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Alcune letture della mancata deduzione del principio morale e del ricorso alla teoria del fatto della ragione

La deduzione della facoltà della libertà

3. Alcune letture della mancata deduzione del principio morale e del ricorso alla teoria del fatto della ragione

Secondo Benedetto Sala, nel paragrafo dedicato alla deduzione del principio morale, Kant si propone la dimostrazione (Erweis) della realtà di quella legge, che nei primi due capitoli della Fondazione della metafisica dei costumi e nei primi sei paragrafi della Critica della ragion pratica aveva lo stato epistemologico di una mera ipotesi.290. Se però, continua Sala, il problema della deduzione della

legge morale era già stato risolto nel § 7 della Critica della ragion pratica per mezzo della teoria del fatto della ragione, si apre la questione del perché ora Kant intraprenda un ulteriore tentativo di fornire tale deduzione. L’unica risposta possibile, secondo Sala, che si appoggia in questa spiegazione ad una nota a piè di pagina nell’articolo di Dieter Henrich sulla “Deduktion des Sittengesetz”291, è da ricercare nella fretta di Kant, che generalmente ha accompagnato la redazione delle sue opere.292 Secondo Sala, ci troviamo di fronte ad un ulteriore tentativo di Kant, a partire da un diverso punto di approccio, di dedurre la legge morale, al termine del quale gli risulta chiaro che l’esistenza della legge morale rappresenta un “primum quoad nos”, che si presenta nella nostra coscienza (Gewissen)293: una esperienza interiore, che può essere chiamata “trascendentale” nello stesso modo in cui Kant chiama trascendentali le parti costitutive della nostra conoscenza date

a priori. Riprova di questa concezione da parte di Kant, conclude Sala, è la teoria

del fatto della ragione, che troviamo nel § 7.294

Secondo White Lewis Beck, una delle ragioni dell’impossibilità della deduzione del principio morale risiede nel fatto che la deduzione sarebbe una dimostrazione circolare (von der Freiheit aufs Gesetz und vom Gesetz auf die

Freiheit schließen) se da una lato la libertà e dall’altro la legge morale non

291 Vedi D. Henrich, Die Deduktion des Sittengesetzes, cit., p. 108.

292 G.B. Sala, op. cit., p. 121. Sala avanza l’ipotesi, che egli ritiene assai probabile, che da

questa fretta sia anche la causa nella Critica della ragion pratica della disordinata disposizione delle varie parti, del contenuto e della modo di argomentare.

293 Il termine Gewissen viene usato da Kant nella Critica della ragion pratica una sola volta:

KpV, AA 05: 98.14. Per quanto concerne la teoria del fatto della ragione Kant si riferisce sempre e solo a Bewusstsein.

294 G.B. Sala, op. cit., p. 121. Non mi pare corretta l’interpretazione, che Sala fornisce dell’idea

della “übersinnliche Natur” in Kant: essa sarebbe in realtà l’idea di una natura umana – das

Menschenbild – che non è data sensibilmente in quanto tale, ma viene conosciuta attraverso

l’intelletto (certamente sulla base di dati provenienti dall’esperienza interna ed esterna). L’esame dell’universalizzabilità della massima accadrebbe in base a questa misura, perché essa è sufficiente secondo il giudizio della ragione alla promozione della natura umana. «Wenn solcherart das Muster unserer freien Handlungen ist, so kann man wohl sagen, dass eine Natur die ihre Existenz dem guten Willen verdankt und die Kant „übersinnliche Natur“ nennt, den Bestimmungsgrund ihrer Entstehung in der reinen praktischen Vernunft hat. So verstanden aber hat die Rede von einer praktischen Vernunft keinen rein formalistischen Sinn mehr». Per Kant, secondo Sala, «[...] das Gesetz der reinen praktischen Vernunft [ist] das der Allgemeinheit» (Ivi, p. 124).

disponessero ciascuna di una autenticazione (Beglaubigung) indipendente.295 L’autenticazione indipendente della legge morale è il fatto della ragion pura, mentre quella del concetto di libertà si trova nel suo uso teoretico, dimostrazione fornita da Kant nella soluzione della terza antinomia nella Critica della ragion

pura.296

Reinhard Brandt legge la mancata deduzione del principio morale nella Critica

della ragion pratica come il frutto del rovesciamento dell’ordine delle parti

dell’“Analitica” nella seconda Critica rispetto alla prima: come nella Critica della

ragion pura non viene intrapresa nessuna deduzione nell’estetica trascendentale,

così nella Critica della ragion pratica l’indubitabile fatto dell’autoconsapevolezza della legge morale, posto all’inizio dell’Analitica, è al tempo stesso la sua giustificazione e non necessita di alcuna ulteriore deduzione, la quale non sarebbe comunque possibile.297

Per Sergio Landucci, l’individuazione della condizione per la realtà del principio della moralità nella libertà del volere rimane un punto fermo della filosofia pratica kantiana a partire dalla Fondazione della metafisica dei costumi. L’impostazione del rapporto tra principio della moralità e libertà per quanto riguarda il procedimento della giustificazione, secondo Landucci, cambia radicalmente tra l’opera del 1785 e la Critica della ragion pratica. Nella

Fondazione, Kant muoverebbe dalla libertà per dedurre da essa la realtà del

principio della moralità; nella Critica della ragion pratica dalla realtà del principio della moralità per inferire298 la libertà del volere.299 Per quanto riguarda

295 L.W. Beck, Kants „Kritik der praktischen Vernunft“, cit., pp. 165-166. 296 Ivi, p. 167.

297 R. Brandt, Die Bestimmung des Menschen, cit., p. 366. Annotazione accennata anche da

Beck (cfr. L.W. Beck, Kants „Kritik der praktischen Vernunft“, cit., p. 166).

298 Per Landucci, “dedurre” significa giustificare l’oggettività dell’apriori. Landucci non pone

particolare attenzione all’accezione giuridica, in cui Kant fa uso del termine. Per questo, non di rado, Landucci si serve di espressioni, come in questo caso “inferire”, a mio avviso fuorvianti rispetto al senso kantiano (S. Landucci, La “Critica della ragion pratica” di Kant. Introduzione

alla lettura, La Nuova Italia scientifica, Roma 2001 (terza edizione, prima edizione: 1993), p. 84).

299 Ivi, pp. 84-85.

la dottrina del fatto della ragione: secondo Landucci, Kant si avvede nella Critica

della ragion pratica dell’aporia, in cui egli incorre nella Fondazione della metafisica dei costumi, a proposito della deduzione della legge morale.300 Nella

Fondazione, Kant prenderebbe le mosse dalla condizione di libertà per dedurre da

quest’ultima la realtà del principio della moralità (l’imperativo categorico). Il fallimento, cui Kant andrebbe incontro a proposito della deduzione dell’imperativo categorico nella Fondazione, è riassumibile, secondo Landucci in un dilemma: assumere la libertà, fedelmente alle conclusione della Critica della

ragion pura, come idea, la cui realtà è problematica, avrebbe reso problematica

anche la realtà del principio morale; asserire positivamente la realtà della legge morale, da cui far discendere la realtà del principio morale, avrebbe violato le conclusioni della prima critica. Nella Critica della ragion pratica, Kant, sempre secondo Landucci, si avvede dell’aporia e dichiara, in maniera autocritica, l’impossibilità della deduzione della realtà oggettiva della legge morale, affermando che la legge morale non ha bisogno di alcuna giustificazione, poiché valida in sé. Così facendo, secondo Landucci, Kant mostra di avere in mente una concezione di scienza di tipo aristotelico, come insieme di dimostrazioni che muovono da principi non suscettibili di dimostrazioni, autoevidenti e noti intuitivamente: assiomi.301 «Orbene, dopo la Critica della ragion pratica, ma così di scelta tra il seguire la legge morale e l’agire contrariamente ad essa: questa libertà del volere è, secondo l’interpretazione di Landucci, la condizione, individuata da Kant già nel 1785, della realtà del principio morale. Come abbiamo visto nel primo capitolo, questo non è, però, il significato, che Kant attribuisce al concetto di libertà, così come viene usato in generale nella Critica della

ragion pratica. La libertà, cui Kant qui si riferisce, non è la libertà del volere di decidersi per il

bene o il male, ma la legge di causalità del mondo intelligibile. Da questo intendimento partono, infatti, i problemi della filosofia pratica di Kant in relazione all’effettiva libertà di scelta (Willkür) dell’essere umano (Ivi, p. 85).

Alla questione Landucci dedica una nota a piè di pagina: nella Critica della ragion pratica, così come già nella Fondazione della metafisica dei costumi, “serpeggerebbe” un equivoco tra la libertà del volere (per Landucci, il libero arbitrio) e la autonomia della libertà, con la conseguenza “disastrosa” della identificazione delle “scelte” contrarie alla morale con le “scelte” non libere. Kant provvederebbe, secondo Landucci, a “raddrizzare le cose”, opponendo alla concezione psicologica di libertà la concezione di libertà come autodeterminazione incondizionata, attraverso la quale Kant salverebbe l’imputabilità delle azioni morali al soggetto agente (Ivi, p. 99). Nel tentativo di sciogliere questo problema, Landucci, in realtà, confonde ulteriormente i termini e i vari piani del problema in questione.

300

Ivi, pp. 85-86.

301 Qui Landucci si riferisce al seguente passo: «[…] weil praktische reine Vernunft notwendig

rendendo solo esplicito quanto sostenuto già in quest’opera, Kant battezzerà proprio come un assioma la “realtà della legge morale”».302

werden müssen und nicht allererst aus ihr entspringen können» (KpV, AA 05: 91.30-33). La traduzione italiana mi pare non renda correttamente l’espressione “Aller Wissenschaft” «[…] poiché la ragion pura pratica deve necessariamente cominciare da principi, che devono, dunque, esser posti a fondamento di ogni scienza come dati primitivi, e non possono derivare anzitutto dalla scienza medesima» (I. Kant, Critica della ragion pratica, cit. p. 195). Allo stesso modo traducono Pietro Chiodi e Francesco Capra (P. Chiodi: I. Kant, Critica della ragion pratica, in:

Critica della ragion pratica e altri scritti morali, cit., p. 234; F. Capra: I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari 1997, p. 201). “Aller Wissenschaft” si riferisce chiaramente all’intera

scienza della ragion pura pratica, perché i Grundsätze, da cui la ragion pura pratica deve prendere le mosse, non possono essere dati primi, che vengono posti come fondamento di “ogni scienza”.

302 S. Landucci, La “Critica della ragion pratica” di Kant, cit., p. 88. Nella nota a piè di

pagina relativa a quest’ultima affermazione Landucci si riferisce esplicitamente ad un passo della

Metafisica dei costumi, in cui le leggi pratiche verrebbero definite da Kant indimostrabili ed

apodittiche al pari dei postulati matematici. Qui, spiega Landucci, “postulati” vale per “assiomi”. In questo modo, però, continua Landucci, Kant rinnega quanto affermato nella Critica della ragion

pura sul fatto che assiomi siano possibili solo in matematica e non in filosofia. Il passo della Metafisica dei Costumi, cui Landucci si riferisce, è il seguente. Risulta chiaro, ad una lettura

attenta, il fraintendimento del testo da parte di Landucci. «Wenn man aber in dieser Verwunderung über ein Vermögen unserer Vernunft, durch die bloße Idee der Qualification einer Maxime zur Allgemeinheit eines praktischen Gesetzes die Willkür zu bestimmen, belehrt wird: daß eben diese praktischen Gesetze (die moralischen) eine Eigenschaft der Willkür zuerst kund machen, auf die keine speculative Vernunft weder aus Gründen a priori, noch durch irgend eine Erfahrung gerathen hätte und, wenn sie darauf gerieth, ihre Möglichkeit theoretisch durch nichts darthun könnte, gleichwohl aber jene praktischen Gesetze diese Eigenschaft, nämlich die Freiheit, unwidersprechlich darthun: so wird es weniger befremden, diese Gesetze gleich mathematischen Postulaten unerweislich und doch apodiktisch zu finden, zugleich aber ein ganzes Feld von praktischen Erkenntnissen vor sich eröffnet zu sehen, wo die Vernunft mit derselben Idee der Freiheit, ja jeder anderen ihrer Ideen des Übersinnlichen im Theoretischen alles schlechterdings vor ihr verschlossen finden muß» (MS AA 06: 225.17-31) [Corsivo mio]. Trad. it.: «Ma per riguardo a questa meraviglia suscitata dalla facoltà della nostra ragione di determinare la volontà mediante la pura idea dell’adattamento di una massima all’universalità di una legge pratica, si pensi che appunto queste leggi pratiche (le leggi morali) ci rivelano anzitutto una proprietà del libero arbitrio, a cui non sarebbe riuscita nessuna ragione speculativa né per mezzo di principi a

priori né tramite qualsiasi esperienza, e di cui essa non avrebbe nessun mezzo, se anche vi

riuscisse, di dimostrare teoricamente la possibilità, mente invece queste leggi pratiche dimostrano inconfutabilmente quella proprietà, cioè la libertà; e parrà allora molto meno strano di trovare quelle leggi, come i postulati matematici, indimostrabili e però apodittiche, e di vedere nello stesso tempo aprirsi davanti a sé tutto un campo di conoscenze pratiche, il quale resta assolutamente chiuso alla ragione quand’essa considera questa stessa idea della libertà e tutte le altre idee delle cose sopra-sensibili in modo soltanto teoretico» (I. Kant, Metafisica dei costumi, cit., p. 28).