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Il fenomeno della rilocalizzazione produttiva in Emilia-Romagna

Nel documento Rapporto 2016 (.pdf) (pagine 189-0)

- nell’arco temporale considerato il risultato d’esercizio complessivo è di segno positivo;

- nel periodo 2008-2015 hanno mantenuto o aumentato il numero degli addetti.

Si tratta, con ogni evidenza, di un criterio classificatorio arbitrario, avremmo potuto utilizzare altri parametri in aggiunta o in sostituzione di quelli adottati, per esempio la posizione finanziaria netta piuttosto che l’Ebitda o indicatori di redditività. La scelta di questa classificazione è l’esito di un percorso fatto di numerosi tentativi di incroci tra parametri differenti, al termine del quale si è convenuto che quelli adottati avessero sufficiente capacità discriminante e facilità interpretativa.

Nello specifico, riprendendo uno schema classificatorio già utilizzato in passato, le imprese sono state suddivise in quattro raggruppamenti:

1. RESILIENTI (sane): hanno risultati economici positivi (fatturato 2008-2015 in crescita e hanno generato utile nel periodo 2008-2015), hanno occupazione stabile o in crescita;

2. ATTENDISTE: hanno risultati economici negativi (fatturato 2008-2015 in calo oppure non hanno generato utile nel periodo 2008-2015), hanno occupazione stabile o in crescita;

3. INTERVENTISTE: hanno risultati economici positivi (fatturato 2008-2015 in crescita e hanno generato utile nel periodo 2008-2015), hanno occupazione in calo;

4. VULNERABILI (malate): hanno risultati economici negativi (fatturato 2008-2015 in calo oppure non hanno generato utile nel periodo 2008-2015), hanno occupazione in calo.

Le resilienti sono circa un quarto del totale delle imprese considerate, poco meno di un terzo rientra nel gruppo delle attendiste, le interventiste rappresentano il 6 per cento. Il gruppo più numeroso, il 37 per cento, risulta abitato dalle società vulnerabili, quelle che ancora non hanno recuperato i livelli pre-crisi, né per quanto riguarda i risultati economici né con riferimento all’occupazione.

Un terzo passaggio è consistito nella valutazione della correlazione tra attività svolta dall’impresa e classificazione del suo stato di salute. Il settore che presenta il maggior numero di imprese sane è quello

Risultati economici (fatturato in crescita e capacità di

creare utili)

Occupazione (numero di addetti uguale

o in crescita) RESILIENTI (sane)

ATTENDISTE INTERVENTISTE VULNERABILI (malate)

resilienti attendiste interventiste vulnerabili

Alimentare 33% 39% 7% 21%

Sistema moda 23% 30% 6% 41%

Legno, mobili 18% 31% 3% 49%

Carta, editoria 21% 27% 5% 46%

Chimica, gomma 32% 31% 7% 31%

Ceramica 15% 25% 5% 55%

Metalli 22% 29% 5% 43%

Elettricità-elettronica 32% 26% 7% 35%

Macchinari, app. meccanici 29% 33% 5% 33%

Mezzi trasporto 24% 29% 5% 42%

Altro manifatturiero 29% 32% 5% 34%

Totale manifatturiero 26% 31% 6% 37%

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dell’alimentare, dove un terzo delle società ha accresciuto i risultati economici e occupazionali, mentre solo un quinto delle aziende rientra tra quelle malate (vulnerabili). I comparti maggiormente colpiti dalla crisi sono quelli della ceramica e del legno.

Complessivamente vi sono alcune differenze nella distribuzione sane/malate all’interno dei vari settori, diversità che si amplificano aumentando la disaggregazione settoriale.

Tuttavia, si è visto che le analisi condotte nei successivi capitoli di questo studio hanno una valenza generale che – seppur con intensità differenti – sono ricorrenti in tutti i comparti. Per questa ragione – e sempre per coerenza con il vincolo della semplicità affermato in premessa – si è scelto di non riportare dati settoriali ma fare riferimento all’intero comparto manifatturiero.

Una volta individuato il set di imprese e i parametri che determinano la classificazione tra sane e malate si è cercato di capire cosa caratterizza le imprese di ciascun gruppo, oltre ai differenti risultati conseguiti. In altri termini, attraverso l’analisi di tutti i dati per impresa a disposizione si è proceduto ad un vero e proprio check-up, una batteria di esami alla ricerca delle caratteristiche ricorrenti all’interno dei gruppi che potessero essere assunte come tratti distintivi ed esplicativi dei differenti risultati economici e occupazionali.

I capitoli successivi sono il racconto del check-up, di tutti gli esami sostenuti alla ricerca dei sintomi che rischiano di degenerare in malattia, dei comportamenti che consentono di mantenersi in salute, così come delle azioni che possono portare ad una progressiva guarigione. Per ciascun esame effettuato, espresso non attraverso numeri ma graficamente, è associato il relativo referto.

Per chi fosse impaziente di conoscere subito lo stato di salute generale senza addentrarsi nei singoli esami si consiglia di passare direttamente al capitolo 14, quello del referto finale.

3.1.3. Come leggere il referto

Ciascun test riporta graficamente l’esito suddiviso per i quattro gruppi (resilienti, attendiste, interventiste e vulnerabili). A colore verde è associato un dato più elevato rispetto alla media generale, a colore rosso un valore inferiore. Se la differenza tra il valore del gruppo e quello complessivo è superiore/inferiore al 25 per cento il parametro esaminato è classificato come molto rilevante - quindi con forte capacità di determinare l’appartenenza a gruppi differenti - se superiore/inferiore al 10 per cento è classificato come rilevante, quindi ancora con capacità discriminante ma in misura inferiore. L’assenza di un colore sottintende un elemento che non incide nella determinazione dello stato di salute.

Attenzione nella lettura, non sempre il verde esprime un dato positivo, per esempio un rapporto debiti breve/debiti lungo di colore verde indica che il gruppo in esame presenta una esposizione debitoria a breve termine maggiore.

I numeri che sottostanno alla rappresentazione grafica non sono la media del gruppo, ma la percentuale di imprese che hanno superato il test. Per esempio la variazione degli addetti non è la variazione media degli addetti ma la percentuale di imprese che hanno aumentato l’occupazione nell’arco temporale 2008-2015. Oltre alla percentuale di imprese, sempre con rappresentazione grafica verde/rosso, sono riportati i posizionamenti dei valori mediani, preferiti a quelli medi in quanto ritenuti maggiormente esplicativi di fenomeni che presentano grande variabilità.

3.1.4. Esame numero 1. Dimensione e sistema relazionale

ANALISI ESAME 1.Il primo set di dati posti a confronto riguarda la dimensione d’impresa e la diffusione di reti formalizzate (gruppi, partecipazioni) tra aziende.

Analisi esame 1. Dimensione e sistema relazionale

3.3. Il fenomeno della rilocalizzazione produttiva in Emilia-Romagna 189

Un primo dato che emerge è la correlazione tra dimensione d’impresa e risultati economici ottenuti, ma non nella direzione immaginata. Non è vero il sillogismo piccola impresa-crisi o, all’opposto, grande impresa-crescita, la dimensione è sì rilevante, ma non nella determinazione del risultato finale. Ciò che la dimensione d’impresa condiziona sono le scelte strategiche delle aziende, da queste discende la capacità di essere competitive o meno, di rientrare tra le sane o tra le malate. Non sorprende, dunque, scoprire che nel 2008 le imprese resilienti erano più piccole rispetto alle altre, oppure che la quota di imprese resilienti tra le società con meno di 10 addetti è del 28 per cento, superiore al 20 per cento di resilienza delle imprese con oltre 50 addetti.

C’è un altro aspetto meritevole d’attenzione. L’appartenenza a un gruppo d’impresa non sembra essere un fattore che porta a risultati differenti, così come avere partecipazioni di controllo appare più una derivata delle scelte strategiche legate alla dimensione d’impresa piuttosto che un fattore di competitività.

Addetti. Valore mediano Valore della produzione (milioni euro). Mediana

REFERTO ESAME 1. L’esito di questo primo esame sembra smentire, almeno parzialmente, due luoghi comuni.

Il primo riguarda la correlazione tra dimensione e risultati. I dati indicano che per ottenere crescita economica e occupazionale non è necessario essere grandi, non è sul numero degli addetti o sul volume della produzione che si gioca la capacità di stare sul mercato. Oggi le imprese sane risultano un po’ più grandi delle malate, sia in termini di fatturato che di addetti, tuttavia non lo erano all’inizio della crisi. La crescita dimensionale, così come quella economica, si rivela essere più una conseguenza di altre scelte effettuate dalle imprese piuttosto che una delle ragioni alla base dei migliori risultati ottenuti.

Referto esame 1. Dimensione e sistema relazionale

Resilienti Interventiste

Imprese più piccole della media nel 2008 che diventano più grandi della media nel 2015

Imprese più grandi nel 2008, si confermano più grandi anche nel 2015.

Controllano altre imprese

Attendiste Vulnerabili

Erano più piccole nel 2008, lo sono ancor nel 2015 Non controllano altre imprese

Erano più grandi nel 2008, nel 2015 sono nella media per occupazione, più piccole per fatturato.

Un secondo mantra che ci ha accompagnato in questi anni e che sembra non trovare conferma nei numeri riguarda il sistema relazionale delle imprese. L’appartenenza a gruppi si rivela un elemento strategicamente non rilevante. Attenzione, va ricordato come il sistema relazionale delle imprese sia prevalentemente composto da una rete informale che sfugge all’esame dei dati, l’appartenenza ad un gruppo rappresenta solo la parte formalizzata e misurabile di questo sistema. Dunque, non sarebbe corretto affermare che il sistema relazionale sia ininfluente, semplicemente i dati a nostra disposizione non consentono di giungere a conclusioni definitive.

Ciò che si può affermare è che le imprese che sono capogruppo e che quindi controllano altre società hanno ottenuto migliori risultati economici rispetto a quelle che non hanno partecipate, spesso con effetti negativi per quanto riguarda l’occupazione. Resta da capire se il calo degli addetti sia stato compensato

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da una crescita occupazionale nelle partecipate. I dati a disposizione consentono di rispondere solo parzialmente a questo interrogativo, da un primo esame non risulta che le imprese capogruppo che hanno ridotto l’occupazione ne abbiano creata di nuova nelle società controllate.

5. Esame numero 2. Internazionalizzazione e commercio con l’estero

ANALISI ESAME 2.Una seconda batteria di indicatori riguarda il grado di internazionalizzazione delle imprese e la loro capacità di stare sui mercati esteri.

Le aziende con un azionista di riferimento straniero quali risultati hanno ottenuto negli anni della crisi?

La risposta è gli stessi delle altre imprese, non c’è una differente distribuzione tra sane e malate, tra resilienti e vulnerabili. Complessivamente le società emiliano-romagnole controllate dall’estero sono il 3,5 per cento delle 8mila imprese osservate e trovano maggior diffusione tra le interventiste. In quanto maggiormente presenti tra le interventiste hanno una maggior propensione a ridurre l’occupazione, un comportamento riconducibile alla maggior dimensione e non alla nazionalità dell’azionista di riferimento.

Nel determinare le traiettorie di sviluppo delle imprese avere partecipate all’estero rappresenta un elemento rilevante. L’11 per cento delle interventiste detiene quote di controllo in aziende straniere, contro il 5 per cento delle attendiste e delle vulnerabili.

L’export è da sempre raccontato come il vero spartiacque tra chi ce la fa e chi no. In anni in cui la domanda interna è rimasta immobile se non diminuita, molte imprese hanno trovato nei mercati esteri la strada per accrescere le vendite.

C’è un dato che conferma e rafforza questo racconto, il 63 per cento delle imprese considerate ha esportato almeno in un anno nel periodo considerato, percentuale che scende al 38 per cento tra le aziende che dal 2008 al 2015 hanno cessato l’attività.

Analisi esame 2. Internazionalizzazione e commercio con l’estero

Quota di fatturato export Variazione delle esportazioni (solo esportatrici) in termini reali, al netto dell’inflazione.

3.3. Il fenomeno della rilocalizzazione produttiva in Emilia-Romagna 191

Guardando all’interno delle 4 classificazioni non ci sono grandi differenze, la percentuale di imprese esportatrici va dal 56 per cento delle attendiste (le imprese più piccole) al 68 per cento delle interventiste (le società più grandi). La quota media di fatturato realizzata sui mercati esteri non presenta differenze apprezzabili nel 2008, nel 2015 emergono scostamenti non rilevantissimi a favore delle interventiste e delle resilienti.

Il numero che mostra una divaricazione sostanziale è quello che misura la capacità di aumentare il valore delle esportazioni: dal 2008 al 2015 la percentuale di imprese che ha incremento l’export supera il 60 per cento tra le resilienti e le interventiste, si attesta attorno al 35 per cento per le attendiste e le vulnerabili.

Il divario è ancora maggiore se si considera il tasso mediano di variazione: resilienti e interventiste aumentano l’export rispettivamente del 42 e del 23 per cento, attendiste e vulnerabili lo diminuiscono del 17 e del 30 per cento.

È interessante anche il dato delle imprese importatrici. Le categorie che comprendono le aziende con risultati economici positivi presentano una percentuale maggiore di imprese importatrici, così come risulta superiore e in crescita l’incidenza delle importazioni sui costi per gli acquisti delle materie necessarie alla produzione. L’apertura con l’estero è rilevante non solo per le vendite dei prodotti finiti, ma anche per l’acquisizione delle materie prime e di semilavorati.

REFERTO ESAME 2. L’esito di questo secondo esame inizia a delineare differenti percorsi di crescita e a far emergere fattori con forte potere discriminante tra imprese sane e malate.

Innanzitutto l’attività di internazionalizzazione più strutturata rispetto al solo export. Le aziende detenute da un azionista di riferimento straniero coì come quelle che controllano imprese all’estero – caratteristiche che si associano alle imprese di maggior dimensione - hanno adottato strategie volte alla crescita economica, talvolta anche attraverso processi delocalizzativi, con conseguente contrazione degli addetti a livello locale.

Di grande rilevanza è il commercio con l’estero, più precisamente la capacità di aumentare l’export. Le resilienti e le interventiste hanno messo in campo strategie che hanno consentito loro di incrementare le esportazioni e la loro quota di mercato estera, le attendiste e le vulnerabili non sono riuscite a conquistare nuovi mercati e, nella maggioranza dei casi, nemmeno a difendere quelli acquisiti in passato.

Nell’approvvigionamento dei beni che entrano nel processo produttivo – materie prime e/o semilavorati – diversificare il portafoglio fornitori anche attraverso le importazioni costituisce un aspetto premiante.

Referto esame 2. Internazionalizzazione e commercio con l’estero

Resilienti Interventiste

Nel 2008 presentano valori sul commercio estero simili alle altre, nel corso degli anni sono aumentate le esportatrici e il valore delle esportazioni.

Stessa dinamica per le importazioni

Hanno partecipate all’estero.

Hanno una maggior presenza di azionisti di riferimento stranieri.

Nel 2008 avevano già un’attività rivolta all’estero più articolata, nel corso degli anni hanno aumentato esportatrici e valore export. Stessa dinamica per l’import.

Molti degli esportatori e degli importatori sono abituali, commercializzano con l’estero ogni anno.

Attendiste Vulnerabili

Non hanno partecipate all’estero.

Nel 2008 erano meno attive sui mercati esteri, nel corso degli anni il numero delle esportatrici e delle importatrici è aumentato di poco, mentre il valore delle esportazioni e delle importazioni è diminuito

Nel 2008 presentavano dati import-export analoghi a quelli delle resilienti e delle interventiste, nel corso degli anni hanno ridotto il numero delle esportatrici e delle importatrici, con forte riduzione dei valori export e import.

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3.1.6. Esame numero 3. Innovazione e investimenti

ANALISI ESAME 3.Un altro racconto che ci accompagna in questa fase economica è quello che ha come protagonisti l’innovazione e gli investimenti. I dati a nostra disposizione consentono di tracciare un profilo parziale delle imprese innovatrici e investitrici, l’innovazione la riusciamo a cogliere solamente attraverso l’attività brevettuale e il deposito di marchi, degli investimenti ne cogliamo alcuni aspetti all’interno delle immobilizzazioni.

Complessivamente il numero delle imprese manifatturiere innovatrici è abbastanza alto, il 27 per cento, con percentuali più elevate per le interventiste e, a seguire, per le resilienti.

Nell’analisi degli investimenti, oltre alla situazione all’inizio della crisi e a quella finale, sono stati considerati gli investimenti complessivi realizzati in tutto l’arco temporale 2008-2015. L’esito del test indica che la quota delle immobilizzazioni sul totale delle attività non è un elemento differenziante, mentre qualche diversità emerge nella composizione dell’attivo immobilizzato. Per le attendiste gli investimenti finanziari rivestono maggior rilevanza, a scapito di quelli in impianti, macchinari e attrezzature. Al contrario le vulnerabili sembrano puntare soprattutto su beni materiali.

Analisi esame 3. Innovazione e investimenti

Come visto precedentemente, la caratteristica che maggiormente discrimina tra chi ce la fa e chi no è la dinamica, l’aver investito nel corso di questi anni.

Vediamolo nei numeri partendo dai dati di struttura: l’incidenza delle immobilizzazioni sull’attivo complessivo – considerando il valore mediano dell’intero periodo - si aggira attorno al 20 per cento per le resilienti e per le attendiste, fino a raggiungere il 24 per cento per le vulnerabili. Circa 4 punti percentuali di scarto, una differenza apprezzabile ma non tale da essere considerata selettiva.

Nel corso degli anni l’incidenza dell’attivo immobilizzato cresce per le società vulnerabili, diminuisce per gli altri raggruppamenti, ma non perché le vulnerabili abbiano investito di più, semplicemente perché l’attivo è diminuito.

Incidenza delle immobilizzazioni sul totale attivo Variazione delle immobilizzazioni in termini reali (al netto dell’inflazione)

I dati analizzati in serie storica confermano questa indicazione, le società che dal 2008 al 2015 hanno investito incrementando, in valore assoluto, le immobilizzazioni sono il 33 per cento tra le vulnerabili, il 65

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per cento tra le resilienti, un divario che è ancora più ampio se si guarda all’intensità della variazione, ampiamente positiva per resilienti e interventiste, negativa per attendiste e vulnerabili.

REFERTO ESAME 3. Investire fa la differenza. Analogamente a quanto visto per l’export, a rendere differenti le società resilienti da quelle vulnerabili non è il punto di partenza ma il percorso seguito in questi anni. Per le resilienti aumentare gli investimenti ha determinato un incremento di intensità superiore nel totale delle attività, così da garantire un maggior equilibrio tra circolante e immobilizzato.

Nelle vulnerabili e nelle attendiste alla contrazione delle immobilizzazioni si è associato un calo maggiore del circolante, determinando una progressiva rigidità degli impieghi, indice di possibili difficoltà strutturali.

In particolare nelle vulnerabili quasi un quarto delle società ha metà dell’attivo costituito da immobilizzazioni, percentuale che per oltre il 10 per cento delle imprese supera il 66 per cento.

Depositare brevetti e marchi è un fattore molto rilevante per le interventiste, non innovare è altrettanto rilevante, ma in senso opposto, per le attendiste. Anche in questo caso è facile ipotizzare che la maggior dimensione d’impresa che caratterizza le interventiste giochi un ruolo decisivo.

Referto esame 3. Innovazione e investimenti

Resilienti Interventiste

Più imprese investitrici con investimenti in crescita, in particolare per quanto riguarda macchinari e attrezzature

Più imprese innovatrici.

Più imprese investitrici con investimenti in crescita

Attendiste Vulnerabili

Meno imprese innovatrici.

Meno imprese investitrici con investimenti in calo.

Meno imprese investitrici con investimenti in calo.

3.1.7. Esame numero 4. Indicatori finanziari

ANALISI ESAME 4.Proseguiamo nel nostro check-up. Un altro tassello utile nel valutare lo stato di salute di un’impresa è la misura della sua capacità di autofinanziarsi e, all’opposto, la sua dipendenza da terzi e il relativo costo.

Analisi esame 4. Indicatori finanziari

Il ricorso all’autofinanziamento non evidenzia scostamenti rilevanti tra i gruppi, la quota di capitale proprio sul totale delle passività nel 2008 varia dal 23 per cento delle resilienti e delle attendiste al 27 per cento delle interventiste e delle vulnerabili.

A differenziarsi è, ancora una volta, la dinamica. Nelle imprese resilienti e interventiste si è registrata una crescita dell’incidenza del patrimonio netto - fino a raggiungere e superare il 30 per cento - e una conseguente riduzione del ricorso a capitale di terzi. Nelle società vulnerabili e attendiste la composizione delle passività è rimasta pressoché immutata. Tale dinamica ha portato un netto abbassamento per le

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resilienti e le interventiste dell’indice debt equity (indebitamento verso banche e fornitori rapportato al patrimonio netto), una crescita per le altre tipologie d’impresa.

Il rapporto tra indebitamento e risultato operativo comprensivo degli ammortamenti e accantonamenti (Ebitda) risulta – come prevedibile - correlato all’andamento economico dell’impresa, evidenziando valori minori per le imprese con risultati economici migliori.

L’esposizione bancaria rapportata al fatturato presenta delle differenze già nel 2008, con valori più modesti per le attendiste e le interventiste, più alti per le vulnerabili.

Scostamenti rilevanti riguardano il costo del denaro - calcolato come rapporto tra oneri finanziari e indebitamento bancario - e gli oneri finanziari sul fatturato. Nel 2008 le vulnerabili, più esposte verso le banche, mostravano un costo del denaro più elevato rispetto alle altre tipologie d’impresa, differenza che si è andata ampliando nel corso degli anni. Complessivamente, sia per le imprese sane che per quelle malate, si assiste ad una riduzione complessiva del costo del denaro, tuttavia per le imprese attendiste ricorrere al prestito bancario “costa” un punto percentuale in più, per le vulnerabili i punti percentuali di differenza sono quasi tre.

Incidenza del patrimonio netto sul totale passivo Costo del denaro. (oneri finanziari)/indeb. bancario

REFERTO ESAME 4. Sono due gli aspetti discriminanti che emergono dall’analisi degli indicatori finanziari.

REFERTO ESAME 4. Sono due gli aspetti discriminanti che emergono dall’analisi degli indicatori finanziari.

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