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Capitolo II. Szeemann curatore indipendente

4. Il Museum der Obsessionen

Szeemann racconta l'aneddoto dell'ideazione del suo Museum der Obsessionen come un’illuminazione improvvisa. Il lunedì dopo Pasqua del 1973, durante una vacanza italiana nel piccolo paese di Loreo, sul delta del Po, sta bevendo champagne sulla barca dell'artista Guy Harloff con suo figlio: improvvisamente lo colpisce l’idea di fondare un’istituzione fittizia303. Sono passati sei mesi dalla chiusura di documenta 5, e il curatore svizzero sente di avere ormai chiuso un capitolo importante della propria carriera. Kassel è stata un prestigioso banco di prova internazionale dove Szeemann ha potuto accostare tutte le tematiche che fino ad allora lo hanno coinvolto. A 40 anni sente già il bisogno di fare un bilancio, di ragionare sulla propria eredità, di trovare un luogo dove preservare il proprio lascito fragile. Niente di meglio di un’istituzione immateriale per un patrimonio immateriale.

301 Ibidem. 302 Ivi, p. 64.

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Il Museum der Obsessionen è lo spazio di archiviazione di tutte le sue mostre passate, presenti, e future. L'impostazione del museo non è solo retrospettiva ma anche anticipatrice. Ma non è un luogo fisico: il Museum esiste solo nella testa del suo fondatore. Dopo cinque anni di esistenza, l’Agentur con un’ulteriore operazione fittizia stringe un legame di collaborazione con un’istituzione museale. Completando un percorso iniziato a documenta, dove si registra già un ritorno al museo. Szeemann scrive a riguardo: «In physical terms the museum for me is no longer the ambivalent place that it was in the late 1960s. It is a place where fragility can be preserved and where an ever-changing sum of speculation with various sources of nourishment struggle for visualization»304. I rocamboleschi tardi anni ’60 con le loro proteste, terreno fertile anche per la fondazione del Musée d’Art Moderne di Broodthaers, sono finiti: il Museum der Obsessionen non è un gesto di critica istituzionale ma un serio tentativo di immaginare un luogo utopico per la sopravvivenza di un’arte fragile. Szeemann parla di una speculazione che cerca di essere visualizzata: la mostra, come incarnazione del museo, vive per la maggior parte del tempo nella mente del curatore, che speculando ne delinea i tratti. Solo in un secondo momento, in un arco spazio-temporale circoscritto, essa prende forma concretamente: ottiene una visualizzazione. Il museo nella sua interezza non può essere realizzato, la sua costruzione è ontologicamente (oltre che finanziariamente) impossibile.

L’oggetto del museo sono le ossessioni. Un termine carico di storia nel campo della psicoanalisi: Freud in particolare dedica ad esse il saggio Ossessioni, fobie e paranoia. La paranoia secondo lo psicanalista viennese è il frutto di un processo di sostituzione: a un'idea intollerabile che opprime un soggetto, che deriva da un episodio di vita reale (Freud considera soprattutto esperienze angosciose della vita sessuale dei pazienti), l'individuo risponde sostituendo ad essa un'altra idea (per l’appunto sostitutiva), un'azione o un impulso. Il sostituto del pensiero o dell’anamnesi che scatenano nell’individuo uno stato emotivo insopportabile per sopravvivere deve esistere continuativamente: da qui la nascita dell’ossessione. Il caso più celebre citato da Freud nel suo studio è quello della misofobia, la donna che «si lavava continuamente le mani e toccava le maniglie delle porte soltanto con il gomito»305, cercando come Lady Macbeth di recuperare la purezza morale «della cui perdita ella si doleva»306.

304 «In termini fisici il museo non è più per me il luogo ambiguo che era alla fine degli anni ’60. È un posto dove

la fragilità può essere conservata e dove una speculazione in continua evoluzione con varie fonti di nutrimento lotta per la visualizzazione». H. Szeemann, "Museum of Obsession", in Harald Szeemann: Museum of Obsessions, cit., pp. 91-97, qui p. 91.

305 S. Freud, Ossessioni, fobie e paranoia, tr. it. C. Balducci e D. Agostino, Newton Compton, Roma 2010, p. 33. 306 Ibidem.

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Szeemann recupera consapevolmente il termine ossessione, ma per conferirgli un senso primitivo, prefreudiano. La definisce come un'unità di energia prefreudiana, incurante di come la società giudichi le sue espressioni e le sue traduzioni nella realtà, che siano esse positive o negative, benefiche o dannose307. Le ossessioni sono un altro strumento teorico, complementare alle attitudini, alle mitologie individuali, e che sfoceranno nel concetto di intenzioni intense, con cui Szeemann indaga alle origini antropologiche dell’attività artistica. Non sono da intendere in senso clinico, ma come sintomo dell'agire estetico. E si dividono in due categorie. Ossessioni primarie, legate ai quattro elementi basilari - fuoco, acqua, terra e aria - che originano creazioni materiali naïves (Szeemann cita la piromania, o i protagonisti dell’Art Brut). E ossessioni secondarie o riflesse, che si manifestano nelle ordinarie opere d'arte, dove gli autori tramutano il sentire interno in un sistema di segni codificato (quello della mitologia individuale), in una scrittura cifrata, per recuperare un’espressione di Cassirer relativa al linguaggio della coscienza mitica.

Il Museum der Obsessionen vuole essere il ricettacolo protettivo di questa energia primitiva. Lucrezia De Domizio Durini lo definisce in questo senso «un teatro nel quale lo spettatore è sul palcoscenico e assiste alla trasformazione dell'ossessione primaria in secondaria, cioè alla sublimazione dell'energia e al recupero della memoria. È un insieme di esperienze, di storie vissute, di conoscenze che attraverso un flash-back trovano una dimensione totale, idilliaca di un'illusoria struttura»308. Come istituzione fittizia, il Museum ha una doppia caratterizzazione. Da un lato recupera l’aspetto parodistico dell’Agentur für geistige Gastarbeit, prendendosi gioco della burocrazia museale. Dall’altro sfrutta il paradigmatico potere consacrativo e convalidante del museo per legittimare la propria attività. Se già l’Agenzia ha proceduto a un’istituzionalizzazione di Szeemann, il suo museo si pone come naturale stadio successivo. Sono molteplici le fonti di ispirazione a cui il curatore ha fatto riferimento negli anni. L’Anfiteatro della Memoria dell’umanista cinquecentesco Giulio Camillo Delminio, un simile progetto speculativo e utopistico che si sarebbe dovuto tradurre nella costruzione di un luogo adibito alla conservazione, enciclopedica ante-litteram, di tutto lo scibile umano, grazie all’aiuto degli strumenti della scienza mnemonica. O il re di Baviera Ludovico II di Wittelsbach, grande mecenate (fra le altre cose sostenitore di Wagner), al contrario del quale Szeemann ammette ironicamente di non avere i soldi per costruire dei veri castelli, ma di essere semplicemente in grado di erigerne di temporanei (le sue mostre). Il simbolo del castello è ricorrente in Szeemann, a indicare la propria attività come una dimora personale: uno dei suoi

307 H. Szeemann, "Museum of Obsession", cit., p. 91.

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motti più enigmatici è “My Ray is my Castle”309. Una figura che lo avvicina all’immaginario

di Marcel Broodthaers: anche il Département des aigles è in origine un château des aigles310. L’altro ovvio punto di riferimento per Szeemann è l’esperienza di artisti che a livello internazionale in quegli anni creano dei musei personali, di cui a Kassel il curatore presenta una selezione nella sezione Museen von Künstlern. Broodthaers fra questi occupa una posizione speciale, e il Museum der Obsessionen condivide più di un aspetto con l’operato dell’artista belga. Il museo szeemanniano e il Musée d’Art Moderne non si svelano mai per intero, ma prendono forma come visualizzazioni temporanee (le mostre nel caso di Szeemann, le Sections nel caso di Broodthaers). Entrambi giocano ambiguamente fra una parodia istituzionale e burocratica e un uso strumentale del potere intrinseco al museo. Negli anni ’70 però sia Szeemann sia Broodthaers vivono la chiusura della roboante parabola della messa in discussione dell’autorità del museo, e sentono entrambi il bisogno di un ritorno all’ordine. O, perlomeno, di una sistematizzazione della propria opera. Così come Szeemann fonda il Museum der Obsessionen per regolarizzare e ordinare le proprie mostre, Broodthaers, chiusi i battenti del Département des Aigles, si dedica fino alla fine della propria carriera (quasi presagendo la fine precoce che lo attende) all’organizzazione di retrospettive: i Décor, sintesi conclusiva del proprio impegno nelle arti visive, ma anche sperimentazioni capaci di proporre novità nelle creazioni e negli allestimenti, tenendo così, come il museo di Szeemann, uno sguardo proiettato sia al passato sia al futuro.