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Capitolo II. Szeemann curatore indipendente

1. Agentur für geistige Gastarbeit

Una volta lasciata la Kunsthalle di Berna, Harald Szeemann decide di proseguire la propria carriera di curatore fondando un’agenzia, in un’operazione fra il parodico (l’agenzia ha un solo direttore-dipendente, Szeemann stesso) e il serio (il lavoro che svolge l’agenzia è reale). È il primo passo che compie verso un’indipendenza del tutto innovativa nella storia della curatela - per cui spesso ha indicato come modello di riferimento il monaco cristiano Simone Stilita, capace di vivere in isolamento per anni dopo aver lasciato la propria comunità religiosa. Szeemann abbandona la direzione di un museo, ma non si tira completamente fuori dal mondo istituzionale. Rimane a disposizione di qualsiasi istituzione lo voglia assumere per il tempo dell’organizzazione di una mostra.

Il nome che sceglie per l’agenzia è Agentur für geistige Gastarbeit, Agenzia per il lavoro spirituale all’estero (straniero). Szeemann racconta che la scelta delle parole è stata contingente al periodo storico: dopo il ’68 sorgono dei movimenti contro gli immigrati che vengono a lavorare in Svizzera, seguendo un fenomeno che risale all’immediato dopo guerra, quando soprattutto italiani, spagnoli e turchi venivano nel paese per offrire manodopera a basso costo. Anche la sua famiglia ha alle spalle una lunga storia di migrazioni, e Szeemann vuole giocare sulla percezione di sentirsi ospiti a casa propria che molti immigrati in quel momento provano. Ma a differenza degli altri contro cui i movimenti di protesta si scagliano, il curatore non ha mai svolto un lavoro di tipo manuale: da qui la scelta, non banale, dell’aggettivo “spirituale”. Per Szeemann la questione dell’identità è da sempre un motivo di scherno alle istituzioni e di polemica opposizione politica, sempre accompagnata da una sottile ironia. In una lettera del 1968 sua madre gli scrive preoccupata che ha saputo del viaggio a Cuba e che «a certain Mr.

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Burgunder from the political department» l'ha chiamata per scoprire come mai viaggiasse con un passaporto inglese, commentando: «And for God's sake use your Swiss passport when you travel—you don't need to be ashamed of it—on the contrary, think of how many people would be happy to have one. This is the third time I've been warned by people in the highest places— you can't keep playing that down»235. Ma per Szeemann l’identità rappresenterà sempre un concetto baumaniamente liquido236.

Il curatore svizzero definisce in questi termini il funzionamento dell’agenzia:

In strapaziösen Sitzungen von Exekutive, Legislative, Finanzexperte wird dann der Beschluss gefasst: falls ich mich dazu bereit erklären will, die Idee auszuführen, wurden die Andern die Entscheidung respektieren und mitziehen. Da dieser Entscheid von der Agentur letztlich mir übertragen wird, da sie ja auch ich ist, übernehme ich die Aufgabe, meine Idee durchzufuhren. Von da an geht alles reibungslos: ich entscheide für die Agentur und bin mein eigenes Personal, bis dann die Phase der Vorbereitungen beginnt, in der es ohne die Mithilfe der Andern nicht mehr geht.237

Con la creazione dell’agenzia Szeemann procede a una vera, anche se in parte parodistica, istituzionalizzazione della propria persona. È un’impresa totalmente auto-riferita, in cui ogni ruolo è ricoperto da un’unica persona: il precedente da tenere a mente è l’esperienza giovanile dell’Einmanntheater. Szeemann d’altronde è ancora capace di giocare come quando era giovane sul palcoscenico. Come quando nel 1970 durante la mostra 8 1/2 Dokumentation 1961- 1969 alla galleria parigina di Claude Givaudan trasforma una sala in una sorta di sede dell'Agenzia disorientando i visitatori, incerti se si trattasse di un’installazione artistica o di un’effettiva compagnia238.

235 «E per l’amor del cielo, usa il tuo passaporto svizzero quando viaggi – non devi vergognartene – pensa invece

a quante persone sarebbero felici di averne uno. Questa è la terza volta che le autorità mi avvertono – non puoi continuare a giocarci così». T. Bezzola, Harald Szeemann: with by through because towards despite, cit., p. 200.

236 Quasi come se volesse interpretare le parole del filosofo che definisce l’identità come «qualcosa che va

inventato piuttosto che scoperto; come il traguardo di uno sforzo, un “obiettivo”, qualcosa che è ancora necessario costruire da zero o selezionare fra offerte alternative [lui, Szeemann, che dalla nascita aveva contemporaneamente un cognome ungherese, origini svizzere e inglesi]». Z. Bauman, Intervista sull’identità – a cura di Benedetto

Vecchi, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 13.

237 «La decisione è quindi presa in esaurienti incontri fra gli esperti esecutivi, legislativi e finanziari: se voglio

realizzare l’idea, gli altri rispetteranno la decisione e si adatteranno. Dato che la decisione alla fine è trasmessa a me dall’agenzia, che sono io, accetto che la commissione si occupi della mia idea. Da quel momento tutto va liscio. Prendo le decisioni per conto dell’agenzia e sono il mio stesso personale, almeno finché la fase preparativa comincia, dopo cui niente può essere fatto senza l’aiuto degli altri». T. Bezzola, Harald Szeemann: with by through

because towards despite, cit., p. 281.

238 «Lavorammo con due artisti e dato che avevo già fondato l'Agenzia per il lavoro spirituale all'estero

trasformammo la galleria in una sorta di sede dell'Agenzia stessa e per creare un malinteso totale sull'edificio misi una grande bandiera di Berna, e tutti dicevano che era l'orso russo e io ribattevo che no, era l'orso di Berna. Dunque, il pubblico entrava, ma non sapeva di cosa si trattasse. Un signore addirittura chiese se poteva prenotare un volo per Berna...». A. Stazzone, Harald Szeemann: l'arte di creare mostre, cit., p. 91.

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Al di là dell’aspetto parodistico di critica istituzionale, l’Agentur für geistige Gastarbeit dona a Szeemann un’indipendenza rivoluzionaria. Dichiarandosi egli stesso istituzione, il curatore conferisce alla propria figura professionale la dignità di creatore, di autore, non più al semplice servizio degli artisti che espone ma in grado di dialogare con essi, come già fatto in passato, per realizzare il fenomeno socioculturale della mostra di arte contemporanea. Comincia a prendere consapevolezza dell’ambiguità che sta assumendo la propria posizione, che emergerà già dalle prime mostre organizzate dall’agenzia.

Per il suo aspetto di parodia dell’ordinaria burocrazia museale, l’Agentur si avvicina alla pratica di alcuni artisti dell’epoca. Primo fra tutti Marcel Broodthaers, che con il suo Musée d’Art Moderne fonda un’analoga istituzione completamente auto-riferita. Nella sua attività pratica l’agenzia di Szeemann coinvolge altri membri, una ditta di trasporti, del personale, chi possa aiutare a concretizzare il progetto di una mostra. Ma mantiene una fisionomia caricaturale con il riferimento a fantomatici dipartimenti, come quello delle finanze che “informa” sulla situazione economica della compagnia239. Una dimensione ludica che ricorda il Département

des Aigles di Broodthaers e le sue lettere ufficiali al ministero richiedenti aumenti di budget per le attività del museo.

La corrispondenza ufficiale dell’agenzia è ugualmente investita da una caratterizzazione parodistica. Negli anni Szeemann dota le sue lettere di una vasta gamma di timbri (fig. 29) che recitano frasi come "Meine Agentur liebt Sie" ("la mia agenzia vi ama"), o saluti come "Wie geht es Ihnen" ("Come sta?")240. Anche le missive ufficiali del Musée d’Art Modern broodthaersiano hanno un’impostazione formale scherzosamente solenne, ma per il peculiare uso dei timbri Szeemann si avvicina soprattutto a un altro artista di quel periodo che ben conosce e che includerà nelle successive mostre da lui organizzate: Ben Vautier. Dall’inizio degli anni ’60, in pieno spirito Fluxus, Ben utilizza una serie di tampons (timbri, fig. 30) simili a quelli del curatore svizzero per le sue azioni di impossessamento, che spesso recano messaggi elusivi come "Ben doute de tout y compris de...", "il faut communiquer tout y compris...", "la verité est que..."241. L'artista francese affermerà in seguito di aver voluto sperimentare lo strumento favorito del potere, e di essere arrivato a domandarsi se «ce qui sépare l'homme de l'animal n'est pas le tampon»242. Un uomo che nell'era moderna diventa, sempre secondo Ben,

239 F. Pinaroli, "The Agency for Intellectual Guest Labour", in Harald Szeemann: individual methodology,

materiali a c. di F. Derieux, JRP Ringier Kunstverlag, Zurigo-Grenoble-New York 2007, pp. 63-75, qui p. 70.

240 D. Chon, "Harald Szeemann's Museum of Obsessions, between parody and consecration", in Harald Szeemann:

Museum of Obsessions, materiali a c. di P. Glenn, Getty Research Institute, Los Angeles 2008, pp. 89-107, qui p.

93.

241 “Ben dubita di tutto, compreso…”, “bisogna comunicare tutto, compreso…”, “la verità è che…”.

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homo tamponus243. La vicinanza di questi personaggi come Marcel Broodthaers o Ben Vautier influenza Szeemann, e inquadra il suo operato in una cornice storica precisa che ne dimostra l’attualità e la coerenza con i tempi in cui si inserisce, quando la critica istituzionale diventa una materia di confronto per molti artisti su scala internazionale.

fig. 29 fig. 30