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L ’antefatto: i nuovi marchesi di Geraci (1619)

Ricerche VII edizione (2017)

APPENDICE DOCUMENTARIA

1. L ’antefatto: i nuovi marchesi di Geraci (1619)

Alla morte senza eredi legittimi di Giovanni III Ventimiglia (1619), conte e marchese di Geraci e primo principe di Castelbuono, la guida dello Stato feudale passò al cugino Giuseppe, figlio di Carlo Ventimiglia conte di Naso e di Giovanna Ventimiglia baronessa di

Abbreviazioni: ACMG = Archivio Chiesa Madre di Gangi, AFT = Archivio Famiglia Tornabene, ASP-TI = Archivio di Stato di Palermo-Sezione Termini Imerese, BCRS-Pa = Biblioteca Centrale della Regione Siciliana - Palermo

1 Salvatore Farinella, L‟abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio. Storia, arte e misteri dell‟antico cenobio

Benedettino, edizione digitale, Gangi 2013. Le ricorrenze riguardavano il 650° anniversario della

fondazione del monastero di Gangi Vecchio 1363, il 600° anniversario della elevazione ad abbazia 1413 e il 360° anniversario del trasferimento a Castelbuono 1654. In precedenza mi ero occupato della storia dell‘abbazia in S. Farinella, Santa Maria di Gangi Vecchio. Dalla fondazione del monastero alla

dignità abbaziale (1363-1413). I primi cinquant‟anni di vita dell‟antica abbazia benedettina nelle testimonianze dei documenti inediti, in «Paleokastro» n. 7/2002, p. 5-14; Id., Storia delle Madonie. Dalla Preistoria al Novecento,

Regiovanni2: sarà però il figlio di costui, Francesco - succeduto al padre all‘inizio del 1620 -,

a promuovere il primo tentativo di trasferimento dei Benedettini da Gangi Vecchio nella cittadina di Castelbuono, da tempo divenuta sede della contea e marchesato di Geraci e dimora stabile dei Ventimiglia.

Il principe Francesco - terzo di questo nome, Vicario Generale del Val Demone e Grande di Spagna - aveva sposato in seconde nozze la nobildonna Maria Spadafora3 la quale, donna

pia, devota e timorata, nutriva una particolare devozione per la piccola chiesa dell‘Annunziata esistente da tempo dentro al baglio del castello e che il principe suo marito aveva fatto ricostruire ornandola e abbellendola secondo il gusto dell‘epoca4: una devozione

profonda che condusse la dama a legare a quell‘edificio, nel 1627, una rendita annuale di 4.000 scudi, pari a 80 onze, per la celebrazione di 7 messe quotidiane da celebrarsi per la remissione dei propri peccati a partire dal giorno della sua morte5. Fu proprio questa

disposizione testamentaria a fornire al principe Francesco Ventimiglia il pretesto per attuare quel ―piano‖ per il trasferimento dei monaci da Gangi Vecchio a Castelbuono, sotto l‘apparente spinta devozionale ma in realtà con una ben precisa strategia per ristabilire un prestigio familiare incrinato da una disastrosa situazione finanziaria che si trascinava oramai da diversi decenni. [Fig. 2]

Vero è che, come i suoi predecessori, anche il principe Francesco nutriva una profonda devozione verso l‘antica abbazia benedettina di Santa Maria di Gangi Vecchio, tant‘è che anch‘egli aveva provveduto a elargire concessioni a quei monaci, l‘ultima delle quali nel 1624 quando don Francesco conte di Ventimiglia Marchese di Irace e Prencipe di Castel Buono aveva accordato ai padri del monastero di Gangi Vecchio di poter fare legna liberamente, purché secca, nel bosco della Ciambra, per uso proprio e senza limiti di quantità6: tuttavia, come i

suoi predecessori, il principe si era trovato a gestire il lungo periodo di decadenza che aveva appannato il prestigio e il nome stesso della potente famiglia feudale.

2 F. San Martino De Spucches, Storia dei feudi e del titoli nobiliari, Palermo 10924-1941, vol. VI (1929),

quadro 788, p. 206; Orazio Cancila, I Ventimiglia di Geraci (1258-1619), «Qaderni di Mediterranea. Ricerche storiche», 30, Palermo 2016, pp. 461-462.

3 Antonio Mogavero Fina, Castelbuono, Palermo 1965, p. 32; Eugenio Magnano Di San Lio, Castelbuono

Capitale dei Ventimiglia, Catania 1996, albero genealogico dei Ventimiglia a p. 359. Più recentemente si

veda O. Cancila, Alchimie finanziarie di una grande famiglia feudale nel primo secolo dell‟età moderna, in «Mediterranea. Ricerche storiche», 6/2006, p. 136: la principessa Maria Spatafora era figlia del principe di Maletto, Michele Spadafora, e di Stefania d‘Aragona.

4 E. Magnano Di San Lio, Castelbuono, cit., p. 191: i lavori sembra siano stati eseguiti intorno al 1622. 5 AFT, Riassunto di fatti per il Signor Don Gandolfo Bongiorno contro l‘Illustre Marchese di Geraci,

in Volume della Scrittura e degli atti relativi alle Cause della prelazione nella enfiteusi di Camporotondo chiesta dal Signor Marchese di Geraci nella Gran Corte e nel Concistoro ed Altri contro il Monistero de‘ Benedettini di Santa Maria di Gangivecchio, cc. 152-155. E‘ questa una raccolta di carte relativa alla lite intercorsa negli anni ‗70 del Settecento fra i Bongiorno e i Ventimiglia sull‘affitto del feudo di Camporotondo e dell‘antica abbazia da parte dei Benedettini allo stesso Bongiorno. Il testamento della principessa venne redatto dal notaio Vittorio Mazza il 19 dicembre 1627: cfr. E. Magnano Di San Lio, Castelbuono, cit., p. 191, nota n. 571.

6 BCRS-Pa, Opus Privilegiorum tam Scripturarum Monasteri Sanctae Mariae De Gangio Veteri, compilato

Durante il secolo precedente infatti, i Ventimiglia erano stati sconvolti da una grave crisi finanziaria che li aveva portati a smembrare quel grande Stato feudale che fino ad allora era stato il marchesato di Geraci7: già il marchese Giovanni III era stato costretto ad alienare

alcuni feudi e baronie, sia durante il periodo in cui era stato posto sotto la tutela del Presidente del Regno - don Carlo Aragona Tagliavia - sia quando, raggiunta la maggiore età, egli stesso aveva ricoperto quella prestigiosa carica. Riguardo al territorio di Gangi, nel 1578 il marchese aveva venduto il feudo San Gaime e lo Puzzo ad Antonio Nicosia e nel 1597 i feudi Alburchia e Capuano a Giovanni Forte Natoli, barone di Sperlinga: con il patrimonio posto sotto il controllo della Deputazione degli Stati8, nel 1610 il marchese di Geraci si era

trovato costretto a vendere a don Mario Cannizzaro altri due feudi dello stato di Gangi, quelli di Cavaliere e di Terrati9.

Negli anni seguenti la situazione non era migliorata (soprattutto per la restituzione della ingente dote pretesa da donna Dorotea Branciforte, vedova del marchese Giovanni) tant‘è che anche il principe Francesco si era ritrovato nelle medesime difficoltà del suo predecessore: motivo per cui nel 1625 egli era arrivato alla determinazione di vendere la terra e il castello di Gangi, insieme all‘antica baronia e al castello di Rahal Johannis (l‘odierna Regiovanni), a Francesco Graffeo già barone di Serra del Falco10. Una circostanza, questa,

che poneva al Ventimiglia dei problemi di natura politica e al tempo stesso di prestigio del casato, tutt‘altro che irrilevanti: sebbene, infatti, il territorio di pertinenza dell‘antico monastero di Gangi Vecchio rimanesse in proprietà dei Benedettini, il fatto che l‘abbazia si trovasse fra i domini di un altro feudatario comportava di fatto la perdita di quella prestigiosa sede religiosa, tanto cara alla sua famiglia, ma implicava soprattutto la perdita del controllo su un posto nel Parlamento del Regno. Appare dunque abbastanza chiara l‘intuizione del principe di Castelbuono di cogliere le volontà testamentarie della moglie come valido pretesto per organizzare la venuta dei Benedettini nella sua capitale: tanto più che la celebrazione delle sette messe quotidiane disposte dalla principessa poteva benissimo essere affidata, più comodamente, al clero locale o ai Benedettini della vicina abbazia di Santa Maria del Parto, sulla quale i Ventimiglia esercitavano da tempo il diritto di patronato. Le ragioni che indussero dunque i monaci di Gangi Vecchio a lasciare l‘antica abbazia e a trasferirsi nel monastero dell‘Annunziata nuovamente costruito per loro a Castelbuono non possono essere racchiuse nei passi di due fra i massimi storiografi siciliani che peraltro, entrambi abati, dovevano pur conoscere la storia dell‘abbazia: Rocco Pirri (1577-1651) addebitò infatti il trasferimento alla presenza di Praedonibus incursionibusque iniquorum hominum11, mentre Vito Amico (1697-1762) addusse una aeris insalubritatem12, cause pur

probabili ma di fatto non vere.

7 Per la crisi finanziaria dei Ventimiglia si veda O. Cancila, Alchimie finanziarie, cit., pp. 69 e segg. 8 Organismo sorto nel 1598 per amministrare i patrimoni feudali in dissesto a garanzia dei creditori 9 Per la vendita dei feudi di Gangi rinvio a F. San Martino De Spucches, Storia dei feudi, cit., passim. 10 F. San Martino De Spucches, Storia dei feudi, cit., vol. IV (1926) quadro 411 (signore di Gangi), p. 14,

e vol. VI (1929), quadro 788 (barone di Regiovanni), p. 206. Francesco Graffeo era figlio di don Girolamo Graffeo ed era già barone di Serra di Falco quando, nel maggio 1625, acquistò la terra e il castello di Gangi e la baronia di Regiovanni dal marchese di Geraci: cfr. S. Farinella, I Principi di Gangi e

Marchesi di regiovanni. I Graffeo, i Valguarnera (1625-1864), in corso di ultimazione.

2. Il monastero di Santa Maria di Gangi Vecchio: un orgoglio di famiglia. La