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Section des Figures (Düsseldorf, 1972) Una temporanea oggettivizzazione della finzione

Capitolo III. La mostra come medium: una selezione di mostre di Marcel Broodthaers

2. L’inaugurazione del Musée d’Art Moderne

2.2. Section des Figures (Düsseldorf, 1972) Una temporanea oggettivizzazione della finzione

Nel 1971, il direttore della Kunsthalle di Düsseldorf, Karl Ruhrberg, insieme al giovane curatore Jürgen Harten, invitano Broodthaers a realizzare dentro al loro spazio espositivo una sezione del Musée d’Art Moderne – Département des Aigles. Sono passati tre anni dall’inaugurazione del museo fittizio, e fra pochi mesi avverrà la chiusura definitiva. La risposta dell’artista alla richiesta non tarda ad arrivare. In data 8 agosto 1971 scrive: «To the Director/ Dear Sir,/ In order to give concrete form to the project Musée d’Art Moderne, Département des Aigles, it is my intention to visit those museums where there are paintings, sculptures, objects, images relating to the iconography of the eagle»94.

Quello che ha in testa Broodthaers è il progetto più ambizioso che finora abbia avuto. A Düsseldorf vuole creare una grande esposizione che insceni la presenza della simbologia dell’aquila nel corso della storia. Per farlo vuole riunire quanti più oggetti e opere d’arte possibili raffiguranti un’aquila negli spazi della Kunsthalle. La sua metamorfosi da artista a curatore è completa. Nella lettera citata, inviata a Ruhrberg, cita i musei che intende visitare per andare alla ricerca di ciò che vuole esporre. Il Louvre, il British Museum, i musei di Göttingen,

94 «Al direttore,/ Gentilissimo,/ per dare forma concreta al progetto Musée d’Art Moderne, Département des

Aigles, è mia intenzione visitare quei musei dove ci sono quadri, sculture, oggetti, immagini relative all’iconografia dell’aquila». in G. Moure Cao, Marcel Broodthaers: collected writings, cit., p. 328.

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Monaco, Berlino. Leggendo questa lettera si ha l’impressione di sbirciare dentro l’agenda di un curatore che ha il compito di realizzare una mostra tematica.

Creare una mostra per un curatore significa visitare quante più collezioni possibili e scovare tutto ciò che possa servire al proprio racconto. Esattamente quello che fa Broodthaers, che scrive: «In addition, it is also my intention to get in touch with a zoology expert in order to find out about the life of the bird. As it is an endangered species, I want to know what has been done to protect it. I think this issue has taken an interesting turn in Sweden as the eagle has been the direct victim of industrial pollution caused by paper manufacture»95. Nella fase embrionale della progettazione, Broodthaers ragiona anche su come inserire il racconto che vuole fare nella propria epoca contemporanea. Nell’estate del 1971 ha in mente uno studio approfondito dell’iconografia e dell’iconologia dell’aquila, e una riflessione su come questa si inserisca nella società in cui vive. Un viaggio nel tempo che diventerà il tratto distintivo della mostra di Düsseldorf e di altri suoi allestimenti futuri.

Il 16 maggio 1972 apre la mostra Der Adler vom Oligozän bis heute (“L’aquila dall’Oligocene a oggi”). Rimarrà aperta meno di un mese, fino al 9 giugno. L’aspetto finale dell’esibizione consiste in un raggruppamento non gerarchico e non cronologico di elementi di varia natura, presi in prestito da quarantaquattro diverse istituzioni: musei pubblici, collezioni private, oggetti di proprietà dell’artista. Si va dai frammenti di vasi di culture antiche ai quadri di epoche diverse, da tappezzerie di vario tipo a oggetti della contemporaneità (telefoni, macchine da scrivere, bicchieri, bottiglie di birra). Unico criterio, che sia presente un’aquila, che per la prima volta diventa davvero la protagonista assoluta del Dipartimento a lei consacrato.

Dentro le vetrine o appese ai muri, a fianco di ciascun oggetto è applicata una targhetta metallica che in tre lingue ammonisce lo spettatore sulla sua natura: «Dies ist kein Kunstwerk, Ceci n'est pas un objet d'art, This is not a work of art». Il visitatore può perdersi in questo grande allestimento passando dalla contemplazione di piccola bigiotteria medievale ad un vaso ottocentesco appoggiato su una scatola per imballaggi (un richiamo alla prima versione del Musée), da un’aquila impagliata a bottiglie di spumante marca Aigle con relativi tappi appoggiati di fianco.

Concettualmente potrebbe sembrare un’accumulazione spontanea, non ragionata e di ispirazione surrealista. Proprio i surrealisti sono fra i primi a proporre delle mostre concepite

95 «Inoltre, è anche mia intenzione entrare in contatto con un esperto di zoologia per avere informazioni riguardo

alla vita dell’uccello. In quanto specie in pericolo, voglio sapere cosa è stato fatto per proteggerla. Penso che questa faccenda abbia preso una declinazione interessante in Svezia, dove l’aquila è stata vittima diretta dell’inquinamento industriale causato dalla manifattura della carta». Ibidem.

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come opere nel loro insieme. Si considerino la mostra di Parigi del 1938 o quella di New York del 1942, in cui fra gli organizzatori c’è un Duchamp nelle vesti di proto-artista-curatore: il principio di sovrapposizione arbitraria delle opere e di sconvolgimento della percezione e dei canoni espositivi presenti nell’immaginario dei visitatori era il mezzo espressivo principale scelto dagli artisti. La mostra di Broothaers invece è ordinata: le vetrine si succedono una dopo l’altra e le “opere” sono fruibili in tutta tranquillità. Le targhette degli oggetti indicano un numerino che si può comodamente ritrovare sul catalogo per ottenere qualche informazione a riguardo.

Solo un particolare, fondamentale, manca apparentemente all’insieme: una vera coesione. Il lavoro dell’artista sta proprio qui: nel mimare la pratica normale di un curatore, stravolgendone il senso. Borgemeister e Cullens scrivono a riguardo:

The old order, the apparently self-evident taxonomy of cultural specimens, has been fractured. The principle of classification that formerly contained them has been exposed as a fiction. Its place is taken - but undogmatically, merely as an example, with no claims to permanence - by another equally fictional order, but one that is clearly dependent on the subject, "heterarchical," not hierarchical. Not only is the idea of what constitutes art revealed as a lie, or at any rate a fabricated truth, but the fundamental system of our culture, the rules that govern the demarcation of the system's subdivisions, are interrogated in relation to hierarchical structure96.

I due studiosi sottolineano alcuni aspetti importanti dell’operazione di Broodthaers. L’artista preleva oggetti da collezioni diverse, che sono normalmente inseriti in un racconto museale tassonomico e pedagogico, e importandoli nel proprio museo fa luce sulla finzione che sta dietro ad ogni esposizione istituzionale. La collezione di un museo è una verità prefabbricata, convenzionale. Finendo in una nuova istituzione, quella fittizia fondata da Broodthaers, le opere assumono un valore nuovo e diventano parte di una nuova verità artificiale, quella stabilita dall’artista.

Borgemeister e Cullins si soffermano sull’arbitrarietà e sull’aleatorietà dell’esposizione di Broodthaers. È vero: Section des Figures è una mostra temporanea che dopo meno di un mese viene smantellata. Ha una temporalità ridotta, e parte del suo senso sta nella critica intesa come

96 «Il vecchio ordine, la tassonomia di campionature culturali apparentemente auto-evidente è stata fratturata. Il

principio di classificazione che prima li conteneva è stato mostrato come una finzione. Il suo posto è stato preso, ma non in maniera dogmatica, ma come un esempio, senza una richiesta di permanenza, da un altro ordine egualmente fittizio, ma uno che è chiaramente dipendente dal soggetto, “eterarchico”, non gerarchico. Non solo l’idea di cosa costituisce l’arte è mostrata come una bugia, o ogni tipo di verità prefabbricata, ma il fondamentale sistema della nostra cultura, le regole che governano la demarcazione fra le suddivisioni del sistema, sono interrogate in relazione alla struttura gerarchica». in R. Borgemeister e C. Cullens, Section des Figures: The Eagle

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rivelazione dei meccanismi di funzionamento della mediazione dell’arte. Ma il senso di questo lavoro non si risolve nella pura critica: Broodthaers lavora realmente come un curatore, e crea realmente una nuova collezione esposta con un senso logico. I criteri di messa in mostra sono magari antitetici a quelli tradizionali, ne sono la parodia, ma sono comunque presenti e definiscono quel legante che manca all’apparenza. Un ordine nel disordine. Dallo studio del soggetto della mostra, all’insieme delle operazioni burocratiche per assicurarsi i prestiti dalle varie collezioni, dalla rete di relazioni intessute con pubblico e apparato istituzionale, alla cura dell’allestimento, Broodthaers si muove come un vero e proprio curatore indipendente. Vale a dire quella tipologia di curatori freelancer, non legati con un contratto a una specifica istituzione, ma chiamati di volta in volta a ideare una mostra per qualsivoglia museo o fondazione artistica (come successo nel caso di Broodthaers, chiamato da Ruhrberg e Harten a Düsseldorf).

Foto dalla Section des Figures a Düsseldorf, 1972

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Per Der Adler von Oligozän bis heute Broodthaers cura ogni aspetto. Si è vista la parte curatoriale, ma si potrebbe parlare anche di un artista nelle vesti di sociologo, di presentatore, di zoologo quasi. L’opera d’arte sta nell’insieme che la mostra rappresenta. In esso, un ruolo rilevante è giocato anche dal catalogo. Broodthaers lavora molto sui due volumi che accompagnano la mostra. Consapevole del carattere effimero proprio alla sua operazione, per

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cui non rimangono che foto e filmati, ha pensato di voler lasciare nel catalogo un testimone fedele del lavoro svolto. Per questo i due libri presentano una precisione e uno zelo nell’organizzazione che la mostra nella realtà non sempre aveva.

fig. 24 fig. 25 fig. 26

I due volumi in copertina mostrano, sotto l’immagine di un oggetto estratto dalla mostra, l’elenco dei musei che hanno concesso i vari prestiti. Sul primo in particolare campeggia la foto di tre uova (fig. 24), con un relativo cartellino a indicarne la natura: due di falco, uno di aquila. Già un elemento di contrasto rispetto alla mostra, in cui tutto quello che è esposto è accompagnato semplicemente dalla targhetta che recita “questa non è un’opera d’arte”, senza alcuna ulteriore spiegazione. «Der Adler vom Oligozän bis heute - Marcel Broodthaers zeigt eine experimentelle Ausstellung seines Musée d'Art Moderne, Département des Aigles, Section des Figures» (“L’aquila dall’Oligocene a oggi – Marcel Broodthaers esibisce una mostra sperimentale del suo Musée d’Art Moderne”) è la scritta (fig. 25) che compare in seconda pagina.

Esattamente come un curatore che firma nelle prime pagine il catalogo di una mostra per indicare che si tratta di una sua creazione, così Broodthaers sottolinea da subito il suo ruolo nell’ideazione di questa “mostra sperimentale”. Segue la foto a tutta pagina (fig. 26) di un’aquila dello zoo di Anversa. Che fa seguito alla citata lettera a Ruhrberg del ’71, ed è un elemento autobiografico (da fotografo Broodthaers si recava spesso allo zoo di Anversa).

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fig. 27

Si susseguono due brevi testi introduttivi di Broodthaers e Ruhrberg, e due pagine (fig. 27) a riassumere quello che dovrebbe essere il senso della mostra: von Oligozän, con il disegno di un’aquila primitiva e una breve nota descrittiva in inglese, Bis heute, con il logo stilizzato della Mercedes. Il percorso cronologico preciso che si presume da queste prime pagine non rispecchia ovviamente l’organizzazione della mostra. Nella Einführung (introduzione) Harten scrive: «Dass ein Künstler nach eigenen Gesichtspunkten eine thematische Ausstellung aus großenteils kunsthistorischen, archäologischen und ethnographischen Museumbestanden aufbaut, wie Marcel Broodthaers es jetzt als Konservator eines fiktiven Museums quasi unter Kollegen getan hat, ist meines Wissens ein Novum»97. Il curatore di Düsseldorf sottolinea la novità dell’operazione di Broodthaers, che definisce Konservator invece che Kurator (ma si può spiegare questa scelta di lessico contestualizzando il testo).

fig. 28

97 «Che un artista costruisca dal suo punto di vista una mostra tematica da grandi collezioni storico artistiche,

archeologiche e etnografiche, come ha fatto Marcel Broodthaers in quanto conservatore del suo museo fittizio quasi come un collega, è dal mio punto di vista una novità». in M. Broodthaers e J. Harten, Der Adler vom Oligozän

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Successivamente prende parola Broodthaers (fig. 28): la scritta METHODE e una freccia che invita a voltare pagina, e la riproduzione grafica delle targhette trilingue presenti nella mostra con relativa spiegazione («Diese Inschrift aus Kunststoff sind jedem Ausstellungsstuck beigeben. (Die Inschriften illustrieren eine Idee von Marcel Duchamp und René Magritte»98). Nella pagina successiva approfondisce la questione in qualche riga, in un testo intitolato ancora METHODE «Ganz gleich, ob es sich um ein mit R. Mutt signiertes Urinoir handelt oder um ein Objet trouvé, jeder beliebige Gegenstand kann in den Rang eines Kunstwerkes erhoben werden. Der Kunstler definiert diesen Gegenstand so, dass dessen Zukunft nur noch im Museum liegt. Seit Duchamp ist der Kunstler Autor einer Definition»99.

Broodthaers vuole approfondire e omaggiare l’eredità di Duchamp, e dimostra di aver capito a fondo la portata del suo lavoro. La Fontaine è una di quelle opere entrate talmente nel mito che si tende a scordarne la storia. La Society for Independent Artists sta organizzando nel 1917 la First Annual Exhibition a New York. Duchamp interviene nell’organizzazione, ottenendo che nessun criterio qualitativo sia applicato nella selezione degli artisti (basterà un’iscrizione e il pagamento di un contributo)100, e che le opere siano esposte seguendo l’ordine alfabetico dei nomi degli autori. E al comitato decisionale invia, sotto pseudonimo (R. Mutt) il celebre gabinetto. Che viene rifiutato, e quindi mai messo in mostra. Circa un mese dopo, sempre anonimamente pubblica un messaggio in difesa di Mr. Mutt, in cui si legge: «Whether Mr. Mutt with his own hands made the fountain or not has no importance. He CHOSE it. He took an ordinary article of life, placed it so that its useful significance disappeared under a new title and point of view - created a new thought for that object».

È la nascita dell’idea di readymade, o objet trouvé (definizione usata da Broodthaers nel catalogo). L’opera scompare dopo il 1917, e Duchamp non la esibirà più, se non nella sua Boîte- en-valise, il piccolo museo portatile che realizza alla fine degli anni ’30 contenente le sue maggiori opere riprodotte in miniatura. Fiumi di inchiostro sono stati spesi su questa opera. Un recente contributo molto interessante è stato dato da Elena Filipovic, esperta di exhibition studies, che nel 2016 ha pubblicato un volume che rilegge l’intera carriera di Duchamp in quanto ur-curator, artista-curatore ante litteram per eccellenza (The apparently marginal activities of Marcel Duchamp). Nel testo When Exhibitions become Form (un gioco di parole

98 «Queste iscrizioni in plastica sono affiancate ad ogni oggetto esposto. Queste iscrizioni illustrano un’idea di

Marcel Duchamp e René Magritte». Ivi, p. 12.

99 «Che sia un orinatoio firmato R. Mutt o un objet trouvé, qualsiasi oggetto può essere innalzato al rango di opera

d’arte. L’artista definisce l’oggetto così che il suo futuro risiede solo in un museo. Dopo Duchamp, l’artista è l’autore di una definizione». Ivi, p. 13.

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sul titolo della celebre mostra di Szeemann), Filipovic scrive: «The 'invention' of the readymade needed to be curated; in other words, it required a public exhibition, which it finally got in Duchamp's creation of an exhibition in a suitcase, La Boîte-en-valise (1938-42)»101. La sua tesi è che la scomparsa della Fontana dopo la mostra del 1917 sia dovuta al fatto che l’opera non sia mai stata esposta: perché sia percepita e considerata tale, un’opera deve essere mediata, musealizzata, curata (curated). Percezione che in questo caso comincia solo con la Boite: «Fountain’s first public appearance in the Boîte-en-valise fundamentally contributed to that operation»102. Alle parole di Filipovic se ne possono unire alcune di Gadamer da Verità e Metodo:

Il carattere di rapraesentatio dell'immagine è solo un caso particolare della rapraesentatio come evento pubblico. Ma il secondo momento, quello della rappresentazione nell'immagine, reagisce sul primo. Colui il cui essere è così essenzialmente caratterizzato dal mostrarsi non appartiene più a sé stesso. Per esempio, non può evitare di essere rappresentato in immagine, e poiché queste rappresentazioni determinano l'immagine che si ha di lui, alla fine egli dovrà mostrarsi come la sua immagine prescrive che appaia. È apparentemente paradossale, eppure è così: l'originale diventa tale solo in virtù dell'immagine- quadro; e d'altra parte l'immagine non è altro che il manifestarsi dell'originale103.

Parafrasando le sue indicazioni: per quanto possa sembrare paradossale, la Fontana di Duchamp acquista valore come opera d’arte nel momento in cui viene presentata come tale, così come l’oggetto della rappresentazione di un quadro acquista un’immagine solo nel momento in cui viene reso immagine. Nel caso di Duchamp siamo inoltre in presenza di due opere d’arte, fra cui l’esistenza di una (la Boîte-en-valise) legittima l’esistenza dell’altra (Fontaine).

Nel testo METHODE Broodthaers si dichiara interessato all’aspetto provocatorio e di sfida ai canoni dominanti di Duchamp, e come i suoi nuovi criteri, quelli di una libertà assoluta da parte dell’artista di scegliere i metodi espressivi della propria creatività, siano diventati nella sua epoca dominanti nel mondo dell’arte. La Section des Figures è un experimentelle Ausstellung: un esperimento curatoriale che dimostra la potenza della mediazione nella definizione di quanto è arte. Un potere in primo luogo nelle mani del curatore (come dimostra Broodthaers

101 E. Filipovic, "When Exhibitions become form: On the History of the Artist as Curator", in Exhibition, materiali

a c. di L. Steeds, The MIT Press, Cambridge Londra 2014, pp. 156-167, qui p. 161.

102 «la prima apparizione pubblica della Fontana nella Boîte-en-valise contribuì in maniera fondamentale a questa

operazione». in E. Filipovic, The apparently marginal activities of Marcel Duchamp, The MIT press, Cambridge 2016, p. 122.

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indossandone le vesti), che crea la possibilità di incontro fra opere d’arte e spettatori nel momento sociale della mostra, ponendosi come mediatore fra autori e pubblico. E in secondo luogo dell’artista, che dopo Duchamp diventa Autor einer Definition, legittimo autore di opere capaci di ridefinire l’idea di arte.

L’operazione di Duchamp è completata nel pensiero di Broodthaers da quella di Magritte, che ha il merito di aver intrecciato per la prima volta arte e linguaggio (con l’opera che nel catalogo appare dopo la Fontana sotto il titolo Der Verrat der Bilder, “Il tradimento dell’immagine”, 1938), concretizzando la possibilità per gli artisti di essere autori di una Definition. Il testo termina infatti con un consiglio di lettura: «Lesen Sie den Text von M. Foucault "Dies ist nicht eine Pfeife"»104, il saggio che Foucault ha dedicato al quadro di Magritte. Quasi a voler contraddire questa riflessione, in un gesto fra parodia e volontà di disorientare, Broodthaers aggiunge però le targhette recitanti “questa non è un’opera d’arte”. Il valore di questa asserzione cambia naturalmente a seconda dell’oggetto a cui è associata.

In Uhr mit Adler, un semplice orologio belga di inizio Novecento con sopra una statuetta in bronzo di un’aquila, probabilmente nessuno spettatore, anche il più duchampiano, avrebbe riconosciuto un’opera d’arte. Per la foto in bianco e nero di un dettaglio del Ratto di Ganimede di Rubens si potrebbero tirare in ballo considerazioni di benjaminiana memoria. Nel caso di Bocklin invece, di cui Broodthaers esibisce il quadro Die Freiheit, la questione sembrerebbe complicarsi. In un altro testo introduttivo nel catalogo Broodthaers scrive: «Das Publikum wird mit folgenden Kunstgegenstanden konfrontiert: Adlern aller Art, von denen ein Teil mit schwerwiegenden symbolischen und historischen Ideen befrachtet ist. Der Charakter dieser Gegenüberstellung ist bestimmt durch die negative Inschrift: "das ist kein... das ist kein Kunstwerk". Das heißt nichts anderes als: Publikum, wie bist Du blind!»105. Broodthaers chiede al pubblico di riconoscere tutti gli oggetti come simili in quanto accomunati dalla stessa definizione negativa. Duchamp nei suoi readymade preleva un elemento dalla realtà quotidiana e lo eleva a opera d’arte. Broodthaers musealizza oggetti di diversa natura, ma, a parole, nega a tutti l’acquisizione dell’aura di nobiltà che normalmente l’istituzione garantisce. Anche a quelli, come il quadro di Bocklin, che ne avrebbero pieno diritto.