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L'affermarsi di nullità “anomale” quali strumento di protezione del contraente debole e la crisi del “dogma” della nozione unitaria di nullità;

I PROFILI SISTEMATIC

4. L'affermarsi di nullità “anomale” quali strumento di protezione del contraente debole e la crisi del “dogma” della nozione unitaria di nullità;

La legislazione comunitaria a tutela del contraente debole: nozione e caratteristiche dei contratti del consumatore

Non sembra possibile trattare del tema della nullità di protezione senza avere tratteggiato, ancorché in maniera breve e leggera, il profilo consumeristico delle clausole vessatorie (o abusive) quali categoria esemplare di raccordo, fra parte generale dedicata al tema della nullità, e specifica trattazione della "pura" nullità di protezione e senza aver, ancor prima ed in via di premessa, eseguito un rapido accenno alla disciplina del contratto del consumatore, quale terreno coessenziale per la comprensione delle dinamiche che sottendono alla categoria della nullità in questo campo. Limitandoci in questa sede ad un leggerissimo tratteggio del contrattualismo consumeristico, aderendo ad un livello di approfondimento minimo ma sufficientemente idoneo per affrontare successivamente la tematica della nullità di protezione "pura", è possibile iniziare col dire che il Codice del consumo, all‟ art. 3 comma 1, fornisce una definizione unitaria di consumatore ed utente. Deve qualificarsi come consumatore cioè “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”. A contrario, è definito giuridicamente professionista “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, ovvero un suo intermediario”.

Può immediatamente osservarsi come, nel pieno rispetto delle indicazioni provenienti dalle fonti comunitarie e nazionali, la definizione generale inserita nell'art. 3, comma 1,

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lett. a) del Codice del consumo ribadisce che consumatore o utente può essere esclusivamente la persona fisica, così come più volte ribadito sia dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea sia dai nostri giudici.

Più nello specifico, la Suprema Corte di Cassazione nel 2001 ha affermato che al fine dell‟ applicazione della disciplina di cui agli artt. 1469 bis e ss. c.c. relativa ai contratti del consumatore, deve essere considerato tale e, per l'appunto "consumatore” la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all‟ esercizio di dette attività, mentre deve essere considerato “professionista” tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che, invece, utilizza il contratto (avente ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi e senza tale limitazione dopo l‟ entrata in vigore della citata L. n. 526 del 1999) nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale.

Perché ricorra la figura del “professionista” non è peraltro necessario che il contratto sia posto in essere nell‟ esercizio dell‟ attività propria dell‟ impresa o della professione, essendo sufficiente che venga posto in essere per uno scopo connesso all‟ esercizio dell‟ attività imprenditoriale o professionale.

Tale soluzione risponde, secondo la logica che l'ha costituita, al convincimento che l‟ ente (personificato o non) non possa agire per scopi estranei all‟ attività professionale svolta, poiché la sua attività è vincolata agli scopi indicati nell‟ atto costitutivo e nello statuto8. Né rileva in alcun modo, al fine di estendere la tutela destinata ai consumatori, la natura lucrativa o non profit dell‟ attività svolta dall‟ ente, poiché dirimente ai fini della definizione di consumatore non è lo scopo ultimo dell‟ attività prestata, bensì il carattere necessariamente professionale di tale attività, in quanto organizzata e non occasionale.

Va tuttavia segnalato che muovendo da considerazioni di giustizia sostanziale e di equità, gran parte della dottrina ha patrocinato un‟ interpretazione analogica della disposizione definitoria9 tale da estendere anche ad enti, personificati o no, connotati dalla medesima condizione di “debolezza” nei confronti del professionista che caratterizza le stipulazioni del consumatore persona.

economica piuttosto che sociologica ed equitativa, avendo di mira i mercati finali, in cui persone fisiche si contrappongono a professionisti e non i mercati intermedi, in cui si muovono piccole e medie imprese e liberi professionisti.

La soluzione scelta dal legislatore non ha peraltro comunque, impedito di riconoscere la qualifica di consumatore in un‟ ipotesi in cui l‟ operazione economica, formalmente riferita ad un ente, era in realtà riconducibile ad una pluralità di persone fisiche, come nell‟ ipotesi di contratti stipulati dall‟ amministratore di condominio, in qualità di mandatario con rappresentanza dei singoli condomini.

Non è tuttavia mancato chi13 abbia evidenziato come alcuni degli argomenti addotti dai giudici costituzionali non appaiano tuttavia molto persuasivi, tra cui in primis l‟ individuazione della finalità della normativa delle clausole vessatorie nella tutela di contraenti “privi della necessaria competenza per negoziare”.

Secondo tale dottrina, inoltre, non convince neanche l‟ affermazione della Corte secondo cui i professionisti, i piccoli imprenditori e gli artigiani hanno “cognizioni idonee per contrattare su un piano di parità” con il predisponente poiché con il riferimento alla nozione di “parità”, la Consulta sembra incorrere nell‟ errore di ritenere che la situazione di debolezza tutelata dalla normativa comunitaria risieda nella incompetenza del consumatore in relazione alla tipologia di contratto concluso. Né ha maggior pregio l‟ osservazione che una diversa soluzione legislativa circa l‟ ambito soggettivo di applicazione della normativa delle clausole vessatorie sarebbe contrario allo spirito della direttiva, poiché il rilievo, oltre a risolversi in un giudizio che non spetta alla Corte costituzionale esprimere, trattandosi di una questione di interpretazione del diritto comunitario che, ai sensi dell‟ art. 234 Trattato CE, spetta esclusivamente alle Corte di Giustizia delle Comunità Europee, a rigore, è estraneo al tema decidendum, non attenendo alla compatibilità tra art. 1469 bis, comma 2, c.c. e precetto di eguaglianza (art. 3 Cost.). I giudici delle leggi avrebbero forse dovuto limitarsi ad affermare che altro è agire per scopi “privati”, altro è agire per scopi imprenditoriali o professionali, osservando – se del caso- il livello di circospezione, accortezza ed avvedutezza che si esigono dall‟ operatore professionale- e , dunque l‟ esigenza di tutela – è differente. 1.2 I contratti del consumatore e il rapporto con la disciplina codicistica: principi comunitari in tema di invalidità

Passando ora ad un livello di approfondimento più mirato, sembra possibile operare qualche accenno con riferimento alle caratteristiche dei contratti in cui una parte sia qualificabile come consumatore.

Tali contratti infatti, secondo una tradizionale visione, si caratterizzano: i) dal punto di vista soggettivo dall‟ essere stipulati tra un consumatore e professionista; ii) dal punto di vista finalistico, dall‟ essere stipulati da parte del consumatore per scopi extraprofessionali.

Come già ricordato, la disciplina di tali contratti originariamente era stata collocata all‟ interno del codice civile, in particolare negli artt. 1469 bis – 1469 sexies c.c., per quanto riguarda la disciplina delle clausole vessatorie, in virtù dell‟ art. 25 della L. 6 febbraio 1996, n. 52 (c.d. Legge comunitaria 1994), recependo la direttiva 93/13/CE, e negli art. 1519 bis e ss. c.c., relativamente alla disciplina delle garanzie nella vendita di beni di consumo, in virtù del D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, in attuazione della direttiva 99/44/CE.

In seguito, in attuazione della delega legislativa contenuta nell‟ art. 7 della L. 29 luglio 2003, n. 229 (“Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione – Legge di semplificazione 2001”) ed in accoglimento dei rilievi espressi in proposito dal Consiglio di Stato, il legislatore ha espunto dal codice civile tali discipline, collocandole in apposito codice del consumo varato con il D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (rispettivamente negli artt. 33-37 e 128-135), nel quale è stata inserita una norma di chiusura che prevede un esplicito rinvio al codice civile per quanto ivi non previsto.

Può osservarsi preliminarmente come lo stesso Consiglio di Stato avesse raccomandato di accompagnare lo spostamento delle suddette norme del codice civile al Codice del consumo con l‟ inserimento di disposizioni di reciproco raccordo, “anche finalizzate a ribadire la soggezione dei contratti del consumatore ai principi generali e alla normativa del codice civile, per quanto non diversamente disposto” allo scopo di evitare che un mancato collegamento potesse far ipotizzare, l'impossibilità di applicazione dei principi generali del nostro sistema codicistico, la non applicabilità di principi fondamentali (quali, fra tutti, quelli rappresentati dagli artt. 1175, 1176, 1421 c.c.) o, in senso inverso, l‟ espansione delle previsioni degli artt. 1341 e 1342 c.c. Tale suggerimento è stato

peraltro felicemente recepito dal legislatore, che ha inserito nel D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 20617 l‟ art. 38 (come modificato dall‟ art. 6, D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221), secondo cui “per quanto non previsto dal presente codice, ai contratti conclusi tra il consumatore e il professionista si applicano le disposizioni del codice civile”.

Il Codice del consumo rappresenta il risultato del tentativo di operare una ricostruzione unitaria di un nuovo modello contrattuale, nell‟ ottica di riconoscere e garantire una lista di diritti fondamentali alla precipua categoria dei consumatori (lista peraltro già contenuta nell‟ art. 1, comma 2, della L. n. 281 del 1998 e riproposta oggi nell‟ art. 2 del Codice) e che variamente riguardano la tutela della salute, la sicurezza e la qualità dei prodotti e dei servizi, il diritto ad una adeguata informazione, così come la corretta pubblicità, l‟ educazione al consumo, la correttezza, la trasparenza e l‟ equità nei rapporti contrattuali. E ancora, a vario titolo, la promozione e lo sviluppo dell‟ associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti, l‟ erogazione dei servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza.

Neoformalismo negoziale

Andando più marcatamente a fondo nelle caratteristiche del tipo contrattuale previsto dal Codice del consumo, è possibile aggiungere che,

se una delle principali caratteristiche dei consumatori è ovviamente quella per cui possono essere considerati tali solo i contratti conclusi tra un consumatore, (inteso come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”), ed un professionista, (definito come “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, ovvero un suo intermediario”), va però posto l'accento su un altrettanto importante profilo, rilevante in quanto caratterizza precipuamente tale tipologia di contratti: il c.d. neoformalismo negoziale.

Con tale espressione si suole indicare la rinnovata tendenza del legislatore ad attribuire rilevanza giuridica a certi atti solo quando realizzati nelle forme previste dalla legge. Se sol si guarda alla disciplina dei singoli tipi previsti dal Codice del consumo, ma, in una prospettiva più ampia ci si distolga da quel solo testo verso le recenti leggi speciali, chiaramente si vedrà che numerose sono le prescrizioni di forma scritta a pena di nullità del contratto introdotte di recente nel nostro ordinamento giuridico, sovente emanate in

attuazione di direttive comunitarie.

Tale contesto lo si percepisce immediatamente, in deroga al principio di libertà delle forme, ispirato alle esigenze di celerità dei traffici e di circolazione della ricchezza, che la dottrina tradizionale ha desunto dalle disposizioni codicistiche di cui agli artt. 1325, n. 4 e 1350 c.c.

La finalità di tali nuove prescrizioni di forma risiede non solo nella funzione di certezza del contenuto contrattuale, ma anche di trasparenza e più in generale di tutela della formazione del consenso del contraente che si trova in una posizione di debolezza contrattuale e che ha potuto solo aderire al contratto, senza poter influire sul suo contenuto.

In particolare le prescrizioni formali contenute nell‟ art. 1341 comma 2, c.c. e nella disciplina dei contratti con il consumatore integrano, secondo una definizione oggi molto in uso, delle “forme di protezione”, volte a garantire la trasparenza contrattuale ed a garantire la conoscenza del contenuto del contratto a vantaggio del contraente che non ha partecipato alla sua predisposizione.

Così, il neoformalismo si sostanzia sovente non solo nella prescrizione della forma scritta del contratto, ma anche nell‟ imposizione di un contenuto obbligatorio di informazioni da fornire al contraente aderente prima della conclusione del contratto o all‟ interno del contratto (come ad e. il diritto di recesso), oltreché nell‟ obbligo di formulare le clausole del contratto in modo chiaro e comprensibile. Tali prescrizioni, come già ricordato e come si chiarirà più approfonditamente nel seguito, erano già contenute nella precedente disciplina consumeristica dettata nel codice civile ( art. 1469 quater c.c.) ed in varie leggi speciali e sono state ora trasfuse all‟ interno del Codice di consumo.