Capitolo I. Harald Szeemann alla Kunsthalle
2. La Kunsthalle di Berna Accenni storici e la nomina di Harald Szeemann
A 28 anni Szeemann diventa uno dei direttori di museo più giovani di sempre. L’istituzione per cui lavora ha una storia lunga e significativa, e si rivela il trampolino di lancio perfetto per il giovane curatore.
Francesco Poli definisce nei seguenti termini il concetto di Kunsthalle: «con il termine Kunsthalle si definisce un edificio con uno spazio architettonico appositamente concepito per esposizioni d’arte temporanee; un tipo di istituzione senza collezioni permanenti, a differenza dei musei»168. È un modello di fondazione nato verso la fine dell’Ottocento nell’Europa del Nord (si vedano i casi di Brema, Amburgo o Düsseldorf), e sviluppatosi nel XX secolo come spazio adibito soprattutto a una promozione non commerciale dell’arte contemporanea. Nel 2018 un volume curato da Peter Schneemann, Localizing the contemporary: the Kunsthalle Bern as a model, uscito in occasione del centenario della fondazione, ha ricostruito le diverse fasi della sua esistenza. Nel primo decennio del Novecento si comincia a discutere della necessità di dotare la capitale svizzera di un’istituzione che stimoli la crescita della scena artistica locale mantenendo intatto lo spirito cosmopolita della città. È nell’ottobre del 1918 che viene inaugurato l’edificio della Kunsthalle, simbolo della cooperazione fra l’associazione di artisti del luogo e dell’amministrazione cittadina borghese. Schneemann scrive che «the historic building [...] represents and materializes nothing less than the very concept of a kind of public space that enables all the utopian thoughts of a mutually beneficial relationship between art and society»169. Il carattere con cui nasce è di sostegno all’arte come fenomeno sociale, nella sua dimensione collettiva, con un’idea democratica che coniuga la necessaria indipendenza degli artisti, il loro bisogno di una realtà extra-commerciale, e il beneficio che l’attività artistica reca
167 L. De Domizio Durini, Harald Szeemann: il pensatore selvaggio, Silvana Editoriale, Milano 2005, p.58. 168 F. Poli, Mettere in scena l'arte contemporanea: dallo spazio dell'opera allo spazio intorno all'opera, Johan &
Levi, Roma 2016, p. 123.
169 «L’edificio storico rappresenta e materializza il concetto stesso di spazio pubblico che rende possibile tutti i
pensieri utopici di una relazione mutualmente benefica fra arte e società». P.J. Schneemann, Localizing the
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alla vita comune della popolazione. Nella storia degli spazi indipendenti che caratterizzerà in maniera più decisa la seconda parte del XX secolo il modello della Kunsthalle si pone come un importante precedente, e l’esempio di Berna è sicuramente fra i più interessanti. Anche perché all’epoca era l’unico ambiente espositivo fondato da artisti, che riescono con i propri sforzi a finanziarne la costruzione, e ne mantengono nel tempo il 51% degli interessi.
Come già avvenuto nel XIX secolo con il Palazzo della Secessione di Olbrich a Vienna, la Kunsthalle, nata essenzialmente come spazio indipendente, entra presto a far parte del panorama urbano. L’edificio, progettato nel suo aspetto finale dagli architetti Klauser e Streit, coniuga alla funzionalità della struttura cubica del padiglione espositivo temporaneo di fine XIX secolo, per cui proprio il Secessionsgebäude viennese potrebbe essere un modello, l’austerità del tempio neoclassico (fig. 2-3). Lo spazio, con la sua organizzazione razionale, si impone nella geografia bernese, come una severa cornice che si contrappone nella propria stabilità alla natura effimera delle proprie decorazioni, le mostre temporanee. Schneemann commenta a riguardo: «Explicitly planned as a structure for temporary exhibitions, it developed a unique quality as a kind of stable counterpart to the transitory interventions and positionings that it housed»170.
Fig. 3 Il progetto della Kunsthalle nel 1916 Fig. 2 La Kunsthalle negli anni ’60
Harald Szeemann interviene in questa storia riuscendo a stravolgere le carte in tavola. In un edificio concepito sostanzialmente per esibizioni di pittura e di scultura, organizza nei nove anni della sua direzione mostre con artisti che spesso lavorano direttamente sulla cornice, sul sito espositivo in quanto tale. Lo spirito con cui è nata la Kunsthalle è rispettato in maniera
170 «Esplicitamente progettata come struttura per le mostre temporanee, sviluppò una qualità unica di controparte
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ligia171, ma come mai prima essa si trasforma in radicale laboratorio per la sperimentazione contemporanea, e il giovane curatore è il primo a problematizzare la natura del luogo dandole un valore innovativo. Un impegno che non troverà sempre l’appoggio della comunità bernese e del Kunstverein locale, con cui i rapporti si incrinano negli anni. Ma la passione di Szeemann per il contemporaneo nasce proprio dal piacere di mettere in discussione il modello prefissato, di esplorare la creatività in una dimensione non ancora socialmente affermata. «È per questo che non posso fare mostre come I dieci capolavori dell’Impressionismo, perché in quel caso i quadri si possono mettere come si vuole sul muro, la gente va a vederli, è già accettato, è già una conferma del senso della proprietà nel cervello della gente»172 afferma in un’intervista, in cui aggiunge che i luoghi culturali, nella sua visione, devono essere usati per cambiare «attraverso strategie pacifiche come l’arte» gli schemi mentali di origine sociale presenti nella mente dei visitatori. Alla Kunsthalle di Berna trova proprio questo spazio, che dopo le ultime direzioni è pronto per il salto di qualità.
Nel secondo dopoguerra sono due i direttori che precedono Szeemann. Arnold Rüdlinger, che dirige la Kunsthalle fra il 1946 e il 1955, e Franz Meyer, che ne prende le redini fino al 1961. In quindici anni i due coprono gran parte del panorama delle avanguardie occidentali storiche e recenti con le proprie mostre, che contribuiscono alla formazione di Szeemann, ma gli lasciano una certa libertà nel raccogliere il testimone: «Quando sono arrivato alla direzione non dovevo più occuparmi del passato e ho potuto continuare»173. Rüdlinger comunica a Szeemann la decisione di Meyer di lasciare il posto da direttore, ma gli sconsiglia di avere a che fare con il comitato di artisti che gestisce la Kunsthalle. Da Parigi Szeemann ritorna subito a Berna e fa visita a diciassette membri del comitato. L’entusiasmo della sua giovane età fa breccia: «I was elected: the world’s youngest museum director, the first Catholic director in Protestant Bern. There were some similarities to John F. Kennedy…»174.
Già nel periodo bernese Szeemann comincia a tratteggiare la figura professionale del moderno curatore. Non è una rivoluzione che compie da solo: in una traiettoria che guarda soprattutto al
171 Nel catalogo della prima mostra nel 1919 si legge: «The Kunsthalle [...] seeks to offer the public, over a period
of time and to the extent possible, a broader view of contemporary art. In light of this objective, it seems appropriate to present works which, although their aesthetic value may still be a matter of dispute, must nonetheless be regarded as significant factor that have contributed to the progress of art. Acceptance of a work for exhibition at the Kunsthalle implies no judgement. It is up to viewers, in keeping with their tastes and sensibilities, to come to terms with the works presented here». T. Bezzola, Harald Szeemann: with by through because towards despite, cit., p. 23.
172 A. Stazzone, Harald Szeemann: l'arte di creare mostre, Logo Fausto Lupetti, Bologna 2014, p. 53. 173 Ivi, p. 37.
174 «Sono stato eletto: il più giovane direttore di museo del mondo, il primo direttore cattolico della Berna
protestante. C’era qualche similitudine con John F. Kennedy…». T. Bezzola, Harald Szeemann: with by through
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Nord Europa, simile a quella che si è studiata per la generazione di Broodthaers che da CoBrA giunge a Beuys, il clima è di assoluta collaborazione internazionale. «The financial situation – both personal and public – was desolate. My whiskey consumption took care of my salary in no time, and as far as the Kunsthalle was concerned, the only solution for me was to develop cooperative projects with other institutions»175: Szeemann, con la sua solita ironia, la racconta prima di tutto come una situazione di necessità. Ma ciò che unisce realtà come la Kunsthalle di Berna, il Moderna Museet di Stoccolma, lo Stedelijk Museum di Amsterdam e il Kunstverein di Düsseldorf è la linea di pensiero comune di questi spazi espositivi e dei loro direttori. Una simile sensibilità, una consapevolezza condivisa del momento storico vissuto.
Pontus Hultén è il direttore del Moderna Museet dal 1958 al 1973. Di lui Szeemann apprezza fin da subito la volontà di rompere gli schemi e la vita a stretto contatto con gli artisti della sua generazione. Egli stesso padre della curatela moderna, capace di rendere Stoccolma una delle capitali dell’arte occidentale nella seconda metà del XX secolo, Niki de Saint Phalle diceva a suo riguardo: «he has the soul of an artist, not of a museum director»176. Willem Sandberg
invece dirige lo Stedelijk Museum dal 1945 al 1962. Altro nome imprescindibile nella storia dei curatori, porta avanti la propria attività guidato dall’ideale dell’unione di arte e vita e dalla volontà di rendere il museo qualcosa di più di un semplice cimitero per una collezione permanente. Szeemann li conosce all’inizio degli anni ’60, e comincia con loro una collaborazione che fa viaggiare le mostre da un’istituzione all’altra. L’autorevolezza di questi determinati direttori-curatori lega indissolubilmente i loro nomi alle istituzioni che dirigono. Negli anni ’60 non si va alla Kunsthalle, al Moderna, allo Stedelijk: si va da Szeemann, da Hultén, da Sandberg.
I tre, come Karl-Heinz Hering a Düsseldorf, sono uniti da una stessa volontà di mettere in crisi l’aura di santità che nei decenni precedenti le istituzioni museali hanno mantenuto. Non per un desiderio di ribellione fine a sé stesso, ma per offrire uno spazio di espressione al passo coi tempi a una generazione con nuovi bisogni e messaggi da conferire.
Le prime mostre di Szeemann che si considereranno non rispecchiano però questo sostegno internazionale alle nuove sperimentazioni artistiche, ma raccontano già in parte la complessità e la sistematicità del progetto culturale che il curatore svizzero realizzerà nel corso della propria carriera.
175 «La situazione finanziaria, sia personale che pubblica, era desolante. Il mio consumo di whiskey si prendeva
cura del mio salario in un attimo, e per quanto riguarda la Kunsthalle, l’unica soluzione era per me sviluppare progetti di cooperazione con altre istituzioni». Ivi, p. 27.
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