UN’INDAGINE EMPIRICA
4. IL PUNTO DI VISTA DELLE MULTINAZIONALI E DEI PLAYER ESTERNI
Come indicato nella prima parte del presente contributo, il Piemonte costituisce da sempre una delle maggiori destinazioni nazionali degli investimenti diretti esteri (IDE), per quanto negli ultimi anni tale vocazione risulti in parziale ridimensionamento e definita, principalmente, da investimenti brownfield.
L’attenzione degli operatori e delle politiche per l’internazionalizzazione del sistema pro-duttivo locale e regionale, inoltre, appare sempre più volta non solo ad attrarre, ma a trattenere sul territorio gli investimenti delle multinazionali, a partire dalle diverse logiche e modalità di relazione che esse intrattengono con i sistemi locali. Ai fini di una più approfondita analisi dei fattori di attrattività del territorio, è dunque di grande interesse focalizzare l’attenzione su tali differenze; il tema è ampio e costituisce oggetto di specifici filoni d’indagine, nonché di ricerche empiriche anche sul territorio piemontese. In questa sede sarà sufficiente domandarsi, in base ai casi esaminati, cosa guida gli investimenti delle imprese esterne (non solo mutinazionali e-stere) nel torinese e proporre alcune riflessioni sugli esiti delle realtà acquisite da gruppi multi-nazionali. Molto dipende dalla logica degli investimenti medesimi.
Gli investimenti brownfield presenti nel campione, seppure rispondenti a logiche differenti, sembrano avere il profilo modale in un modello finalizzato allo sviluppo delle realtà acquisite che ha caratterizzato peraltro molte acquisizioni degli ultimi anni – a partire dai noti casi delle società entrate nell’orbita del gruppo Volkswagen (Ducati in Emilia, Italdesign a Torino). Non esiste una regola generale. Vi sono imprese per le quali l’ingresso di investitori esteri ha costituito premessa per una rapida espansione (è il caso, per restare a Torino, del Gruppo Prima Industrie, una delle imprese eccellenti nel ramo della meccatronica che vede una presenza significativa nella proprietà di fondi d’investimento) senza che i primi entrassero nella gestione dell’impresa, e altri in cui la logica di controllo appare più stringente, per quanto non necessariamente l’integrazione negli assetti di gruppo della multinazionale produca effetti negativi (anzi, proprio il citato caso di Italdesign lascerebbe intendere il contrario).
Nel caso di Ilti Luce, dal 2009 entrata a fare parte del Gruppo Philips, la logica dei nuovi proprietari appare riconducibile a questo profilo. L’impresa si è sviluppata, il marchio è stato valorizzato, il gruppo proprietario per l’azienda originaria costituisce anzitutto un grande mercato; tutto senza stravolgere assetti organizzativi e formule imprenditoriali, seppure Philips abbia proceduto negli anni più recenti a un parziale ricambio del management. La logica di questo tipo di operazioni appare esplicitamente orientata all’acquisizione, da parte del gruppo compratore, di competenze e skill specialistici. I valori di Ilti Luce risiedono nella progettazione, nel design, nella qualità dei fornitori locali: sottrarre autonomia all’azienda significherebbe impoverire i valori a monte dell’acquisizione.
Tra i casi era presente anche un’acquisizione matura, Embraco. Lo stabilimento di Riva di Chieri negli anni ’90 trae dall’ingresso nella multinazionale innegabili vantaggi e si sviluppa fino a raggiungere circa 2.200 addetti; ma lo stesso caso propone anche un rovescio della medaglia: negli anni Duemila lo stabilimento inizia infatti a perdere competitività. È più semplice, per centri direzionali lontani e privi di legami locali, agire nella direzione di una dismissione, evitata in questo caso dagli impegni assunti dagli enti locali e dalle organizzazioni sindacali al fine di mantenere la produzione su territorio. La vicenda illustra bene, ma è solo uno tra i tanti casi possibili, come all’interno dei gruppi multinazionali (non necessariamente esteri) gli insediamenti locali siano sempre, in qualche misura, in competizione con altri stabilimenti. Insegna anche che in questi casi le imprese possono alzare il prezzo, negoziando con il sistema locale condizioni più
vantaggiose, rivendicando in ultima istanza “spazi di eccezione” rispetto agli standard regolativi locali.
Una ristrutturazione di successo è indiscutibilmente rappresentata dal nuovo stabilimento di Pirelli a Settimo Torinese. Risale agli anni ’50 il precedente insediamento di via Torino, progettato da Giuseppe Valtolina, padre con Gio Ponti del “Pirellone”; lo stato di obsolescenza degli impianti poteva preludere alla dismissione ma non è andata così, grazie all’accordo finalizzato allo sviluppo di un nuovo polo industriale, sottoscritto nel 2006 da Regione, Provincia, Comune, Politecnico di Torino e Gruppo Pirelli. Le attività dell’azienda sono state accorpate nel nuovo polo di via Brescia, stabilimento all’avanguardia con tecnologie di nuova generazione, per la produzione di pneumatici ecologici e “intelligenti” che interagiscono con la guida e il controllo del veicolo. Parte di queste attività sarà realizzata in collaborazione con il Politecnico di Torino, con il quale l’azienda ha in programma numerosi programmi di ricerca. A Renzo Piano sono stati affidati il progetto architettonico e la direzione della “spina”, il corpo centrale che ospiterà i servizi per i dipendenti, e di tutte le opere paesaggistiche, di viabilità interna e di illuminazione. Il progetto è stato condiviso con tutte le organizzazioni sindacali. Altrettanto significativo è che questa success history s’inquadri in una porzione di territorio che della riconversione intelligente dei siti industriali ha fatto una scommessa, al punto da guadagnare una menzione come esempio di città sostenibile nel recente “Sustainable communities” di Woodrow Clark, guru della green economy e co-vincitore (con Al Gore) del Nobel per la pace 2007. Settimo ha puntato sul rinnovabile, riconvertito aree industriali secondo i principi della bio-architettura, costruito case eco-sostenibili, diffuso buone pratiche energetiche negli edifici pubblici, lanciato l’ambizioso progetto di riqualificazione “Laguna Verde”, una superficie di 800.000 mq tra cui proprio l’ex stabilimento Pirelli di via Torino. Il concept si presenta come esempio di struttura a elevata qualità architettonica, ambientale ed ecologica.
L’altro grande investimento da parte di multinazionali è il centro ingegneristico di General Motors Powertrain Europe, fondato nel 2005 sulla scorta dell’alleanza all’epoca vigente tra il colosso di Detroit e il Gruppo Fiat, e attualmente insediato all’interno del campus del Politecnico di Torino. Nato come centro di rilevanza regionale, in seguito agli investimenti compiuti dalla casa madre e alla riorganizzazione a livello continentale del gruppo, è oggi un centro di competenza globale del gruppo, nei fatti il pivot europeo nella ricerca relativa alle piattaforme diesel e alle tecnologie hardware e software di controllo dei motori. Impiega circa 500 addetti, 460 dei quali ricercatori o ingegneri, con il 60% di nuovi assunti provenienti dalle università torinesi (Politecnico prevalentemente, ma anche da Economia e dal polo scientifico dell’Università degli Studi) e il restante perlopiù da altre università italiane del Nord, del Centro e del Sud. Torino è risultata competitiva, rispetto ad eventuali localizzazioni alternative, in virtù dell’elevata specializzazione nel ramo automotive del suo sistema produttivo, della forza-lavoro localmente disponibile, delle istituzioni formative superiori del territorio. Unica realtà europea del settore automobilistico interna a un campus universitario, per General Motors Powertrain Europe il fattore cruciale è rappresentato dalla collaborazione strutturata con il Politecnico, ma ugualmente apprezzata l’efficienza dimostrata dall’amministrazione nel favorire l’insediamento, nonché la qualità del personale, di età media relativamente bassa (35 anni) rispetto agli standard italiani.
Si tratta in tutti i casi di investimenti a carattere strategico, i cui esiti sono il mantenimento di strutture industriali specialistiche e con molte componenti terziarie sul territorio (General Motors Powertrain Europe) o di strutture di ricerca a crescente radicamento locale – circostanza che ovviamente non esclude cambi di prospettiva, come illustri esempi recenti hanno insegnato. Strategico è anche l’investimento, ormai risalente agli anni ’80, della Golder Associates che all’epoca rilevò una piccola società di ingegneria fondata da docenti del Politecnico. Secondo quanto emerso nel corso dell’intervista, la localizzazione torinese della multinazionale canadese,
ha vinto la concorrenza sulle alternative italiane in virtù dei valori riconosciuti dalla proprietà al territorio: Golder predilige città caratterizzate dalla presenza di competenze tecniche (umane, nel sistema formativo e nelle competenze tradizionali) elevate e radicate e Torino ha una lunga tradizione in campo tecnico, inoltre “è una delle poche aree in Italia dove esiste una forte cultura del lavoro, un’amministrazione pubblica migliore, un generale rispetto delle regole”. Questo, nonostante il mercato locale sia oggi inferiore a quello rappresentato da altre aree metropolitane o altre regioni italiane. Come nel caso di General Motors Powertrain Europe la logica che guida questo investimento appare trainata dalla ricerca di vantaggi di tipo cognitivo e tecnico-professionale.
Diversa la logica che identifica la presenza di di Econocom, multinazionale francese di servizi “chiavi in mano” nel ramo informatico, che sul territorio ha una classica sede commerciale, la terza in ordine d’importanza a livello italiano dopo Milano e Roma, volta ad assicurare presenza sul mercato e gestire alcuni clienti importanti. La presenza di un forte tessuto industriale e di grandi organizzazioni funziona da attrattore di operatori di servizi di tutti i settori: non si tratta evidentemente di presenze strategiche, ma che possono preludere talvolta a relazioni più strutturate. Sembra questa la strada intrapresa da Econocom, che ha deciso di ampliare il ruolo della sede torinese in virtù di un sistema locale di competenze e centri di ricerca, e al supporto di istituzioni come il Centro Estero della Camera di commercio e Torino Wireless. Il primo passo è l’accordo di collaborazione, firmato nel 2012, con l’Istituto Superiore Mario Boella per lo sviluppo di strategie e soluzioni smart riguardanti il settore degli oggetti intelligenti e della cosiddetta “Internet of Things”. Il tema, d’altro canto, segnala anche una possibile criticità. Anche il citato insediamento di Golder è stato inizialmente favorito da importanti commesse di clienti come Iren, Italgas, Comune di Torino, ma dalla metà degli anni Duemila il rapporto con Torino si è allentato poiché non si sono create reti con altre aziende del territorio. Un eccessivo impoverimento della presenza di grandi organizzazioni, si potrebbe dedurre da questi casi, produrrebbe effetti negativi a cascata, limitando fortemente l’attrattività nei confronti degli operatori interessati soprattutto al mercato costituito dai player locali.
Un indicatore importante, alla luce di quanto finora argomentato, del grado di radicamento degli insediamenti locali controllati da multinazionali estere o grandi gruppi italiani, risiede nella posizione occupata dalla sede locale nella divisione del lavoro interna al gruppo. Il dato non riguarda le sole multinazionali, ma le stesse grandi o medie imprese del territorio che si sono internazionalizzate. I casi esaminati, non solo in questa sede, suggeriscono che gli insediamenti nel torinese hanno maggiori probabilità d’essere considerati strategici o solidi nella “competizione interna” ai gruppi di cui sono parte quando si verificano tre condizioni:
i) Sono essi stessi headquarter o centri direzionali – vale ovviamente nel caso in cui la multi-nazionale sia del territorio, ma anche in quelli in cui l’azienda, originariamente locale, sia stata acquisita da gruppi industriali interessati tuttavia a preservarne l’autonomia.
ii) L’insediamento locale è rilevante sotto il profilo commerciale in quanto presidio di un baci-no importante di clientela diffusa (baci-non è il baci-nostro caso, ma certamente ciò riguarda la gran-de distribuzione organizzata, le catene commerciali, il settore bancario, assicurativo, ecc.) o perché sul territorio sono presenti clienti (imprese e altre organizzazioni) d’importanza strategica.
iii) La situazione riscontrabile nella maggior parte dei casi esaminati, l’insediamento locale è specializzato in segmenti tecnologicamente avanzati o ad alta intensità di conoscenza – que-sta situazione si ritrova nei casi Pirelli, General Motors Powertrain Europe, Golder Associa-tes, in parte Econocom.
Pirelli è una multinazionale presente con propri stabilimenti produttivi (venticinque) in dodici paesi. Pur essendo “solo” il quinto operatore mondiale del settore l’azienda è leader nel segmento premium, che vede nello stabilimento di Settimo Torinese il polo di eccellenza mondiale del Gruppo. Qui non si producono più pneumatici dove è maggiore l'incidenza del costo del lavoro: si lavora per le Ferrari, le Lamborghini, le Bentley; o si producono i pneumatici per le motrici dei veicoli industriali. Dal 2011 anche le mescole dei pneumatici di tutte le scuderie della Formula Uno sono preparate a Settimo. Il caso sembra dunque indicare una via: nella globalizzazione e nella competizione internazionale infra-gruppi, i segmenti alti di gamma possono trovare relative convenienze a localizzarsi nel Nord Italia (per quanto non vada sottovalutato il fatto che il nuovo stabilimento Pirelli non costituisca a rigore un investimento greenfield, poiché l’azienda era presente sul territorio da oltre cinquant’anni, circostanza che sicuramente ha inciso non poco nella scelta).
Questi vantaggi sono soggetti al ciclo di vita dell’impresa, del prodotto, al cambio delle stra-tegie, all’obsolescenza tecnologica e cognitiva, all’emergere di concorrenti territoriali in grado di colmare gap antecedenti e infine a esigenze di razionalizzazione interna ai gruppi medesimi. È questa ad esempio la storia di Motorola, caso a suo tempo assurto a simbolo della nuova To-rino tecnologica e della conoscenza aperta agli scenari internazionali, ma si potrebbero citare anche quelli più recenti di Maire Tecnimont o prossimi come Fondiaria Sai.
Il caso della Embraco mostra chiaramente questa dinamica. Quando nella seconda metà degli anni ’90 lo stabilimento di Riva di Chieri entrò nel gruppo brasiliano, ospitava produzioni ad alta tecnologia allora non delocalizzabili in paesi dal minore costo del lavoro. Questo van-taggio è stato progressivamente eroso e con la crisi degli anni Duemila molte produzioni sono state trasferite in Slovacchia. Quando i vantaggi iniziali sono da ripristinare o rifondare, è in queste fasi che l’impresa ricerca “premi” dal sistema locale. Nel caso specifico furono l’intervento degli enti locali e la disponibilità dei sindacati a consentire una proroga delle pro-duzioni. Tuttavia, lo stabilimento di Riva non presenta nella geografia del gruppo particolari fattori competitivi, poiché il centro di ricerca Embraco dedicato allo sviluppo dei sistemi elet-tronici è localizzato nella madrepatria, un secondo centro è stato aperto in Cina, mentre in Messico è prevista l’apertura di un nuovo polo produttivo. Un nuovo accordo, siglato nel 2010, potrebbe rilanciare le produzioni chieresi in virtù di una combinazione tra la modernizzazione degli impianti in chiave esplicitamente green e la riconversione della manodopera, unitamente a un maggiore legame tra produttività e salari. Il caso, in sé non generalizzabile, ma neanche isolabile come situazione particolare, propone come il nuovo stabilimento Pirelli (su un’altra scala e con esiti diversi) la via green come possibile evoluzione della tradizione nell’alta tecnolo-gia dell’industria torinese. D’altra parte mostra come l’elevata specializzazione o l’orientamento alla tecnologia avanzata non costituiscano necessariamente un fattore competitivo sufficiente, per quanto necessario. L’accordo del 2010, che trattiene Embraco sul territorio fino al 2015, mostra bene come non solo la qualità, ma anche la disponibilità e il costo della forza-lavoro rappresentano oggi aspetti non eludibili dall’analisi.