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Il successo di un nuovo modello decisionale

Dottore di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali Università di Pisa

5. Il successo di un nuovo modello decisionale

Volgendo verso la conclusione di questa disamina si rende necessario mettere in luce le principali note di merito della seconda ordinanza in commento, in maniera tale da poterne delineare una possibile prognosi sul ruolo che andrà a coprire nella futura giurisprudenza costituzionale. Quel che pare un vantaggio di sicura consistenza e primario valore è il riflesso di tale modus procedendi decidendique sui processi pendenti e le domande di giustizia costituzionale azionate medio tempore.

La nuova tipologia di ordinanza di rinvio della (declaratoria di) incostituzionalità consente di assicurare, almeno nelle intenzioni, tempi certi per la soluzione del vulnus accertato dalla Corte, venendo a configurarsi come una soluzione di metà strada tra la immediata pronuncia di accoglimento, sovente

24 Sostenuta invece da una «dottrina schieratasi toto corde a favore della novità giurisprudenziale», come nota A. RUGGERI, Fraintendimenti concettuali e utilizzo improprio delle tecniche decisorie nel corso di una spinosa, inquietante e ad oggi non

conclusa vicenda (a margine di Corte cost. ord. n. 207 del 2018), in Consulta OnLine, n. 1/2019, p. 109, nota n. 67: il riferimento

è a M.BIGNAMI, Il caso Cappato alla Corte costituzionale: un’ordinanza ad incostituzionalità differita, in Questione giustizia, 19 novembre 2018, che commentando la pronuncia “a caldissimo” ha ritenuto «assolutamente da escludere che la disposizione possa avere applicazione in un qualsivoglia giudizio».

eccessiva negli effetti di frammentazione ordinamentale, e la dichiarazione di incostituzionalità con scissione o differimento della nullità, soluzioni proprie di altri contesti costituzionali ed al momento non adattabili in Italia. Delle ultime viene recuperato il riguardo per il legislatore specie quando, come nel caso de qua, sia necessario dare séguito ad una disciplina articolata e politicamente scivolosa; della prima è colto invece il carattere realmente decisorio, fonte di certezza del diritto e garante del principio di costituzionalità e, per suo tramite, dei diritti fondamentali, proprio dell’unico dispositivo che può veicolarlo ex art. 136 Cost.

A quadro normativo invariato, quella odierna è l’unica via praticabile per differire gli effetti della incostituzionalità, giacché formalmente non li posticipa – altrimenti si porrebbe contra constitutionem –, anche se assicura ugualmente un congruo termine al legislatore per prevenire il vacuum che verrebbe a crearsi col ricorso ad una pronuncia additiva di principio. Del pari viene garantito un rafforzamento della tutela per le posizioni soggettive, in quanto alla ripresa del processo il giudice si troverebbe, nel migliore dei casi, a poter fare applicazione di una nuova disciplina la cui conformità a Costituzione è certificata dalla restituzione degli atti per ius superveniens; ovvero a dover provvedere egli stesso a dare attuazione, secondo le peculiarità del caso di specie, alla sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale della normativa non tempestivamente corretta (o introdotta) dal Parlamento, così come di quella che, pur intervenuta medio tempore su invito della Corte, presenti tuttavia profili di incostituzionalità25.

La soluzione escogitata dalla Corte pare infatti un buon compromesso tra le due opposte esigenze di rispetto del legislativo e del giudiziario, che spesso nella precedente elaborazione giurisprudenziale non sono state tenute in pari considerazione. È chiaro che l’unica sospensione necessariamente disposta dall’ordinanza di rinvio è quella del giudizio a quo, ed altrimenti non potrebbe essere; ma è possibile immaginare che analogo destino possa spettare in tutti gli altri casi in cui venga in rilievo la medesima questione, potendosi ottimisticamente prefigurare una graduale apertura e collaborazione dei giudici comuni verso il nuovo strumento. E ciò non soltanto in ragione del principio secondo cui per ogni diritto c’è in definitiva un giudice presso il quale farlo valere, tenuto se del caso ad aprire le porte al giudizio incidentale, pena altrimenti la riforma della ingiusta sentenza nel grado successivo di giudizio; bensì, in maniera più pragmatica, perché la sospensione del giudizio per un tempo relativamente breve ma certo

25 Come osserva M.BIGNAMI, Il caso Cappato alla Corte costituzionale, cit., «la Corte, valendosi anche di una recente giurisprudenza giustamente meno incline alla restituzione degli atti per ius superveniens (sentenza n. 194 del 2018), trasferisce la questione sulla nuova, inadeguata normativa, e cancella la disposizione sia nella versione originale, sia nella versione modificata». Tale profilo è riconosciuto positivamente anche da M.PICCHI, «Leale e dialettica collaborazione» fra

Corte costituzionale e Parlamento: a proposito della recente ordinanza n. 207/2018 di monito al legislatore e contestuale rinvio della trattazione delle questioni di legittimità costituzionale, in Osservatorio sulle fonti, n. 3/2018, p. 13.

ne consente poi l’immediata prosecuzione e soluzione in senso costituzionalmente conforme, azzerando quantomeno sotto quel profilo le possibilità di una riforma in appello o di un annullamento in Cassazione. È appena il caso di notare che talvolta le additive di principio, in specie se di formulazione non proprio intelligibile, non assicurano una maggior tutela delle posizioni giuridiche soggettive: il diritto giurisprudenziale infatti si rivolge al singolo caso ed immancabilmente non può garantire quelle esigenze di uniformità di trattamento e di certezza del diritto che pure rappresentano valori preminenti in Costituzione. La soluzione additiva allora può vedersi sovente come una pezza, posta in via provvisoria dal giudice costituzionale al fine di evitare più gravi strappi nella continuità dell’ordinamento, al tempo stesso concedendo al Parlamento il tempo utile per un intervento normativo in materia che, seguendo nella nostra metafora, costituirebbe la tanto attesa ricucitura della trama legislativa.

È facile osservare come nel caso di specie il percorso è stato esattamente inverso: la Corte ha concesso subito una dilazione-delega al legislatore «in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale», per provvedere nelle consuete forme dell’additiva di principio proprie della sent. n. 242 del 2019 quando, allo scadere del termine, l’invito è risultato inevaso26. Da questo nuovo modo di procedere il legislatore

avrebbe un vantaggio nel poter contare su due distinti momenti di censura: un primo a declaratoria non ancora intervenuta, ma solo promessa, ed un secondo qualora, nonostante la diffida, risultasse inadempiente; i giudici comuni si vedrebbero costretti allo sforzo ermeneutico ricostruttivo soltanto a séguito di tale inadempimento, trovandosi nella peggiore delle ipotesi a dover attendere qualche mese per esercitare quel potere interpretativo di attuazione del principio generale somministrato dalla Corte e, nella migliore, ad applicare la normativa conforme di nuova produzione.

Verrebbe da dire che il punto di forza di questa innovativa tecnica decisoria risiede proprio nel tentativo altissimo di dare una miglior tutela ai diritti ed alle libertà fondamentali sottoposte a giudizio, tanto nella pienezza quanto nell’eguaglianza. Se la prima esigenza può essere assicurata soltanto dalla collaborazione proficua tra Corte e legislatore, la seconda passa necessariamente per i giudici comuni; ed è di prima evidenza come né le pronunce di inammissibilità sostanziale, né le additive di principio costituiscano idoneo presidio in tal senso.

26 La decisione “di ritorno” è stata ampiamente commentata in dottrina: per gli aspetti procedurali che qui interessano, si rinvia a M. D’AMICO, Il “fine vita” davanti alla Corte costituzionale fra profili processuali, principi penali e dilemmi etici

(considerazioni a margine della sent. n. 242 del 2019), in Osservatorio costituzionale, n. 1/2020; G. CAMPANELLI, La Corte costituzionale riconosce la tutela della dignità nella scelta di morire e sospende la discrezionalità del legislatore, in Quaderni costituzionali,

n. 1/2020; C. MASCIOTTA, La Corte costituzionale riconosce il diritto, preannunciato, a morire rapidamente e con dignità con una

tecnica decisoria dalle dirompenti implicazioni, in Consulta OnLine, n. 1/2020; R. PESCATORE, Caso Cappato-Antoniani: analisi di un nuovo modulo monitorio, in Osservatorio costituzionale, n. 1/2020.

Le dichiarazioni di inammissibilità aprono un vistoso squilibrio per così dire diacronico nella tutela garantita alle situazioni soggettive, lasciando che a quelle sub iudice continui ad applicarsi la normativa già accertata come illegittima e riservando invece alle altre, azionate in un secondo momento, il beneficio della soluzione “a rime obbligate” finalmente adottata dalla Corte; le pronunce additive si limitano a trasferire a valle il problema, che diviene perciò sincronico, giacché il rischio di un diverso trattamento si palesa sin da subito nell’applicazione giurisprudenziale caso per caso del principio sufficientemente astratto enucleato dal Giudice delle leggi. Se è indubitabile che le sentenze additive di principio abbiano rappresentato un passo avanti nella parità di trattamento e per la certezza del diritto, non può non vedersi come si annidi proprio nella concreta declinazione del principio costituzionale da parte dei giudici comuni il rischio del permanere di una tutela differenziata a situazioni simili se non del tutto identiche27.

La nuova tecnica di cui si discute, qualora davvero sortisse gli ambiziosi risultati attesi dalla sua Levatrice, potrebbe in effetti arrivare dove le tipologie decisorie appena dette erano impossibilitate, per limiti intrinseci. Certamente le aspettative sono molte e molto suggestive, a tratti quasi irrealistiche: l’auspicio mite della Corte convoglia nel medesimo punto delle considerazioni in diritto l’idea di un legislatore- collaboratore leale e disponibile al dialogo28 ed altresì di un potere giudiziario compatto nell’aderire

all’interpretazione fornitagli sulla norma penale specifica nonché, quel che più importa, nel sostenere il giudice delle leggi in questo suo sforzo ermeneutico di «gestione del processo costituzionale». Senz’altro l’obiettivo è comune o, rectius, va oltre la stretta rivendicazione delle prerogative proprie di ciascun organo, ordine o potere, poiché attiene all’ottimo funzionamento del modello di giustizia costituzionale, dunque alla più vasta realizzazione del principio di costituzionalità e per esso di tutela dei diritti.

Il giudice delle leggi ha evidentemente ritenuto il momento odierno congeniale per teorizzare un nuovo strumento per il suo arsenale e deve ritenersi che tra quelle ragioni extra-ordinem utili alla sperimentazione, tutt’altro che chiarite nella parte motiva dell’ordinanza, abbia avuto un ruolo pure l’attenzione sociale per la tematica de qua. Il riferimento appena abbozzato alle «peculiari caratteristiche» del caso in esame e alla «rilevanza dei valori da esso coinvolti» può essere letto come l’individuazione del caso opportuno per il

27 Cfr. A.ANZON, Nuove tecniche decisorie della Corte costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1992, pp. 3211 ss., in particolare pp. 3215 ss.

28 Idea che sembra risentire dell’esempio fornito in Germania dalla generalmente proficua collaborazione tra il Tribunale costituzionale federale e il Parlamento, che già da tempo è caratterizzata dall’apposizione, nelle sentenze di

Unvereinbarkeitserklärung, di un termine al legislatore, cd. Fristsetzung, il quale svolge la funzione di circoscrivere la

sospensione dello status di incostituzionalità accertata e dichiarata eppure non rimossa di cui alla norma incostituzionale. La contaminazione è stata rilevata nell’immediatezza della decisione da N. FIANO, «Caso Cappato, vuoti di tutela

costituzionale. Un anno al Parlamento per colmarli». Riflessioni a caldo a partire dal modello tedesco, in Forum di Quaderni costituzionali,

29 ottobre 2018, la quale ritiene che «il comunicato sembra riprendere quindi la ratio sottesa alle Unvereinbarkeitserklärungen e al relativo Frist, in tal modo facendo emergere l’attivazione di un’originale forma di cooperazione con il legislatore. Di fatto, il Giudice delle leggi non si era mai espresso in questi termini».

battesimo di questa nuova tecnica decisoria, secondo una scelta di politica giudiziaria esercitata dalla Corte che ricorda da lontano il modello di policymaking della Supreme Court statunitense. Non pare infatti fuori di ragione sostenere che il Giudice costituzionale abbia profittato del momento di grande attenzione al tema del fine vita, frutto di un dibattito ormai ultradecennale che ha portato, seppure con enorme ritardo, all’approvazione della legge sul cd. testamento biologico (l. n. 219 del 2017) e ad un consenso sociale crescente verso forme di regolamentazione già adottate, in varia misura, da altri paesi.

L’idea di una scelta simile ad un esercizio di policy è rafforzata dalla circostanza, innegabile, che “contrappone” alla Corte costituzionale nell’attuale contesto storico una politica debole e in fase di grande fluidità e dinamismo, al di fuori delle tradizionali ideologie novecentesche29. Semmai, e qui viene la nota

dolente, è proprio questa debolezza della politica o rectius la sua recente sfuggevolezza che, da subito, non lasciavano ben deporre verso il raccoglimento dell’invito rivolto al Parlamento perché provvedesse nel volgere di pochi mesi a regolamentare la materia de qua.

È dunque nel prossimo divenire che è racchiuso il futuro della tecnica decisoria appena inaugurata: si può ritenere che il suo buon esito sia stato utile ad elevarla a strumento principe della panoplia a disposizione del Giudice delle leggi, perlomeno da un punto di vista qualitativo, finendo per rappresentare la extrema ratio per ottenere il necessario raccordo col legislatore in casi particolarmente delicati. Secondo tale prospettiva, tuttavia, sarà solo con l’impiego prudente, ma costante nel tempo che le ordinanze di “rinvio della (declaratoria di) incostituzionalità” potranno assumere contorni più definiti e, con il formarsi di un filare giurisprudenziale, garantire maggiore certezza con riguardo ai presupposti che ne determinano l’adozione.

29 Chi scrive ha ragione di ritenere che, a parità di condizioni, una analoga questione di legittimità costituzionale non avrebbe mai sortito questo esito nella stagione della Seconda Repubblica, caratterizzata dall’aspra contrapposizione e polarizzazione valoriale tra centro-destra e centro-sinistra, ma sarebbe stata destinata ad una pronuncia di inammissibilità per mancato esperimento dell’interpretazione conforme ovvero ad una interpretativa di rigetto. Ipotesi che invece presenta vistose analogie con l’odierna è quella di cui alla sent. n. 27 del 1975, originata non a caso in periodo di pieno “compromesso storico”: in quella occasione la Corte non si astenne dal dichiarare l’illegittimità costituzionale del divieto penale di aborto, qualora fosse «accertata la pericolosità della gravidanza per il benessere fisico e per l’equilibrio psichico della gestante», pur contemporaneamente ritenendo «obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che l’aborto [venisse] procurato senza serii accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione», premurandosi infine di precisare che «la liceità dell'aborto [dovesse] essere ancorata ad una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a giustificarla». La questione presentava senz’altro caratteristiche analoghe al caso di specie e ben avrebbe potuto rappresentare un precedente autorevole per l’adozione di una sentenza additiva di principio. Muovendo da questa considerazione, tuttavia, si ha in qualche misura la conferma di come la Corte abbia ritenuto di cogliere l’occasione per procedere diversamente e inaugurare un nuovo strumento di co-decisione col Parlamento che andasse oltre i dispositivi manipolativi già sperimentati.

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