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L’ordinanza n 207 del 2018: aspetti procedural

Dottore di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali Università di Pisa

4. L’ordinanza n 207 del 2018: aspetti procedural

L’ord. n. 207 del 2018 potrebbe dirsi di “rinvio della (declaratoria di) incostituzionalità”, in quanto non vi è alcuna formale dichiarazione di illegittimità costituzionale della normativa impugnata, né la Corte spinge le valutazioni nel merito oltre l’asticella dell’accertamento della non conformità a Costituzione che siamo soliti riscontrare nelle pronunce di inammissibilità sostanziale (dove invero sovente il vulnus è dichiarato a chiare lettere). Così com’è configurata, la declaratoria produttiva di effetti erga omnes ai sensi dell’art. 136 Cost. è rimandata ad un momento futuro, per quanto possa ritenersi certa.

Sotto questo profilo, dunque, può rilevarsi una sostanziale differenza rispetto alle sentenze ingiuntive17,

che recentemente si sono conquistate un ruolo primario in ragione del loro carattere di garanzia rispetto all’an della dichiarazione di incostituzionalità, ma al tempo stesso di incertezza con riferimento all’esatto quando: pur riconoscendo in entrambe le formule decisorie la conferma di quello spirito decisionista che di recente ha animato la Corte, soltanto nell’ord. n. 207/2018 abbiamo la fissazione di un termine. Questo rappresenta un unicum nella giurisprudenza costituzionale, giacché mai prima d’ora il Giudice delle leggi si era spinto ad un ultimatum dai contorni così definiti, recante non solo dei principî cui attenersi nel dare

16 Secondo una diversa prospettiva si muove P. PASSAGLIA, La garanzia giurisdizionale del procedimento legislativo, cit., pp. 50 ss., il quale delinea «la soluzione complessivamente più redditizia» in quella capace di assicurare immediatezza della denuncia, rapidità della decisione e condizionamento dell’entrata in vigore della legge all’esito del giudizio di controllo, se attivato: non avendosi tali elementi nel conflitto interorganico, l’Autore dubita che lo strumento possa in futuro adoperarsi per il sindacato dei vizi procedurali, se non per «fattispecie di irregolarità macroscopiche» (p. 54).

17 Ci si riferisce alle sentt. nn. 23 e 279 del 2013, 30 del 2014, 166 e 179 del 2017, che sono parse allo scrivente una evoluzione delle classiche pronunce di incostituzionalità “accertata ma non dichiarata” poiché hanno rivolto al Parlamento qualcosa di più rispetto al solito monito, tanto da potersi definire decisioni di “ingiunzione non rinnovabile al legislatore”. Lo stile sintattico scelto dalla Corte per stimolare l’intervento legislativo è sensibilmente diverso ed assume un tono lapidario e ultimativo: «nel dichiarare l’inammissibilità dell’odierna questione – dovuta al rispetto della priorità di valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente necessario – questa Corte deve tuttavia affermare come non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella presente pronuncia» (sent. n. 23 del 2013, Considerato in diritto n. 4, poi ripresa senza particolari variazioni nelle altre decisioni citate). È interessante notare che questa “sperimentazione”, svolta prima di pervenire alla storica ord. n. 207 del 2018, si caratterizza proprio per la volontà della Corte di mantenere le promesse: ci si riferisce alla sent. n. 45 del 2015, seguìta dopo appena due anni alla sent. n. 23 del 2013; alla sent. n. 88 del 2018, che dopo quattro anni ha “doppiato” la precedente sent. n. 30 del 2014 e, in ultimo, alla sent. n. 40 del 2019, depositata a poco più di un anno e mezzo di distanza dalla sent. n. 179 del 2017.

attuazione alla “delega” e finanche il quomodo dell’intervento normativo18, ma addirittura una data ben

precisa entro cui provvedere19.

È fuor di dubbio che il metodo migliore per cristallizzare un dispositivo già delineato dal Collegio sia la declaratoria di incostituzionalità, ma ciò inevitabilmente comporterebbe gli effetti di cui agli artt. 136 Cost. e 30 l. n. 87 del 1953, non essendovi alcun margine per disporre una sorta di vacatio sententiae come invece è consentito in altri ordinamenti20.

Nel pervenire alla teorizzazione della nuova tecnica decisoria, il giudice costituzionale ha escluso esplicitamente il ricorso all’abituale inammissibilità sostanziale, senza tuttavia dilungarsi sulle motivazioni che «nel caso in esame, per le sue peculiari caratteristiche e per la rilevanza dei valori da esso coinvolti»21,

portano a non ritenere tollerabile l’applicazione, nelle more dell’intervento legislativo, della normativa già ritenuta illegittima. Tale argomento è assai stringato e non permette di comprendere a quali «peculiari caratteristiche» della vicenda oggetto del processo principale sia stato riconosciuto specifico risalto poiché, in assenza di maggiori indicazioni, queste potrebbero dipendere dalle specificità soggettive e/o

18 Dal Considerato in diritto n. 10 dove, curiosamente, il giudice costituzionale sembra suggerire al legislatore anche l’esatta collocazione della scriminante ipotizzata, la quale verosimilmente «potrebbe essere introdotta, anziché mediante una mera modifica della disposizione penale di cui all’art. 580 cod. pen., in questa sede censurata, inserendo la disciplina stessa nel contesto della legge n. 219 del 2017 e del suo spirito, in modo da inscrivere anche questa opzione nel quadro della “relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico”, opportunamente valorizzata dall’art. 1 della legge medesima». 19 La Corte nella sent. n. 243 del 1993 aveva già abbozzato un primo tentativo di ridefinizione del rapporto col potere legislativo, secondo una prospettiva di più stretta cooperazione alla riparazione del vulnus costituzionale riscontrato che delineava una forma embrionale di modulazione nel tempo degli effetti della declaratoria di incostituzionalità. In quell’occasione, d’altra parte, l’illegittimità della normativa impugnata venne pronunciata senza mezzi termini, mentre il vincolo temporale dell’ultimatum doveva ritenersi più labile, in quanto definito in via alternativa e sufficientemente generica (il riferimento era alla prossima legge finanziaria, o comunque al primo provvedimento utile in materia economica). Peraltro si poneva il problema relativo all’attivazione del controllo in executivis da parte della Corte, posto che la normativa era già stata espunta dall’ordinamento e si sarebbe dovuto trovare il modo di sollevare una nuova questione di legittimità costituzionale sul combinato disposto originato a séguito dell’introduzione della disciplina richiesta; mentre nell’ordinanza de qua il termine corrisponde alla nuova udienza fissata per la trattazione, dove la Corte ha potuto agevolmente verificare l’inadempimento della “delega”.

20 A meno di non voler sostenere che la Corte possa disporre autonomamente il differimento della pubblicazione della sentenza, contro la lettera dell’art. 30 l. n. 87 del 1953, o rectius possa sollevare davanti a sé questione di legittimità costituzionale del medesimo articolo allo scopo di superarlo mediante una pronuncia manipolativa. Entrambe le strade, pur in astratto percorribili, avrebbero senz’altro una forte connotazione politica in quanto direttamente (ed unilateralmente) incidenti sulla forma di governo. Pare senz’altro maggiormente improntata al dialogo col potere legislativo la soluzione che la Corte ha tentato di impostare, senza tuttavia che ciò precluda il ricorso, nella prossima stagione a bassa intensità politica, ad un’azione drastica sulla falsariga di quanto già da tempo rivendicato per sé dal

Bundesverfassungsgericht. Deve peraltro segnalarsi che la soluzione prescelta dal Giudice costituzionale sembra ricalcare

quella prospettata a suo tempo da A. PREDIERI, Considerazioni sul tema, in AA.VV., Effetti temporali delle sentenze della Corte

costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere, Atti del Seminario (Roma, 23-24 ottobre 1988), Milano, 1989, p. 252,

secondo il quale «la Corte potrebbe disporre con sua ordinanza, nei casi particolari che essa determina, e cioè quando pensa che il vuoto immediato sia pericoloso, che la decisione della sentenza abbia luogo in una data non superiore a due anni, determinando l’udienza in cui verrà pronunciata la sentenza dando lettura del dispositivo immediatamente dopo la deliberazione del dispositivo medesimo nell’udienza pubblica».

oggettive che hanno portato al giudizio a quo, così come dalla stessa circostanza che nelle aule di giustizia non sia poi così frequente la celebrazione di processi aventi per capo d’imputazione l’art. 580 c.p., tanto da non potersi nemmeno parlare di diritto vivente22.

Verrebbe da chiedersi se incidano più le «peculiari caratteristiche» del caso di specie ovvero «la rilevanza dei valori da esso coinvolti» nel ragionamento non esplicitato che porta la Corte a ritenere la vicenda de qua connotata da imprescindibili esigenze di celere soluzione23, tali da non poter ricorrere ad un monito

o ingiunzione al legislatore come è pratica abituale «in situazioni analoghe a quella in esame». L’aspetto qui considerato è di primaria importanza, giacché vale ad ipotizzare un criterio distintivo assai labile in base al quale la Corte potrebbe, in futuro, ritenere opportuno l’impiego della innovativa formula decisoria in vece di una semplice inammissibilità sostanziale: forse l’occasione non era già matura per aspettarsi una specificazione delle ragioni che depongono verso una maggiore risolutezza, vista anche la premura concentrata dall’estensore nel tentativo di proteggere gli (altri) snodi cruciali dell’impianto motivazionale, tanto nel merito quanto di rito; più verosimile è che la Corte abbia volutamente evitato di scendere nel dettaglio al precipuo fine di non vincolare l’ordinanza di rinvio (della declaratoria) di incostituzionalità a presupposti stabiliti sin dall’origine.

22 È stata infatti la stessa Corte, nel respingere una eccezione formulata dall’Avvocatura dello Stato, a riconoscere che vi è una sola pronuncia in argomento resa dalla Cassazione (sent. n. 3147 del 1998) «che, proprio perché isolata, non sarebbe di per sé idonea a determinare [...] la formazione di un “diritto vivente”» (Considerato in diritto n. 2). È appena il caso di evidenziare che, essendo la norma di rara applicazione, una condanna dell’imputato nel processo a quo avrebbe rischiato, una volta definitiva, di essere portata ad esecuzione, potendo trascorrere anche diverso tempo prima che fosse data al Giudice costituzionale l’opportunità di tornare a pronunciarsi sulla questione: è forse anche questa constatazione ad aver consigliato l’accelerazione dei lavori e la fissazione di una data certa. È pur vero che la Corte d’Assise di Milano avrebbe potuto in ultimo tornare sui suoi passi e decidere di far propria l’interpretazione data all’art. 580 c.p. dal Pubblico ministero, al solo fine di escludere la sussunzione del fatto storico di Marco Cappato nella fattispecie delittuosa in esame, così come del resto avrebbero potuto fare i giudici dell’impugnazione (ai quali parimenti è consentito il sollevamento di eccezioni di costituzionalità); ciò, è evidente, non avrebbe garantito a sufficienza rispetto alla possibilità che continuasse ad essere applicata una normativa ritenuta illegittima, posto che in definitiva i magistrati della Repubblica sono soggetti unicamente all’imperio della legge e ben possono discostarsi da qualsiasi precedente, ancorché autorevole, a patto di suffragare in motivazione le ragioni che impongono per il caso specifico una diversa soluzione. Nel modello di giustizia costituzionale italiano, è d’uopo ricordarlo, l’unica via per impedire l’applicazione di una legge contraria a Costituzione è data dalla dichiarazione di illegittimità con efficacia erga omnes ai sensi dell’art. 136 Cost.: tale è la strada maestra che la Corte dovrebbe percorrere ogniqualvolta rilevi un vulnus, ponendosi in caso contrario il problema di (anche solo) una ulteriore applicazione della norma incostituzionale (in questo caso incriminatrice).

23 Può presumersi che il valore determinante nella scelta operata dalla Corte sia stato la libertà personale dell’imputato, senz’altro preminente e di importanza comunque superiore rispetto al diritto di difesa che veniva in rilievo nella sent. n. 23 del 2013, citata nella parte motiva quale fulgido esempio della tecnica di “ingiunzione non rinnovabile” al legislatore. Ma, appunto, può solo intuirsi, perché la Corte tace in proposito, contrariamente a quanto affermato da G.SORRENTI, Etwas Neues unter der Sonne: un’ordinanza sospensiva dell’annullamento, per necessario coordinamento con il legislatore. In margine a

Corte cost., ord. n. 207/2018, questione Cappato, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. 3/2018, p. 714. Pur se un

ragionamento imperniato sull’art. 13 Cost. sarebbe stato difficilmente contestabile, il giudice costituzionale non lo svolge: non vi è alcuna affermazione esplicita che deponga in tal senso, anzi il riferimento a «valori», declinato al plurale e non meglio specificati, lascia semmai dedurre che la decisione de qua sia stata il frutto del bilanciamento di distinti fattori assiologici, di cui alcuni evidentemente interni al caso di specie ed altri extra-ordinem, come appunto il rischio di reclusione dell’imputato del processo a quo.

Preme sottolineare un altro aspetto che il Giudice delle leggi ha mostrato di tenere in adeguata considerazione nel delineare il nuovo strumento decisorio, vale a dire la portata della pronuncia con riguardo ai processi pendenti. Contestabile appare l’esclusione categorica dell’applicazione medio tempore della norma indubbiata nei confronti della totalità dei giudizi pendenti anche diversi da quello principale24,

in ragione del fatto che l’unico provvedimento della Corte cui è riconosciuta ex lege efficacia vincolante erga omnes è la sentenza che dichiara l’illegittimità ai sensi dell’art. 136 Cost. Non dunque una mera ordinanza di rinvio, per quanto puntualmente motivata, può obbligare la magistratura comune ad impedire qualsivoglia scampolo applicativo della normativa sub iudice, ben potendo l’attività ermeneutica dei singoli interpreti pervenire a risultati difformi da quelli raggiunti dal giudice costituzionale e dal giudice a quo e ritenere ad esempio praticabile una lettura secundum constitutionem.

Fatto salvo il processo principale, che necessariamente non può avere prosecuzione fintanto che la Corte non si sia pronunciata in via definitiva, era tutt’altro che automatico che analoghi giudizi pendenti medio tempore seguissero la via caldeggiata nell’ordinanza in oggetto, sollevando anch’essi una questione di legittimità e disponendo la sospensione. Tuttavia, anche dovendosi riconoscere inesistente un obbligo in tal senso, era presumibile che l’appello garbatamente rivolto dal Giudice costituzionale sarebbe andato incontro ad un’accoglienza positiva in virtù del tradizionale spirito collaborativo che tendenzialmente anima il rapporto con la magistratura comune, unito a ragioni di carattere eminentemente opportunistico legate alla visibilità (molta) dei processi (pochi) nei confronti dei disobbedienti civili.

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