SOCIOLOGICHE DEL RAPPORTO INDIVIDUO-METROPOL
4. LA PERSONA ANZIANA E LA METROPOL
4.3. Alcuni caratteri dell’anzianità
Come scrive R. Clerici, evidenziando i poli estremi di un sempre più frammentato continuum, il «mondo degli anziani costituisce un u-
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Si pensi, al problema (non certo nuovo) legato ai rapporti intergenerazionali [Ibidem; Ri- pamonti, 2005], e alle relative incomprensioni tra l’oggetto ed il modo di comunicare dei gio- vani rispetto a quello degli anziani.
niverso variegato che congloba vecchi parsimoniosi, frugali, rassegna- ti e ritirati ed individui giovanili, colti, esigenti, attenti alla salute e all’estetica220. Agli stereotipi del “vecchio” e della “vecchiaia” si af- fiancano e si vanno progressivamente sostituendo nuove figure di an- ziani, portatori di valori e di stili di vita completamente diversi» [Cle- rici, 2002: 29]. Tant’è che parlare oggi, in generale, di anzianità e vec- chiaia221 (e, analogamente, di terza e quarta età), pur cercando di effet- tuare una distinzione tra le due, si dimostra quantomeno complesso222, giacché l’insieme degli individui che dovrebbero essere ricondotti alla “ristrettezza” semantica di questa coppia di termini si presenta invece talmente vasto e differenziato da decretarne, per taluni aspetti, l’inadeguatezza.
È cosa certa, infatti, che al momento, anche per mezzo del pro- lungamento della vita media dei soggetti, nella fascia di età compren- siva degli over 60enni sono incluse persone reduci da esperienze bio- grafiche, sociali e biologiche alquanto diverse, al punto che nella stes- sa sono compresi sia i nati durante gli anni della Grande Guerra, sia chi ha visto per la prima volta la luce nel periodo della Seconda Guer- ra Mondiale223. In aggiunta, appare interessante sottolineare il fatto che risulta tuttora in atto una tendenza che porta all’ulteriore diversifi- cazione dell’universo tanto degli anziani quanto dei vecchi, e che que- sta va di pari passo con l’“ingresso” nella fascia anziana degli indivi- dui nati e cresciuti in una società, per molti versi, più complessa ri-
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Sebbene questo secondo tipo di anziani si rivolga essenzialmente ad una parte (destinata certamente a crescere) di coloro che, soltanto negli ultimi anni, “stanno arrivando” alla Terza età.
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Termini su cui, come ricorda P. Minguzzi [Minguzzi, 2003], non vi è nemmeno una uni- formità di definizione, a partire da un tipico parametro anagrafico come quello dell’età. Se è vero, infatti, che generalmente (per il momento) si considera l’anzianità (terza età) derivare dal compimento del sessantacinquesimo anno, i confini della vecchiaia (quarta età) sono deci- samente più sfumati. Tant’è che, secondo le diverse letture e studi, vi è chi stabilisce l’ingresso nella quarta età a partire dai 75 anni, chi invece a partire dagli 80 o dagli 85 anni, e chi addirittura parla di una quinta età (inglobante l’insieme degli over 89enni).
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Inoltre riduttivo, specialmente qualora si considerino esclusivamente variabili di tipo cro- nologico e biologico [Burgalassi, 1985].
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Nel 2005 [http://demo.istat.it/pop2005/index.html] gli over 84enni ammontavano a 1.155.904 persone, contro i 3.985.147 dei 60-65enni, su un totale di 14.659.622 di individui aventi 60 o più anni (pari al 25,07% della popolazione italiana complessiva – 1 italiano ogni 4).
spetto alla precedente, ovvero a partire dai nati dagli anni Cinquanta in poi224.
In sostanza, ciò che da tempo si sta verificando (peraltro in ma- niera sempre più accentuata) consiste nell’essere in corso un processo di “complessificazione”225 del fenomeno sociale dell’invecchiamento, testimoniato dal sempre più frequente intraprendere, da parte degli in- dividui, «percorsi soggettivi di senescenza». Del resto, rispetto al pas- sato, la «composizione della popolazione in età senile si apre a venta- glio – in particolare, a riguardo di situazioni relazionali familiari, pa- rentali, amicali, di gradi e forme di partecipazione sociale, civica, oltre che di condizioni di reddito e di consumo, di stato di benessere sog- gettivo, di aspettative, ecc. – in forme sempre più articolate» [Porcu, 1991: 57]. Cosicché il modo e le risorse (in primo luogo relazionali) di cui il singolo dispone al momento del suo approdo alla terza età rap- presenta sempre più il frutto di traiettorie biografiche che lo stesso ha personalmente contribuito a tracciare durante l’intero arco di una esi- stenza, nonché dalle esperienze a mano a mano vissute, piuttosto che di strutture e costumi sociali pregressi nei quali si trova stabilmente inserito226. Anche questo fenomeno, sotto alcuni punti di vista, può es- sere d’altro canto collocato nell’alveo di quel generale processo di in- dividualizzazione che la nostra società sta ormai non da poco esperen-
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In proposito, se è vero che, pur nell’attuale varietà delle esperienze di vita, i membri della terza e, soprattutto, della quarta età non presentano ancora, tutto sommato, un background so- cio-culturale radicalmente differenziato – si pensi all’indicatore, per quanto grossolano, forni- to dal titolo di studio [Censis, Ucsi, 2005b] –, o perlomeno non così differenziato rispetto a quanto è destinato progressivamente a realizzarsi con l’avvento delle prossime coorti genera- zionali, è altresì vero che, sempre a tale riguardo, si presenta la grande incognita dei futuri ef- fetti della Seconda Transizione Demografica, la quale ha portato all’incremento dell’individualità personale e alla corrispettiva frammentazione dei legami familiari, minando così alla base proprio quell’istituzione sociale (la famiglia) che era da sempre stata ambiente di vita e agente di protezione e di cura per i soggetti anziani [Ongaro, 2002].
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Non a caso, riflettendo specificamente sulla realtà di Bologna, G. Pieretti evidenza che: «C’è vecchiaia e vecchiaia nella nostra società urbana, potremmo quindi dire: gruppi diversi- ficati di anziani, con aspettative, esigenze, stili di vita altrettanto peculiari e diversificati» [Pieretti, 1992: 56].
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Anzi, forse non è errato affermare che nell’odierna società dell’individualizzazione (e della “vaporizzazione” dell’elemento comunitario) i principali responsabili della formazione e della persistenza di strutture come la famiglia sono proprio gli stessi attori che la edificano piuttosto che agenti normativi di origine sociale e culturale.
do, ed è testimoniato in maniera emblematica – come si è visto – pro- prio da alcuni fenomeni visibili nella metropoli.
Ad ogni modo, sostenere che si è alla presenza di una progressiva personalizzazione dei processi di senescenza, significa altresì ricono- scere una differenziazione sia della percezione interna sia delle mani- festazioni esterne della condizione anziana da parte dei soggetti che la vivono [Ibidem]. In pratica, correttamente non si dovrebbe più parlare di anziani e vecchi come due insiemi generalizzati di individui “me- di”, bensì – prima ancora che del singolo anziano e del singolo vec- chio – della persona (e del suo implicito progetto di vita) che in essi è celata. Anche perché se, come ricorda M. Trabucchi [2005], «la vita ci insegna chi siamo», al punto che anzianità e vecchiaia sono le risul- tanze delle variabili biologiche, psicologiche, sociali, e culturali, pro- prio l’incrocio particolare di queste trova in ogni individuo una com- binazione unica227.
Oltre a ciò, occorre altresì abbandonare – laddove non lo si è an- cora fatto – una serie di stereotipi negativi228 a lungo impiegati per i- dentificare l’anzianità229; poiché, com’è stato notato già tempo addie- tro [Burgalassi, 1985], non è più possibile continuare ad osservare l’anziano o il vecchio impiegando prospettive distorte che, ad esem- pio, associano al procedere del decadimento fisico un’inevitabile (per- ciò scontata) riduzione delle capacità psichiche, oppure che reputano l’invecchiare del soggetto, in maniera deterministica, come una natu- rale involuzione psico-sociale del medesimo. Tant’è che, in particolare da P. Laslett [1992] in poi, risulta effettivamente difficile (perlomeno
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Per dirla con P. Laslett [1992], nell’individuo coesistono cinque tipi di età: cronologica (o “da calendario”), biologica, personale, sociale e soggettiva, di cui l’ultima è, per sua natura, a- cronica. Da qui deriva dunque la difficoltà nei confronti di qualsiasi generalizzazione, soprat- tutto se particolarmente riduttiva, dell’individuo in età matura.
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Ovvero quello che ancora P. Laslett ha giudicato essere uno dei principali problemi legati al fenomeno dell’invecchiamento nella società contemporanea [Laslett, 1992].
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A. Guerci ricorda quattro stereotipi negativi di grande rilevanza (con l’auspicio che deca- dano presto…): 1) «la vecchiaia è una malattia»; 2) «i vecchi sono tutti uguali»; 3) «i vecchi si chiudono in se stessi, non sono più capaci di cambiare»; 4) «i vecchi sono un peso per la società» [Guerci, 2005]. In merito, si veda anche E. Ripamonti [2005].
a livello scientifico)230 non considerare l’anziano (colui che, secondo lo stesso Autore, entra nella fase di vita destinata alla «realizzazione personale») alla pari di un individuo complesso, vale a dire tutt’altro che socialmente residuale nonché essenzialmente destinato all’assistenza. Chiaramente, persone che incarnano quest’ultimo tipo di soggetti – in particolare modo nel momento in cui subentrano delle patologie invalidanti o la perdita dell’autonomia psico-fisica – riman- gono ed appaiono ben visibili231, ma si dimostrano altrettanto evidenti – e ciò può essere riscontrato nella vita di tutti i giorni – molti altri an- ziani (e vecchi) che ancora detengono una buona autonomia personale ed una valida capacità di adattamento alle esigenze della propria quo- tidianità.
D’altro canto, se è indubbio che la «vecchiaia ripropone cam- biamenti fisici, cognitivi ed emotivi, in modo forte tanto quanto nell’adolescenza, stimolando con urgenza la ridefinizione del sé» [Moser, Pezzati, Plozza, 2002: 30], è altresì vero che tutto ciò viene affrontato con un bagaglio di conoscenze e di passate definizioni del proprio Sé, nonché – in generale – con una certa dose di esperienza biografica sedimentata e metabolizzata, tali da permettere all’anziano, meglio se coadiuvato da una salute non compromessa, di potere ri- spondere (anche se ciò, in verità, non sempre riesce) alle sfide che la nuova età gli pone innanzi. L’anzianità e la vecchiaia, infatti, non sono la mera fine del soggetto (anche perché, col trascorrere del tempo, queste stanno divenendo dei periodi che abbracciano una porzione crescente di anni), bensì sussistono come tappe evolutive del progetto di vita individuale, aventi pari dignità rispetto alle precedenti232. Que-
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Per quanto riguarda invece il senso comune, come è ricordato – ad esempio – nella recente indagine del Censis intitolata Il quadro della vita degli anziani in Italia [2004], la figura dell’anziano e del vecchio appare ancora abbastanza diffusamente ricollegabile alla immagine della persona residuale, o comunque destinata ad essere marginale. Del resto, nonostante i mutamenti dell’anzianità in corso, «la società in cui viviamo appare ancora fortemente carat- terizzata da un alto tasso di pregiudizio basato sull’età (ageism)» [Ripamonti, 2005: 71]. 231
Fenomeni, questi, maggiormente legati alla quarta età piuttosto che la terza. 232
Ad ogni modo, sempre rispetto alle precedenti esse risultano contraddistinte da obiettivi diversi. In proposito, come riporta A. Spagnoli [1995], il grande psicologo C. G. Jung intra- vede nella vecchiaia l’epoca del “tirare le somme”, del riordino interiore e del tentativo di da- re un senso complessivo all’esistenza, anche come momento della saggezza. E. Erikson, inve-
ste fasi, peraltro, sono contrassegnate solitamente dall’esercizio di una
plasticità233, ovvero di un insieme di risorse cognitive ancora efficienti che, a meno del verificarsi di profonde «derive sanitarie o evenemen- ziali», oppure di un «accumulo di fattori di indebolimento» [Micheli, 2002a: 22] – qual è, ad esempio, il forte restringersi delle reti a sup- porto del soggetto [Micheli, Rivellini, 2002b] – permettono al singolo di godere di autonomia e capacità di azione anche ad età avanzate, mediante un processo di continuo riadattamento ai cambiamenti am- bientali (esterni, ma anche interni, al soggetto).
Giunti a questo punto, se quanto è stato sino a qui rilevato ha a- vuto lo scopo di ribadire la piena autorevolezza sia dell’anziano che (non di rado) del vecchio come attori sociali – ovvero soggetti ancora in grado di vivere attivamente e positivamente l’esperienza comples- siva dell’esistenza e, perciò, anche della specifica esistenza metropoli- tana – è altresì vero che non si possono comunque dimenticare le dif- ficoltà che l’ambiente urbano comporta, nelle sue attuali espressioni, per chi non può più essere considerato semplicemente adulto.
In proposito, oltre a ciò che si è esposto nel precedente paragrafo, appare qui importante rammentare che, col trascorrere dell’età, cambia anche il rapporto della persona con la sua mobilità sul territorio, quin- di con il territorio stesso. Gli anziani, infatti, solitamente sono o (pri- ma o poi) diventano «lungoresidenti» [Dell’Orto, Taccani, 1990], vale a dire dei soggetti che si radicano in un contesto urbano per periodi di tempo sempre più lunghi. Tant’è che, di conseguenza, terminano con l’esperire direttamente gli effetti (talvolta negativi) di una realtà che sappiamo essere ormai caratterizzata dal movimento. Nella metropoli dei flussi, contraddistinta dall’incessante via vai delle persone e dei mezzi, nonché – tra l’altro – dal continuo avvicendarsi, nelle medesi- ce, attribuisce all’anzianità l’ultimo stadio del corso della vita, quello contrassegnato dal con- fronto con i propri Sé socialmente costruiti, ai quali lo studioso riconduce per il soggetto due possibili (opposti) sentimenti: integrazione (qualora l’esito del confronto è positivo, ed il sog- getto ne ricava soddisfazione) o disperazione (qualora l’esito del confronto è invece negativo) [Erikson, Erikson, Kivnick, 1986].
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«La plasticità è dunque intesa… come capacità di ridefinire “in corso d’opera”, in corri- spondenza di un punto di crisi, le coordinate della propria traiettoria di vita» [Micheli, 2002: 48].
me porzioni di spazio, di popolazioni residenti anche molto dissimili tra loro234, per chi ha nella «casa e la porzione di territorio nelle sue immediate vicinanza» il proprio «baricentro esistenziale» [Ripamonti, 2005] può avere effetti perlomeno disorientanti il non riconoscere più come consueti i tratti del “micromondo” che lo circonda235. In aggiun- ta, in un ambiente come quello dell’odierna città, che è caratterizzato dall’elemento del transito e richiede ai soggetti che lo vivono e/o ne fruiscono la capacità di attraversare frequentemente i vari spazi dell’area metropolitana, l’anziano non appare di certo come colui che risulta maggiormente idoneo a mantenere elevati ritmi di spostamento giacché, all’esatto contrario, si presta ad essere non difficilmente vit- tima delle principali barriere («fisiche», «psicologiche», «percettive» ed «economiche»)236 alla fruibilità del vivere urbano [Ibidem: 91]. A tali limiti che condizionano la sua capacità di godere in maniera pari- taria, rispetto ai restanti abitanti, delle risorse che il territorio metropo- litano offre al di là di quelle disponibili nel perimetro circoscrivibile come “spazio dell’esistenza”, sappiamo che poi si vanno ad ammonta- re altri elementi di possibile disagio, tra cui: il ridursi della rete di re- lazioni, il distacco dai propri familiari (talvolta la perdita), l’incapacità di usufruire dei nuovi mezzi tecnologici e delle possibilità che questi potrebbero mettere a disposizione proprio degli anziani, ecc.
In pratica, il quadro che si può ricavare sulla scorta di quanto è stato finora evidenziato risulta – e non potrebbe essere altrimenti – in- dubbiamente complesso nonché, talvolta, contraddittorio.
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Si pensi, in merito, al tema dell’insediamento straniero che le nostre metropoli stanno vi- vendo già da diversi anni.
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Come nota E. Ripamonti: «Pur non avendo cambiato residenza, spesso gli anziani si trova- no a vivere in comunità locali che sono cambiate sotto i loro occhi… Sono cambiati i volti dei palazzi (abbattuti o ristrutturati), la conformazione delle strade o delle piazze, la destinazione e la gestione dei negozi, la localizzazione dei servizi, i mezzi di trasporto pubblici e privati e il tipo di persone che abitano il territorio» [Ripamonti, 2005: 89].
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Alcuni esempi di “barriere” alla fruibilità della città sono: percorsi pedonali ostacolanti, assenza o scarsità o inaccessibilità di mezzi pubblici, arredo urbano ostacolante la circolazio- ne pedonale… (barriere fisiche); inquinamento acustico, difficile riconoscibilità di parti della città… (barriere psicologiche); insufficiente illuminazione notturna degli spazi pubblici… (barriere percettive); impossibilità all’accesso a beni e servizi di utilità collettiva (cultura, spa- zi sportivi, ecc.) per l’elevato costo economico… (barriere economiche) [Ibidem: 91].
Da un lato, infatti, si ha un attore urbano che, una volta entrato nella terza e quarta età spesso dimostra di essere ancora autonomo e capace di mobilitare direttamente delle risorse, in primo luogo fisiche e psicologiche, per fronteggiare le necessità della propria vita, dall’altro lato, però, le condizioni ambientali, a partire proprio dalle caratteristiche che la vita nella città sta assumendo negli ultimi anni, non di rado si rivelano di ostacolo al processo di adattamento che il medesimo potrebbe mettere in atto. Del resto, così come abbiamo avu- to modo di porre in evidenza, la metropoli delle comunicazioni è una realtà molto particolare, che se rapportata all’anziano mostra chiara- mente i suoi aspetti più paradossali.
Tuttavia, proprio considerando i tratti distintivi (anche negativi) della città, unitamente alle capacità personali sulle quali oggi la perso- na in età più che matura può contare (o di cui difetta) per cercare di adattarsi alla stessa, pare in qualche modo delinearsi per essa il profilo di un attore urbano che per certi aspetti sembra distinguersi dagli altri presenti nella metropoli.
4.3. L’anziano come peculiare attore nella città delle comunica-