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Sintesi storica sull’evoluzione del concetto di “città”

2 CITTÀ, TERRITORIO, MORFOLOGIA, FORMA URBANA

2.2 Sintesi storica sull’evoluzione del concetto di “città”

È possibile risalire a fonti della storia del rapporto fra l’uomo e lo spazio soltanto riferite al cosiddetto periodo della civiltà.

Molte ricerche, come quelle del sociologo Lewis Mumford,3 mettono in evidenza la stretta connessione fra cultura e forme della “città”.

Alcune riflessioni che esporremo nel prosieguo della trattazione, ci porteranno a constatare che non può essere assegnato al termine “città” un significato univoco, ma diversi e molteplici significati che si sono sempre più modificati ed integrati nel tempo.

Proprio questa complessità ci fa affermare che il termine stesso “città” vada utilizzato con attenzione e non come un significato semplice ed universale.

Alle origini del termine “città”

2.2.1

Prima di addentrarci nello studio delle principali espressioni storiche urbane, appare opportuno riflettere sul significato etimologico del termine “città”.

La parola “città” deriva dal concetto più astratto della parola civitas. La sua etimologia ha riscontri nella radice indoeuropea ki o ci che significava giacere, sedere, da cui i significati di insediare e abitare.

La voce in origine significava sia il diritto del cittadino sia la cittadinanza romana quindi, anche nel senso di cittadini, “città” e Stato, non con valore di agglomerato urbano ma con quello dell’esistenza obiettiva di una comunità.

In tale accezione di insieme di cittadini si distingue da urbs, che indicava invece la “città” come complesso di edifici e di mura.

3

La parola urbs deriva dal verbo urvare, che ritrova il suo significato nell’atto di tracciare il solco, quindi nella delimitazione e nelle cinte murarie di una nuova “città”.

In opposizione a urbs, troviamo la parola rus, e tutto ciò che era rusticus, ovvero la campagna e i suoi abitanti, che avevano tradizioni e costumi diversi dal cittadino; questa opposizione si rintraccia nell’aggettivo urbanus, nell’accezione conservata anche in italiano, che indica l’educazione e la raffinatezza dell’abitante della “città”.

Nell’alto Medioevo venne frequentemente utilizzato il termine civitas che si contrapponeva alla “città” come luogo fortificato denominato, con termini derivati dal latino, castrum,

castellum, o oppidum.

Il termine castrum, derivato probabilmente dall’osco castrous, indicava originariamente un luogo munito di recinti, anche se per i Romani, come vedremo, la parola designava l’accampamento fortificato dai legionari.

Intorno all’anno mille, castrum assunse il valore di castellum (castello) o di oppidum (fortezza).

Il castellum, in particolare, era costituito solo da un fossato e da un terrapieno fortificato da una palizzata, sia intorno a piccoli borghi sia intorno a residenze padronali o capanne contadine, edificate per lo più in legno, ed è per questo motivo che oggi non ne ritroviamo traccia, come invece accade per i castelli tre-quattrocenteschi, denotati nella accezione comune del vocabolo italiano.

Per tutto il Medioevo però, la voce castrum indicò generalmente un centro giuridico e territoriale dotato di una propria fisionomia, che lo distingueva sia dall’organizzazione più vasta della civitas sia dai minori organismi del contado.

Castellum, invece, indicava anche un gruppo di case, o borgo, circondati da mura e in gran

parte situati su un’altura; si indicavano anche i rifugi, ossia i luoghi predisposti per nascondersi.

La voce oppidum ha il suo significato originario in ogni spazio cinto da mura e di conseguenza, in questa accezione, non si oppone né a rus né a urbs.

Municipium, infine, da cui la parola italiana municipio, deriva da municeps, che a sua volta è

collegato a munus più capio e designa una “città” autonoma, i cui abitanti godevano non della cittadinanza completa, ma della civitas sine suffragio, che comportava tutti i doveri, come il servizio militare e il pagamento delle imposte, e i diritti degli autentici Romani, ad eccezione del diritto di voto. Questo istituto lasciava un certo margine di autonomia all’amministrazione locale della “città” e, rafforzato dall’appoggio dato a regimi di tipo aristocratico, garantiva una buona stabilità sociale e politica. Poiché il municipium comportava l’avvio di un processo di assimilazione anche di tipo culturale, esso veniva riservato a popolazioni che i Romani ritenevano particolarmente affini e facilmente integrabili, come Equi, Sabini, Ernici e Campani.

Le fasi storiche che seguono, lungi dal voler essere esaustive, tratteggiano gli aspetti salienti dell’evoluzione della “città”.

Le origini urbane: prime forme di insediamento

2.2.2

L’uomo viveva in uno stato di estrema debolezza e vulnerabilità, che fronteggiò non separandosi dal proprio gruppo. Secondo Mumford la necessità faceva sì che la solidarietà e la collaborazione prevalessero sulla conflittualità che esisteva anche allora tra gli uomini. È nel vicino Oriente, a partire dal IX millennio, che avviene una pacifica rivoluzione: l’uomo “si sedentarizzò”, ossia si stabilì in determinate località, abbandonando progressivamente gli spostamenti imposti dalla condizione di cacciatore-raccoglitore e si dedicò alla graduale coltivazione dei cereali selvatici, al dissodamento della terra, alla semina, al raccolto e all’immagazzinamento. I primi villaggi nascono appunto intorno a questo nuovo ciclo colturale.

L’origine della “città” avviene al culmine di un lungo processo: mentre la civiltà del villaggio neolitico moltiplicò cellule simili ed autosufficienti, la nuova civiltà, quella urbana, sostituisce cellule complementari e successive nella catena produttiva che necessita di coordinamento e controllo. La coesione e l’integrazione sociale non possono essere ormai più assicurate prevalentemente dalla famiglia bensì da un livello di organizzazione lavorativa che supera e si differenzia da questo livello sociale. Un simile modello interpretativo appare, in realtà, riduttivo. I fattori che concorrono a formare la “città” sono alcuni elementi di un processo organizzativo nel quale si rende evidente ed efficace la specializzazione. Tuttavia, benché la specializzazione lavorativa abbia avuto un ruolo incisivo, non vanno sottovalutati altri analoghi processi di specializzazione quali quello sacrale, quello della leadership politica, scientifica e tecnologica.

Elementi rilevanti in queste “città” appaiono il fiume, la strada e il mercato.

La “città mesopotamica”

2.2.3

La “città mesopotamica” può essere considerata come la prima forma di “città”.

Ha origine nella metà del quarto millennio a.C. nella parte meridionale della Mesopotamia, alla confluenza dei fiumi Tigri ed Eufrate. Con esso possiamo anche considerare che ebbe inizio quel processo che oggi chiamiamo “rivoluzione urbana”, un lungo processo sviluppato come risposta alle problematiche indotte dall’eccedenza della produzione agricola, dall’introduzione della divisione del lavoro (non più legato solo al sesso ed all’età) e dalla complessità organizzativa e professionale.

L’origine coincide, in particolare, con la costruzione di un palatium, ossia della residenza del Sovrano che era circondata da funzioni commerciali, artigianali (lavorazione dei metalli in

primis), amministrative e del culto.

Il tempio delle “città mesopotamiche”, in particolare, non era solo luogo di preghiera, ma anche il deposito delle scorte alimentari e, spesso, delle armi e l’osservatorio dal quale si scrutavano cielo e stelle. Nel tempio venivano prese le decisioni per governare la “città” ed il territorio circostante, si decideva, ad esempio, quali opere di canalizzazione eseguire, quali dovessero essere le scorte di cibo necessarie e le imposte che la popolazione doveva pagare in natura, come punire chi non rispettava le leggi. Inoltre nel tempio si svolgevano molte attività artigianali, ma si trovava anche la scuola, la biblioteca e l’archivio.

La “città” era abitata dai servi del re, dai commercianti, dagli artigiani, dagli scribi e dai sacerdoti. Essa stabilì, fin da subito, un rapporto di dominio sulla campagna e sui villaggi, da cui traeva sostentamento.

Questa primitiva forma di “città”, nel corso di tre millenni (3500-300 a.C.) subì un profondo processo di cambiamento che la condusse al passaggio da funzionalità eminentemente religiose ad altre di carattere socio-politiche.

La “polis” greca

2.2.4

La “città greca” o polis (pl. poleis, in greco πόλις, “città” o anche “città-stato”) si sviluppa nell’età classica greca (tra l’850 e il 750 a.C.) sotto il rilevante influsso del fattore militare e di quello religioso, elementi che ne fanno una realtà aristocratica (aristoi = i migliori). In essa predominano le strutture di parentela e gli abitanti venivano chiamati polites (cittadini).

La polis assume forme diverse spesso anche antitetiche o contrastanti. Va comunque ricordato, a fattor comune, che il carattere della polis rispondeva non tanto ad esigenze urbanistiche, quando a precise necessità sociali ed istituzionali.

A seguito dello sviluppo economico e sociale, infatti, l’originaria struttura organizzativa sociale viene sostituita da ordinamenti gentilizi funzionali alla leva e all’organizzazione militare, come pure al riconoscimento dei diritti civili e della cittadinanza.

Figura 1 - Disegno della Polis.4

Nel disegno di Atene, esempio di polis: 1. acropoli; 2. – 3. templi e altari sedi di culto delle divinità; 4. area abitata; 5. campi coltivati; 6. tribunale; 7. sede della boulé; 8. abitazione dei membri del governo; 9. teatro; 10. piazza; 11. portici; 12 mura difensive; 13. porto.

A tal proposito può essere interessante riflettere su quanto scritto da Hannah Arendt:5

“La polis, propriamente, non è la città stato in quanto entità fisica ma una forma di organizzazione nella quale ogni membro partecipa all'azione e al discorso comunitari, la cui collocazione più autentica è fra persone che vivono insieme a tale scopo, non importa dove esse si trovino”.

L’organizzazione del territorio rispondeva e ben precisi requisiti funzionali ed organizzativi. La realtà cittadina si organizzava, infatti, intorno ad un centro attraverso l'aggregazione di diverse unità minori: i villaggi (komai) o circoscrizioni territoriali come i demoi ateniesi. Distinguiamo infatti i seguenti luoghi:

 agorà, situata nel centro urbano, era il cuore della polis (dal greco ἀγορά, da ἀγείρω = raccogliere, radunare); essa coincideva con la piazza del mercato, ma anche con il luogo dove si riuniva l'assemblea cittadina, centro di discussione e di commercio; questa area a cielo aperto era delimitata da cippi e successivamente da portici, e posta eventualmente anche in posizione non centrale;

 pritaneo era l’edificio pubblico dove in origine era ospitato il primo magistrato; la parola “pritaneo” deriva dal greco prytanêion (πρυτανήιον), che letteralmente indica la “presidenza”; vi era custodito il focolare sacro della “città”, e potevano essere accolti ospiti di particolare riguardo o cittadini benemeriti;

 bouluterion, dal greco βουλευτήριον (luogo in cui si svolge un'attività), era un edificio che ospitava il consiglio della polis (boulè); era in genere annesso alla principale piazza

4

Fonte: sito http://www.gbvico.chieti.it/informa/polis.pdf 5

cittadina (l'agorà);

 ekklesiasterion era la sede dell'assemblea;

 chora denota, sul piano terminologico, territorio nel suo complesso, comprendente il centro urbano e la campagna; ciò in quanto l'equilibrio “città”/territorio era uno degli aspetti caratteristici della polis; la chora veniva utilizzata da contadini liberi proprietari terrieri che possedevano appezzamenti di 4 o 5 ettari; notevole era la diffusione di fattorie occupate stabilmente da piccoli contadini (denominati zeugiti); la polis poteva trarre rendite dalla terra mediante l'affitto di terre demaniali (demosia chora - che costituivano il 10% del territorio) o attraverso il processo e lo sfruttamento della terra dei santuari (hierà chora);

 eschatià era la parte più esterna del territorio che si trovava lungo la fascia di confine, in genere non fortificato ma segnato da indicatori sacrali; si ritiene che si trattava di terra non coltivata, destinata al pascolo pubblico e al legnatico;

 acropoli deriva dal greco ακρος (akros) alto - παλις (polis) “città”, ed indica la parte più alta di una “città”; essa veniva costruita, per ragioni difensive, sulla sommità di un'altura e spesso cinta da mura; la “parte alta” era anche il luogo di residenza del re, ma col tempo divenne il centro religioso dell'abitato, sede di templi e luoghi di riunione;  asty, dal greco άστυ (astü), è il termine utilizzato in genere per indicare la parte bassa della “città”, dove viveva il popolo; era una zona rurale e periferica, in cui risiedevano le classi sociali inferiori (artigiani, contadini e commercianti).

In tale quadro la “città greca” classica sviluppa un proprio processo evolutivo in cui le tendenze aristocratiche vengono inibite a favore della koinonìa (in greco κοινωνία = comunione) o “città” costituita da tutti i cittadini, con le loro differenze e le loro qualità. Le comunità erano entità politicamente indipendenti e dotate di proprie istituzioni e leggi. Le “città greche” hanno un rapporto diverso con il territorio circostante, un rapporto di reciprocità, per cui viene assicurato un certo equilibrio fra i due mondi. L’insediamento sul territorio della comunità, rifletteva influenze di origine micenee o minoiche. L’organizzazione micenea vedeva l'articolazione tra l'acropoli, la rocca fortificata, in cui ha sede il tempio della divinità poliade, e la “città” bassa (asty). Nella “città” minoica, il binomio agorà-santuario esprimeva i rapporti politici e culturali della polis e la definizione del territorio attraverso il sacro.

Relativamente all’utilizzo dello spazio cittadino, il mondo greco conosce due tendenze alternative: una all'ortogonalità e una alla circolarità. La tendenza ortogonale esprimeva la necessità di organizzare lo spazio per garantire all'interno della polis, non solo la funzionalità, ma anche la stabilità dei rapporti spaziali.

La predisposizione di tipo circolare o delimitante perseguiva l'obiettivo di preservare lo spazio cittadino da pericoli esterni, secondo gli ideali di autonomia, libertà e autarchia, che richiedono protezione da influenze estranee. Sul piano economico la “città greca” aveva una vocazione prevalentemente agricola, anche in presenza di vasti interessi commerciali e attività artigianali.

Queste prime forme di “città” sembrano considerare possibile la concentrazione di potere e di tecnologia con la dimensione democratica del governo, attraverso forme di autogoverno. Si acquisiscono nuove conoscenze pratiche, si costruiscono i miti religiosi e le speculazioni filosofiche, che debbono essere considerate forme di razionalizzazione e di dominio della natura e della relazione sociale da parte dell’uomo.

Emblematica è, a tal proposito, l’opera di Solone (Atene, 638 a.C. – 558 a.C.), che creò un nuovo codice di leggi, nuovi criteri di cittadinanza, nuovi regolamenti alla struttura della famiglia e delle confraternite di sacerdoti: attraverso tali riforme operò il passaggio del potere politico dalle mani della aristocrazia a quella di uomini nuovi e di gruppi chiamati “soci” oppure “uguali”. Si tratta comunque di realtà sociali nelle quali la gran parte della forza lavoro è comunque costituita da schiavi.

Lo sviluppo urbanistico nell’impero romano

2.2.5

Roma viene realizzata sotto un duplice influsso: vi è la “città murata”, ovvero la “città” che eredita dagli Etruschi il genio dell’ingegneria, e vi è la “città orientata”, segnata da due strade principali, il “cardine” che va da nord a sud, e il “decumano” da est ad ovest. Roma estrinseca tutta la sua grandezza attraverso alcuni elementi strutturali di grande rilievo. Gli acquedotti, le strade, la creazione di un sistema amministrativo molto efficiente sono alcuni fra i pilastri che reggono questa grande cultura politica. Roma si espande moltiplicando

oppida ed urbes. E’ inoltre una “città assiale”, ove tempio, foro ed acropoli si collocano in

questo sistema.

Una forma particolare di urbanizzazione sorse quale risposta alle esigenze di accampamento degli eserciti romani: il castrum.

Il castrum (plurale castra) era, per l’appunto, l'accampamento, o meglio, la fortificazione nel quale risiedeva in forma stabile o provvisoria un'unità dell'esercito romano. Il termine

castra, anche per il singolare, ha un'accezione chiaramente militare, mentre castrum può

essere adoperato anche per opere civili con scopi di protezione.

Il castra romano poteva assumere una configurazione “da marcia” o “da campagna militare” (castra aestiva). Esso presentava una pianta rettangolare e una struttura interna adoperata anche nella pianificazione delle “città”: strade perpendicolari tra loro (chiamate cardo e decumano) che formavano un reticolato di quadrilateri. Le dimensioni potevano variare notevolmente, anche se sovente utilizzavano un'area di circa 50 ettari.

Tra le strade interne all'accampamento se ne distinguono due per importanza: il “cardo massimo” (cardo maximus) e il “decumano massimo” (decumanus maximus), che si incrociano in corrispondenza del praetorium (l'alloggio del comandante) e che conducevano alle quattro porte dell'accampamento. L'accampamento poteva anche assumere una configurazione semi-permanente (castra stativa) e veniva adottato dai Romani fin dei tempi della Repubblica per permettere alle truppe di mantenere uno stato di occupazione e di controllo militare-amministrativo continuativo dei territori provinciali ancora in via di romanizzazione.

Ogni anno, o quasi, erano ricostruiti per trascorrervi l'inverno (hiberna), a volte in località differenti, a volte nelle stesse, ma in nuove strutture magari poco distanti da quelle degli anni precedenti.

I forti delle unità ausiliarie venivano denominati castellum. Avevano misure molto diverse le une dalle altre, a seconda anche che contenessero unità quingenarie (di 500 armati circa) o

milliarie (di 1.000 armati circa). I forti ausiliari possedevano infatti i Principia (edifici

amministrativi), il Praetorium (edificio del comandante, il praefectus, di coorte o d'ala), i baraccamenti dei soldati ausiliari e dei loro ufficiali, le stalle per i cavalli, un Valetudinarium (ospedale militare) e gli Horrea (granai).

Talvolta è successo che i castra stabili si siano evoluti nel tempo fino a diventare “città”. Fra le “città” fondate a partire da un castrum sono Torino, Como, Pavia, Belluno, Brescia, Bologna (il decumano massimo era la via Emilia) e Firenze (l'accampamento di Florentia fu fondato come base per l'assedio di Fiesole, “città” etrusca e ben difesa). In inglese la parola compare nel nome di numerose “città” in buona parte fondate a partire da un castro romano (spesso nella forma della terminazione -chester): Chester, Lancaster, Manchester ed altre.

Le grandi caserme, infine, che ospitavano i corpi militari stanziati a Roma (dalla guardia pretoriana ai vigiles, fino agli urbaniciani) erano anch'esse chiamate castra.

L’abitato di Fondi, in provincia di Latina, rappresenta uno dei pochissimi esempi di "castra" romani rimasti intatti.

Fra il III ed il II secolo a.C. Roma creò 430 “città” in Italia, “città” di dimensioni ridotte (dai 5 ai 270 ha), dotate di mura, anche esse caratterizzate da evidenti criteri per la difesa e con una forma urbana esteticamente curata ed organizzata. La rete di piccole “città” è un enorme vantaggio per l’equilibrio che si crea fra “città” e campagna.

Figura 2 – Castrum romano di Fondi (LT).6

LEGENDA: 1. Chiesa di San Francesco; 2. Palazzo del Principe; 3. Castello; 4. Chiesa di san Pietro; 5. Chiesa di Santa Maria; 6. Giudea.

Il fenomeno dell’espansione moltiplicatrice delle “città” si arresta con il 68 d.C., allorquando, alla fine dell’impero romano, seguì un’epoca di declino urbano.

Le invasione perpetrate delle popolazioni barbariche e seminomadi, incuranti delle regole e dell'organizzazione urbana, portarono ad un veloce abbandono dei territori urbanizzati da parte della popolazione residente. Come conseguenza le “città” degradarono rapidamente e i cittadini in fuga portarono con sé non solo la loro ricchezza materiale, ma anche tutto quel sapere e quella cultura stratificata propria di un agglomerato urbano cresciuto nel tempo. Il senso della fuga va considerato, in qualche modo, come il tentativo di ristabilire l’ordine e la sicurezza persa nelle “città” ad opera degli invasori. In breve vi fu un regresso culturale e un calo demografico. Sopravvissero alcuni centri isolati o quelli lungo le coste. Poi lentamente le “città” tornarono a crescere, pur essendo strutturate, come vedremo, in forma differente.

La nascita dei comuni

2.2.6

Per comprendere le dinamiche che hanno portato alla nascita dei comuni (che per molti storici ha rappresentato la “città medievale”), è opportuno riferirsi al passaggio tra VIII e IX secolo, allorquando si verificarono due eventi molto importanti: la conquista araba e le invasioni barbariche.

Si passò da un’economia di scambio ad un’economia di consumo, i mercati di sussistenza dove le merci del contado venivano scambiate con quelle della “città”, continuavano ad esserci anche se in essi mancava lo spirito del rischio e dell’imprenditorialità.

Anche le “città” cambiarono volto e proprio in esse vennero a mancare due elementi fondamentali: la classe media e la presenza di un potere forte in grado di esprimere le nuove esigenze emergenti.

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Contemporaneamente a tutto ciò, il potere della chiesa andava sempre più consolidandosi. Le “città” si trasformarono in “città vescovili” e qua e là sorsero numerosi oppida (fortezze militari, come detto), che i contadini utilizzavano per rifugiarsi nei momenti di pericolo. La chiesa aumentò il proprio potere temporale affidando la gestione dei territori ai vescovi: essi lo esercitavano con una giurisdizione molto ampia e gestivano i sudditi con uguali poteri giuridici; contadini e cittadini erano uguali dal punto di vista giuridico.

Con l’inizio del secolo IX la situazione comincia a cambiare grazie all’aumento della popolazione, alla crescita del suolo coltivato e alla ripresa dei commerci. La popolazione in Europa aumenta da 22 milioni di abitanti nel 950 a 55 milioni nel 1350.

La “città” nell'antichità e nel Medioevo, sia in Europa che altrove, subì un processo di modificazione per assumere l’aspetto della fortezza e della guarnigione.

Il precursore della fortificazione cittadina fu il castello, cioè una fortezza abitata da un