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Il principio della legge morale (la legge morale stessa) non è deducibile – Il “fatto della ragione”

La deduzione della facoltà della libertà

1. Il principio della legge morale (la legge morale stessa) non è deducibile – Il “fatto della ragione”

Nella “Nota” al § 7, intitolato “Legge fondamentale della ragion pura pratica”, Kant afferma per la prima volta che la consapevolezza (Bewusstsein) della legge fondamentale, cioè dell’imperativo categorico (la legge morale) può essere chiamata un “fatto della ragione (Faktum der Vernunft)”. La legge fondamentale, infatti, spiega Kant, non può essere ricavata (herausvernünfteln) da dati precedenti della ragione, ma si impone come proposizione sintetica a priori, la quale non può essere fondata sull’intuizione empirica, né su un’intuizione pura (che, per Kant, non è in alcun caso ammessa).262 La legge morale è, quindi, data (gegeben), ma Kant tiene a precisare che essa non è un fatto empirico, quanto piuttosto l’unico fatto della ragion pura, la quale si presenta attraverso di esso come

261 Questo paragrafo intende presentare brevemente la dottrina kantiana del “fatto della

ragione” e la sua connessione con la deduzione della “facoltà della libertà”nella Critica della

ragion pratica, che tratteremo in seguito. Non mi occuperò, quindi, dell’annosa questione, che

impegna ancora gli interpreti kantiani, intorno alla deduzione fornita da Kant nella terza sezione della Fondazione della metafisica dei costumi ed ai suoi legami con la teoria del fatto della ragione.

Mi limito a fornire solo alcune non esaustive indicazioni bibliografiche. Sulla deduzione, intrapresa da Kant nella Fondazione, si vedano: D. Henrich, Die Deduktion des Sittengesetzes, cit., pp. 54-112; K. Ameriks, Kants Deduction of Freedom and Morality, in „Journal of the History of Philosophy“, Volume XIX, 1981, Nr. 1; R. Brandt, Der Zirkel im dritten Abschnitt von Kants

Grundlegung zur metaphysik der Sitten, in: Kant. Analyse-Probleme-Kritik, op. cit., Band I, pp.

169-191; D. Schönecker, Kant: Grundlegung III. Die Deduktion des kategorischen Imperativs, Karl Alber Freiburg, München 1999; B. Ludwig, Was wird in Kants „Grundlegung“ eigentlich

deduziert? Über einen Grund der vermeintlichen Dunkelheit des „Dritten Abschnitts“, in:

“Jahrbuch für Recht und Ethik-Annual review of law and ethics”, vol. 16, Duncker und Humblot, Berlin 2008, pp. 431-463. A proposito della teoria del fatto della ragione: L.W. Beck, Das Faktum

der Vernunft: Zur Rechtfertigungsproblematik in der Ethik, in: “Kant-Studien” 52/1961, pp. 271-

282; D. Henrich, Der Begriff der sittlichen Einsicht und Kants Lehre des Faktum der Vernunft, in:Kant: zur Deutung seiner Theorie von Erkennen und Handeln, a cura di G. Prauss, Kiepenheuer und Witsch, Köln 1972, pp. 223-254; P. Giordanetti, Attualità del «fatto della ragione». Il

problema della realtà della legge morale e della libertà, in: “Secretum on line” 25/10/2007 e

1/11/2007; ID, Die Realität des Ethischen “Faktum der Vernunft” und Gefühl in der Kritik der

praktischen Vernunft, in “Secretum on line” 15/11/2007.

262 L’imperativo categorico sarebbe, infatti, una proposizione analitica se presupponesse la

libertà della volontà, per fare ciò, però, in quanto concetto positivo, sarebbe necessaria un’intuizione intellettuale, che non è lecito ammettere in alcun modo (KpV, AA 05: 31.24-34). Sull’argomento si veda B. Ludwig, Warum es keine „hypothetischen Imperative“ gibt, und warum

Kants hypothetisch-gebietende Imperative keine analytische Sätze sind, in: Aufklärung und Interpretation. Studien zu Kants Philosophie und ihrem Umkreis, a cura di H.F: Klemme, B.

originariamente legislatrice.263

Das vorher genannte Factum ist unleugbar. […].Dieses Princip der Sittlichkeit [Grundgesetz der reinen praktischen Vernunft, F. B.] nun, eben um der Allgemeinheit der Gesetzgebung willen, die es zum formalen obersten Bestimmungsgrunde des Willens unangesehen aller subjectiven Verschiedenheiten desselben macht, erklärt die Vernunft zugleich zu einem Gesetze für alle vernünftige Wesen, so fern sie überhaupt einen Willen, d.i. ein Vermögen haben, ihre Causalität durch die Vorstellung von Regeln zu bestimmen, mithin so fern sie der Handlungen nach Grundsätzen, folglich auch nach praktischen Principien a priori (denn diese haben allein diejenige Nothwendigkeit, welche die Vernunft zum Grundsatze fordert) fähig sind.264

Il senso della teoria del “fatto della ragione” viene spiegato successivamente, in maniera più dettagliata, nel paragrafo sulla “Deduzione dei principi della ragion pura pratica”. Kant spiega qui il ruolo centrale ricoperto dal fatto della ragione nell’“Analitica della ragion pura pratica”: proprio attraverso la teoria del fatto della ragione, infatti, è stato possibile presentare (dartun) la ragione pura in quanto pratica. Attraverso di esso la ragione pura si dimostra pratica, in quanto autonomia nel principio della moralità (Grundsatz der Sittlichkeit), per mezzo del quale essa determina la volontà. Il fatto della ragione, inoltre, è collegato indivisibilmente con la consapevolezza (Bewusstsein) della libertà della volontà, in quanto legge dinamica capace di determinare la causalità della volontà (dell’essere razionale in quanto essere in sé) nel mondo sensibile.265 Kant fa qui

263 «Doch muß man, um dieses Gesetz ohne Mißdeutung als gegeben anzusehen, wohl

bemerken: daß es kein empirisches, sondern das einzige Factum der reinen Vernunft sei, die sich dadurch als ursprünglich gesetzgebend (sic volo, sic jubeo) ankündigt» (KpV, AA 05: 31.31-34). Trad. it.: «Tuttavia, per poter considerare senza equivocatale legge come data, occorre osservare che non si tratta di un fatto empirico, bensì dell’unico fatto della ragion pura, la quale, per mezzo di esso, si annunzia come originariamente legislativa (sic volo, sic iubeo)» (I. Kant: Critica della

ragion pratica, cit., p. 89).

264 KpV, AA 05: 32.2-15. Trad. it.: «Il fatto accennato più sopra è incontestabile. [...] Ora,

questo principio della moralità – in forza della stessa universalità della legislazione, che ne fa il motivo determinante formale supremo della volontà, senza considerazione di qualsiasi differenza soggettiva in – è dichiarato dalla ragione, al tempo stesso, una legge valida per tutti gli esseri razionali, in quanto abbiano comunque una volontà, cioè una facoltà di determinare la loro causalità mediante la rappresentazione di regole, e perciò in quanto sono capaci di azioni secondo principi, quindi anche secondo principi pratici a priori (poiché soltanto questi posseggono quella necessità che la ragione esige in un principio)» (Kant, Critica della ragion pratica, cit., p.89).

più volte riferimento alla prima Critica: nella Critica della ragion pura, infatti, egli aveva dimostrato come fosse possibile parlare legittimamente di libertà, a patto che ci si riferisse al solo mondo intelligibile e non a quello sensibile, retto da leggi causali naturali.

Diese Analytik thut dar, daß reine Vernunft praktisch sein, d.i. für sich, unabhängig von allem Empirischen, den Willen bestimmen könne — und dieses zwar durch ein Factum, worin sich reine Vernunft bei uns in der That praktisch beweiset, nämlich die Autonomie in dem Grundsatze der Sittlichkeit, wodurch sie den Willen zur That bestimmt. — Sie zeigt zugleich, daß dieses Factum mit dem Bewußtsein der Freiheit des Willens unzertrennlich verbunden, ja mit ihm einerlei sei, wodurch der Wille eines vernünftigen Wesens, das, als zur Sinnenwelt gehörig, sich gleich anderen wirksamen Ursachen nothwendig den Gesetzen der Causalität unterworfen erkennt, im Praktischen doch zugleich sich auf einer andern Seite, nämlich als Wesen an sich selbst, seines in einer intelligibelen Ordnung der Dinge bestimmbaren Daseins bewußt ist, zwar nicht einer besondern Anschauung seiner selbst, sondern gewissen dynamischen Gesetzen gemäß, die die Causalität desselben in der Sinnenwelt bestimmen können; denn daß Freiheit, wenn sie uns beigelegt wird, uns in eine intelligibele Ordnung der Dinge versetze, ist anderwärts hinreichend bewiesen worden.266 Conclusa l’esposizione del principio (Grundsatz) della moralità, Kant affronta la questione della sua deduzione, che egli intende come «Rechtfertigung seiner objektiven und allgemeinen Gültigkeit und der Einsicht der Möglichkeit eines solchen synthetischen Satzes a priori»267.

266 KpV, AA 05, 42.4-19. Trad. it.: «Questa analitica mostra che la ragion pura può essere

pratica, cioè può determinare la volontà indipendentemente da ogni stimolo empirico: e questo mediante un fatto, in cui effettivamente la pura ragione in noi si dimostra pratica, e cioè l’autonomia nel principio della moralità, con cui la ragione determina la volontà all’azione. – Essa mostra, inoltre, che questo fatto è indissolubilmente connesso con la coscienza della libertà della volontà, anzi fa tutt’uno con essa; per cui la volontà di un essere razionale, che, come appartenente al mondo sensibile, si trova necessariamente sottoposto alle leggi di causalità al pari delle altre cause efficienti, tuttavia nel pratico è cosciente, per un altro verso, come essere in sé stesso, della propria esistenza determinabile in un ordine intelligibile delle cose; senza avere, per questo, una particolare intuizione di sé, bensì in conformità di certe leggi dinamiche, in grado di determinare la sua causalità nel mondo sensibile. Che, infatti, la libertà, se ci compete, ci trasporti in un ordine intelligibile delle cose, è stato più su dimostrato a sufficienza» (Kant, Critica della ragion pratica, cit., p. 107).

267

KpV, AA 05: 46.20-21. Trad. it.: «[...] cioè nella giustificazione della sua validità oggettiva e universale – e nell’esame della possibilità di una tale proposizione sintetica a priori, [...]» (I. Kant,

Da un lato, però, una deduzione dei principi della moralità, spiega Kant, non può procedere come nel caso dei principi (Grundsätze) dell’intelletto puro nella

Critica della ragion pura. Tali principi si riferiscono agli oggetti dell’esperienza

possibile e Kant aveva dimostrato come i fenomeni fossero conoscibili in quanto oggetti dell’esperienza solo attraverso il loro essere riportati sotto le categorie, che, quindi, l’esperienza possibile debba essere commisurata (angemessen) ai principi, alle leggi, dell’intelletto. La Critica della ragion pura, quindi, spiega Kant, tratta della conoscenza della costituzione (Beschaffenheit) di oggetti, che la ragione riceve come dati (gegeben); nella Critica della ragion pratica, invece, si ha a che fare con una conoscenza tale, da poter divenire essa stessa fondamento (Grund) dell’esistenza degli oggetti: la ragione, infatti, attraverso tale conoscenza, ha causalità in un essere razionale, può divenire cioè ragione pratica e può essere considerata come una facoltà (Vermögen), che determina in maniera immediata la volontà.268

D’altro canto, continua Kant, la giustificazione della realtà oggettiva dei principi della moralità non può nemmeno fondarsi su base empirica. Kant porta l’esempio di un altro caso, in cui non è possibile ricorrere ad una deduzione: la questione della possibilità oggettiva delle facoltà fondamentali (Grundvermögen) dell’essere umano. La loro possibilità, infatti, spiega Kant, non può essere compresa, né inventata a piacere e poi assunta come presupposto. In questo caso, afferma Kant, pur non essendo possibile una deduzione, si presenta una soluzione al problema della giustificazione: nell’uso teoretico della ragione l’esperienza ci può giustificare nell’assunzione della realtà delle facoltà fondamentali.269 Nel caso

268 KpV, AA 05: 46.30-36. 269

«Nun ist aber alle menschliche Einsicht zu Ende, so bald wir zu Grundkräften oder Grundvermögen gelangt sind; denn deren Möglichkeit kann durch nichts begriffen, darf aber auch eben so wenig beliebig erdichtet und angenommen werden. Daher kann uns im theoretischen Gebrauche der Vernunft nur Erfahrung dazu berechtigen, sie anzunehmen» (KpV, AA 05: 46.84- 47.4). Trad. it.: «Con ciò ha termine, però, ogni veduta umana: quando noi giungiamo alle facoltà o capacità fondamentali. Infatti, la loro possibilità non può in nessun modo essere capita; né, d’altra parte, può essere immaginata o postulata a capriccio» (I. Kant, Critica della ragion pratica, cit., p.115).

Si confronti a questo proposito quanto affermato da Kant nella KrV all’inizio della deduzione delle categorie dell’intelletto: «Die Rechtslehrer, wenn sie von Befugnissen und Anmaßungen reden, unterscheiden in einem Rechtshandel die Frage über das, was Rechtens ist (quid iuris), von der, die die Thatsache angeht (quid facti), und indem sie von beiden Beweis fordern, so nennen sie

della ragion pura pratica non è possibile neppure una giustificazione di questo tipo:

Dieses Surrogat, statt einer Deduction aus Erkenntnißquellen a priori empirische Beweise anzuführen, ist uns hier aber in Ansehung des reinen praktischen Vernunftvermögens auch benommen. 270

Infatti, spiega Kant, ciò, che trae il fondamento dimostrativo (Beweisgrund) della propria realtà (Wirklichkeit) dall’esperienza, deve dipendere, in sintonia con i fondamenti della sua possibilità, da principi dell’esperienza. Questo, chiaramente, per via del suo stesso concetto, non può essere il caso della ragion pura pratica. Inoltre, la legge morale è data come fatto della ragion pura, del quale l’essere umano è cosciente a priori, e che gode di certezza apodittica, anche se è ammesso che nell’esperienza potrebbe non mostrarsi mai un esempio, in cui la legge morale viene seguita.

Sondati ed esclusi i due possibili procedimenti di giustificazione della possibilità oggettiva – la dimostrazione basata sull’esperienza e la deduzione trascendentale – Kant giunge alla seguente conclusione: della realtà oggettiva den erstern, der die Befugniß oder auch den Rechtsanspruch darthun soll, die Deduction. […] Ich nenne daher die Erklärung der Art, wie sich Begriffe a priori auf Gegenstände beziehen können, die transscendentale Deduction derselben und unterscheide sie von der empirischen Deduction, welche die Art anzeigt, wie ein Begriff durch Erfahrung und Reflexion über dieselbe erworben worden, und daher nicht die Rechtmäßigkeit, sondern das Factum betrifft, wodurch der Besitz entsprungen.» (KrV, A 84/B 116-A 86/B 117). Trad. it.:«Quando parlano di facoltà e usurpazioni, i giuristi distinguono, in una controversa giuridica, la questione su ciò che è diritto (quid iuris) da quella che riguarda la fattispecie (quid facti), ed esigendo la dimostrazione di entrambi i punti, chiamano allora la prima prova – che deve mostrare la facoltà o anche la pretesa giuridica – la deduzione. [...] La spiegazione del modo in cui tali concetti possono riferirsi a priori ad oggetti, io la chiamo dunque deduzione trascendentale dei medesimi concetti, e la distinguo dalla deduzione empirica, che indica il modo in cui un concetto è stato acquistato mediante l’esperienza e la riflessione sull’esperienza, e che riguarda quindi non già la legittimità, bensì il factum, attraverso il quale è sorto il possesso» (I. Kant, Critica della ragion pura, cit., pp. 141-142).

Le facoltà umane, quindi, non sono deducibili (quid juris), sembrano esserlo solo per mezzo di una deduzione empirica (quid facti). Per contro, il principio (Grundsatz) della moralità non può essere dedotto né attraverso una deduzione trascendentale, né attraverso una empirica.

Che la “deduzione empirica”, la quale riguarda un “fatto”, attraverso il quale è nata una proprietà, nulla c’entri con la teoria del “fatto della ragione” risulta chiaro dalle affermazioni di Kant a proposito dell’apriorità del fatto della ragione (KpV, AA 05: 31. 24-34).

270

KpV, AA 05: 47.4-7. Trad. it.: «Ma anche questo succedaneo di addurre una prova empirica, invece di una deduzione dalle origini della conoscenza a priori, qui ci è tolto rispetto alla facoltà della ragion pura pratica» (I. Kant, Critica della ragion pratica, cit., p. 101).

della legge morale, nonostante tutti gli sforzi della ragione teoretica, speculativa o aiutata (unterstützt) empiricamente, non può essere fornita alcuna deduzione. Anche se si volesse rinunciare alla certezza apodittica e si cercasse una conferma da parte dell’esperienza, non si arriverebbe ad una dimostrazione a posteriori. E tuttavia, afferma Kant, la legge morale rimane una certezza, in quanto fatto della ragion pura.271