una delle declinazioni dell’internazionalizzazione, ma il riferimento ad un sistema nazionale di marketing e di attrazione degli investimenti continua a mancare.
Manca anche, a quanto sembra di poter rilevare, una connessione davvero efficace e soprattutto continuativa tra le politiche di marketing, promozione e attrazione degli investimenti e quelle di business friendliness. Su questo punto vi sono margini per una migliore sinergia tra le risorse del territorio.
A tale proposito, vale la pena di sottolineare quanto suggerito dal lavoro dell’OECD sopra citato (OECD/Mountford D., 2009) a proposito dei processi di “reinvenzione”delle agenzie, per cui la formulazione di nuove politiche di sviluppo ha sostenuto la proliferazione di agenzie anche in regioni con buoni risultati economici. Questa (relativa) novità è coerente con la crescente diffusione di politiche più articolate e complesse di quelle messe in atto in passato, volte per esempio ad indirizzare l’evoluzione dei sistemi economici locali verso determinati settori, tecnologie o tipologie di produzione. Un esempio interessante è costituito dal ricorrere di “Green development initiatives” tra le mission delle agenzie o nell’articolazione delle funzioni al loro interno.
Resta inoltre da sottolineare un aspetto logicamente conseguente rispetto al tema della necessaria reinvenzione delle agenzie, ovvero la possibilità che le strutture costituite con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo o l’attrazione di investimenti sopravvivano alle strategie per cui sono state create, con l’esito di possibili effetti distorsivi e quindi con il venir meno dell’adeguatezza di una struttura ad hoc rispetto all’implementazione di politiche particolarmente innovative. Come notano Pacetti e Pichierri (2010b), il rischio di “iperstabilità” delle agenzie (vale a dire la possibilità che queste permangano, magari con obiettivi parzialmente distorti, anche quando la loro missione si è conclusa o è stata messa in secondo piano dall’evoluzione dell’agenda politica) può trasformarsi in un inatteso effetto benefico per il territorio in periodi di crisi: quando la crisi economica suggerisce di ritirare le risorse da tutte le attività non immediatamente necessarie o “remunerative”, la presenza di agenzie può facilitare la persistenza di spazi di pianificazione, programmazione e progettazione che si rivelano invece importanti per sostenere e guidare una ripresa consapevole dello sviluppo territoriale.
3. ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La survey sulla letteratura economica ha evidenziato che nel corso degli ultimi due decenni l’interesse degli economisti torinesi nei confronti della business friendliness è stato altalenante e si è rivolto principalmente verso lo studio dell’attrazione degli investimenti esteri e della nascita di nuove imprese sul territorio locale. Da una parte, il concetto di business friendliness solo in alcuni casi è stato esaminato in modo approfondito, nella sua accezione più ampia del termine, confermando che l’interesse per le politiche pubbliche di sistema (o “per fattori”, nella dizione più cara agli economisti industriali) sono molto recenti, dall’altra, il territorio oggetto degli studi da parte dei ricercatori è stato generalmente considerato nel suo riferimento regionale o provinciale, e molto raramente a livello dell’area metropolitana torinese o del solo confine cittadino.
Del resto, le statistiche dell’economia industriale italiana privilegiano tali confini amministrativi, favorendo studi e ricerche a livello macrogeografico più che nell’area più omogenea per le attività economiche del territorio torinese. L’ipotesi sottostante agli studi condotti nei decenni qui considerati è che i fattori di attrazione dell’area metropolitana torinese siano sufficientemente simili a quelli della provincia torinese o dell’intera regione. Probabilmente ciò era vero in un contesto di forte standardizzazione delle modalità produttive e di scarsa dinamica dei cambiamenti nella struttura dell’economia e della società: la tradizionale focalizzazione dell’economia torinese sul ruolo di “motore dello sviluppo” della filiera automotive
consentiva di adattare i fattori di attrazione regionale, individuati sul territorio più ampio, alle specifiche necessità di questo comparto e quindi dell’area stessa. Lo studio regionale o provinciale era forse sufficiente a inferire i caratteri attrattivi della stessa area metropolitana torinese, essendo quasi tutti i territori molto influenzati dal forte processo di industrializzazione attuato nei precedenti anni ’60 e ’70.
In realtà, le analisi più recenti, condotte dal 2000 in poi, hanno invece sottolineato le notevoli specificità che il territorio dell’area metropolitana torinese possiede rispetto al resto della regione, attribuendo alla prima un percorso di sviluppo che oggi viene indirizzato verso il concetto di smart city, e che rappresenta un anticipatore dell’evoluzione determinata dalla globalizzazione e dal cambiamento tecnologico.
La città e l’area metropolitana seguono pertanto percorsi di crescita che anticipano il futuro del resto della provincia o della regione, modificando pesantemente il concetto di attrattività degli investimenti esteri e di business friendliness dei territori. Nella rassegna della letteratura qui esposta, la rapida evoluzione dell’area metropolitana torinese verso il concetto di smart city emerge abbastanza chiaramente, con riferimento tanto alla descrizione del flusso di investimenti esteri in entrata sul territorio locale, quanto alle politiche pubbliche seguite per aumentare l’attrattività del territorio, che alle modalità di nascita delle nuove imprese locali.
Nel caso del flusso di investimenti esteri in entrata, la survey ha sottolineato il forte peso della presenza del capitale estero nell’industria locale, e la sua differenza qualitativa in termini di maggiori dimensioni aziendali, e di un maggiore livello di innovazione e complessità organizzativa delle imprese estere. L’evidenza di tale differenza qualitativa rende implicito che le ricadute (spillover) sulle imprese locali della presenza delle imprese estere siano positive, in termini di rapporti di subfornitura maggiormente evoluti dal punto di vista organizzativo. Tuttavia, tali vantaggi sono probabilmente differenti nel corso del tempo e a seconda delle filiere produttive considerate, nonché dei fattori produttivi più coinvolti: l’impatto sui fattori tradizionali (capitale umano dequalificato, investimenti fissi espansivi, infrastrutture materiali, ecc.) è infatti differente da quello che potrebbe riflettersi nei nuovi fattori produttivi immateriali (fattore lavoro iper-specializzato, innovazione organizzativa, proprietà intellettuale, capitale relazionale, impresa a rete, eccetera).
La letteratura economica ha esaminato soprattutto la dinamica degli investimenti esteri nel corso del tempo, e un po’ meno la loro evoluzione qualitativa. Tuttavia, anche solo dall’analisi dei dati quantitativi si può inferire una differenza tra gli investimenti esteri più recenti e quelli più storici: lo spostamento della presenza estera verso le attività del terziario, la maggiore importanza degli investimenti nelle medie dimensioni d’impresa, la preferenza dell’acquisizione di imprese locali rispetto alla scelta di nuovi investimenti greenfield sono tutti elementi che contraddistinguono la realtà più recente rispetto al tradizionale processo in atto alcuni decenni or sono.
La letteratura economica oggetto della presente survey ha esaminato soprattutto le politiche pubbliche volte all’attrattività degli investimenti esteri, mostrando la forte relazione esistente tra fattori competitivi locali e politiche per la modifica di tali fattori. La scelta di favorire investimenti in specifici settori, dimensioni di impresa, aree territoriali, si ripercuote sull’evoluzione dell’intero sistema economico, essendo molto legate tra loro le determinanti delle scelte localizzative delle imprese e la struttura economico-sociale del territorio. Del resto, la globalizzazione dei mercati a livello mondiale e la realizzazione del mercato unico nel contesto europeo consentono all’impresa di scegliere in quale territorio “ancorarsi”, anche solo provvisoriamente, per poi decidere di cambiare posizione se le condizioni non saranno soddisfacenti. Gli effetti negativi della globalizzazione sono rappresentati dalla delocalizzazione delle attività produttive nate sul territorio, mentre quelli positivi derivano dalle opportunità che il territorio attragga risorse da
altri contesti locali. Ciò rende le caratteristiche dell’ambiente economico in cui operano le imprese torinesi molto più importanti rispetto al passato: da qui il forte interesse attuale nei confronti della business friendliness, sia da parte delle imprese, che da parte dei policy maker che devono governare i processi produttivi.
Anche esaminando il semplice esempio del contesto europeo, si nota che il nuovo comportamento del capitale industriale non considera più gli investimenti esteri con il fine di superare i regimi protezionistici nazionali: la multinazionale non è più costretta a produrre in ogni paese europeo per poter penetrare tale mercato, in quanto oggi può scegliere la regione europea in cui produrre e da lì esportare in tutta l’Unione europea senza subire alcuna limitazione protezionistica.
La survey ha sottolineato che la libertà di movimento del capitale industriale deve essere tenuta bene a mente nel definire le politiche di sviluppo locale, in quanto ogni impresa ha esigenze definite dal settore di attività, dalla tecnologia utilizzata, dalle strategie di crescita. Per esempio, i comparti labour intensive sono attratti della disponibilità di disoccupati, di manodopera qualificata, di incentivi all’occupazione; le scelte dei settori high-tech sono definite dalla presenza di università, centri di ricerca sul territorio, imprese innovative; le imprese legate alla logistica vengono attirate nelle aree dotate di buone infrastrutture di trasporto. Numerosi sono gli altri esempi che si potrebbero elencare, ma tutti sono comunque definiti dalle caratteristiche dei fattori competitivi locali e dalle possibilità di modificare e migliorare tali fattori utilizzando i beni collettivi per la competitività, in quanto l’area metropolitana torinese sarà più competitiva quanto più sarà in grado di offrire alle imprese locali, sia nazionali che di provenienza estera, i beni collettivi capaci di renderle competitive sull’arena globale. Le politiche pubbliche per l’attrazione del capitale sono pertanto politiche di scelta, tra un tipo di capitale e l’altro, e non possono più essere politiche generaliste e indifferenziate, volte all’attrazione del capitale tout-court.
Per quanto riguarda l’importante aspetto della business friendliness legato alla nascita di nuove imprese, la survey sulla letteratura economica ha evidenziato un certo interesse degli studi per l’individuazione delle modalità di nascita delle nuove imprese e delle caratteristiche dei nuovi imprenditori, anche con una specifica attenzione al territorio cittadino, confermando l’ipotesi che il contesto urbano è particolarmente fertile per la nascita di nuove imprese, grazie ai servizi disponibili e alla densità delle reti sociali. Mentre nelle ricerche sugli investimenti esteri in entrata il territorio considerato era principalmente quello regionale, negli studi sulle nuove imprese si privilegia l’area comunale di Torino. Anche qui non si considera quasi mai l’area metropolitana torinese, probabilmente per la forte ipotesi che i servizi per il sistema produttivo siano localizzati nell’area centrale, e che quindi meriti esaminare soprattutto le nuove imprese nate in tale area, non considerando pertanto la business friendliness presente nei comuni del circondario torinese, quelli più colpiti dal processo di deindustrializzazione in atto e che necessitano maggiormente di un rinnovo della struttura economica attraverso la nascita di nuove imprese. Si tratta di una carenza che andrebbe colmata nelle prossime indagini sull’argomento, essendo i rapporti economici e sociali particolarmente stretti tra centro cittadino e comuni del circondario.
È interessante sottolineare come la letteratura economica evidenzi che le determinanti della business friendliness legate alla nascita di nuove imprese subiscano una modifica nel corso del tempo, con la mutazione in atto nel sistema economico locale: passando dal periodo della crescita economica, a quello della ristrutturazione industriale, per giungere alla crisi economica attuale, le possibilità di assorbimento di nuove imprese attive nei settori più tradizionali e tipici dell’economia locale si riducono fortemente. Le nuove imprese attuali sono pertanto “molto più nuove” delle precedenti, in quanto sono costrette a definire il proprio vantaggio competitivo sulla base di uno scenario economico molto diverso dal passato. Non si tratta di una mera sostituzione
di imprenditori giunti al termine della loro esperienza, con altri imprenditori simili ai precedenti, ma bensì di un rinnovamento, in gran parte forzato e imposto dalla crisi, della base imprenditoriale.
Infine, la survey ha sintetizzato i risultati della scarsa letteratura economica che ha avuto per oggetto la presenza di un ambiente più o meno favorevole all’imprenditorialità: le (poche) analisi condotte sulla business friendliness (nell’accezione più ampia del termine) dell’area torinese mostrano risultati positivi, con un buon giudizio nei confronti dei fattori produttivi locali. Tuttavia, occorre ricordare che i fattori giudicati favorevoli all’imprenditoria locale sono in realtà fattori di difficile gestione da parte delle imprese di minori dimensioni come, per esempio, le tecnologie disponibili nel sistema innovativo o il grado di internazionalizzazione dell’economia locale, mentre i fattori immateriali più positivi sono quelli legati alla “cultura del lavoro”, un aspetto tradizionale, pur importante, ma che taglia orizzontalmente tutto il sistema economico senza favorirne una sua specializzazione innovativa. Ciò ci consente di affermare che un approfondimento su quali siano i fattori più importanti per garantire l’attrattività e il trattenimento delle attività economiche sull’area metropolitana sia quanto mai necessario, come si vedrà nelle prossime sezioni del presente studio. Inoltre, tale approfondimento colma una lacuna scientifica locale se sarà condotto soprattutto nei confronti dei nuovi modelli di sviluppo economico, quali sono quelli legati alla green economy e allo sviluppo sostenibile.
I risultati della survey fin qui evidenziati possono essere letti con l’ottica che sia necessario gestire una politica pubblica a favore della business friendliness dell’area metropolitana torinese e la sezione della survey dedicata al ruolo delle agenzie di attrazione degli investimenti esteri ha mostrato la distanza tra le politiche del nostro territorio e quelle delle regioni più avanzate dell’Unione Europea, nonostante la positiva esperienza di ITP. L’agenzia di promozione degli investimenti esteri ha svolto un importante ruolo propulsivo nel territorio dell’area metropolitana torinese, pur all’interno di un ciclo di riorganizzazione della sua governance e delle risorse pubbliche impegnate (per esempio, con la sostituzione dei fondi europei con i finanziamenti locali).
È probabile che l’attenzione degli operatori impegnati nell’attrazione dei capitali esteri si sia concentrata sulla sostituzione delle imprese attualmente in declino, con altre imprese estere della stessa tipologia settoriale, tecnologica o dimensionale, strategia di attrazione che favorisce la massimizzazione del numero delle imprese estere sul nostro territorio più che il rinnovo tecnologico e settoriale del territorio stesso. Del resto, la business friendliness dell’area metropolitana torinese dipende molto dalla struttura attuale della sua economia e pertanto non favorisce l’insediamento di attività economiche “lontane” dal punto di vista tecnologico o organizzativo dalle tipicità locali. La dipendenza dalla struttura passata rende di difficile attrazione le imprese nei settori più innovativi e diversi da quelli attuali, come per esempio le attività dell’economia “creativa” o della new economy, che probabilmente hanno bisogno di fattori produttivi molto differenti da quelli tipici dell’industria manifatturiera più tradizionale.
La differenziazione delle politiche di attrazione potrebbe, in questo contesto, favorire l’emergere di potenzialità di crescita tuttora nascoste, soprattutto nel nuovo contesto competitivo in cui operano le imprese. Infatti, la crisi del 2008 è sicuramente definibile come una crisi di tipo strutturale e non solamente di tipo congiunturale, e che porta con sé il germe di un cambiamento definitivo del comportamento dei consumatori e dei produttori locali. Si tratta di elementi nuovi di contesto, che non potevano essere considerati negli studi esaminati dalla presente survey e che pertanto rappresentano una nuova modalità di interpretazione dei dati e delle informazioni relative alla business friendliness del territorio qui considerato: l’evoluzione dei mercati mondiali (con la crescita concentrata nei paesi di più recente industrializzazione), la crisi del comparto automotive europeo (e la perdita di centralità del ruolo di Fiat nel contesto torinese), l’evoluzione
del sistema macroeconomico istituzionale (con la necessaria attenzione al peso del debito pubblico), la modifica delle risorse disponibili nei fondi strutturali europei sono tutti elementi di nuova e recente valutazione, che impongono di reinterpretare le conclusioni ottenute dalla letteratura economica degli ultimi decenni. Per esempio, la generale contrazione degli investimenti esteri a livello europeo e mondiale rende più importanti le politiche di radicamento degli investimenti già presenti, al fine di evitarne la delocalizzazione in altri contesti territoriali, rispetto alle tradizionali politiche di attrazione di nuovi capitali, con una maggiore attenzione verso il concetto di business friendliness nell’accezione più ampia del termine.
Alla luce di queste ultime affermazioni, possiamo ricordare che la politica pubblica per la business friendliness dovrebbe essere “coerente”, con l’evoluzione del contesto locale, al fine di essere credibile e efficace, ma anche “coraggiosa” nel tentarne una modifica, per introdurre elementi di novità che possano indirizzare il sistema locale verso un nuovo percorso di sviluppo: in questo contesto, la dimensione green dell’economia locale potrebbe pertanto rappresentare un giusto mix tecnologico e produttivo per combinare i punti di forza tradizionali del sistema locale con i settori economici a maggiore crescita (potrebbe essere, ad esempio, il “volto nuovo” dell’automotive e della mobilità sostenibile) ed è quindi un punto di vista molto interessante per affrontare il tema della business friendliness dell’area metropolitana torinese, come si cercherà di esaminare nelle prossime sezioni della presente ricerca.
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