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Gli elementi caratterizzant

Dottorando di ricerca in Diritto pubblico Università degli Studi di Roma Tor Vergata

2. Gli elementi caratterizzant

Le giurisdizioni europea e convenzionale non vanno scambiate per una giurisdizione costituzionale di grado più alto, ma ci sono alcune caratteristiche di tipo qualitativo che le rendono differenti dalle corti costituzionali nazionali: diversi sono gli stili argomentativi; diversi gli strumenti di giudizio e di intervento; diverso il rapporto con gli attori politici. E tutti questi fattori cospirano nel rilasciare alle Corti europee un margine di discrezionalità interpretativa più esteso di quello disponibile per le Corti nazionali (il c.d. judicial activism)8.

Questo attivismo porta ad un dialogo tra le corti interne e “sovranazionali”, che spesso, però, è affrontato dalle Corti costituzionali con la volontà di difendere proprie prerogative che sono naturalmente attratte da un altro giudice. Gli esempi sono rinvenibili sia nella giurisprudenza comparata sia interna. La difesa delle prerogative interne è un atto fisiologico del sistema e sul tema si può citare, ad esempio la giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht sull’integrazione europea9. Recentemente anche la Corte

costituzionale ha “esplicitamente minacciato” l’applicazione dei controlimiti con la c.d. saga Taricco10 e

ha posto alcuni limiti con la questione relativa alla doppia pregiudizialità (sentt. 269/2017, 20/2019, 117/2019)11. Si può anche pensare al parere del 2013 della Corte di Giustizia sull’adesione dell’Unione

europea alla CEDU, in cui si evince che la preoccupazione sottesa alla vicenda era che la Corte di Giustizia potesse divenire sussidiaria rispetto alla Corte di Strasburgo12. Passi indietro volontari da parte delle Corti

sono utopici ed è inutile perciò l’imposizione di un “autolimite” senza alcun incentivo politico- istituzionale ad imporselo.

Tra i motivi della maggiore predisposizione delle Corti sovranazionali al judicial activism potrebbero essere rinvenuti:

8 Sul tema, S.P. POWERS – S. ROTHMAN, The Least Dangerous Branch?: Consequences of Judicial Activism, Westport, 2002; K. ROOSEVELT, The Myth of Judicial Activism: Making Sense of Supreme Court Decisions, New Haven, 2006.

9 Sentenza 2 BvE 2/2008, 30 giugno 2009, cd. Lissabon Urteil.

10 Tra i numerosi commenti all’ordinanza, A. CELOTTO, Un rinvio pregiudiziale verso il dialogo o il monologo?, in

Giurisprudenza costituzionale, n. 1/2017; R. MASTROIANNI, La Corte costituzionale si rivolge alla Corte di giustizia in tema di “controlimiti” costituzionali: è un vero dialogo?, in federalismi.it, n. 7/2017; A. RUGGERI, Rapporti interordinamentali e conflitti tra identità costituzionali (traendo spunto dal caso Taricco), in Diritto Penale Contemporaneo, n. 4/2017; D. GALLO, La Corte costituzionale chiude la “saga Taricco”: tra riserva di legge, opposizione de facto del controlimite e implicita negazione dell’effetto diretto, in Europeanpapers, 3/2018, No 2, July 2018, 885-895.

11 L.S. ROSSI, Il ‘triangolo giurisdizionale’ e la difficile applicazione della sentenza 269/17 della Corte costituzionale italiana, in

federalismi.it, n. 16/2018; G. VITALE, I recenti approdi della Consulta sui rapporti tra Carte e Corti. Brevi considerazioni sulle sentenze nn. 20 e 63 del 2019 della Corte costituzionale, in federalismi.it, n. 10/2019; A. ANZON DEMMING, Applicazioni virtuose della nuova “dottrina” sulla “doppia pregiudizialità” in tema di diritti fondamentali (in margine alle decisioni nn. 112 e 117/2019), in Osservatorio costituzionale, n. 6/2019, 5 novembre 2019.

12 Sull’opinion 2/2013 della CGUE, si veda I. ANDRÓ, Il parere 2/13 della Corte di giustizia sull’adesione dell’Unione europea

alla CEDU: questo matrimonio non s’ha da fare?, in diritticomparati.it, n. 2 febbraio 2015; D. FANCIULLO, Parere 2/13 della Corte di Giustizia: la novissima quaestio dell’adesione dell’Unione europea alla CEDU, in federalismi.it, n. 2/2015; L.S. ROSSI, Il Parere 2/13 della CGUE sull'adesione dell'UE alla CEDU: scontro tra Corti?, in www.sidiblog.org, 22 dicembre 2014.

a. nella possibilità di utilizzare strumenti processuali di intervento più flessibili ed efficaci rispetto a quelli a disposizione delle Corti nazionali

La ricchezza di strumenti processuali a disposizione delle Corti di Lussemburgo e di Strasburgo sono una delle ragioni del loro attivismo giudiziario. I tribunali europei possono giustiziare, infatti, anche atti e comportamenti fuori dalla competenza delle Corti costituzionali nazionali. Queste ultime, infatti, possono giudicare solo gli atti di una determinata forza normativa13. La Corte Edu e la Corte di giustizia

dell’Unione europea dispongono, invece, del potere di sanzionare anche condotte totalmente omissive delle autorità nazionali, violazioni di diritti derivanti da un esercizio inefficiente della funzione di governo: situazioni che nell’ordinamento interno restano nel circuito della responsabilità politica. Si pensi, da un lato, alle sentenze pilota introdotte nella giurisprudenza della Corte EDU a partire dal caso Broniowski14 o

dal caso Torreggiani; dall’altro, sul versante della Corte di Lussemburgo, al ricorso in carenza15 e al ricorso

per inadempimento16. Attraverso queste tipologie di pronunce, che vanno a colpire violazioni dei diritti

aventi carattere strutturale e sistematico o inattuazioni complete di vincolanti prescrizioni europee, gli Stati si vedono imporre obblighi di adeguamento (o, usando il termine proprio del diritto amministrativo, di ottemperanza), sul piano dell’azione esecutiva, della legislazione e addirittura della disciplina di rango costituzionale. Basti per tutti il riferimento al celebre caso Tanja Kreil, all’esito del quale la Germania ha dovuto modificare l’art. 12a della Legge fondamentale, rimovendo il divieto di impiego delle donne nelle forze armate17. Non è azzardato, pertanto, concluderne che nell’ambito CEDU come in quello UE la

responsabilità politica è tecnicamente giustiziabile.

Ben diversa la condizione delle Corti costituzionali nazionali che generalmente – è questo il caso della Corte italiana – possono rimediare ad omissioni legislative parziali attraverso la variegata tipologia delle pronunce additive18, ma restano relativamente impotenti dinanzi ad omissioni totali, e cioè a consapevoli

13 Ad esempio, l’art 134 Cost.

14 Corte EDU, 22 giugno 2004, ric. 31443/96, Broniowski c. Polonia. Va evidenziata, nello spazio di una nota, l’importanza strategica delle sentenze-pilota, che hanno cambiato i rapporti orizzontali fra le istituzioni: da una parte, infatti, esse finiscono per sovrapporre la competenza della Corte EDU a quella del Comitato dei Ministri, al quale solo spetterebbero le misure di esecuzione delle decisioni e – di conseguenza – le prescrizioni circa i modi per rimediare alle violazioni strutturali; dall’altra, alterano i rapporti verticali fra Stati e sistema CEDU, superando i confini della individual

justice propri della giurisdizione CEDU, come ha rilevato il giudice italiano della Corte di Strasburgo Vladimiro

Zagrebelsky nelle decisioni della Corte EDU del 19.6.2006 e del 28.4.2008. 15 Art. 265 TFUE.

16 Art. 263 TFUE.

17 CGUE, 11 gennaio 2000, C-285/98, Tanja Kreil c. Repubblica federale di Germania. Contra si veda Tribunale costituzionale polacco, 11 maggio 2005, n. K 18/04, in cui si afferma che le disposizioni costituzionali prevalgano su quelle di derivazione europea.

18 Sul tema, cfr. C. LAVAGNA, Sulle sentenze “additive” della Corte costituzionale, in Giurisprudenza italiana, n. 4/1969, pp. 145-152; P. CARNEVALE – F. MODUGNO, Sentenze additive, «soluzione costituzionalmente obbligata» e declaratoria di

decisioni di “inattuazione” della Costituzione da parte degli organi politici di vertice. La Corte costituzionale, ad esempio, può assicurare l’effettività dei diritti attraverso l’annullamento di una legge invalida o l’integrazione in essa di un frammento normativo (annullandola “nella parte in cui non prevede” ciò che dovrebbe), ma non può costituire obblighi di facere atti a superare un assoluto deficit di protezione costituzionale derivanti da “ostruzionismo di maggioranza”19. É evidente la differenza fra le

sanzioni pecuniarie, effettive e immediate, irrogate dalle Corti europee e le sentenze-monito20, con le quali

la Corte italiana suole evidenziare la necessità di un intervento normativo che ripristini la legalità costituzionale e in particolare che assicuri ai diritti fondamentali il livello di tutela minimo, senza però disporre di alcuno strumento realmente cogente per imporre il pronto adeguamento del legislatore, che infatti generalmente non dà seguito agli ammonimenti della Corte.

b. nella struttura delle norme parametro

La struttura delle norme-parametro, se comparata con le norme costituzionali interne, pare più adatta a propiziare la discrezionalità interpretativa delle Corti.

Le disposizioni della Convenzione (e, in generale, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea) sono caratterizzate da una struttura aperta e generica, dovendo conciliare tradizioni culturali e giuridiche differenti. Per questo le disposizioni possono essere definite contenutisticamente neutrali21, e

nell’interpretazione si pone in secondo piano la storico-generico, mentre privilegia quella evolutiva, che storicamente è alla base dell’attivismo giudiziario, che porta qualche volta la Corte all’elaborazione creativa di regole sostanziali e processuali prive di ogni fondamento nel testo della Convenzione22.

19 Così fu definita, negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, la scelta delle forze politiche dominanti di ritardare o paralizzare del tutto l’attuazione degli istituti e degli organi più innovativi: la Corte costituzionale, entrata in funzione nel 1956; il Consiglio superiore della magistratura, la cui legge istitutiva data al 1958; le Regioni, che furono messe in condizione di esercitare i poteri loro attribuiti solo nel 1971, ben 23 anni dopo l’entrata in vigore della Carta. In dottrina C. MORTATI, Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali contro comportamenti

omissivi del legislatore, in Foro italiano, 1970, p. 154, è stato fra i primi a riflettere sui «danni causati alle libertà fondamentali

dalle omissioni degli organi legislativi», e ad ipotizzare opportuni rimedi giurisdizionali.

20 L’esempio forse più appariscente della sordità del legislatore agli appelli lanciati dalla Corte è nella vicenda della legge elettorale politica n. 270 del 2005 (nota nel dibattito giornalistico come Porcellum), annullata con la sentenza n. 1 del 2014, ma la cui illegittimità costituzionale era stata dalla Corte incidentalmente prospettata già con le sentenze nn. 15 e n. 16 del 2008 e n. 13 del 2012. Per questo motivo la Corte costituzionale ha attuato lo strumento processuale del rinvio dell’udienza, come avvenuto nell’ord. 207/2018.

21 F. BILANCIA, I diritti fondamentali come conquiste sovrastatali di civiltà, Torino, 2002, p. 96.

22 A testimonianza del rilievo assegnato ai lavori preparatori nella ricostruzione dei significati della Carta costituzionale, si veda, fra molte, la sent. n. 429 del 1992, in cui la Consulta afferma: «la ricostruzione dell’intenzione del Costituente, in regime di costituzione rigida, è essenziale per misurare la compatibilità tra disposizione di legge e precetto costituzionale» e, ancor più chiaramente, così prosegue: «L’ermeneutica costituzionale non può in alcun caso prescindere dall’ispirazione che presiedette al processo formativo della norma costituzionale assumendo in essa particolare rilievo l’essenza storico-politica».

La stessa ratio attivista si riscontra anche nell’impiego della comparazione giuridica, che non è staticamente rivolta alla ricognizione del minimo comune denominatore tra le variegate tradizioni giuridico- costituzionali, ma assume un significato più pregnante. La Corte preferisce, infatti un dato indirizzo teorico-interpretativo al fine di espandere evolutivamente i contenuti di garanzia della Convenzione anche quando non trova rispondenza in tradizioni comuni o, al contrario, volutamente ignora orientamenti diffusi nella maggioranza degli Stati membri quando essi non sono in linea con lo sviluppo dei diritti fondamentali di cui la Corte si fa paladina23. Inoltre, le nuove interpretazioni vengono usate

successivamente dalle Corti nazionali per trovare una sponda per “giustificare” interpretazioni potenzialmente criticabili.

Per questa lettura operata dalla Corte EDU, si può affermare che le disposizioni della CEDU non sono più meri parametri processuali, ma diventati delle “cornici” da riempire di contenuti derivanti dalle aspettative di protezione emergenti dai diversi contesti applicativi. I principi della Convenzione, nella concretezza dell’applicazione giudiziaria, hanno assunto perciò i tratti di un “precedente giudiziario da interpretare”24, modificabile come lo sono i precedenti con il variare delle circostanze di fatto, del contesto

applicativo di riferimento o, più prosaicamente, con il semplice mutamento nella composizione del collegio giudicante. Tutto ciò non può che incoraggiare l’attivismo.

c. nell’assenza della relazione con gli attori politico-istituzionali e nella conseguenza assenza dei limiti sistemici che da tale relazione derivano

La Corte EDU – e in misura minore la Corte di giustizia – sembra davvero rappresentare una giurisdizione neutrale, lontana da ogni condizionamento di ordine sistemico e politico perché sorta al di fuori di un apparato statale e di una forma di governo.

Una giurisdizione senza Stato, dunque, che tende ad incarnare un’“isola della ragione giuridica” poichè non è limitata da alcuna “ragione politica”25. Sia nell’ordinamento EDU che in quello UE, il dialogo

necessario fra attori politici e attori giurisdizionali, o è del tutto assente, o comunque appare molto meno intenso di quanto non sia a livello nazionale. Questa carenza si coglie in primo luogo, nell’assenza del confronto costante con istituzioni politiche, con un legislatore un Governo, con un indirizzo politico con cui confrontarsi per accordare in modo armonico la tutela soggettiva dei diritti e l’istanza sistemica di preservazione dei complessivi equilibri istituzionali.

23 G. REPETTO, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa: teorie dell’interpretazione e giurisprudenza sovranazionale, Napoli, 2011, pp. 122 ss.

24 Ivi, pp. 125-126 e 201.

Ma ugualmente debole è il confronto con le istituzioni politiche nazionali che si svolge attraverso il ricorso all’argomento comparativo. Ad esempio, le Corti sovranazionali, come detto, mediante un uso strategico dell’argomento comparativo hanno la possibilità di selezionare con relativa libertà gli attori politici con cui relazionarsi; di scegliere quindi il “contraddittore” più consentaneo ai propri indirizzi interpretativi e alle proprie precomprensioni culturali.

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