• Non ci sono risultati.

Differenti concetti di libertà e di ragione

Libertà e Male morale

3. Differenti concetti di libertà e di ragione

Nel severo dualismo, che contraddistingue la filosofia pratica kantiana e, come abbiamo visto, conduce ad aporie a quanto pare insormontabili ed assai pericolose per l’applicazione e per i fondamenti della morale stessa, è possibile individuare un ambito intermedio tra la causalità naturale e la causalità della libertà.75

Nella Prefazione e nella Introduzione alla Critica della ragion pratica, Kant spiega perché la Critica sia una critica della ragione pratica in generale (überhaupt) e non la critica della ragione pura pratica, come ci si potrebbe aspettare dal parallelismo con la prima Critica del 178176. Kant distingue due istanze, che possono determinare la volontà: la ragione pura pratica e la ragione pratica empiricamente condizionata (empirisch-bedingt). La critica della ragione pratica in generale consiste nel trattenere la ragione pratica empiricamente condizionata dalla pretesa (Anmaßung) di fornire l’unico fondamento di determinazione (Bestimmungsgrund) della volontà. La ragione pura pratica non necessita, secondo Kant, di alcuna critica, poiché è essa stessa la norma della critica del suo uso.77

Pur non facendo Kant un uso sempre rigoroso delle due espressioni, utilizzando l’espressione “ragion pratica” indifferentemente per entrambe le istanze, la distinzione tra “ragione pura pratica” e “ragione pratica in generale (überhaupt)” o

75 Beck distingue, per esempio, in questo contesto, tra due concetti di libertà: il concetto che il

soggetto agente ha della propria spontaneità, che si manifesta nella consapevolezza (Bewusstsein) dell’obbligazione (Verpflichtung) morale, e la libertà come suprema legislazione, cioè come autonomia (ID, Kants „Kritik der praktischen Vernunft“, cit., pp. 184-187).

Karl Ameriks parla di «practical (or comparative) freedom» e «transcendental (or absolute) freedom». Con la prima espressione Ameriks intende l’indipendenza della volontà da impulsi meramente sensibili, con la seconda l’indipendenze da tutto ciò, che può predeterminare un’azione. Ameriks sostiene che Kant sia dell’idea che la “comparative freedom” sia in un certo senso sufficiente per l’accettazione dell’imperativo categorico come fondamento di determinazione della volontà, come istanza di prova della massima dell’azione e, in questo senso, anche per la fondazione della morale. Ameriks, però, non sviluppa alcuna indagine del ruolo della “comparative freedom” nell’accettazione dell’imperativo categorico e si concentra sullo sviluppo storico della dimostrazione kantiana della libertà trascendentale (K. Ameriks, Kants Deduction of

Freedom and Morality, in “Journal of the History of Philosophy”, Volume XIX, 1981, Nr. 1, pp.

53-69).

76 Si veda: GMS AA 04: 405.7-16; KpV AA 05: 3.2-13. Sull’argomento si vedano anche: K.

Ameriks, Kants Deduction of Freedom and Morality, cit., pp. 53-69; L.W. Beck, Kants „Kritik der

praktischen Vernunft“, cit., pp. 79 sgg..

“ragione pratica empiricamente condizionata” risulta, per lo meno dal contesto in cui viene utilizzata, sempre molto chiara. L’ambito della ragione pura pratica è il campo della volontà pura, determinata esclusivamente dalla ragione pura pratica attraverso la legge morale con l’esclusione di tutto ciò che è empirico e sensibile: è il regno della libertà trascendentale. L’ambito della ragione empiricamente condizionata o della ragione pratica in generale è il campo della volontà in generale, intesa come facoltà di desiderare (Begehrungsvermögen). La determinazione della volontà da parte della ragion pratica in generale non esclude che desideri o stimoli sensibili possano essere fondamenti di determinazione dell’azione. La libertà, di cui Kant talvolta parla in questo contesto, è una libertà di tipo strumentale, rivolta alla scelta dei mezzi più adeguati al raggiungimento dello scopo, cui l’azione è rivolta.

All’inizio del secondo capitolo dell’“Analitica della ragion pratica”, dedicato, come si vedrà meglio in seguito, agli oggetti della ragion pura pratica, i concetti di bene e di male, Kant afferma:

Unter dem Begriffe eines Gegenstandes der praktischen Vernunft verstehe ich die Vorstellung eines Objects als einer möglichen Wirkung durch Freiheit. Ein Gegenstand der praktischen Erkenntniß als einer solchen zu sein, bedeutet also nur die Beziehung des Willens auf die Handlung, dadurch er oder sein Gegentheil wirklich gemacht würde, und die Beurtheilung, ob etwas ein Gegenstand der reinen praktischen Vernunft sei, oder nicht, ist nur die Unterscheidung der Möglichkeit oder Unmöglichkeit, diejenige Handlung zu wollen, [...]. Wenn das Object als der Bestimmungsgrund unseres Begehrungsvermögens angenommen wird, so muß die physische Möglichkeit desselben durch freien Gebrauch

unserer Kräfte vor der Beurtheilung, ob es ein Gegenstand der praktischen Vernunft sei

oder nicht, vorangehen. Dagegen wenn das Gesetz a priori als der Bestimmungsgrund der Handlung, mithin diese als durch reine praktische Vernunft bestimmt betrachtet werden kann, so ist das Urtheil, ob etwas ein Gegenstand der reinen praktischen Vernunft sei oder nicht, von der Vergleichung mit unserem physischen Vermögen ganz unabhängig, [...] mithin muß die moralische Möglichkeit der Handlung vorangehen; denn da ist nicht der Gegenstand, sondern das Gesetz des Willens der Bestimmungsgrund derselben.78

78

KpV AA 05: 57.17-29 [Corsivo mio]. Trad. it.: «Per “concetto di un oggetto della ragion pura pratica” intendo la rappresentazione di un oggetto come effetto che si può ottenere per mezzo della libertà. Essere un oggetto della conoscenza pratica come tale significa, dunque, solo il

Risulta evidente la distinzione tra un oggetto della ragion pratica in generale ed un oggetto della ragion pura pratica. Il primo è il possibile effetto del libero uso delle forze dell’essere umano rivolte al conseguimento di un oggetto, che si è posto come scopo. Il secondo è l’effetto della determinazione della volontà da parte della sola legge morale. Su questo punto si ritornerà in seguito, nell’ambito della più dettagliata analisi dei concetti di bene e di male. Per il momento mi pare importante mettere in rilievo la presenza dei due ambiti, quello della ragione pura pratica e quello della ragione pratica empiricamente determinata. La libertà, cui Kant fa riferimento a proposito dell’oggetto della ragion pratica in generale non può essere in alcun modo intesa come la libertà trascendentale, che, come abbiamo visto, è una libertà assoluta, causalità del mondo noumenale, che agisce in maniera del tutto indipendente da tutto ciò che è empirico e sensibile.

Riceviamo un’ulteriore conferma della presenza nel pensiero kantiano di questi due distinti ambiti pratici, considerando ancora una volta la suddivisione degli imperativi nella Fondazione della metafisica dei costumi, cui Kant rimane fedele anche nella Critica della ragion pratica. Come abbiamo già visto, gli imperativi possono comandare o in maniera ipotetica o in maniera categorica. L’imperativo categorico comanda senza il riferimento ad uno scopo ed è, perciò, un principio apodittico dell’azione. Gli imperativi ipotetici, invece, comandano in relazione ad un’intenzione; se l’intenzione è possibile, si tratta di principi problematici dell’azione, che danno luogo ad imperativi tecnici (regole dell’abilità – rapporto della volontà con l’azione, in virtù del quale sarebbe realizzato quell’oggetto o il suo contrario; e giudicare se qualcosa sia o no un oggetto della ragion pratica pura, significa soltanto accertare la possibilità o impossibilità di volere quella determinata azione […]. Se si assume l’oggetto come fondamento di determinazione della nostra facoltà di desiderare, la sua possibilità fisica mediante il libero uso delle nostre forze dovrebbe precedere il giudizio, si tratti di un oggetto della ragion pratica o no. Per contro, se si può considerare la legge come un motivo determinante a priori dell’azione, e questa, perciò, come determinata dalla pura ragion pratica, il giudizio, se qualcosa sia un oggetto della pura ragion pratica o no, viene ad essere del tutto indipendente dal confronto con il nostro potere fisico, […] e, perciò, la possibilità morale dell’azione deve precedere. Qui, infatti, non l’oggetto, ma la legge della volontà è il fondamento di determinazione dell’azione medesima» (I. Kant, Critica della ragion pratica, cit., p. 135). Mathieu traduce «Unter einem Begriff eines Gegenstandes der praktischen Vernunft» con «Per “concetto di un oggetto della ragion pura pratica”» [Corsivo mio]. Così facendo, oltre ad aggiungere al testo un aggettivo

non usato da Kant (puro, rein), Mathieu rischia di distorcere il senso del brano, non riproponendo

la sottolineatura, da parte di Kant, dell’importantissima distinzione tra “oggetto della ragion pratica in generale” ed “oggetto della ragion pura pratica”.

Geschicklichkeit); se l’intenzione è reale (wirklich), si tratta di principi assertori

dell’azione, che danno luogo a prescrizioni della prudenza (Vorschriften der

Klugheit).79

Nell’ambito della ragione pura pratica, la causalità della libertà trascendentale determina la volontà umana mediante l’imperativo categorico. Nel campo della ragione pratica in generale la determinazione della volontà si riferisce, nel caso delle regole dell’abilità (Geschicklichkeit), alla scelta dei mezzi tecnici più adatti al raggiungimento di scopi arbitrari, nel caso delle prescrizioni della prudenza, alla scelta dei mezzi più adatti alla realizzazione della propria felicità.80

A questa suddivisione corrisponde anche quella, che Kant delinea tra facoltà di desiderare superiore (oberes Begehrungsvermögen) e facoltà di desiderare inferiore (unteres Begehrungsvermögen):

Das Princip der eigenen Glückseligkeit, so viel Verstand und Vernunft bei ihm auch gebraucht werden mag, würde doch für den Willen keine andere Bestimmungsgründe, als die dem unteren Begehrungsvermögen angemessen sind, in sich fassen, und es giebt also entweder gar kein oberes Begehrungsvermögen, oder reine Vernunft muß für sich allein praktisch sein, d.i. ohne Voraussetzung irgend eines Gefühls, mithin ohne Vorstellungen des Angenehmen oder Unangenehmen als der Materie des Begehrungsvermögens, die jederzeit eine empirische Bedingung der Principien ist, durch die bloße Form der praktischen Regel den Willen bestimmen können. Alsdann allein ist Vernunft nur, so fern sie für sich selbst

den Willen bestimmt (nicht im Dienste der Neigungen ist), ein wahres oberes Begehrungsvermögen, dem das pathologisch bestimmbare untergeordnet ist, und wirklich,

ja specifisch von diesem unterschieden, so daß sogar die mindeste Beimischung von den Antrieben der letzteren ihrer Stärke und Vorzuge Abbruch thut, [...]81

79 GMS AA IV: 414.12-417.26. 80

A questo proposito Beck è dell’opinione che le regole dell’abilità (Geschicklichkeit) siano competenza dell’“intelletto tecnico o intelletto pratico”, le prescrizioni della prudenza (Vorschrift

der Klugheit) della ragione pratica in generale e l’imperativo categorico della ragione pura pratica

(L.W. Beck, Kants „Kritik der praktischen Vernunft“, cit., pp. 49-51).

81 KpV AA 05: 24.32-25.4 [Corsivo mio]. Trad. it.: «Il principio della propria felicità, per

quanto intelletto e per quanta ragione si spendano a suo favore, non comporterebbe alcun fondamento di determinazione della volontà al di fuori di quelli che si riferiscono alla facoltà di desiderare inferiore. Pertanto, delle due l’una: o v’è alcuna facoltà di desiderare superiore, o la pura ragione dev’essere pratica per sé sola, cioè deve poter determinare il volere per la semplice forma della regola pratica, senza presupporre sentimenti di sorta, e, pertanto, senza rappresentazioni di piacere o di dispiacere come materia della facoltà di desiderare: materia che condiziona sempre empiricamente i principi. Quindi la sola ragione, in quanto determina per se

La facoltà di desiderare inferiore si riferisce a fondamenti di determinazione (Bestimmungsgründe) della volontà guidati dal principio della propria felicità, alla sfera, cioè, delle prescrizioni prudenziali (Vorschrifte der Klugheit). Essa sembra coincidere, quindi con la ragion pratica in generale, ambito della determinazione patologica della volontà condizionata empiricamente. La facoltà di desiderare superiore coincide con la ragione pura pratica, che determina la volontà in maniera pura, mediante la sola forma della legge morale.

Come abbiamo già visto all’inizio di questo capitolo a proposito dell’acuirsi della separazione tra mondo naturale e mondo morale all’interno del sistema kantiano tra gli anni 1781 e 1790, tutto ciò che non ricade nell’ambito della ragione pura pratica viene considerato da Kant, senza mezzi termini nel 1790 (ma espliciti accenni sono presenti già nel 1788) come appartenente all’ambito naturale, affare, quindi, non della filosofia pratica in senso stretto, ma di quella teoretica.

Già nella Fondazione della metafisica dei costumi, come abbiamo avuto modo di appurare, l’ambito della moralità viene identificato da Kant con l’ambito della volontà pura, governata dall’imperativo categorico; agli imperativi ipotetici viene negato valore morale.

In maniera più coerente ed esplicita, nella Critica della ragion pratica, Kant lega la libertà alla sfera morale:

Die Autonomie des Willens ist das alleinige Princip aller moralischen Gesetze und der

ihnen gemäßen Pflichten: alle Heteronomie der Willkür gründet dagegen nicht allein gar keine Verbindlichkeit, sondern ist vielmehr dem Princip derselben und der Sittlichkeit des Willens entgegen. [...] Also drückt das moralische Gesetz nichts anders aus, als die

Autonomie der reinen praktischen Vernunft, d.i. der Freiheit, [...].82

stessa il valore (e non in quanto è al servizio delle inclinazioni), è una vera facoltà di desiderare superiore, a cui di subordina quella determinabile patologicamente; ed essa è realmente, specificamente diversa da quest’ultima, sicché anche la minima mescolanza di impulsi di questo genere lede la sua forza e il suo privilegio […]» (I. Kant, Critica della ragion pratica, cit., pp. 73- 75).

82 KpV AA 05: 33.8-20 [Corsivo mio]. Trad. it.: «L’autonomia della volontà è l’unico principio