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Alcune considerazioni conclusive

Assegnista di ricerca in Juridical Sciences LUISS Guido Carl

5. Alcune considerazioni conclusive

Nel tentativo di trovare un’utile sintesi alle considerazioni che si è cercato di formulare e portando il ragionamento proposto nella più ampia prospettiva del processo di integrazione europea, è opportuno sottolineare che in più occasioni i giudici nazionali – e segnatamente le Corti costituzionali – hanno posto l’enfasi sul proprio giudizio rispetto alle decisioni assunte dalle Corti sovranazionali, valorizzando talvolta le peculiarità dell’ordinamento nazionale55, talaltra il carattere casistico della giurisprudenza europea56 e,

di conseguenza, la differenza strutturazione dell’ordinamento interno rispetto a quello sovranazionale. Ne costituisce un’efficacissima rappresentazione plastica la sentenza della Corte costituzionale italiana n. 269/201757, nella quale, in buona sostanza, il giudice delle leggi riafferma la priorità assiologica della lettera

55 Ne costituisce un caso esemplificativo la pronuncia della Corte costituzionale russa del 19 aprile 2016 n. 12-P, di risposta alla sentenza della Corte di Strasburgo del 4 luglio del 2013, Anchugov e Gladkov, con la quale veniva dichiarata la violazione dell’art. 3 del Prot. n. 1 CEDU (“diritto a libere elezioni”) da parte dell’art. 32, c. 3, della Costituzione russa, a mente del quale “i cittadini che sono detenuti nei luoghi di privazione della libertà sulla base di una sentenza penale non hanno diritto di eleggere e di essere eletti”, per la mancata previsione di una gradualità nella comminazione della sanzione. La Corte costituzionale russa, pur non disattendendo la portata delle sentenze europee, sottolinea che queste non possano porsi in contrasto con il dettato costituzionale, e, dunque, nel rispetto dei principi supremi dell’ordinamento, che fungono da controlimiti all’indistinto obbligo di dare esecuzione alla giurisprudenza della Corte europea di cui all’art. 46 CEDU.

56 Come anticipato supra, si fa riferimento, a tal riguardo, alla nota sentenza della Corte costituzionale n 49 del 2015 in tema di confisca per il reato di lottizzazione abusiva. In particolare, la pronuncia origina dalla controversa natura della misura confiscatoria, considerata misura amministrativa secondo l’orientamento giurisprudenziale interno e sanzione penale secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza europea (segnatamente nella sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia). Con la sentenza in esame, il giudice costituzionale ribadisce l’obbligo per il giudice nazionale di conformarsi alla giurisprudenza europea, così come espresso a partire dalle sentenze gemelle del 2007, per concludere, però, nel senso di limitarne la portata ai soli casi di giurisprudenza consolidata ovvero di procedura pilota. Particolarmente significativo risulta anche il passaggio nel quale la Corte costituzionale afferma la priorità assiologica del testo costituzionale su quello convenzionale, affermando una sorta di previa interpretazione costituzionalmente conforme su quella convenzionalmente conforme. Ad ogni modo, il giudice costituzionale approda alla conclusione di definire i rapporti con la Corte di Strasburgo e, quindi, la giurisprudenza europea, restringendo la portata esecutiva delle sentenze europee ai soli casi in cui i principi espressi, vuoi perché pacifici vuoi perché adottati per porre rimedio a violazioni convenzionali strutturali o sistemiche, non abbiano carattere casistico.

57 Per un commento alla pronuncia, tra i molti, D.TEGA, Il seguito in Cassazione della pronuncia della Corte costituzionale n.

269 del 2017: prove pratiche di applicazione, in Questione giustizia, 12 marzo 2018; M. MASSA, Dopo la «precisazione». Sviluppi di

Corte cost. n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019; G. SCACCIA, Giudici comuni e diritto dell’Unione europea nella sentenza

costituzionale58 rispetto al dettato della Carta europea dei diritti fondamentali, giungere a stabilire una

nuova perimetrazione dei rapporti con la Corte di giustizia nell’ipotesi di “doppia pregiudizialità”. Richiamando infatti la stessa giurisprudenza europea (Corte giust., sentenza Melki), la Corte costituzionale chiarisce che nel caso in cui il giudice nutra un dubbio circa la compatibilità costituzionale di una norma e, parallelamente, circa la compatibilità europea della norma di cui deve fare applicazione nel proprio giudizio, questi dovrà preliminarmente rinviare la questione al giudice costituzionale e solo in via residuale alla Corte di Lussemburgo. La pronuncia in parole è particolarmente rilevante se si guarda alla rivendicazione da parte delle Corti “nostrane” della preservazione dell’identità costituzionale nazionale, la cui osservanza si impone al diritto dell'Unione europea (ma non solo) e la cui concreta delimitazione è rimessa all'esuberanza ermeneutica del giudice costituzionale. In particolare, i cosiddetti “controlimiti”, la cui ipostatizzazione vive nelle maglie della giurisprudenza costituzionale, si intrecciano con la nozione di identità nazionale, che assume una portata flessibile nella connotazione attribuita dal giudice delle leggi, in ragione anche nella sintesi assiologica risultante dall’incontro tra Corti.

Trasponendo tali premessi al nostro discorso, non può non osservarsi come anche l’applicazione del Protocollo n. 16 CEDU potrebbe dar luogo a situazioni di frizione tra le Alte giurisdizioni nazionali e la Corte di Strasburgo nel caso di mancato recepimento dei dicta convenzionali.

Pur nella consapevolezza del difficile percorso di ravvicinamento inter-ordinamentale, nel quale è smentita in nuce la possibilità di abbracciare una visione entusiasta del dialogo tra le Corti (e tra le Carte),

58 In senso analogo, più di recente, anche la sentenza della Corte costituzionale n. 20 del 2019, nella quale il giudice costituzionale, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’obbligo di pubblicare on line i dati personali sul reddito e sul patrimonio dei dirigenti pubblici diversi da quelli che ricoprono incarichi apicali, ha chiarito con nitore espositivo che “La “prima parola” che questa Corte, per volontà esplicita del giudice a quo, si accinge a pronunciare sulla disciplina legislativa censurata è pertanto più che giustificata dal rango costituzionale della questione e dei diritti in gioco. Resta fermo che i giudici comuni possono sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, sulla medesima disciplina, qualsiasi questione pregiudiziale a loro avviso necessaria. In generale, la sopravvenienza delle garanzie approntate dalla CDFUE rispetto a quelle della Costituzione italiana genera, del resto, un concorso di rimedi giurisdizionali, arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione (…) Ciò anche allo scopo di contribuire, per la propria parte, a rendere effettiva la possibilità, di cui ragiona l’art. 6 del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993, che i corrispondenti diritti fondamentali garantiti dal diritto europeo, e in particolare dalla CDFUE, siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, richiamate anche dall’art. 52, paragrafo 4, della stessa CDFUE come fonti rilevanti” (Cons.dir. 2.3.). Per un commento, cfr. C.AMALFITANO, Il dialogo tra giudice comune, corte di giustizia e Corte

costituzionale dopo l''obiter dictum' della sentenza n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019; V.CASAMASSIMA, I diritti

fondamentali europei tra processi di positivizzazione normativa e ruolo dei giudici (e della politica). Riflessioni intorno ad alcuni recenti sviluppi in materia di rapporti tra corte costituzionale, corte di giustizia e giudici comuni, in Rivista AIC, n. 2/2019; G.REPETTO, Di

assestamenti e poste in palio. Ancora sul concorso di rimedi giurisdizionali in materia di diritti fondamentali tra Costituzione e diritto dell'UE, in Giur.cost, n. 1/2019, 255 ss.

il parere consultivo in questione costituisce un’indiscussa occasione di confronto, attraverso la scrittura di una partitura giurisprudenziale nuova59.

In conclusione, le prospettive che si pongono all’orizzonte sono molteplici e sembrano imporre una serie di riflessioni che ripropongono all’attenzione dell’interprete la tematica della c.d. tutela multilivello dei diritti fondamentali nel “dialogo” tra le Corti e nel rinnovato intreccio giurisprudenziale che sembra prospettarsi.

59 Sul punto, M.ESPOSITO, I d.d.l. di ratifica del Protocollo 16 della CEDU: un altro caso di revisione costituzionale per legge ordinaria?, cit., 21-22, osserva efficacemente che “La Corte EDU, in forza del Protocollo n. 16, assumerebbe quindi un ruolo di Avocat Général delle giurisdizioni superiori, perché chiamata a dare parere, a svolgere conclusioni sul caso, che, mentre non vincola il giudice remittente, difficilmente potrà essere smentito dalla Corte medesima nell’esercizio delle proprie funzioni giurisdizionali”.

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