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Sintesi della normativa urbanistica del secondo dopoguerra

2 CITTÀ, TERRITORIO, MORFOLOGIA, FORMA URBANA

4.2 Sintesi della normativa urbanistica del secondo dopoguerra

Tra gli strumenti urbanistici esiste un complesso corpus normativo che si fa interprete di indirizzare super partes lo sforzo degli addetti ai lavori, imbrigliandone e guidandone la progettualità all’interno di predelineati schemi che devono fungere da base comune di lavoro per l’efficace ed efficiente sviluppo antropico e la gestione del territorio.

Questo è possibile cogliere nelle norme che sono state promulgate in campo urbanistico, che hanno interpretato le richieste della collettività e che sintetizzeremo nel prosieguo del presente paragrafo, limitando comunque tale sintesi ai provvedimenti legislativi e regolamentari promulgati a partire dal 1942, con la L. n. 1150.

La struttura pianificatoria in Italia

4.2.1

I principali attori della pianificazione urbanistica statale sono gli Enti Nazionali e gli Enti Locali.

Con Enti Nazionali si intendono quell’insieme di organi istituzionali la cui competenza si estende a tutto il territorio statale e che perseguono interessi pubblici di portata nazionale. Con Ente Locale si intende un Ente Pubblico istituito per il perseguimento di interessi pubblici, i cui organi hanno competenza limitata all’interno di una ben delimitata area territoriale.

L’art. 114 della Costituzione istituisce un unico Ente Territoriale Nazionale (lo Stato) e i seguenti Enti Territoriali Locali: i Comuni, le Province (alcune delle quali sono autonome: Trento e Bolzano), le Città metropolitane e le Regioni (alcune delle quali sono a statuto speciale: Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta).

Ognuno degli Enti Territoriali ha i propri organi istituzionali, che provvedono, a seconda del livello ordinativo, ad espletare funzioni in campo esecutivo, legislativo, amministrativo e di controllo.

A Livello urbanistico, il governo del territorio ha subito una serie di modifiche scandite dalla promulgazione di provvedimenti legislativi, di cui si dirà in dettaglio nei prossimi paragrafi. All’attualità le competenze nel campo della pianificazione del territorio, possono essere schematizzate come nella Tabella 1.

Tabella 1 - Livelli di governo del territorio.

Sui significati in dettaglio della Tabella 1, si parlerà nei paragrafi che seguono.

quanto segue:  Piani quadro:

a. Piano Territoriale di Coordinamento (P.T.C.); b. Piano Paesistico (L. 431/’85);

c. Piano delle Comunità Montane;  Piani generali:

a. Piano Regolatore Generale (P.R.G.);  Strumenti attuativi:

a. Piano Particolareggiato di Esecuzione (P.P.E.); b. Piano di Zona (P.Z. – L. n. 167/’62);

c. Piano di Lottizzazione (P.L. – L. n. 765/’67);

d. Piano per gli Insediamenti Produttivi (P.I.P. - L. n. 865/’71); e. Piano di Recupero (P.R. – L. n. 457/’78).

Come si può notare, in corrispondenza di alcuni strumenti di pianificazione sono stati segnalati i provvedimenti normativi di riferimento, per la cui trattazione si rimanda al seguito del capitolo.

La Legge n. 1150 del 17 agosto 1942

4.2.2

La L. n. 1150/’42 – “Legge urbanistica” - è la prima Legge organica in materia urbanistica e costituisce il primo ordinamento sistematico di organi, strumenti e mezzi per una razionale sistemazione del territorio. Essa attribuisce all’urbanistica i connotati di “governo del territorio” (che si estende alla totalità dello stesso territorio) e alle trasformazioni che lo riguardano.

La L. n. 1150/’42 nasce in un momento storico particolare in cui, a livello territoriale, si avvertiva la necessità di colpire la rendita fondiaria urbana. La Legge faceva anche riferimento alla necessità, avvertita già all’epoca, di favorire il disurbamento e di fermare la tendenza all’urbanesimo.

La Legge, di ispirazione razionalistica, intese coordinare la pianificazione territoriale attraverso l’attuazione di una serie di piani, su tre livelli, strettamente collegati l’uno agli altri e gerarchicamente ordinati secondo una precisa scala di priorità. In primo luogo a livello sovracomunale vennero varati i Piani Territoriali Regionali di Coordinamento (P.T.R.C.) e i Piani Intercomunali di Coordinamento (P.I.C.), il cui scopo fu di “orientare e

coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinate parti del territorio nazionale … (art. 5)”.

Dal P.T.R.C. discesero i P.R.G. comunali che ebbero incidenza sul territorio comunale attraverso il recepimento delle zone vincolate o da destinare a complessi edilizi di particolare importanza o, infine, alle reti infrastrutturali trasportistiche ed a quelle di servizio.

L’ultimo livello di dettaglio, operante a livello comunale, fu affidato ai Piani Particolareggiati di Esecuzione (P.P.E.) che ebbero lo scopo di porre attuazione ai P.R.G.

Andando nel dettaglio degli strumenti urbanistici normativamente previsti, sono stati codificati i piani che seguono:

- il Piano Territoriale di Coordinamento (P.T.C), rivolto ai Comuni e di esclusiva competenza statale, stabilisce le direttive generali dell’assetto territoriale, orientando e coordinando gli insediamenti secondo esigenze economiche, tecniche e sociali, pur non ponendo prescrizioni vincolanti per i privati (area vasta);

- il Piano Intercomunale di Coordinamento (P.I.C.), che ha per oggetto la sistemazione del territorio di due o più Comuni confinanti;

le direttive per l’assetto e lo sviluppo urbanistico, indica la rete delle principali vie di comunicazione, la divisione in zone del territorio, le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù, quelle riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico e/o a opere ed impianti di interesse collettivo o sociale, i vincoli di carattere storico, ambientale, paesistico ed infine le norme per l’attuazione del piano.

- il Piano di Fabbricazione (P.F.), redatto per i Comuni minori in luogo del P.R.G., che contiene solo le direttive di espansione in una tavola grafica da allegare al regolamento edilizio;

- il Piano Particolareggiato di Esecuzione69 (P.P.E.) che è formato da una relazione illustrativa, da norme di attuazione, da schemi distributivi plani-volumetrici e dal piano finanziario e che detta le direttive particolareggiate di una porzione limitata del territorio comunale ed hanno lo scopo di agevolare l’attuazione dei piani generali. Rappresenta lo strumento di attuazione del P.R.G. integrandolo con prescrizioni più dettagliate.

Il territorio viene suddiviso in zone distinte sulla base dell’omogeneità della loro destinazione edilizia (zonizzazione). L’attribuzione di tale destinazione compete alle autorità urbanistiche.

I Piani urbanistici rappresentano la volontà collettiva espressa dalle amministrazioni locali, dai tecnici e dalla stessa collettività di procedere alla sistemazione del territorio. A livello tecnico rappresenta, nella forma tecnicamente più compiuta, il territorio e le trasformazioni che esso dovrà subire.

La rappresentazione è ottenuta mediante apposite cartografie, indici, statistiche e dati rappresentativi dei fenomeni comunali in atto e un compendio di testi prescrittivi e descrittivi.

Sotto il profilo istituzionale, il piano deve essere efficace, ossia deve essere in grado di garantire la realizzazione delle trasformazioni territoriali.

Giuridicamente è cogente (ossia trasmette ordini e stabilisce regole a cui tutti devono uniformarsi). Dal punto di vista operativo ha ruolo diverso per gli operatori pubblici e per quelli privati.

Mentre per i primi rappresenta un indirizzo di intenti che la collettività si pone di realizzare in un prestabilito arco temporale, per i secondi rappresenta le possibilità di sviluppo urbanistico e il complesso dei vincoli cui la proprietà privata deve sottostare.

Il piano urbanistico deve seguire, per la sua approvazione, il seguente iter tecnico-burocratico:

- scelta dell’apparato tecnico, che sono quell’insieme di attività mediante le quali si procede ad individuare la rete delle infrastrutture (trasporti e servizi) e dei servizi pubblici, la zonizzazione e la specificazione dei relativi vincoli e la specificazione dei vincoli per le zone di particolare pregio storico, ambientale e paesistico;

- redazione, che è un atto eminentemente tecnico consistente nella stesura dei documenti necessari;

- adozione, che è un’attività amministrativa posta in capo al consiglio comunale;

- pubblicazione, ossia l’atto formale mediante il quale la documentazione prodotta viene posta all’attenzione della collettività;

- approvazione,70 che è il documento mediante il quale i P.R.G., i P.P.E. e i P.F., nella stesura originale della Legge, venivano approvati con atto complesso dal Min.LL.PP., il quale può porre le proprie osservazioni e/o opposizione ai piani.

Passiamo adesso al dettaglio degli articoli ritenuti più significativi.

69

Mentre il P.R.G. ha valore a tempo indeterminato ed è esteso a tutto il territorio comunale, il P.P.E. ha durata decennale ed ha una estensione limitata a zone circoscritte del territorio comunale.

70

I Comuni, per consentire l'ordinaria attuazione del Piano, hanno facoltà di espropriare entro le zone di espansione dell'aggregato urbano le aree (inedificate e costruite) che siano in contrasto con la destinazione di zona. I proprietari dei terreni e degli edifici in essi compresi hanno l’obbligo di osservare nelle costruzioni e nelle ricostruzioni le linee e le prescrizioni di zona che sono indicate nel piano. Ha durata illimitata nel tempo, fino all’approvazione di un nuovo P.R.G.

L’art. 7 della Legge prescrive la suddivisione del territorio comunale in zone (o azzonamento o zoning).

Tra di esse devono essere particolarmente individuate quelle che sono destinate all’espansione dell’aggregato urbano, nonché i vincoli e le caratteristiche che devono essere rispettati per ciascuna zona individuata. Nell’ambito del P.R.G. devono poi essere individuate le principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili, gli spazi da utilizzare ai fini pubblici e/o a servitù, le aree da destinare alla realizzazione di edifici pubblici e, infine i vincoli che hanno efficacia per la conservazione delle zone con valenza storica, ambientale e paesistica. Le prescrizione ed i vincoli costituiscono le norme per l’attuazione del piano.

La zonizzazione può avere finalità:

 funzionale, qualora la destinazione discende dalla assegnazione che si vuole attribuire all’area; nell’ambito delle attività individuate, la zona può essere destinata alla residenza, alle attività commerciali e direzionali e a quelle produttive (industriali, artigianali e/o turistiche);

 edilizia, quando si vuole intervenire sulle caratteristiche fisiche dei fabbricati (ad esempio tipologia edilizia di palazzo, palazzina, casa in linea, casa a schiera, ville/villini, ed altro).

Prevede la suddivisione del territorio comunale in 6 zone territoriali omogenee (Z.T.O.): - zona “A” - centro storico, che è la parte urbana con edifici e tessuto edilizio di interesse

storico ed architettonico;

- zona “B” - di completamento, che è caratterizzata da una superficie edificata non inferiore ad 1/8 di quella totale;

- zona “C” - di espansione, con superficie edificata minore di 1/8 di quella totale; - zona “D” - destinata per gli insediamenti produttivi;

- zona “E” - agricola;

- zona “F” - per impianti e attrezzature collettive.

L’art. 1871 della Legge dava facoltà ai Comuni, dotati di P.R.G. approvato, di espropriare zone del proprio territorio comunale necessarie per la predisposizione dell’ordinata attuazione del Piano, da attuare al riguardo delle “aree inedificate e quelle su cui insistono

costruzioni che siano in contrasto con le destinazioni di zona ovvero abbiano carattere provvisorio”: veniva in sostanza introdotto l’esproprio per pubblica utilità, che doveva

consentire la formazione di demani comunali di aree, strumento indispensabile affinché i Comuni potessero indirizzare l'espansione urbana nelle zone ritenute più idonee ed esercitare, al tempo stesso, un'azione calmieratrice sul mercato delle aree edificabili. Altra prescrizione importante è l’art. 23 che tratta dei “comparti edificatori”, consistenti nel raggruppamento di proprietà frazionate, anche coattivo, mediante la volontaria conversione, resa necessaria da esigenze di omogeneità urbanistica e tipologica, in quote indivise di un più vasto compendio immobiliare. Gli artt. 18 e 23 prevedono istituti che incidono pesantemente sulla proprietà privata.

Riepilogando, il principale meccanismo di attuazione del P.R.G. era quello espropriativo, previsto dall’art. 18, che operava a tempo indeterminato (art. 7) e non era prevista alcuna forma di indennizzo per i vincoli di Piano (art. 40). L’attuazione del P.R.G. era demandata alla acquisizione preventiva delle aree di espansione, alla redazione del P.P.E. (di iniziativa pubblica) e alla cessione ai privati delle aree edificabili, recuperando i costi di espropriazione e di urbanizzazione.

71

Nella formulazione originaria l’Art. 18 prevedeva che I Comuni potessero espropriare i terreni compresi nelle zone di ampliamento ad un prezzo che non teneva conto degli incrementi di valore dovuti alle previsioni di Piano. L’indennizzo per l’esproprio era commisurato al valore di mercato.

Gli anni della ricostruzione e l’INA CASA

4.2.3

Nel periodo immediatamente successivo alla promulgazione della L. n. 1150/’42, quest’ultima stentò ad essere applicata.

Approvata in piena seconda guerra mondiale, di fatto non venne mai completamente applicata, anche perché la necessità di rispondere velocemente alle problematiche indotte dai danni bellici, comportò la diffusa volontà di abbandonare la Legge Urbanistica e di procedere mediante piani di emergenza. Nel frattempo si assistette a fenomeni quali quello della speculazione edilizia e del crescente fenomeno dell’emigrazione, soprattutto verso il nord, che di fatto evidenziarono i limiti della legislazione relativamente ai regimi del suolo. Successivamente alla promulgazione della Legge, nel 1954, il Ministero dei Lavori Pubblici formò anche un apposito elenco di Comuni che erano obbligati a dotarsi di P.R.G.

La vastità delle problematiche trattate e la constatazione che le operazioni di urbanizzazione interessarono aree comunali sempre più vaste, spinse la programmazione urbanistica ad esplorare nuove forme di coordinamento e, nel 1949, in tal senso, venne istituita una Commissione Centrale per coordinare i Piani Territoriali di Coordinamento. L’esigenza di dover affrontare e risolvere tutte le carenze che si stavano sovrapponendo sul territorio suggerì di intraprendere una nuova linea politica, l’urbanistica riformista, con il duplice obiettivo, per alcuni versi antitetico, di contrastare la speculazione edilizia e di consentire l’espansione urbana.

Nacquero i Piani di seconda generazione voluti per razionalizzare ma non limitare l’espansione urbana.

Nel 1949, con la L. n. 43 del 28 febbraio 1949, nacque, con l’INA CASA, il primo piano statale per l’abitazione dei lavoratori(detto anche “Piano Casa”).

La legge è anche nota con il nome di “Piano Fanfani”, allora Ministro del Lavoro, ed era finalizzata ad incrementare l’occupazione operaia mediante la costruzione di case per gli stessi operai. Il “Piano Fanfani” venne integrato dalla L. n. 408 del 2 luglio 1949 (L. “Tupini” – allora Ministro dei LL.PP.) che era rivolta anche ai lavoratori dipendenti e che pertanto si rivolgeva alla generalità dei cittadini, indipendentemente dal lavoro svolto, purché bisognosi di una casa.

L’Ente, che operò con un programma pluriennale, produsse effetti per 14 anni, dal 1949 al 1963, realizzando 355.000 alloggi per 1.920.000 vani e impiegando una forza lavoro di 40.000 lavoratori edili l’anno.

Il piano nacque da due considerazioni obiettive: la presenza di 2 milioni di disoccupati ed un affollamento, registrato nel censimento del 1951, che assunse punte superiori a quelle registrate nella precedente rilevazione del 1931 (1,39 abitanti per vano nel 1951; 1,36 nel 1931); esso agì contestualmente ai processi di urbanizzazione, i cui esiti furono all’epoca ancora non noti in quanto in itinere. L’opera dei piani venne condotta attraverso l’impiego di una organizzazione molto agile, che operò in forma abbastanza libera, senza dover sottostare eccessivamente ai vincoli burocratici e che si appoggiò sull’ausilio di stazioni appaltanti decentrate (I.A.C.P., Comuni, Consorzi, ed altro) e di progettisti esterni. Il Piano Casa operò prevalentemente per quartieri, sulla cui ubicazione si dovette ovviamente procedere in stretta coordinazione con gli organi amministrativi comunali per gestire il processo di sviluppo urbano. Inoltre, la mancata adozione dei P.R.G. nei Comuni, comportò frequentemente la scelta dell’ubicazione dei quartieri in assenza di un piano specifico. In tale situazione l’INA procedette in due direzioni: la prima utilizzando, previo consenso del Comune, lotti già riconosciuti edificabili e, la seconda, individuando terreni, anche esterni al limite del territorio urbano, ma comunque collegati.

La progettazione urbanistica per quartieri assegnò al Piano Casa non solo l’indicazione relativa alla viabilità ed ai servizi, ma anche vincoli plani-volumetrici e della progettazione edilizia; venne infatti prodotta una apposita pubblicazione, a cura del Centro Studi dell‘INA CASA, che puntualizzò le caratteristiche qualitative edilizie.

Il Codice dell’urbanistica e le Leggi n. 167 del 18 aprile 1962 e n. 765 del 6

4.2.4

agosto 1967

Le problematiche emergenti in ambito urbanistico divennero terreno di discussione per gli addetti ai lavori.

Fra le iniziative poste in campo, di particolare interesse, l’VIII Congresso Nazionale, promosso dall‘Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) e tenuto a Roma il 16-18 dicembre 1960, costituì un momento fondamentale: venne infatti proposto, ad opera della Commissione nominata dal Consiglio direttivo nazionale dell’INU,72 il Codice dell’urbanistica, testo storico di grande rilevanza culturale.

Esso introdusse tutta una serie di proposte che, in sintesi, riguardavano i seguenti aspetti: - istituzione di un organo di pianificazione regionale;

- integrazione della pianificazione urbanistica con la programmazione economica;

- acquisizione dei suoli non tramite l’esproprio generalizzato, ma attraverso il meccanismo della cessione del diritto di superficie o di proprietà;

- obbligo per i privati di sostenere l’onere delle opere di urbanizzazione o a cedere le aree per la loro realizzazione gratuitamente;

- istituzione, per le nuove costruzioni e le trasformazioni del territorio, della licenza edilizia da parte delle autorità competenti, quale autorizzazione preventiva all’esecuzione delle opere.

Queste proposte furono recepite da Fiorentino Sullo, allora Ministro dei Lavori Pubblici, che presentò una proposta di Legge basata su quelle che l’INU aveva espresso nel Codice dell’urbanistica e che affrontava il problema dell’espropriazione dei suoli compresi nelle aree di espansione. Le proposte, pronte nel giugno del 1962, contenevano presupposti completamente nuovi ed originali: il P.R.G. veniva attuato per mezzo di Piani Particolareggiati (P.P.), le cui prescrizioni avevano valore a tempo indeterminato e nel cui ambito il Comune promuoveva l'esproprio delle aree inedificate e/o utilizzate per costruzioni con destinazione d'uso sensibilmente difforme da quella del P.P. La proposta aveva anche lo scopo di formare dei demani comunali. Acquisite le aree, il Comune provvedeva alle opere di urbanizzazione primaria, restava proprietario delle aree stesse e vendeva, con il mezzo dell'asta pubblica, il diritto di superficie sulle aree destinate ad edilizia residenziale.

Sempre sull’argomento venne inoltre stabilito che l’applicazione di vincoli, per il tramite di un piano, non comportava l’indennizzabilità. Tutte queste ipotesi sarebbero rimaste comunque a livello di proposta e non avrebbero visto mai la concreta pubblicazione anche perché formulate nell’approssimarsi del 28 aprile 1963, data fissata per le elezioni politiche. Nel frattempo, sempre ad opera del Ministro Sullo, veniva approvata la Legge n. 167 del 18 aprile 1962 – “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree per l’edilizia economica e

popolare”. La norma introdusse aspetti innovativi riguardanti l’esproprio. Cambiava il ruolo

della proprietà fondiaria. La proprietà privata acquisiva valore sociale, in quando si prendeva atto che la buona riuscita delle politiche amministrative era subordinata all’efficace controllo delle trasformazioni della città; il controllo della proprietà fondiaria divenne dunque uno degli obiettivi della politica urbanistica.

La L. Sullo vide la luce in un periodo connotato da accentuata espansione speculativa edilizia e da forte crescita della città; essa nacque con la finalità di reperire ed acquisire, ad un prezzo equo, ovvero non gravato da plusvalori legati all’urbanizzazione o alla destinazioni d’uso, le aree da destinare all’edilizia economica e popolare.

Sulla base della stessa norma venne istituito il Piano di Zona (P.Z.) che, affiancato al Piano Particolareggiato e al Piano di Lottizzazione, funse da strumento di attuazione del P.R.G. per la concretizzazione delle previsioni di edilizia economica e popolare.

I P.Z. dovevano essere obbligatoriamente adottati per i Comuni con più di 50.000 abitanti,

72

La commissione era composta da Camillo Ripamonti, Giovanni Astengo, Enzo Cerutti, Gianfilippo Delli Santi, Luigi Piccinato, Giuseppe Samonà e Umberto Toschi.

per i capoluoghi di Provincia e per quelli inseriti in appositi elenchi dalle Regioni. La licenza edilizia venne estesa anche alla aree agricole. Essa introdusse:

- il pagamento, da parte del privato, degli oneri di urbanizzazione primaria e di parte di quella secondaria;

- gli standard urbanistici, ossia la quantità di spazi pubblici da rendere disponibili sulla base del numero degli abitanti;

- gli standard edilizi, ossia parametri legati ad aspetti costruttivi quali la distanza dalle abitazioni, la larghezza delle strade, l’altezza massima degli edifici.

Il principale merito della L. n. 167 consistette nell’aver innescato lo sviluppo dell’edilizia convenzionata ed aver introdotto anche l’obbligo di esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria a carico dei privati. Stabilì anche un limite di tempo per la validità della licenza (inizio lavori entro un anno dal rilascio della concessione). Molto importanti furono anche le norme della stessa legge n. 167 sulle relazioni tra i vari tipi di servizi e la concentrazione di alcune attrezzature quali scuole e impianti sportivi e l’indicazione dei relativi raggi di influenza per i quali vennero fissati i relativi standard.

Sulla spinta delle norme introdotte dalla L. n. 167 venne emanato, nel 1963, il Piano GEStione CAse per i Lavoratori (GESCAL), che successe al Piano INA CASA. La GESCAL si dotò di norme tecniche proprie, che costituiranno un riferimento per l’edilizia dell’epoca.

Il 6 agosto 1967, venne promulgata la L. n. 765 riguardante “Modificazioni ed integrazioni

alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150” anche nota come “Legge ponte”, in quanto

avrebbe dovuto costituire un tramite tra la vecchia Legge del 1942 e la futura riforma urbanistica.

La "Legge ponte" cercò di portare un minimo di ordine nell'attività edilizia ed urbanistica: essa, infatti, cercò di dare un notevole impulso alla formazione dei P.R.G., limitando fortemente l'attività edilizia nei Comuni che ne erano sprovvisti. L'innovazione fondamentale riguardò i cosiddetti "standard urbanistici", cioè la quantità minima di spazio