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Le forme della soggettività

La prima a porsi l’interrogativo sul legame fra identità femminile, racconto del sé e forme autobiografiche con cui dirsi fu Virginia Wo-olf che, in A Room of One’s Own (1929), si chiede chi si celi dietro l’uso dell’Io autoriale autobiografico. Commentando la grande tradizione delle autobiografie maschili, Woolf esprime il proprio disagio di donna scrittrice di fronte all’uso dell’Io come soggetto sicuro, coerente, tipico delle narrazioni maschili: “Io rispetto ed ammiro quell’Io con tutto il mio cuore. Ma – qui voltai una o due pagine cercando qualcosa – l’in-conveniente è che nell’ombra di questa parola “Io”, tutto diventa infor-me coinfor-me la nebbia”33. In A Sketch from the Past (1938) l’uso della voce narrante e la linearità temporale sono messi in discussione e prevale una frammentarietà di memorie evanescenti che fluiscono rifuggendo il senso del tempo: l’intero progetto autobiografico di Woolf è poggia-to sul dubbio circa la propria identità34.Questo perché, afferma Susan Stanford Friedman, l’uso dell’Io autobiografico contribuisce a dare un forte senso di unicità e stabilità al testo, tipico della tradizione maschile:

32 Marazzi 2002 e 2008 e Gamberi 2013, pp. 149-171.

33 Woolf 1967, pp. 103-104: “I respect and I admire that “I” from the bottom of my heart. But – here I turned a page or two, looking for something or other – the worst of it is that in the shadow of the letter “I” all is shapeless as mist.”

Riflessioni sulle scritture dell’Io fra studi di genere e post-coloniali 117 Il senso di identificazione, di interdipendenza e comunità che Gusdorf ignora di prendere in considerazione nei soggetti autobiografici, per le teoriche Rowbotham e Chodorow sono al contrario elementi centrali nello sviluppo dell’identità delle donne. Questi modelli di soggettività femminile mettono in evidenza l’inconsapevole pregiudizio maschile presente sia in Gusdorf che in altri paradigmi individualistici35.

Come Woolf, anche per altre scrittrici la presa di parola e il percor-so di affermazione della propria percor-soggettività comportano un profon-do ripensamento delle modalità stesse con cui articolare il linguaggio: una soggettività storicamente marginale racconta la propria storia in forma differente. La linearità del susseguirsi cronologico degli eventi, la centralità e eccezionalità del soggetto scrivente, la netta separazione fra il vero e il fittizio a tutto scapito del secondo – sembrano infatti parametri inadeguati se si vogliono raccontare vite di donne che han-no un’esperienza della realtà differente, maggiormente caratterizzata dalla frammentazione e della discontinuità. C’è chi ha parlato di “po-litica della frammentazione” per opporsi alla concezione maschile del sé36 ritrovando questa instabilità del soggetto autobiografico di testi modernisti, quali quelli di Djuna Barnes, Isak Dinesen, H.D., Anaïs Nin, Jean Rhys, le cui autobiografie o diari mettono in dubbio una componente essenziale dell’aspetto autobiografico – la relazione fra il sé e la coscienza – dimostrando come la dimensione dell’identità di genere diventi una questione determinante nel punto in cui incontra i principi estetici37.

Altre scrittrici ricorrono esplicitamente all’uso strategico della finzione per mettere in questione l’Io, svelando la natura finzionale dell’autobiografia. Ne è un esempio Gertrude Stein, che in The

Autobio-graphy of Alice Toklas (1933) usa il personaggio della propria compagna

per raccontare di sé in un gioco di rispecchiamenti e rimandi38. Oppu-re Doris Lessing che in Under My Skin (1994) cOppu-rea tOppu-re diffeOppu-renti per-sonaggi-identità per se stessa con tre nomi diversi – Doris, Tiggers e

35 Stanford Friedman 1988, p 38: “The very sense of identification, interdependence, and community that Gusdorf dismisses from autobiographical selves are key elements in the development of a women’s identity, according to theorists like Rowbotham and Chodorow. Their models of women’s selfhood highlight the unconscious masculine bias in Gusdorf and other individualistc paradigms”. 36 Smith 1993, p. 155: “politics of fragmentation”.

37 Benstock 1988, p. 21. 38 Stein 1978.

the hostess – per dare conto della percezione provvisoria della propria identità39. Lontana dai vincoli del canone è anche The Autobiography of

My Mother (1996) di Jamaika Kincaid che sembra giocare a confondere

le maschere dell’identità sperimentando consapevolmente fra l’auten-tico e l’immaginato fino al paradosso del titolo40. O come avviene nelle recenti autobiografie famigliari Una luce sottile di Bianca Tarozzi (2015) e Ritratto di famiglia con bambina grassa di Margherita Giacobino (2015), dove le scrittrici ricostruiscono la storia della propria famiglia dopo accurate ricerche di archivio, ma avvertendo: “Tutti i nomi, i luoghi, le date e i fatti qui riportati sono veri. Ma il colore delle cose, il tempo interno, le prospettive della memoria, tutto questo è fiction, è realtà ri-creata e inventata, come del resto lo è qualunque narrazione”41.

La dimensione della differenza di genere viene resa ulteriormente più complessa a partire dalla fine degli anni ‘80 con l’inclusione delle differenze di classe, di etnia, orientamento sessuale, età, l’appartenen-za religiosa42, grazie alle critiche poste dal femminismo nero afro-ame-ricano che rivendicano l’esperienza materiale delle donne di colore e si riappropriano del valore politico di “sinceri racconti e confessioni per affermare un sodalizio reciproco”43. Ne sono l’esito testi che ibri-dano generi letterari come la teoria e l’autobiografia: Audre Lorde

Si-ster Outsider (1984), Alice Walker The Color Purple (1982), bell hooks Ain’t I a Woman? Black women and feminism (1981). L’introduzione del

concetto di intersezionalità, gli interrogativi posti sulla possibilità di prendere parola per la subalterna, la denuncia della femminista india-na Chandra Talpade Mohanty sull’immagiindia-nario colonialista del fem-minismo bianco occidentale nei confronti delle donne del cosiddetto Terzo Mondo, aprono nuovi orizzonti di indagine stimolando ricerche incentrate sullo studio delle minoranze in area anglo-americana e, in tempi ancor più recenti, su ciò che succede fuori dai confini europei e nord-americani, recuperando racconti di vita che provengono dai con-testi post-coloniali44.

39 Lessing 1994; Lessing 1999. 40 Kincaid 1997.

41 Tarozzi 2015; Margherita Giacobino 2015, p. 257. 42 Si veda De Petris 2005.

43 hooks 1992, p. 59: “honest confessional narratives to affirm fellowship with each other”. 44 Si vedano: Crenshaw 1997; Spivak 1988; Mohanti 2012; sulla narrativa autobiografica

Riflessioni sulle scritture dell’Io fra studi di genere e post-coloniali 119 In tempi più recenti, l’attenzione si sta spostando dal genere lette-rario in senso stretto alla pratica narrativa dal forte valore di testimo-nianza, le cosiddette narrative della responsabilità, con la nascita di nuove definizioni: pratiche autobiografiche, narrative personali, storie di vita. Le storie di vita rappresentano una nuova forma di impegno politico, etico e culturale che interpella sia l’aspetto individuale che quello della comunità di appartenenza, ed esprimono un desiderio di documentare il potere della confessione e della testimonianza, due at-teggiamenti legati all’impegno e al recupero della memoria, così stret-tamente connessi al tema del trauma, della storia e dell’identità nelle narrazioni autobiografiche sull’Olocausto45.

Non è dunque un caso se le life narratives siano il nucleo generatore di quella che è stata definita la nuova narrativa trasnazionale contempora-nea, ovvero “un genere di scrittura che, fuori dal canoni nazionali, parla di culture deterritorializzate e di ciò che definirei ‘alleanze e comuni-tà para-nazionali’”46. Le opere delle scrittrici migranti mostrano infatti come gli aspetti esistenziali della scrittrice siano intimamente connessi agli scenari politici ed economici del presente che l’hanno condotta a scegliere, o intraprendere, la strada dell’esilio e della migrazione. Sono narrative della responsabilità perché offrono un possibile modello di comprensione della globalizzazione grazie alla loro capacità di esplora-re traumi, raccontaesplora-re lo spaesamento, ma anche la possibile agency nel mondo contemporaneo. Le declinazioni linguistiche di questi roman-zi hanno le loro radici nelle identità ibride delle loro autrici, come in

Reading Lolita in Tehran (2003) scritto in inglese dalla scrittrice iraniana

Azir Nafisi, L’analphabète scritto in francese dall’ungherese Agota Kri-stof (2005) e in In altre parole scritto in italiano dalla scrittrice benga-lese Jhumpa Lahiri (2015). In queste opere a sfondo autobiografico, le autrici abbandonano la lingua madre e scelgono di scrivere adottando la lingua del paese dove si sono stabilite. Il passaggio da una lingua a un’altra, da una cultura a un’altra implica un processo di distanziamen-to che permette a chi scrive di osservare la realtà che la circonda come una outsider, e di operare una sorta di auto-traduzione, dove le scrittrici diventano traduttrici di se stesse e della loro identità in-between.

45 Ascari 2011.

46 Seyan, 2001, p.10: “genre of writing that operates outside the national canon, address issues facing deterritorialized cultures, and speaks for those I call ‘paranational communities and alliances’”.

Le forme delle soggettività al femminile emergono così dalla scrit-tura come molteplici, in progress, in conflitto con le immagini stere-otipate consegnate dalla tradizione, alle volte in opposizione con chi le vuole soggetti marginali, altre volte complici con il discorso impe-rialista e coloniale della cultura a cui appartengono. Cercando di non reiterare alcun modello unitario di intendere la differenza, la critica femminista ha cercato di volta in volta di porre in luce come ogni sin-golo testo autobiografico stesse sperimentando con tecniche narrative, giocando con l’ironia, ibridando la narrazione di eventi accaduti con aspetti fittizi, aprendosi ad una dimensione intersoggettiva dell’Io nar-rante47. Dice Paola Splendore:

[L]’autobiografia, spazio privilegiato dell’espressione femminile, della ricerca del sé e dell’identità non è più ciò che era. Per mezzo di travesti-menti, di scissioni dell’io narrante, di oscillazione pronominali, di con-taminazioni di linguaggi, si è affermato un nuovo modello di scrittura autobiografica che nega la fissità del ritratto allo specchio e che attinge all’immaginazione oltre che alla memoria, mettendo in discussione o rendendo irrilevanti le codificazioni esistenti48.

L’instabilità delle forme e la trasgressione del genere autobiografi-co autobiografi-codificato e canoniautobiografi-co sembra dunque al autobiografi-contempo l’esito di un pro-cesso di soggettivazione dei gruppi storicamente oppressi, ma anche uno strumento consapevole delle narrative contro-egemoniche che in-terrogano la tradizione letteraria, e che pongono in questione l’autorità del soggetto unitario.49

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