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2 CITTÀ, TERRITORIO, MORFOLOGIA, FORMA URBANA

4.5 Alcune considerazioni sulla normativa statale

Elementi, spunti ed osservazioni in merito al pensiero urbanistico

4.5.1

Anche il pensiero urbanistico, nel periodo considerato, ha subito una propria evoluzione, facendosi interprete delle mutate condizioni storiche, economiche e culturali che venivano avvertite a livello sociale e politico.

I primi anni ’70 videro una critica ai principio del razionalismo indotto dal P.R.G., che veniva considerato uno strumento rigido, costruito per lunghe prospettive temporali ed incapace di adattarsi alle mutate esigenze della città. Lo strumento era considerato inoltre, sì idoneo al disegno della crescita della città, ma non a gestire la sua trasformazione.

Il passaggio avvertito agli inizi degli anni ’80 dalla cultura dell’espansione a quella della trasformazione, mise in crisi gli strumenti urbanistici che erano stati approntati fino all’epoca e che chiaramente avevano fino ad allora agevolato i fattori di grande crescita urbana. Questo aspetto fu notato da B. Secchi,97 che in proposito scriveva che si assisteva “ad una progressiva destrutturazione e delegittimazione dei metodi di progettazione

consolidati”.

Gli anni ’80 sono comunque quelli in cui la disciplina urbanistica prende consapevolezza di dover affrontare il complesso fenomeno delle dismissioni.

Inizia in quegli anni la politica governativa guidata dalla sottocultura della deregulation che, con lo scopo di togliere lacci e lacciuoli, distrugge invece quasi tutte le conquiste legislative relative alla programmazione, alla pianificazione e alla loro governabilità da parte della Pubblica Amministrazione. Sul termine deregulation vanno comunque poste alcune osservazioni. Con esso ci possiamo riferire sia alla semplificazione degli aspetti procedurali, sia al perseguimento di una corretta liberalizzazione. In altre parole la liberalizzazione è corretta se attraverso essa possiamo ottenere regole diverse, più semplici e più sobrie: le regole comunque ci vogliono per tutto ed in modo particolare per il territorio. Il termine

deregulation, tratto dalle materie economiche, porta, se applicato alle materie

urbanistiche, aspetti paradossali; se fosse l’economia a dover regolamentare la città e il territorio avremmo una selezione pesante all’interno degli ambiti urbani e nella concentrazione delle funzioni, quindi trasformeremmo la città e il territorio in ambiti disorganici, caratterizzati da una proliferazione di tessuti, tutti uguali a se stessi e senza vita, nel mentre che la città e il territorio funzionano quando sono caratterizzati da organi con tutte le loro varie componenti, una giustapposta all’altra ma tra loro complementari, anche al di là delle regole economiche stesse. Laddove anche per il luogo più ricco, più economicamente appetibile e più redditizio ai fini della vendita del terreno, ad esempio le zone con destinazione terziaria, la costruzione dovesse essere informata a caratteri di natura esclusivamente economica, si verrebbero a determinare squilibri territoriali di difficile gestibilità e di dubbia efficacia.

Passando al periodo a noi più vicino, si avverte che i principi ed i criteri ispiratori della norma sono anche il risultato di una mutata concezione di intendere la progettazione urbanistica: al piano urbanistico si contrappone il progetto urbano. Con il piano urbanistico sono state fissate, con carattere di generalità, previsioni immutabili, da attuare in tempi lunghi sull’intero territorio comunale. Con il progetto urbano, si afferma la necessità di poter contare su previsioni dinamiche e modificabili in funzione delle condizioni locali, da attuare in tempi brevi e in limitati contesti della città.

Il quadro normativo, gli sviluppi dottrinali dell’urbanistica e la maggiore disponibilità di tecnologie, fungono anche da base per una diffusa modifica negli standard di redazione dei piani, sia da parte dei Comuni, che da parte delle Regioni. Le tecniche di rappresentazione del territorio diventano di tipo iconico e sono anche in grado di restituire particolari costruttivi in merito alla morfologia architettonica, ai volumi e alle superfici dei lotti.

97

Attese, limiti ed esempi di risultati degli strumenti della seconda

4.5.2

generazione

Con i piani INA CASA e GESCAL, si predilesse la vita di quartiere.

A livello comunale si avvertì la necessità dell’integrazione dei quartieri con le città. In pratica entrò in crisi l’autosufficienza voluta per gli interventi realizzati con i predetti piani INA e GESCAL, anche perché apparve sempre più evidente un processo di enucleazione del quartiere dal resto della collettività cittadina.

Le prime esperienze evidenziarono anche la necessità di procedere alla sperimentazione degli esiti dell’introduzione dei P.R.G. ed al monitoraggio della loro evoluzione in rapporto alle esigenze della collettività. In altre parole si acquisì la consapevolezza che i piani non potevano essere considerati immutabili nel corso della loro vita operativa, ma che dovevano essere oggetto di un processo dinamico di adeguamento che fosse in grado di rispondere alle dinamiche socio-economiche.

Importanti occasioni di studio furono quelle costituite dai piani per Milano e Roma, che per l’appunto testimoniano la rinnovata attenzione alla loro verifica ed adeguamento.

Milano ebbe un proprio piano di ricostruzione, redatto nel 1953. Nel 1963 si giunse ad una prima revisione, maturando comunque la convinzione che il piano non doveva essere concepito come uno strumento immobile ma che doveva far parte di un processo da definirsi dialetticamente nei confronti di una società in movimento. Si giunse anche alla considerazione che non era opportuno scendere nelle disposizioni di dettaglio, la cui definizione doveva essere rimandata a piani di inquadramento operativo. Con tali principi Milano fronteggiò la presenza di circa 400 ha di terreno lasciati liberi dalle industrie che nel frattempo erano state rilocalizzate.

Roma, già dotata di un proprio piano nel 1931, non ebbe la necessità di pianificare la ricostruzione in quanto interessata marginalmente dai danni bellici. Nel 1962 si procedette ad una prima revisione del P.R.G., e ad una successiva nel 1974, ed in tale contesto si sperimentò una nuova strategia di piano che procedette attraverso la programmazione dello sviluppo dei servizi sociali ed infrastrutturali mancanti e ad una predisposizione di varianti per circoscrizioni.

Con la L. n. 457, per la prima volta nel nostro Paese, furono destinati fondi per gli interventi di recupero urbano. La Legge fu promulgata grazie alla crescente attenzione al recupero, ed alla presa di consapevolezza delle condizioni di spreco edilizio, di esistenza di ingenti patrimoni edilizi non utilizzati e delle carenti situazioni dei centri storici.

Alla Legge furono destinate ingenti risorse (8 mila miliardi di lire in 15 anni), ma non si riuscì ad innescare un processo di riqualificazione. Le cause vanno ricercate innanzitutto nell’inadeguatezza del titolo quarto della stessa L. n. 457, destinato alla ricostruzione. Gli interventi di recupero erano limitati all’ambito residenziale e pertanto non erano in condizioni di assumere una dimensione urbanistica. Emerse comunque l’esigenza di sviluppare nuovi programmi coordinati e di agire su tipologie di intervento differenti dalla residenza, quali i servizi e il commercio. Queste iniziative furono operate principalmente da alcune Regioni, fra le quali la Lombardia, che fu la prima ad inaugurare i programmi integrati e l’urbanistica concertata.

Considerazioni in merito al D.Lgs. n. 85/’10

4.5.3

L’inserimento dei beni da parte delle Regioni e degli Enti Locali in processi di alienazione e dismissione secondo le procedure di cui all’art. 58 del D.L. n. 112 del 2008, convertito dalla L. n. 133 del 2008, tiene conto della sentenza della Corte costituzionale n. 340 del 2009, che ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale di parte del richiamato art. 58 laddove si prevedeva che la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle

alienazioni e valorizzazioni costituisse variante allo strumento urbanistico generale. È stato ora previsto che la deliberazione dell’Ente territoriale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni sia trasmessa ad un’apposita Conferenza di servizi alla quale partecipano il Comune, la Provincia, la Città metropolitana e la Regione interessati, e che acquisisce tutte le autorizzazioni, gli assensi e le approvazioni, comunque denominati, necessari alla variazione di destinazione urbanistica; la determinazione finale della Conferenza costituisce provvedimento unico di autorizzazione delle varianti allo strumento urbanistico generale, fissandone i relativi limiti e vincoli.

L’emanazione del Decreto n. 85 porta a compimento una ulteriore tappa nel processo di attuazione dell’art. 119 della Costituzione, con riguardo ad un aspetto, quello del patrimonio proprio degli Enti territoriali. Esso appare rilevante sia al fine di consentire agli stessi Enti territoriali di conseguire ulteriori risorse proprie, sia soprattutto al fine di consentire una effettiva valorizzazione dei beni pubblici nell’interesse dei cittadini, stante la prossimità del livello di governo cui vengono assegnati i beni stessi, mediante un’adeguata informazione della collettività territoriale circa il processo di valorizzazione e, se del caso, l’indizione di forme di consultazione popolare in ordine alla loro gestione.

Negli auspici di politica legislativa la collaborazione interistituzionale in materia finanziaria risulta promossa, anche considerando che è stata fra l’altro inserita nel testo definitivo la disposizione dell’art. 8 che prevede la facoltà per gli Enti territoriali di procedere a consultazioni tra di loro e con le Amministrazioni periferiche dello Stato, anche convocando conferenze di servizi coordinate dal Presidente della Giunta regionale o da un suo delegato, al fine di assicurare la migliore utilizzazione dei beni pubblici per lo svolgimento delle funzioni pubbliche primarie attribuite, le cui risultanze andranno trasmesse al Ministero dell’Economia e delle Finanze ai fini della migliore elaborazione delle successive proposte di sua competenza. Tale auspicio va comunque completato dalla messa a punto di un sistema integrato di ausili alla scelta territoriale che possano servire quali efficaci strumenti per la valorizzazione stessa degli immobili.

E’ quest’ultimo appunto un elemento di riflessione che riprenderemo in seguito e che ci darà spunti in merito al più corretto contesto nell’ambito del quale pianificare i programmi di alienazione e valorizzazione degli immobili patrimoniali da dismettere.

5 I VUOTI URBANI E LE AREE DISMESSE

Il continuo divenire del territorio antropizzato, la stretta interconnessione che esiste tra gli aspetti politici, economici, culturali e sociali, la sempre più frequente dismissione di aree/immobili ritenute non più funzionali e la rilevanza qualitativa e quantitativa del patrimonio dismesso hanno assunto, negli ultimi 30 – 40 anni della moderna storia urbanistica, aspetti di particolare interesse, tanto che sono stati riconosciuti come fattori determinanti per la trasformazione del territorio.

Il fenomeno della dismissione degli immobili non è comunque nuovo. Esempi possono infatti essere ritrovati nelle aree urbanizzate nell’epoca successiva alle trasformazioni industriali di fine ‘800 allorquando, a seguito dell’implementazione dei nuovi paradigmi urbanistici e dei concetti di zonizzazione, vennero attuati alcuni strumenti urbanistici che incisero sullo sviluppo e sulla forma dei centri urbani all’inizio del secolo scorso.

L’area dismessa veniva inizialmente avvertita dalla comunità quale “vuoto urbano” in quanto era considerata come una parte di città privata di identità e di legami funzionali con il contesto urbano; sulla base di tale accezione queste aree furono considerate un supporto indifferenziato disponibile per qualsiasi trasformazione, da valutare solo in termini di superfici o di eventuali nuovi volumi edificabili.

Successivamente, fu sempre più presa coscienza della notevole complessità e portata del fenomeno. Le aree dismesse vennero conseguentemente considerate non più come superfici e volumi vuoti ma, al contrario, quali risorse ricche di potenzialità urbanistiche, di valore simbolico e di pregio storico ed architettonico.

Il dibattito sulle aree dismesse è alimentato, in generale, dal più ampio tema della riqualificazione economica ed ambientale del territorio e, in particolare, della città. Scrive in

Capitolo

proposito G. Giovannelli:98 “il fenomeno della dismissione e del continuo adattamento e

trasformazione dello spazio urbano appartiene a quel processo fisiologico che è insito nell’evoluzione degli usi e della forma della città stessa”; ciò a chiara testimonianza del

continuo divenire dello sviluppo antropico della città e del suo territorio circostante.

Appare dunque necessario affrontare, nel prosieguo del presente capitolo, alcune tematiche di interesse che, in forma diretta o indiretta, riguardano la problematica della dismissione.

Inizieremo a trattare il problema della dismissione da un punto di vista generale, storico, economico ed urbanistico, cercando di inquadrarne le cause e le istanze sociali che nel tempo hanno determinato l’abbandono di parti della città. Nel percorso dell’analisi dei fenomeni comunque legati alla dismissione si procederà non solo a determinare le cause (esogene ed endogene) ma anche le molteplici modalità (luoghi, tempi, tipologie, interazioni) con cui essi si sono manifestati, così da poter delineare un quadro di riferimento per l’individuazione dei valori e degli obiettivi che nel tempo sono stati formulati per conferire alle iniziative trasformative le ottimali prospettive di efficacia dei risultati. Il quadro evolutivo ci consentirà anche di inquadrare il mutato rapporto che la Pubblica Amministrazione ha assunto nel tempo per la gestione e la risoluzione delle problematiche legate alla riutilizzazione dei beni dismessi.

Tenteremo anche un approccio di sistematizzazione del patrimonio immobiliare anche in considerazione che esso è un patrimonio vasto, con valenze spesso sociali, economiche, urbane, storiche, architettoniche ed ambientali di elevato pregio, che è stato, deve e dovrà essere riqualificato e trasformato.

Al riguardo sono inoltre stati proposti due approcci: il primo è relativo ad uno studio,99 appositamente sviluppato nell’ambito degli approfondimenti della tesi, riguardante l’applicazione di una metodologia per la classificazione degli immobili, mentre il secondo sintetizza una ricerca100 che intende relazionale gli aspetti dello stato dismissivo con gli aspetti sociali ed economici. Il tema della riqualificazione urbana costituirà l’argomento del paragrafo successivo e, in particolare saranno valutate le problematiche generali e quelle connesse agli aspetti ambientali.

Passeremo poi a sintetizzare alcune esperienze di riqualificazioni avvenute nel recente passato in ambito statale ed europeo; da esse è importante trarre ogni utile insegnamento ai fini dell’arricchimento di un prezioso bagaglio conoscitivo.

Verranno infine proposte una serie di indagini statistiche necessarie per poter avere un’idea, verosimilmente fondata, sulla percezione socialmente avvertita delle problematiche afferenti la dismissione. Tale analisi sarà condotta sulla base di alcune considerazioni che dovranno di volta in volta restituire gli aspetti percettivi riguardanti l’ambiente antropico, quello urbanizzato, gli intendimenti della collettività e, infine, le possibile implicazioni legate alla particolarità della dismissione dei beni demaniali militari.