Ricerche VII edizione (2017)
APPENDICE DOCUMENTARIA
3. Gli stretti rapporti fra i Ventimiglia e i Benedettini di Gangi Vecchio: l ’elevazione ad abbazia fra privilegi e dotazioni dei conti e marchesi di Geraci (1423-1586)
L‘interesse dei Ventimiglia verso il cenobio di Santa Maria di Gangi Vecchio divenne ancora più forte (e i rapporti fra i discendenti del conte Francesco e i Benedettini sempre più intensi) quando la comunità monastica venne gratificata del più importante dei privilegi: l‘elevazione del monastero alla dignità abbaziale. La serie di benefici accordati al monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio dai regnanti e da diversi pontefici era iniziata nel 1401 con l‘esenzione della dogana e del dazio concessa da re Martino e ribadita nel 1405 dalla regina Bianca di Navarra - seconda moglie del sovrano e vicaria del Regno -: due anni dopo lo stesso sovrano accordava ai monaci il privilegio di poter estrarre dalla tonnara di San Giorgio a Palermo sei botticelle di pesce salato, esente da qualsiasi gabella. Nuovi privilegi seguirono da parte di re Alfonso ―il Magnanino‖ nel 1421 (estrazione di 200 cantari di formaggio dai caricatori marittimi di Tusa, Agrigento e Licata, confermata e ampliata nel 1423 dal viceré Antonio de Cardona e nel 1425 dal viceré Niccolò Speciale), nel 1428 (assegnazione di 3 onze annuali) e nel 1433 (esenzione dei regi donativi), mentre nel 1431 papa Eugenio IV esentava i Benedettini di Gangi Vecchio dal pagamento del diritto della ―quarta canonica‖, la tassazione costituita dalla quarta parte di ciò che benefattori e devoti devolvevano in favore dei monasteri che doveva essere versata alla Curia vescovile (esonero concesso a quasi tutti i monasteri siciliani)22.
Il più alto privilegio venne tuttavia concesso alla comunità di Gangi Vecchio nel 1413: il 16 luglio di quell‘anno infatti, a cinquant‘anni dalla sua fondazione e mentre per la Sicilia iniziava una nuova era in cui perduta l‘occasione di rimanere una monarchia indipendente (a seguito del subentro di Martino il Vecchio, padre del primo Martino, e del nipote Ferdinando di Castiglia re d‘Aragona) l‘isola diventava una provincia del regno spagnolo, il monastero di Gangi Vecchio veniva elevato alla dignità abbaziale, divenendo così l‘Abbazia
21 Cfr. A. Mogavero Fina, L‟Abbazia di Santa Maria del Parto, cit., p. 12; R. Termotto, Collesano dai
Normanni ai Ventimiglia, in I Ventimiglia delle Madonie, Atti del I seminario di studi, Geraci Siculo, 1987,
p. 113.
22 Per l‘approfondimento dei privilegi concessi al monastero di Gangi Vecchio, documentati, si
di Santa Maria di Gangi Vecchio23. Primo abate di Gangi Vecchio fu il priore Marino
Bonafede, originario della vicina Nicosia, che quel giorno venne investito della carica direttamente dall‘arcivescovo di Messina - monsignor Tommaso Crisafi - il quale attribuì al nuovo eletto il privilegio di portare, nei giorni festivi e solenni, i segni della nuova dignità: la mitra, il bastone pastorale, i sandali e l‘anello, insegne concesse agli Abati in segno della dignità ecclesiastica che li poneva alla pari dei vescovi.
Il nuovo stato conferiva a frate Marino e ai suoi successori nella carica un ruolo importante nella compagine religiosa e sociale del Regno: al governo a vita dell‘Abate (usque ad mortem, prerogativa che si trascinerà fino agli inizi del XVI secolo) erano infatti collegate le rendite annesse all‘ufficio nominale e soprattutto l‘accesso al Braccio Spirituale del Parlamento siciliano. Composto da sessantacinque alti prelati, oltre ai vescovi delle città sedi di diocesi e al Regio Cappellano del regno, sedevano nel Braccio Spirituale anche i priori e gli abati delle più importanti realtà monastiche siciliane: l‘Abate di Gangi Vecchio occupò il 56° posto24.
La nuova situazione pose dunque l‘abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio in una posizione tutt‘altro che marginale nel territorio siciliano e nel comprensorio madonita, conferendo a quella comunità di monaci benedettini un primato esclusivo: a seguito dell‘estinzione dei diversi monasteri che erano sorti nell‘area nebrodense e madonita (dissolvimento avvenuto a cavallo fra il XIV e il XV secolo25), l‘abbazia di Gangi Vecchio
rimase l‘unico cenobio dell‘Ordine in piena attività nella Sicilia centro settentrionale, punto di riferimento per una vasta area territoriale e orgoglio della famiglia comitale.
La dignità abbaziale costituì per i Ventimiglia soprattutto la possibilità di poter contare su un altro alleato all‘interno del Parlamento: incentivare e potenziare l‘abbazia dotandola di terre e di privilegi divenne pertanto una priorità per i conti - e dal 1436 anche marchesi26 - di
Geraci, e i rapporti che già legavano i Ventimiglia ai Benedettini di Gangi Vecchio divennero molto più intensi, anche con il ramo cadetto della famiglia. È significativo l‘esempio della magnifica donna Agata Ventimiglia, moglie di don Antonio signore e barone di Rahal Johannis (Regiovanni) del ramo collaterale dei marchesi di Geraci: nel suo testamento, redatto nell‘aprile del 1436, la nobildonna dispose di essere sepolta proprio nella chiesa
23 BCRS-Pa, Opus privilegiorum, cit., parte II, c. 4-5 v. La bolla di erezione in abbazia del monastero di
Gangi Vecchio è contenuta in una trascrizione del notaio Urbano de Sinibaldi di Palermo, rogata in data 5 febbraio IX Indizione 1430. Il documento è pubblicato in S. Farinella, L‟abbazia di Santa Maria
di Gangi Vecchio, cit., Appendice dei documenti.
24 Elena Cecchi, Censimenti siciliani tra Cinque e Seicento nell‟Archivio di Stato di Firenze, in Giovanna. Motta
(a cura), Studi dedicati a Carmelo Trasselli, Soveria Mannelli 1983, p. 227.
25 Salvatore Cucinotta, Popolo e clero in Sicilia nella dialettica socio-religiosa fra Cinque-Seicento, Messina 1986,
p. 322. In questo periodo, secondo l‘autore, nell‘area della Sicilia centro settentrionale chiusero i battenti i monasteri benedettini di Santa Maria de Pedaly (Collesano), San Giorgio (Gratteri), Sant‘Anastasia (Castelbuono), Santo Stefano e San Vincenzo (Mistretta), San Giorgio (Tusa), San Basilio (Naso), San Giovanni dei Catalani (Caltanissetta), Santa Barbara (Caltavuturo o Polizzi), San Cosma e San Damiano (Cefalù), Santa Maria della Cava (Geraci). In zona rimaneva l‘abbazia di Santa Maria del Parto, presso Castelbuono, il cui Abate tuttavia non risulta che avesse un posto nel Parlamento siciliano.
26 Cfr. O. Cancila, Castelbuono medievale e i Ventimiglia, Quaderni di «Mediterranea. Ricerche storiche», n.
abbaziale di Santa Maria di Gangi Vecchio, alla quale legava un‘onza annuale in perpetuo per la celebrazione di tre messe27.
Nel corso dei secoli XV e XVI l‘abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio ottenne dai Ventimiglia numerosi privilegi e diverse concessioni. Nel 1428 don Giovanni, primo marchese di Geraci, concesse ai monaci l‘esenzione del diritto di 11 tarì e 5 grani sul ―centimolo‖: ancora il marchese Giovanni nel 1465 concesse ai Benedettini il feudo di Montalbano (nella dizione locale Montelavàno) ubicato in territorio di Gangi, compreso a oriente fra territori di Sperlinga e Nicosia e il feudo di Montededaro in territorio di Geraci a settentrione28. Nel 1482 il marchese Enrico Ventimiglia concedette ai monaci la rendita di 3
onze annuali sulla gabella dell‘erbaggio, insieme alla facoltà di poter vendere 25 vitelloni e cinque salme di frumento l‘anno senza pagare il diritto di dogana, concessione confermata dal figlio Simone: costui continuò ancora sulle orme dei suoi avi, sollevando l‘abbazia di Gangi Vecchio dal pagamento della decima sullo stazzone di Camporotondo e confermando nel 1503 la concessione di far legna in tutti i boschi dello Stato ventimigliano, licenza già rilasciata ai monaci dal suo bisnonno Giovanni e che venne ancora ribadita nel 1545 dal figlio Cesare, barone di Castelluccio.
Ancora il marchese Simone, nel 1512, accordò ai monaci di Gangi Vecchio di poter impiantare una vigna nel territorio del vicino feudo di Trebraccia, all‘interno del borgensatico della madre Badessa di Gangi: quest‘ultima circostanza conferma che già nel primo decennio del Cinquecento le monache dello stesso Ordine si erano insediate nell‘antico oratorio di San Pietro nel borgo di Gangi - già concesso dall‘Arcivescovo di Messina ai Benedettini di Gangi Vecchio nel 1366 -, costruendovi accanto la loro Badia29.
Anche Giovanni II Ventimiglia, figlio del marchese Simone, tenne in grande considerazione l‘abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio: suo è infatti il privilegio del 1545 che permetteva ai servitori del monastero di portare armi per la difesa personale nella terra di Gangi. Sotto la sua signoria l‘antico monastero subì una delle sue più imponenti trasformazioni architettoniche, il cui preludio può essere colto nel 1547 nella concessione ai monaci - da parte dello stesso Giovanni - di poter estrarre quacina (calcina) da tutto il territorio della terra di Gangi «per lo bisogno della fabrica di detto monasterio», con l‘esortazione agli ufficiali a
27 BCRS-Pa, Opus privilegiorum, cit., documento redatto a Nicosia il 10 aprile XIV Indizione 1436, parte
II, c. 320 v-321 v.
28 Ivi, documento inedito del 24 gennaio XIV Indizione 1465, parte II, c. 69-70 v. In effetti si tratta di
una concessione in enfiteusi (affitto) del feudo di Montalbano in luogo di 4 once annuali concesse al monastero qualche tempo prima per la specialem devotionem che i Ventimiglia avevano nei confronti dei Benedettini di Gangi Vecchio: in seguito il feudo diverrà proprietà esclusiva dell‘abbazia. Nella trascrizione del documento si rileva che il documento risulta a firma di Arrigu di vinti miglia e non di Giovanni, come avrebbe dovuto essere essendo costui marchese di Geraci fino al 1475.
29 La notizia tratta da questo documento consente di affermare, diversamente da quanto sostenuto
finora dagli storici locali Nasello e Alaimo, che le monache dello stesso Ordine presero possesso dell‘antico oratorio e delle strutture annesse ben prima del 1576/1582 e non a causa dell‘epidemia di peste che, affliggendo in quegli anni la Sicilia, avrebbe decimato i frati di Gangi Vecchio. Sull‘argomento si rimanda a S. Farinella, Gangi. La Storia, cit., passim; Id., La venerabile chiesa di San Pietro
e la Badia delle Benedettine di Gangi. Artisti, maestranze, committenze e quotidianità nel monastero dal Trecento al Novecento, in corso di redazione.
non molestare i frati, sotto la pena di 25 onze30. Non a caso la fabbrica del nuovo monastero
di Gangi Vecchio, fra il 1555 e il 1564, venne affidata a mastro Bernardino Lima, uno di quei magistri chiamati in quel torno di tempo a rinnovare gli impianti di chiese e monasteri in diversi borghi, scalpellino, capo mastro e imprenditore edile di origine longobarda ma naturalizzato a Castelbuono, evidentemente proposto (se non imposto) dal marchese di Geraci31. [Fig. 3]
I Ventimiglia furono dunque attivi protagonisti nella vita dell‘abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio e i diversi privilegi concessi ai monaci confermano degli stretti rapporti che da sempre legarono la famiglia aristocratica a quei Benedettini. Lo stesso marchese Giovanni provvide a rendere la vita di quei frati ancora meno travagliata: con un altro privilegio del 1583, infatti, egli stabilì che né i gabelloti, né i Giudici, né il Maestro Notaro avrebbero potuto citare i monaci di Gangi Vecchio in giudizio in cause civili e criminali. Con quest‘atto, forse per la prima volta, veniva sancita l‘assoluta immunità dell‘abbazia di Gangi Vecchio che veniva a essere di fatto considerata come abbazia marchionale, ossia centro monastico privilegiato e di assoluta giurisdizione dell‘antica famiglia feudale: pochi decenni più tardi quest‘ultima circostanza rappresenterà uno degli elementi preminenti nella decisione, assunta dai Ventimiglia, di trasferire i monaci da Gangi Vecchio a Castelbuono. L‘ossessiva devozione dei marchesi di Geraci verso l‘istituzione monastica favorirà, paradossalmente, la fine della gloriosa abbazia a favore della nascita di una nuova realtà monastica, seppure in continuità con la precedente: e i motivi che portarono al trasferimento dei monaci e poi all‘abbandono della vecchia abbazia furono di tutt‘altra natura.
4. Pro salute anime nostre. I nuovi marchesi di Geraci e il primo tentativo per il