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Alcune riflessioni conclusive sul concetto di oggetto della ragion pura pratica

I concetti di “bene” e di “male” come “oggetti della ragion pura pratica”

4. Alcune riflessioni conclusive sul concetto di oggetto della ragion pura pratica

L’affermazione di Beck, secondo cui, nel caso della determinazione morale della libertà, l’oggetto della ragion pura pratica coinciderebbe con l’azione stessa, poiché l’imperativo categorico comanda solo un’azione e non il raggiungimento di uno scopo, è, a mio avviso, errata. Come pure è sbagliato affermare che l’oggetto della ragion pura pratica sia la realizzazione del compito della ragion pura pratica stessa, individuato da Beck nel giudizio di ciò che è in sé bene o male. Io sono, invece, dell’opinione che Kant abbia inteso gli oggetti della ragion morale.

pura pratica come un sottoinsieme degli oggetti della ragion pratica in generale, fondati, quindi, anch’essi come ogni materia, su condizioni soggettive. Il fatto che l’imperativo categorico determini l’azione e non il suo scopo, come si è già detto, non toglie che l’azione comandata dalla legge morale abbia uno scopo (un oggetto) da raggiungere nel mondo sensibile.

Beck sostiene255 che, nel caso della bontà morale, del bene come “bene incondizionato”, l’aggettivo “buono” possa essere riferito solo alle azioni, alle massime, che le guidano, ed alla volontà. Nel sostenere questa affermazione gli interpreti si rifanno generalmente al seguente passaggio del capitolo sugli oggetti della ragion pura pratica.

Das Gute und das Böse wird also eigentlich auf Handlungen, nicht auf den Empfindungszustand der Person bezogen; und sollte etwas schlechthin (und in aller Absicht und ohne weitere Bedingung) gut oder böse sein oder dafür gehalten werden, so würde es nur die Handlungsart, die Maxime des Willens und mithin die handelnde Person selbst als gute oder böser Mensch, nicht aber eine Sache sein, die so genannt werden könnte.256 Estrapolata dal contesto, in cui è inserita, questa affermazione viene, però, a mio avviso, sopravvalutata, se non fraintesa. Kant illustra in questo passaggio, a chiarimento del suo concetto di Gut e Böse, la differenza di questi ultimi con quelli di Wohl e Übel. Wohl e Übel, spiega Kant, implicano sempre un riferimento allo stato di piacere (Annehmlichkeit) o di dispiacere, di contentezza (Vergnügen) o dolore (Schmerz), ed il desiderare o meno una determinata cosa si poggia sempre sulla sensibilità (Sinnlichkeit) e sul sentimento del piacere e del dispiacere (Gefühl der Lust und Unlust), che essa può o non può produrre. La differenza con il Gut ed il Böse è di importanza essenziale per la fondazione dell’etica:

255 L.W. Beck, Kants „Kritik der praktischen Vernunft“, cit., p. 132. Vedi anche Bobzien, Die

Kategorien der Freiheit bei Kant, cit., p. 194.

256 KpV AA 05: 60.19-25. Trad. it.: «Il buono o il cattivo in sé si riferiscono, quindi,

propriamente solo ad azioni, non allo stato della sensibilità individuale; e se qualcosa ha da essere – o da essere giudicato – buono o cattivo assolutamente (sotto tutti i rispetti, e senza ulteriori condizioni), solo il modo di agire, solo la massima della volontà, e, pertanto, la persona agente medesima, come uomo buono o cattivo, potrà venir chiamato così, ma non una cosa». I. Kant,

Das Gute und das Böse bedeutet aber jederzeit eine Beziehung auf den Willen, sofern dieser durchs Vernunftgesetz bestimmt wird, sich etwas zu einem Objekte zu machen; wie er denn durch das Objekt und dessen Vorstellung niemals unmittelbar bestimmt wird, sondern ein Vermögen ist, sich eine Regel der Vernunft zur Bewegungsursache einer Handlung (dadurch ein Objekt wirklich werden kann) zu machen. Das Gute und das Böse wird also eigentlich auf Handlungen, nicht auf den Empfindungszustand der Person bezogen; und sollte etwas schlechthin (und in aller Absicht und ohne weitere Bedingung) gut oder böse sein oder dafür gehalten werden, so würde es nur die Handlungsart, die Maxime des Willens und mithin die handelnde Person selbst als gute oder böser Mensch, nicht aber eine Sache sein, die so genannt werden könnte.257

Kant costruisce qui, al fine di chiarire meglio la differenza tra Gut/Böse e

Wohl/Übel, la contrapposizione tra azioni e stato sensibile (Empfindungszustand)

della persona, concludendo che la questione del bene e del male riguarda le azioni determinate dalla legge morale della ragione, non le sensazioni piacevoli o spiacevoli, che un determinato oggetto può produrre sulla nostra sensibilità. Non mi sembra, quindi, si possa considerare l’affermazione: «Das Gute und das Böse wird also eigentlich auf Handlungen […] bezogen», per una definizione degli oggetti della ragion pura pratica come azioni.

Non trovo corretta l’interpretazione in senso normativo dei concetti di bene e male proposta da Pieper, i quali sarebbero categorie pratiche: attraverso i concetti di bene e male verrebbe verificata la moralità delle massime, le quali riceverebbero, in questo modo, una giustificazione della loro capacità normativa. Pieper arriva ad affermare un’equivalenza nel pensiero kantiano di legge morale e bene. Innanzi tutto, non mi pare di trovare riscontro di tali affermazioni nel testo

257 KpV AA 05: 60.13-25. Trad. it.: «Ma il buono o il cattivo (Gut o Böse) implicano in ogni

caso un riferimento al volere in quanto la legge razionale lo determina a proporsi qualcosa come suo oggetto. La volontà, infatti, non viene mai determinata immediatamente dall’oggetto e dalla sua rappresentazione; essa è una facoltà di farsi, di una regola della ragione, la causa motrice di una propria azione (per mezzo della quale si può realizzare un oggetto). Il buono o il cattivo in sé si riferiscono, quindi, propriamente solo ad azioni, non allo stato della sensibilità individuale; e se qualcosa ha da essere – o da essere giudicato – buono o cattivo assolutamente (sotto tutti i rispetti, e senza ulteriori condizioni), solo il modo di agire, solo la massima della volontà, e, pertanto, la persona agente medesima, come uomo buono o cattivo, potrà venir chiamato così, ma non una cosa» (I. Kant, Critica della ragion pratica, cit., pp. 139-141).

kantiano. Inoltre, non va dimenticato che è precisa intenzione di Kant eliminare dai concetti di bene e male tutto quanto di normativo possa in questi rientrare, al fine di istituire la ragion pura pratica (con la sua legge morale) quale unica e sola fonte di normatività morale.

Per quanto riguarda l’interpretazione del concetto di bene proposta da Bacin, penso sia necessaria una breve critica. Bacin intende correttamente il significato del secondo capitolo dell’“Analitica”, in cui Kant fornisce un nuovo concetto di bene al fine di chiarire la questione della determinazione oggettiva della materia dell’agire. Il problema principale della proposta di Bacin mi sembra sia il fatto che egli indenta come necessaria, in ambito morale, una determinazione a priori della materia dell’agire, come se proprio l’apriorità della determinazione dell’oggetto dell’agire garantisse la moralità dell’azione. Su questa linea, quindi, Bacin propone una lettura del concetto kantiano di bene come di un oggetto formale in senso trascendentale, il quale, derivato direttamente dalla legge morale, concorrerebbe alla determinazione della libera causalità. L’errore fondamentale di Bacin mi pare risiedere nell’affermazione che la legge morale determini a priori l’oggetto dell’agire. La legge morale kantiana, come sottolineato giustamente da Beck, comanda (determina) l’agire, l’azione, non il suo contenuto materiale. Il fondamento di determinazione (Bestimmungsgrund) dell’azione morale è la legge morale. L’azione morale non viene messa in moto in vista di uno scopo esterno. In questo senso lo scopo dell’azione morale è la legge morale stessa. Ciò, però, come si è visto, non nega che ogni azione, anche quelle motivate solo dal rispetto per la legge morale, siano rivolte ad uno scopo materiale, ad un oggetto, nel mondo sensibile. Questo scopo, lo scopo, cioè, materiale di un’azione determinata esclusivamente dalla legge morale, è ciò che Kant chiama “bene”. Il bene è per Kant un oggetto (Objekt/Gegenstand). Se il concetto di bene concorresse in un qualsivoglia modo alla determinazione della libera causalità, si avrebbe un concetto di un oggetto a determinazione della volontà, cioè, in termini kantiani, eteronomia invece di moralità.

Il fulcro dell’etica di Kant, ed il suo senso ultimo, è l’esclusione dalla determinazione dell’agire morale di tutto ciò che non è ragion pura. La legge morale è l’unica assoluta istanza morale: nessun sentimento morale, nessuna conoscenza del bene supremo, nessuna divinità può indicare all’uomo ciò che deve fare; nel campo della moralità e della libertà egli ha come guida il solo imperativo categorico.

Le proposte d’interpretazione degli oggetti della ragion pura pratica sino ad ora avanzate, come si è visto, tendono, pur con sfumature ed accenti diversi, ad attribuire ai concetti di bene e di male un certo valore normativo. Questo tipo di lettura, a mio avviso, non solo è errato, ma contraddice i presupposti stessi della teoria morale kantiana.

Come ho cercato di dimostrare, la teoria degli oggetti della ragion pratica e della ragion pura pratica viene sviluppata da Kant con l’intento di chiarire che parlare di bene e di male in senso morale (assoluto) ha senso solo se questi vengono intesi come conseguenze della determinazione morale autonoma all’azione, avvenuta ad opera esclusiva della legge morale. bene e male sono, in altre parole, aspetti dell’agire morale successivi alla determinazione della volontà e, in ultima analisi, secondari. La mia proposta di lettura intende gli oggetti della ragion pura pratica come un sottoinsieme degli oggetti della ragion pratica in generale: essi sono, a mio avviso, scopi di azioni, e, in quanto tali, fondati su condizioni soggettive, così come ogni materia dell’agire. Essi sono oggetti della ragion pura pratica (bene e male in senso morale assoluto) perché sono gli scopi di azioni morali, il fondamento di determinazione delle quali non è lo scopo da raggiungere, ma esclusivamente la legge morale. In questo modo mi sembra possibile dare una lettura degli oggetti della ragion pura pratica, che rimanga fedele al testo e non si ponga in contrapposizione con i cardini dell’etica di Kant.258

258 L’intendimento da parte di Kant del bene e del male come conseguenze della

determinazione puramente morale della volontà si inserisce nel quadro più ampio dell’antiplatonismo kantiano: non il concetto di bene rende la volontà buona, bensì la volontà buona è tale solamente in virtù della legge (morale) ad essa inerente. Si veda: R. Brandt, Die