• Non ci sono risultati.

In che modo può la nozione di gioco interessare ed investire le pratiche del progetto d’architettura? Alla fine del XIX secolo il pedagogista tedesco Friedrich Fröbel per primo intuisce che tra il gioco di un bambino e il progetto di un architetto possano stabilirsi delle virtuose contaminazioni. Secondo la sua ipotesi, una determinata educazione ludica infantile incentiverebbe un approccio privilegiato al progetto. Giocando con i cosiddetti “doni” all’interno del

kindergarten fröbeliano, il bambino sviluppa infatti un innato senso

della spazialità e una predisposizione alla composizione. La relazione tra queste due realtà, tuttavia, non si esaurisce nel semplice gioco formale o dei volumi e, ad un esame più attento, può essere estesa anche altre dimensioni, come la temporalità che entrambe le azioni determinano, le premesse sulle quali entrambe si fondano, il modo di porsi di chi vi si dedica.

Esiste insomma un terreno comune al quale afferiscono sia i presupposti della realtà del progetto, sia quelli del gioco; e ciò determina evidentemente delle affinità tra le operazioni

metodologiche che caratterizzano un’attività progettuale e quelle che invece ne dettano una ludica. Prima di tutto, è opportuno riconoscere

gioco e progetto come delle realtà sospese rispetto al tempo cronologico;

quando si progetta, proprio come quando si gioca, ci si allontana dal presente, e si entra in contatto con una dimensione temporale diversa. Da un lato, il gioco tende ad annullare l’effetto del tempo, come chiarisce Giorgio Agamben1 attraverso il caso del paese dei balocchi di Pinocchio: qui, «in mezzo ai continui spassi e agli svariati divertimenti, le ore, i giorni, le settimane, passano come tanti baleni». Dall’altro, invece, l’azione progettuale punta a strutturare il tempo,

1. G. Agamben, Il Paese dei Balocchi. Riflessioni sulla Storia e sul Gioco, in Infanzia e

Storia. Distruzione dell’esperienza e origine della storia, Giulio Einaudi editore, Torino

116

a prevederlo e ad anticiparlo. Ciò che, tuttavia, accomuna il tempo

sgretolato dal gioco a quello strutturato dal progetto è un dispiegarsi di

tipo diacronico, che si rivela necessario presupposto di entrambe le operazioni.

Basandosi su una formula esemplare di Lévi-Strauss, secondo cui «il gioco trasforma delle strutture in eventi»2, Agamben arriva a definire il gioco come una macchina che muta la sincronia in diacronia. Una statuetta utilizzata in antichi riti propiziatori può diventare una bambola se finisce tra le mani di un bambino; in questo senso il gioco dell’infante ha la capacità di privare del suo senso un oggetto, strappandolo al contesto. Quel rituale sincronico in cui tale oggetto veniva un tempo impiegato, si trasforma così in evento

diacronico. Il gioco, dunque, produce diacronia. Parallelamente,

un andamento diacronico si rileva anche il tratto essenziale di un approccio strategico al progetto: una delle tesi centrali della ricerca condotta da Alessandro Armando e Giovanni Durbiano nel volume Teoria del progetto architettonico3 (Carocci 2017), suggerisce che il progetto di architettura non debba limitarsi alla raffigurazione di uno stadio finale, da perseguire attraverso illusori procedimenti lineari o sequenziali, ma che al contrario sia opportuno puntare strategicamente ad una concatenazione cronologica di stadi intermedi, ovvero ad uno svolgimento di tipo diacronico. Soltanto in questo modo sarà possibile includere e assecondare quelle deviazioni, inevitabili e necessarie, che si presentano lungo l’iter progettuale.

Considerare il progetto di architettura come progetto degli

effetti significherà aprire innanzitutto alle deviazioni degli

esiti intermedi e finali, sfruttando la temporalità del progetto in due sensi: nel differimento temporale che ogni documento di progetto articola tra il momento della sua produzione 2. Mentre il rito, da un lato, «trasforma degli eventi in strutture», componendo la

contraddizione tra passato mitico e presente, ovvero «annullando l’intervallo che li separa e riassorbendo tutti gli eventi nella struttura sincronica», al contrario il gioco «trasforma delle strutture in eventi; […] tende a spezzare la connessione fra passato mitico e presente e a risolvere e sbriciolare tutta la struttura in eventi». C. Lévi-Strauss,

Il pensiero selvaggio (1962), Il Saggiatore, Milano 2010.

3. A. Armando e G. Durbiano, Teoria del progetto architettonico. Dai disegni agli effetti. Carocci Editore, Roma 2017.

117

e quello del suo rinvio a un’azione futura […] e nella

concatenazione cronologica che mette in sequenza le deviazioni

tra loro».

(A. Armando e G. Durbiano, Teoria del progtto architettonico.

Dai disegni agli effetti, p. 256)

In questa strategia si rivela di fondamentale importanza la nozione di metis, intesa come «la capacità di trarre vantaggio dalle circostanze, di vedere come la situazione si evolve e sfruttare in essa l’orientamento favorevole»4. Un rimettere in gioco ogni volta quello che viene stabilito nella fase precedente di progetto, riconsiderandolo all’interno di una cornice più ampia, come parte definita di un nuovo insieme che è ancora in cerca di definizione. In questo la nozione di gioco può giovare all’attività progettuale: a procedere per fasi diacroniche, andando a rimestare il passato per re-impiegarlo, fase dopo fase, verso la costruzione di una nuova base.

Ma tra gioco e progetto esistono altre affinità, e si celano nelle componenti agonistiche, di casualità e di immaginazione, che caratterizzano le due realtà. Nel saggio I giochi e gli uomini (1958), il sociologo francese Roger Caillois individua quattro categorie essenziali ravvisabili in qualsiasi attività ludica che nomina in questo modo: agon, in riferimento alla competizione; alea, ovvero il caso e la fortuna, mimicry, per intendere la maschera, il travestimento, e infine

ilinx, cioè la vertigine del puro godimento. Caillois dimostra che

ogni gioco è caratterizzato da una combinazione di questi quattro comportamenti, di cui alcuni possono prevalere sugli altri, fino eventualmente ad annullarli. Anche il progetto, allo stesso modo, ha a che fare con la competizione, con la maschera, con il caso.

Innanzitutto perché sul piano sociale il progetto deve sempre condurre una battaglia per la sua legittimazione, una lotta per acquisire un imprescindibile consenso, anche a costo di deviazioni. Il progetto é un “prodotto sociale”, che mette d’accordo le parti coinvolte per produrre effetti e, per farlo, deve passare attraverso delle

4. Ibid., p. 255. 5. Ibid., p. 142.

118

vere e proprie “arene” di negoziazione e contrattazione5. Il gioco, ambito di negoziazione e di agonismo, viene allora a manifestarsi nelle forme del progetto proprio laddove questo è chiamato a

relazionarsi con altri oggetti sociali. Per poter essere istituzionalizzato, il progetto deve essere sottoposto ad una legittimazione: in altre parole deve essere scambiato6. E l’intenzionalità del progettista passa dapprima attraverso uno scambio simbolico (ovvero comunicativo, attraverso un racconto che sia convincente), e in seguito è sottoposta ad uno scambio burocratico (fase convergente su un contratto).

Nella prima fase comunicativa (di scambio simbolico), il progetto attinge ancora ad un’altra facoltà eminentemente ludica: la mimicry. Nel modo in cui esso si dà al suo pubblico e in cui si presenta ai vari attori coinvolti nel processo della sua legittimazione, esso ricorre indispensabilmente alla maschera. Il processo di presentazione del progetto viene assimilato da Armando e Durbiano ad una vera e propria scena teatrale7. E questa messa in scena conferisce al progetto una fondatezza che esso non deteneva ancora all’atto della sua mera scrittura: «Il teatro della scrittura e della sua rappresentazione è il luogo in cui la realtà e le verità convenzionali si costruiscono, il laboratorio sociale del progetto»8. L’azione del progettista è allora anche un’azione drammaturgica: e in questo senso si dispiega sul campo del gioco, un terreno fatto di interrelazioni, di interfacce e di travestimenti.

Infine il progetto, proprio come il gioco, ha a che fare con il caso (alea). Le negoziazioni che caratterizzano la lotta per la sua legittimazione privano il progetto di qualsiasi prospettiva deterministica. La sua articolazione risulta spesso lenta e dall’esito imprevedibile proprio perchè è suscettibile, in ogni momento, di deviazioni dal carattere totalmente arbitrario. Un progetto è una partita da giocare, dal momento della sua iscrizione e attraverso la sua presentazione, fino alle fasi decisionali e di istituzione.

6. Ibid., cap. 4. Il segno e lo scambio, p. 121.

7. Ibid., Cap. 6, Performatività del progetto (“Mettere in scena il futuro con il teatro”, “Teatro e scambio”), pp. 230-235.

8. Ibid., p. 233.

119

Ma l’elenco delle contaminazioni non si esaurisce qui; il progetto, proprio come il gioco, costituisce una realtà parallela, o meglio,

simulata. Entrambi permettono una simulazione del reale, all’interno

della quale è possibile mettersi alla prova: una dimensione sicura dove poter sperimentare e testare soluzioni, senza correre rischi effettivi nel caso in cui si sbagli (almeno non nelle fasi iniziali di progetto). Ma se da un lato Johan Huizinga descrive il gioco come un’attività immancabilmente fine a se stessa9, dall’altro il progetto detiene sempre una finalità ben specifica, puntando ad avere una ricaduta sulla realtà, ovvero contribuendo alla sua costruzione. Il progetto, dal canto suo, ambisce ad una modificazione utile del reale, mentre il gioco esiste proprio in funzione di un’evasione dalla realtà. In questo senso Eugen Fink parla del gioco in termini di oasi10 ed Émile Benveniste lo descrive come luogo dell’irrealizzazione della coscienza11. Viene a tracciarsi così uno scenario in cui il progetto (strumento di realizzazione) e il gioco (operazione irrealizzante) prendono due direzioni opposte, nonostante continuino a conservare dei comportamenti affini. Del resto, spesso è proprio nell’evasione dalla realtà che una reinvenzione del presente si radica e trova la sua linfa. In Homo Ludens (1938), Johan Huizinga individua nel gioco delle irrisolvibili contraddizioni di fondo; delle aporie. Se infatti, da un lato, il gioco è un’attività normata, dotata di regole ben precise, fini a se stesse e senza le quali il senso stesso del gioco verrebbe meno, al contrario esso è anche l’applicazione di un principio di libertà.

Realtà

Progetto Gioco

modificazione

evasione

9. J. Huizinga, Homo Ludens (1938), Routledge & Kegan Paul Ltd, London, Boston and Henley 1949.

10. E. Fink, Oasi della gioia. Idee per una ontologia del gioco (1957), introduzione di A. Masullo, Edizioni 10/17, Salerno 1986.

11. La nostra coscienza tende pertanto a irrealizzarsi rispetto all’universo, il nostro subconscio aspira all’irrealizzazione: e il gioco è una delle modalità più rivelatrici di questo processo. Lo sostiene il linguista Émile Benveniste al termine del saggio Il Gioco come Struttura (1947).

120

L’uomo gioca perché liberamente lo sceglie: non è possibile imporre a qualcuno di giocare. Allo stesso modo il gioco è descritto come una realtà simulata, giacché crea (attraverso la maschera) una situazione che imita la vita reale; ma contemporaneamente esso rimane sempre nettamente separato dalla realtà e circoscritto ad un preciso ambito spazio-temporale. Allora è proprio in questo doppio equilibrio - tra

libertà d’azione e regolamentazione, tra separazione e simulazione - che

il gioco diventa una modalità di controllo e di gestione di una contraddittorietà di fondo latente. Anche il progetto ha il suo paradosso, in quanto «ha nella propria struttura logica fondamentale la pretesa - per lo più falsa - di dire come sarà il futuro, iscrivendolo in una forma che deve essere fatta oggetto di scambi, accumulazioni, deviazioni. […] Ha bisogno di presentare in forma passata il futuro che vuole determinare»12. In un articolo su un numero di Casabella13 del 1982 il filosofo Massimo Cacciari descrive «questa irrisolvibile aporia del progetto» come «volontà di messa-in-stato del divenire» per descrivere quella fissità che ogni versione di un progetto pretende di avere, presentata ogni volta come uno stato finale, nonostante la consapevolezza che fino alla fine andrà incontro a deviazioni e continuerà ad essere programmaticamente parte di un processo in divenire.

Il gioco è la dimensione in cui l’uomo impara a convivere con la

contraddizione e a destreggiarsi all’interno del compromesso. È attraverso

il gioco che l’uomo comprende la competizione, la teatralità, il caso; di conseguenza è giocando che egli apprende i presupposti del progettare. Attraverso il gioco il progetto può dominare la sua dimensione. Allora riportare l’attenzione sul gioco significa poter innescare una contaminazione virtuosa tra le due realtà. Intendere il progetto come un gioco aiuta ad accettare la componente di casualità implicita nelle sue deviazioni congenite, aiuta il progettista a ragionare in modo diacronico, per ottenimenti successivi, a mettere

12. A. Armando e G. Durbiano, Teoria del progetto architettonico. Dai disegni agli effetti. Carocci Editore, Roma 2017, p. 221-2.

13. M. Cacciari, Nihilismo e progetto, in “Casabella”, 483, 1982, pp. 50-51.

121 da parte il prodotto di una fase del suo lavoro per poi riprenderla in considerazione all’interno di un più vasto insieme. Rafforza la consapevolezza della necessità di una lotta per la legittimazione del progetto, attraverso la quale esso dovrà darsi in svariate forme, in modo “teatrale”, ovvero in un’ennesima dimensione ludica. L’intera fase di scambio del progetto è in sé una partita da giocare, dal momento che i suoi esiti sono imprevedibili e non possono dipendere solo dal progettista. Essa assume, in un certo senso, il carattere di un respiro: ad un momento di rilascio ne segue uno di contrazione. Il progetto dapprima si apre attraverso lo scambio

simbolico, in un momento divergente di presentazione, in forma

teatrale, che avviene attraverso la comunicazione non solo scritta e grafica, ma anche verbale e linguistica (in tutte le sue implicazioni ermeneutiche wittgensteiniane); in un secondo momento, invece, le possibilità aperte durante questa fase di sviluppo, finiscono per essere convogliate verso una forma di approvazione, attraverso una fase convergente, quella dello scambio burocratico. Se da un lato, a seguito di questa seconda fase, il progetto diventa oggetto istituzionale e viene legato da una corrispondenza univoca ad un atto (ovvero alla sua realizzazione), dall’altro la peculiarità della fase di scambio simbolico risiede proprio nel fatto che in essa il progetto corrisponde potenzialmente ad una molteplicità di atti sociali ad esso connessi. Ed è pertanto in questa fase di indeterminazione che il progettista mette in atto la propria capacità di giocare; in questa arena per la determinazione del progetto, egli può coscientemente ricorrere ad operazioni ludiche in maniera strategica. Un gioco, quindi, inteso come strategia per gestire lo spettro delle possibili evoluzioni e delle potenzialità del progetto; gioco finalizzato ad una performance all’interno di un contesto in cui non siano date legittimazioni a priori..

Parlare è combattere, nel senso di giocare, e gli atti linguistici dipendono da una agonistica generale.

(J. F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere). CONTAMINAZIONI

122

Il gioco è insomma uno dei molteplici sistemi di iscrizione del progetto all’interno dello scambio simbolico progettuale; tuttavia questa strategia non si limita ad avere soltanto dell finalità performative, come quelle precedentemente analizzate (comportamento diacronico, predisposizione alla teatralità, alla contraddizione, all’agonismo, all’esercizio di libertà pur all’interno di un ambiento normato), ma tende ad assumere anche delle finalità di tipo critico. In questi casi la performance ludica scavalca la semplice ricerca di approvazione da parte dei soggetti coinvolti nel processo, e mira più lontano, a scardinare e a mettere in crisi il sistema stesso entro il quale il progetto combatte per la sua legittimazione. Per tale motivo la battaglia intrapresa da questi progetti è, il più delle volte, destinata al fallimento: il Fun Palace di Cedric Price - un progetto geniale che evita di imporre una forma prestabilita al divertimento, cercando di assecondarne qualsiasi piega esso possa prendere - fatica ad ottenere un’approvazione da parte delle autorità e non viene mai realizzato; anche gli innumerevoli progetti di playground realizzati ad Amsterdam da Aldo Van Eyck - in grado di stimolare l’immaginazione dei bambini e di permettere un nuovo tipo di appropriazione dello spazio urbano - vengono mano a mano fagocitati dal mercato immobiliare di Amsterdam; Hermann Finsterlin - che attraverso la teorizzazione del cosiddetto “gioco degli stili” prende le distanze dalla tradizione accademica e teorizza la rifondazione di una nuova architettura organica d’avanguardia - finisce per isolarsi nella sua roccaforte di CONTAMINAZIONI

Arena della legittimazione

Progetto scambio simbolico Contratto

ambito di applicazione delle strategie di gioco (con finalità performative)

scambio burocra tico effetto dell’applicazione di principi ludici

con finalità critic he (e vasione dall’ar ena) prevalenza di logiche economiche e utilitaristiche

123 intellettuale dissidente; persino i progetti più estrosi e interessanti dell’architetto Piero Portaluppi sono quelli che non troveranno mai realizzazione, ma che contribuiranno a lanciare, attraverso l’ironia, una critica sottile contro l’idea di città del Movimento Moderno; infine, le ambizioni dell’Internationale Situationniste a rifondare un’intera società, basata proprio sull’esercizio di nuove possibili attività ludiche, rimangono a margine della società, così come l’architettura radicale degli anni ’70 rimane per lo più sulla carta.

Dovendo sottoporsi ad uno scenario di negoziazione, le logiche fini a se stesse e non-utilitaristiche del gioco vengono annientate da quelle

serie dei poteri forti economici. In tutti i casi analizzati, il carattere

di gioco forza i margini dell’arena della legittimazione a tal punto da rimanere poi soffocato dalla convergenza burocratica, da rendere quasi impossibile la sua istituzionalizzazione. I progetti che adottano una strategia di gioco massimizzano la propria fase divergente, aprendosi a infinite possibilità. Il gioco è pura divergenza, è slancio. E questa apertura diventa una chiave interpretativa fondamentale: in tutti questi, attraverso un atteggiamento ludico, si cerca di dispiegare nuove possibilità d’uso, rifiutando quelle convenzionalmente imposte dalla società di consumo.

Attraverso questa fenomenologia, si delinea pertanto un percorso di progressiva presa di coscienza dell’utilizzo del gioco come strumento di critica sociale. Critica contro il conformismo del sistema dominante, che nel caso di Finsterlin è ancora prematuro e coincide con l’architettura accademica della Germania guglielmina, ma che nel corso del secolo arriverà a focalizzarsi in modo sempre più consapevole su un sistema totalizzante, che occlude possibilità di sviluppo progettuali e umane, che appiattisce e mercifica non solo l’architettura ma la vita stessa degli individui. In questo senso partecipano alla definizione di questo percorso anche le esperienze, non prettamente architettoniche, del movimento del Grand Jeu e di Alberto Savinio che immaginano un’evasione sostanziata nel ricorso al gioco o alla dimensione infantile di un mondo primordiale, CONTAMINAZIONI

124

non ancora disilluso o schiacciato dalle costrizioni della società. E così anche le opere di Bruno Munari o di Ettore Sottsass non costituiscono dei semplici oggetti consegnati ad un uso prestabilito, ma si lasciano interpretare in modo creativo dal fruitore che interagisce con essi.

Il gioco risveglia i nostri più intimi impulsi alla creatività, che tendono ad essere repressi inconsciamente dalla civiltà. Di conseguenza il ricorso al gioco nel progetto costituisce uno slancio di apertura, pur sempre passibile di essere osteggiato e soffocato. In questo senso il gioco domina lo scambio simbolico, ne stimola la massima apertura, facendo sentire le proprie ragioni finché è possibile, prima che prevalgano le costrizioni della società, che è costitutivamente seria e segue istanze economiche e utilitarie. Questi progetti hanno la capacità di aprire un attimo di sospensione; disvelano per un istante un mondo fatto di possibilità alternative. Una rivelazione flebile che, proprio come il suono di una fisarmonica, si genera nella tensione tra dilatazione e compressione, e che verrà recepita da chi saprà mettersene in ascolto.

125 CONTAMINAZIONI

Bibliografia

G. Agamben, Infanzia e Storia. Distruzione dell’esperienza e origine della

storia, Giulio Einaudi editore, Torino 2001.

A. Armando e G. Durbiano, Teoria del progetto architettonico. Dai disegni

agli effetti. Carocci Editore, Roma 2017.

É. Benveniste, Il gioco come struttura, Deucalion, 2, 1947, pp.159-167. R. Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine (1958), Tascabili Bompiani, Milano 2007.

J. Huizinga, Homo Ludens (1938), Routledge & Kegan Paul Ltd, London, Boston and Henley 1949.

126

126 CONTAMINAZIONI