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Il Protocollo del “dialogo”

Assegnista di ricerca in Juridical Sciences LUISS Guido Carl

1. Il Protocollo del “dialogo”

Come noto, l’adozione del Protocollo n. 16 CEDU1 - aperto alla firma degli Stati il 2 ottobre 2013 ed

entrato in vigore il 1° agosto 2018 dopo essere stato ratificato da Albania, Armenia, Estonia, Finlandia, Georgia, Lituania, San Marino, Slovenia e Ucraina e per ultima dalla Francia2 - ha aggiunto un nuovo

tassello nel quadro della tutela dei diritti fondamentali nello spazio giuridico europeo. Questo si inserisce nel solco del terreno di riflessione tra i rappresentanti degli Stati aderenti alla Convenzione europea e le Istituzioni del Consiglio d’Europa nell’ambito delle Alte Conferenze di Interlaken del 2010, di Izmir del 2011, di Brighton 2012, di Oslo del 2014 e di Bruxelles del 2015 sul futuro della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Convenzione europea3, per rintracciare possibili soluzioni per rafforzare gli strumenti

collaborativi tra gli Stati contraenti e Corte europea dei diritti dell’uomo4 e per creare meccanismi nuovi

che mirino a garantire un più alto livello di tutela dei diritti fondamentali. In tale prospettiva, si pone –

1 Definito il Protocollo “del dialogo” dall’ex Presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, Dean Spielmann. 2 Art. 8, par., 1, Prot. n. 16: “Il presente Protocollo entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data in cui dieci Alte Parti contraenti della Convenzione avranno espresso il loro consenso a essere vincolate dal Protocollo, conformemente alle disposizioni dell’articolo 7”.

3 Al riguardo, si fa presente che si è tenuta nei giorni 11-13 aprile 2018 una Conferenza di Alto Livello su “Riforma continua del sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: migliore equilibrio, maggiore protezione” per l’approvazione della Dichiarazione di Copenaghen, che rappresenta l’epitome degli obiettivi stabiliti dalle precedenti Dichiarazioni per il rafforzamento dei meccanismi di tutela dei diritti nello spazio convenzionale. Dopo aver ribadito l’importanza di assicurare l’effettiva implementazione delle decisioni della Corte europea a livello interno (sia legislativo sia giudiziario), la Conferenza sottolinea l’importanza di incoraggiare gli strumenti di dialogo tra gli ordinamenti nazionali e l’ordinamento europeo, salutando certamente con favore l’adozione del Protocollo n. 16 CEDU, ma incoraggiando altresì la partecipazione nei giudizi dinanzi alla Corte europea degli altri Stati contraenti quali terzi intervenienti come mezzo per rafforzare l’autorità e l’effettività del sistema convenzionale. Viene ripresa, inoltre, la questione relativa all’adesione dell’Unione europea alla CEDU, riaffermando l’importanza di riprendere le trattative a seguito del parere negativo della Corte di giustizia n. 2/13 sul processo di adesione, sottolineando, altresì, la necessità di favorire “the regular contacts between the European Court of Human Rights and the Court of Justice of the European Union and, as appropriate, the increasing convergence of interpretation by the two courts with regard to human rights in Europe”. 4 Cfr. L.A. SICILIANOS, L’élargissement de la compétence consultative de la Cour européenne des droits de l’homme – À propos du

appunto - l’adozione del Protocollo n. 16 CEDU, che introduce all’interno del sistema convenzionale un istituto nuovo5 e dalle possibilità applicative, allo stato, non del tutto determinate6.

Si tratta della richiesta del parere consultivo7 alla Corte europea dei diritti dell’uomo8, la quale può essere

proposta dal giudice nazionale nell’ambito di un giudizio concreto pendente9 su questioni di principio

5 Si definisce innovativo rispetto alla previgente funzione consultiva della Corte europea dei diritti dell’uomo, disciplinata dall’art. 47 CEDU, in quanto diversi sono i presupposti giustificativi e, soprattutto, in ragione dello scarso successo registrato dalla procedura in questione, che ha avuto applicazione solo due volte. Si fa riferimento al parere consultivo concernente “the lists of Candidates Submitted with a View to the Election of Judges to the European Court of Human Rights” del 12 febbraio 2008 e il parere consultivo concernente “the lists of Candidates Submitted with a View to the Election of Judges to the European Court of Human Rights” del 22 gennaio 2010. Per un approfondimento, si vedano, tra gli altri, D. SYIMCZAK, La competence consultative de la Cour européenne des droits de l’homme, in A.ONDOUA, D.SYIMCZAK

(eds.), La fonction consultative des juridictiones internationales, Paris, 2009, p. 91 ss. Analoga competenza, peraltro, è riconosciuta alla Corte interamericana dei diritti dell’uomo, come previsto dalla Convenzione interamericana, che stabilisce: “1. The member states of the Organization may consult the Court regarding the interpretation of this Convention or of other treaties concerning the protection of human rights in the American states. Within their spheres of competence, the organs listed in Chapter X of the Charter of the Organization of American States, as amended by the Protocol of Buenos Aires, may in like manner consult the Court. 2. The Court, at the request of a member state of the Organization, may provide that state with opinions regarding the compatibility of any of its domestic laws with the aforesaid international instruments” (art. 64).

6 Al momento in cui si scrive, si segnala che sono stati proposte alla Corte europea dei diritti dell’uomo due richieste di parere, di cui una promossa dalla Cour de cassation francese e riscontrata in data 10 aprile 2019 e l’altra proposta dalla Corte costituzionale armena il 9 agosto 2019 (e dichiarata ammissibile l’11 ottobre 2019 dal collegio di 5 giudice della Grande Camera) in riferimento al concetto di “legge” rilevante ai sensi dell’art. 7, alla nozione di certezza della legge, di accessibilità, di prevedibilità, di stabilità e di non retroattività della legge penale: tutti profili rilevanti ai fini della risoluzione di due giudizi di costituzionalità pendenti in Armenia in relazione all’art. 300.1 del Codice penale (riguardante il sovvertimento dell’ordine costituzionale). Con particolare riguardo alla richiesta di parere presentata dalla Francia il 5 ottobre 2018, occorre sottolineare che questa origina dalle precedenti pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo sui casi Mennesson e Labbasse c. Francia in ordine alla trascrizione, in caso di ricorso alla tecnica della surrogazione di maternità, degli atti dello stato civile dei minori formati all’estero e in relazione al procedimento di adozione. Nel ribadire il principio di diritto contenuto nelle due decisioni del 2014, la Corte europea compie un passaggio ulteriore affermando che, in un caso come quello di specie, tenendo conto del superiore interesse del minore e del ristretto margine di apprezzamento dello Stato, il diritto nazionale deve prevedere la possibilità di riconoscere il legame di filiazione di un minore nato all’estero tramite maternità surrogata con la madre committente, indicata come madre nel certificato di nascita; ad ogni modo, però, rientra nel margine di apprezzamento statale la previsione della disciplina più opportuna al fine di garantire la tutela del best interest of child e il riconoscimento dello status filiationis, che ben potrebbe essere soddisfatto anche mediante l’istituto dell’adozione.

7 Art. 1, par. 2.

8 Il quale veniva preconizzato in occasione dell’Alta Conferenza di Brighton del 2012, invitando, di tal guisa, il Comitato dei ministri ad approntare uno specifico protocollo in tal senso (par. 12, p.to d) della Dichiarazione di Brighton). 9 “La procedura non è pensata, ad esempio, per consentire una revisione in astratto della legislazione che non deve essere applicata nella causa pendente dinanzi a essa” (p.to Rapporto esplicativo). Peraltro, ci si interroga circa la possibilità di disporre la sospensione del processo in attesa della pronuncia della Corte di Strasburgo e, più in particolare, circa l’opportunità di introdurre una specifica base giuridica nell’ambito della legge n. 87 del 1953 che consenta una siffatta possibilità nel processo costituzionale (cfr. O.POLLICINO, La Corte costituzionale è una “alta giurisdizione nazionale”

ai fini della richiesta di parere alla Corte di Strasburgo ex Prot. 16 CEDU?, in AA.VV., La richiesta di pareri consultivi alla Corte di

Strasburgo da parte delle più alte giurisdizioni nazionali. Prime riflessioni in vista della ratifica del Protocollo 16 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, a cura di E.LAMARQUE, Torino, 2015, p. 24-25). Peraltro, particolarmente problematica è anche la

questione circa la compatibilità della richiesta di parere alla Corte europea con l’oggetto del giudizio dinanzi alla Corte costituzionale (es. giudizio di ammissibilità sul referendum abrogativo): in tal senso, cfr. A.RUGGERI, Ragionando sui possibili

sviluppi tra le Corti europee e i giudici nazionali (con specifico riguardo all’adesione dell’Unione alla CEDU e all’entrata in vigore del prot. 16), in Rivista AIC, 2014, pag. 12.

relative all’interpretazione o all’applicazione10 dei diritti e delle libertà previste dalla Convenzione europea

e dai Protocolli addizionali11.

Come evidente, si tratta di una tipologia decisoria diversa da quella della sentenza12, il cui scopo dichiarato,

volendo riprendere la Dichiarazione adottata nell’ambito della Conferenza di Imzir del 2011, è quello di aiutare “a chiarire le disposizioni della Convenzione e la giurisprudenza della Corte, fornendo in questo modo ulteriore attività di indirizzo al fine di aiutare gli Stati parte ad evitare future violazioni”.

Tale parere si caratterizza infatti per due peculiarità: innanzitutto, non esplica alcuna efficacia vincolante nei confronti della giurisdizione nazionale richiedente13 e, inoltre, come sembra richiamare la natura stessa

del parere, esso assume una portata esclusivamente consultiva poiché i giudici hanno la facoltà e non già l’obbligo di ricorrervi (art. 5).

Altra caratteristica che vale a contraddistinguere l’istituto in questione dalla sentenza concerne l’oggetto della richiesta del parere che viene formulata dall’autorità giurisdizionale nazionale, la quale verte – come anticipato - esclusivamente su questioni di principio relative all’applicazione e/o all’interpretazione della Convenzione europea o dei suoi Protocolli addizionali14. Ne deriva, pertanto, che non è possibile

sottoporre alla Corte EDU richieste di parere tendenti ad anticipare una pronuncia della Corte di Strasburgo sul caso in esame, pur dovendo, in ogni caso, la richiesta di parere fondarsi sulla puntuale ricostruzione degli elementi fattuali. Ancorché, infatti, il giudice nazionale debba motivare la richiesta di parere e indicare tutti gli elementi distintivi della causa, sia in fatto sia in diritto (art. 1, par. 3), il parere consultivo della Corte europea avrà ad oggetto la corretta interpretazione delle questioni di principio inerenti alla Convenzione ovvero ai suoi Protocolli aggiuntivi.

La natura consultiva comporta, peraltro, che la richiesta di parere, purché corredata da adeguata motivazione15, possa essere rigettata dopo esser stata vagliata da un collegio di cinque giudici della Grande

10 Cfr. V.ZAGREBELSKY, Pareri consultivi della Corte europea dei diritti umani: vera e falsa sussidiarietà, in AA.VV., La richiesta di

pareri consultivi alla Corte di Strasburgo da parte delle più alte giurisdizioni nazionali, cit., p. 94, evidenzia le criticità di una simile

disgiuntiva, che, se realmente fosse da intendersi come tale e se la questione riguardasse esclusivamente l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, comporterebbe la paradossale conseguenza di esigere un esame nel merito della controversia da parte della Corte di Strasburgo.

11 Evidenzia la differenza tra tale disposizione e la formulazione dell’art. 43 CEDU, che disciplina le modalità di rinvio alla Grande Camera, E.CANNIZZARO, Pareri consultivi e altre forme di cooperazione giudiziaria nella tutela dei diritti fondamentali:

verso un modello integrato?, in AA.VV., La richiesta di pareri consulti alla Corte di Strasburgo da parte delle più alte giurisdizioni nazionali,

cit., p. 81-82.

12 Così come emerge dal Rapporto esplicativo sul Protocollo, dal Capitolo X del Regolamento interno della Corte e dalle Linee direttrice elaborate dalla Corte europea.

13 D’altro canto, come chiarito nel Rapporto esplicativo sull’adozione del Protocollo n. 16 CEDU, ben può l’autorità giudiziaria che presenta la richiesta può ritirarla in ogni momento (p.to 7)

14 Art. 1, par. 2.

15 “Ciò è volto a consolidare il dialogo tra la Corte e il sistema giudiziario interno, anche chiarendo cosa intenda la Corte per ‘questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli’, e questo potenzierà l’attività di indirizzo nei confronti delle autorità giudiziarie nazionali quando

Camera; nel caso in cui, al contrario, la richiesta venga accolta, il parere, anche in questo caso sorretto da opportuna motivazione, verrà emesso dalla Grande Camera16, entrando a far parte, al pari delle sentenze,

della giurisprudenza CEDU17.

Viene previsto, inoltre, che il Presidente della Camera possa invitare il giudice rinviante a presentare ogni altra documentazione utile a chiarire lo scopo della richiesta di parere (art. 94, par. 2) ovvero possa inviare le parti del giudizio a produrre memorie scritte o ad essere ascoltate in udienza (art. 94, par. 3)18.

A mente dell’articolo 1, par. 2, la richiesta di parere può essere formulata esclusivamente da un giudice nazionale nell’ambito di una controversia concreta sottoposta al suo giudizio, sulla falsariga di quanto previsto in ordine al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia19 ai sensi dell’art. 267 TFUE. Tale

disposizione, ad ogni modo, deve essere letta in combinato disposto con il paragrafo 1 del suddetto articolo 1, ai sensi del quale non tutti i giudici nazionali sono legittimati a presentare tale richiesta20,

contrariamente a quanto stabilito in ambito europeo21, laddove si prevede la facoltà per tutti i giudici – e

esse devono valutare se presentare una richiesta, scoraggiando le richieste non opportune” (p.to 15 Rapporto esplicativo).

16 Art. 2, par. 2. Peraltro, è stato sottolineato come tale meccanismo rischi di sovraccaricare ulteriormente un organo decisionale – ossia, la Grande Camera - che, di per sé, riesce a decidere soli pochi casi all’anno. Cfr. K.DZEHTSIAROU,

Advisory Opinions: More Cases for the Already Overburned Strasbourg Court, in www.verfassungblog.de.

17 “L’interpretazione della Convenzione e dei suoi Protocolli contenuta in tali pareri consultivi sarà analoga nei suoi effetti ai principi interpretativi stabiliti dalla Corte nelle sentenze e nelle decisioni” (p.to 27 Rapporto esplicativo). 18 Così l’art. 94 del Regolamento interno della Corte europea, adottato il 1° gennaio 2020, in attuazione di quanto stabilito dall’articolo 3 del Protocollo n. 16 CEDU.

19 Peraltro, proprio il richiamo al rinvio pregiudiziale aveva informato l’intento, espresso nel Report dal Gruppo dei Saggi (CM(2006)203 15 November 2006), nominato dai Capi di Stato e di governo degli Stati membri del Consiglio d’Europa in occasione della riunione tenutasi a Varsavia il 15-16 maggio 2006, di avvicinare le due procedure europee. In particolare, il Gruppo dei Saggi sottolineava come “the introduction of a preliminary ruling mechanism on the model of that existing in the European Union was discussed. However, the Group reached the conclusion that the EU system is unsuitable for transposition to the Council of Europe. The preliminary ruling mechanism represents an alternative model to the judicial control established by the Convention, which requires domestic remedies to be exhausted. The combination of the two systems would create significant legal and practical problems and would considerably increase the Court’s workload. On the other hand, the Group considers that it would be useful to introduce a system under which the national courts could apply to the Court for advisory opinions on legal questions relating to interpretation of the Convention and the protocols thereto. This is an innovation which would foster dialogue between courts and enhance the Court’s ‘constitutional’ role” (par. 80-81).

20 Sul punto, il Rapporto esplicativo sottolinea la possibilità per le Alte Parti contraenti di modificare in ogni momento l’elenco delle Alte giurisdizioni nazionali abilitate al “dialogo” in sede convenzionale, ai sensi dell’articolo 10 del Protocollo, chiarendo, altresì, che “In alcuni casi, la norma costituzionale di una Alta Parte contraente può prevedere che determinate giurisdizioni siano competenti per i procedimenti provenienti da più di un territorio. Questo può includere territori nei quali la Convenzione non si applica e territori ai quali l’Alta Parte contraente ha esteso l’applicazione della Convenzione ai sensi dell’articolo 56. In tali casi, quando indica una giurisdizione ai fini del presente Protocollo, una Alta Parte contraente può indicare che esclude l’applicazione del Protocollo ad alcune o a tutte le cause provenienti da tali territori” (p.to 8).

21 Più ampiamente, sulle differenze tra i due sistemi (UE e CEDU) nel quadro strutturale del rapporto tra le fonti e tra i giudici, si veda G.MARTINICO, Is the European Convention Going to Be ‘Supreme’? A Comparative-Constitutional Overview of

l’obbligo per quelli di ultima istanza, salvo talune eccezioni22 – di proporre rinvio pregiudiziale alla Corte

di Lussemburgo al fine di ottenere la corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea.

In specie, solo le Alte giurisdizioni23 che vengono indicate al momento della ratifica da parte dei singoli

Stati contraenti possono presentare richiesta di parere alla Corte europea dei diritti dell’uomo24,

partecipando, in questo modo, al dialogo giurisdizionale25 con la Corte europea solo gli organi giudiziari

di vertice26, quali la Corte costituzionale27, il Consiglio di Stato, la Corte di cassazione, la Corte dei conti,

in ragione anche della peculiare natura rivestita dal parere: quella di chiarire l’esatta portata interpretativa ed applicativa del diritto CEDU.

22 Cfr. sentenza della Corte di giustizia del 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit e Lanificio di Gavardo spa contro Ministero

della sanità.

23 Art. 10. Peraltro, è stato sottolineato in dottrina come a seguito del processo di adesione dell’Unione europea alla CEDU, anche la Corte di giustizia potrebbe essere qualificata come un’Alta giurisdizione nazionale, abilitata, quindi, a formulare richiesta di parere consultivo alla Corte di Strasburgo. Così, E.CANNIZZARO, Pareri consultivi e altre forme di

cooperazione giudiziaria nella tutela dei diritti fondamentali: verso un modello integrato?, in AA.VV., La richiesta di pareri consultivi alla

Corte di Strasburgo da parte delle più alte giurisdizioni nazionali, cit., p. 87; F.CHERUBINI, I protocolli n. 15 e n. 16 alla Convenzione

europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in I Diritti dell’Uomo: cronache e battaglie, 2013, p. 44.

24 Sottolinea la pericolosità di tale previsione O.POLLICINO, La Corte costituzionale è una “alta giurisdizione nazionale” ai fini

della richiesta di parere alla Corte di Strasburgo ex Prot. 16 CEDU?, in AA.VV., La richiesta di pareri consultivi alla Corte di Strasburgo

da parte delle più alte giurisdizioni nazionali, cit., p. 21, laddove afferma che il fatto che lo stesso Protocollo n. 16 preveda

espressamente che gli Stati contraenti possano in ogni momento “cambiare idea circa le Corti da considerare competenti”, rischia di rappresentare una pericolosa “spada di Damocle” gravante sui giudici costituzionali degli Stati che non hanno ancora ultimato il processo di consolidamento democratico e che, quindi, non godono di particolare legittimazione formale nei rispettivi Paesi.

25 Sulla possibilità per i giudici nazionali supremi di partecipare al dialogo giurisdizionale con la Corte europea al fine di contribuire ad assicurare l’uniforme interpretazione ed applicazione della Convenzione europea e di formare un livello omogeneo di tutela dei diritti, cfr. A.RUGGERI, “Dialogo” tra le Corti e tecniche decisorie, a tutela dei diritti fondamentali, in

www.federalismi.it, 2013, p. 27 ss.

26 Come confermato anche dal Rapporto esplicativo del Protocollo n. 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo il quale “L’uso dei termini ‘le più alte’ invece di ‘la più alta’ permette la potenziale inclusione di quelle autorità giudiziarie che,

sebbene inferiori alla corte costituzionale o alla corte suprema, sono tuttavia di particolare rilevanza in quanto sono le ‘più alte’ per una particolare tipologia di cause. Questo, unito al requisito che una Alta Parte contraente deve specificare quale alta giurisdizione può richiedere un parere consultivo, consente la necessaria flessibilità per tenere conto dei diversi sistemi giudiziari nazionali. Limitare la scelta alle ‘più alte’ giurisdizioni è coerente con l’idea dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, sebbene una più alta giurisdizione non debba necessariamente essere una autorità alla quale presentare un ricorso per soddisfare il requisito dell’esaurimento delle vie di ricorso interne ai sensi dell’articolo 35 paragrafo 1 della Convenzione” (p.to 8).

27 In realtà, come risulta dai testi dei disegni di legge di ratifica ed esecuzione dei Protocolli nn. 15 e 16 CEDU A.C. 35, A.C. 1124, attualmente all’esame delle Commissioni riunite Affari esteri e Giustizia della Camera dei deputati, possono richiedere il parere consultivo alla Grande Camera della Corte europea, quali alte giurisdizioni nazionali, la Suprema Corte di cassazione, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (art. 3, comma 1). Il successivo comma 3 chiarisce, inoltre, che “La Corte costituzionale può provvedere con

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