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Il peso della tradizione

1. Narratrici orali tradizionali

1.2. Agatuzza Messia

Vediamo ora una delle donne reali che contribuirono alla creazione di Regina Marcucci: la narratrice modello di Giuseppe Pitrè, grande amico tra l’altro di Emma Perodi. Agatuzza è una delle poche figure di donna che racconta che rimangono impresse nella memoria, grazie al fatto che Pitrè ne diede un ritratto particolareggiato e trascrisse più di 40 racconti del suo repertorio; inoltre Calvino contribuì a divulgare la maestria narrativa di Messia riproducendo parzialmente,

nell’introdu-Quindi, quando fu intervistata nel 1977 da un giovane politicamente impegnato, la narratrice ultraottantenne modificò il racconto tipo ATU330 in un modo volutamente provocatorio rispetto all’ideologia del suo interlocutore: il diavolo invece di chiedere al protagonista di cedere l’anima come prezzo dei favori ricevuti, come succedeva in tutte le varianti di questo racconto narrate in precedenza da Marie Nicolas, esige che il giovane si dedichi alla propaganda comunista per contribuire attivamente alla dannazione di un bel po’ di anime...

19 Per le caratteristiche protofemministe di molte eroine delle Novelle della nonna, cfr. Rengo 2000.

zione alle sue Fiabe italiane, la descrizione di Pitrè e accogliendo ben 12 dei suoi 40 racconti all’interno dell’opera.

L’attacco della descrizione di Pitrè è accattivante “Tutt’altro che bel-la, essa ha parola facile, frase efficace, maniera attraente di raccontare, che ti fa indovinare della sua straordinaria memoria e dello ingegno che sortì da natura” (Pitrè 1985, p. XVII). Si tratta di una pagina moder-nissima in cui lo studioso offre ragguagli sulla vita, sul carattere, sullo stile e sul linguaggio di Agatuzza, mettendo in luce dettagli importan-ti20 come il talento comico di Agatuzza, una nota preziosa dato che lo stereotipo degli studi sul folklore vuole che i racconti comici siano un patrimonio narrativo maschile: le donne raccontano leggende, vite di santi, complicate fiabe di magia per cui sono molto lodate, ma, come si è visto anche prima, non ci si immagina che possano narrare aneddoti comici21 o licenziosi. Più avanti Pitrè annota:

[Agatuzza] da giovane fu sarta; quando la vista per fatica le si andò indebolendo, si mise a far da cuttuninara, cioè cucitrice di coltroni d’inverno. Ma in mezzo a questo mestiere che le dà da vivere, essa trova tempo per compiere i suoi doveri di cristiana e di devota; ogni giorno,d’inverno o d’estate, piova o nevichi, in sull’imbrunire si reca a far la sua preghiera. Qualunque festa si celebri in chiesa, ella è sollecita ad accorrere (Pitrè 1985, pp. XVIII-XIX).

La devozione religiosa non è tanto importante in se stessa quanto, come sottolinea Pitrè, perché la frequentazione di chiese deve leggersi come sfruttamento di una delle poche occasioni di mobilità femminile in quel tipo di società; Messia dunque era una donna che usciva tutti i giorni per andare in luoghi dove incontrare altra gente. Inoltre Aga-tuzza di mestiere era sarta e le sarte, le maestre di cucito, le tessitrici erano fra le poche donne che godessero di una mobilità non criticabi-le, grazie alla quale entravano in contatto con persone di classi sociali diverse e in genere diventavano portatrici di notizie e pettegolezzi, sviluppando quindi buone competenze narrative, che potevano esibi-re davanti a un uditorio che non coincideva esclusivamente con la loro famiglia. Di fatto, i laboratori di sartoria, così come quelli adibiti alla

20 Metto in evidenza soprattutto gli aspetti sottolineati da Pitrè, ma tralasciati da Calvino e che quindi oggi meno conosciuti dai lettori e dalle lettrici.

21 E infatti Lella Costa (molto vicina al Teatro di Narrazione nei suoi ultimi spettacoli) ha messo in risalto in più di un’occasione questa negazione di una tradizione comica al femminile (si veda per esempio Costa 1993, pp. 17-18).

Agatuzza e le altre. Donne e racconto orale 185 tessitura, erano luoghi favorevoli a narrazioni22 di tutti i tipi e il fatto che non ci fossero uomini presenti permetteva che le donne, spesso di varie generazioni, raccontassero storie comiche o decisamente spinte, storie in cui spesso si celavano consigli per difendersi dall’incesto o dalla violenza domestica23.

Se il repertorio di Regina Marcucci spazia tra leggende sanguina-rie, racconti di paura e novelle gotiche, Agatuzza Messia predilige i racconti avventurosi, le fiabe e le novelle con protagoniste intelligenti e intraprendenti. Secondo Calvino le mancava “lo struggimento amo-roso, la predilezione per i motivi dell’amore –sposo o sposa- perduto” (2005, p. 28), ma in questo lo scrittore si sbaglia: Agatuzza conosce e narra a Pitrè più di un racconto di amori perduti e riconquistati, ma gli dà un tono femminista sorprendente in quel contesto culturale e che forse ha ‘distratto’ lo scrittore ligure dalla comprensione del testo. Nelle storie di Messia le ragazze povere, appena possono, imparano a leggere e a scrivere, sono più intelligenti dei principi, e riescono a farsi amare e rispettare da questi ultimi, anzi in un caso (dal curioso titolo La panza che parla) il reuzzo deve riconoscere che la moglie vale più di lui e si sente obbligato a lasciarla regnare al posto suo (“Sai chi ti dicu? Pigghiati lu Regnu tu, e regna a tò talentu, ca tu hai giudiziu pi tia e pi autru”, Pitrè 1985, p. 76).

Scrive Pitrè che Agatuzza lo tenne tra le braccia quando era un bambino: se non fu la sua balia, comunque si occupò di lui e di sicuro gli insegnò ad ascoltare le ragioni delle donne.

22 Non è quindi casuale che Laura Curino, una delle migliori ‘narrattrici’ italiane, sia figlia di una sarta come lei stessa ha ricordato in molteplici occasioni (Curino 2016, 10).

23 Se si consultano studi o raccolte di racconti orali attenti a questi fenomeni troviamo per esempio che tra le migliori informanti di Aurora Milillo (1983) c’erano varie sarte con repertori di diverso tipo (storielle per intrattenere le apprendiste, scherzi, facezie, prese in giro di uomini e soprattutto di frati e preti; storie sessuali, aneddoti piccanti, storie di tesori nascosti); Roberto De Simone (1994: p. XVIII) invece racconta di donne del casertano che si occupavano di lavorazione della canapa e che raccontavano storie di una comicità irrefrenabile, piene di motti salaci, in un clima carnevalesco simile a quello dell’opera di Basile.

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