Giorgio) in territorio di Petralia con riserva del diritto di patronato sull‘abbazia - cioè della facoltà di poter nominare l‘Abate pur presentandolo all‘Arcivescovo di Messina per l‘approvazione -, o nell‘abbazia di Santa Maria di Pedale a Collesano e nei priorati di Santa Maria della Cava a Geraci e di Santa Maria della Misericordia a Castelbuono alle quali il conte concedeva larghe elargizioni21.

Con queste prime donazioni i Ventimiglia si sentivano a buon diritto i ―fondatori‖ del monastero benedettino di Gangi Vecchio, un orgoglio di famiglia che crebbe nei secoli successivi con i numerosi privilegi concessi a quei monaci e con la crescita della notorietà del monastero che ben presto sarebbe stato elevato ad abbazia, vero e proprio motivo di vanto per la famiglia comitale.

3. Gli stretti rapporti fra i Ventimiglia e i Benedettini di Gangi Vecchio: l’elevazione