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SOCIOLOGICHE DEL RAPPORTO INDIVIDUO-METROPOL

3.3. Il contributo della Scuola di Chicago

Negli Stati Uniti, è risaputo, gli eredi del pensiero europeo sulla metropoli e, più in generale, sui “fenomeni urbani” sono stati i mem- bri della Scuola ecologica di Chicago, nonostante la spiccata propen- sione per la ricerca sul campo e l’analisi antropologica (non così co- muni alla tradizione speculativa precedentemente formatasi nel vec- chio continente) caratterizzassero pressoché la totalità dei suoi espo- nenti. Questi ultimi, del resto, hanno prodotto, nel corso di svariati an- ni – e diverse fasi “evolutive” [Rauty, 1999] –una serie ragguardevole di studi urbani, tali da rendere Chicago, per un lungo periodo, la città americana in assoluto più “analizzata”.

Ai fini del nostro percorso, tuttavia, ciò su cui ora più interessa focalizzare – seppur brevemente – l’attenzione sussiste nei contributi che alcuni fra i principali membri della Scuola hanno fornito per la comprensione del tema riguardante il rapporto tra l’individuo e la me- tropoli, tali peraltro da anticipare certi aspetti di quello che oggi si ri- tiene essere il carattere comunicazionale della seconda. È dunque per questa ragione che, pur nell’ampio ventaglio degli Autori da tenere in considerazione, si è scelto di esaminare essenzialmente una parte delle riflessioni di due conosciuti e rappresentativi sociologi quali sono R. E. Park e L. Wirth.

3.3.1. La città come sistema complesso di “piccoli mondi”

R. E. Park è stato, come noto, uno degli esponenti più autorevoli della Scuola di Chicago, tant’è che la nascita dell’approccio definito della human ecology è da imputarsi, per una quota consistente, all’opera dello stesso134.

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Anche se, per ammissione dello stesso R. E. Park, [Park, 1999], la tradizione della ricerca chicaghese ha radici antecedenti, essendo nata intorno al lavoro di W. I. Thomas.

Secondo l’ex giornalista, se il compito della sociologia generale è quello di studiare la società come un prodotto delle interazioni tra in- dividui, però condizionate da tradizioni e norme cristallizzatesi135 a partire da interazioni precedenti [Coser, 1983], la sociologia urbana si deve invece concentrare sullo studio delle interazioni nello spazio, ov- vero, più specificatamente, sulle modalità attraverso le quali comunità omogenee di individui si creano, si distribuiscono e popolano la città suddividendola “spontaneamente” in molteplici aree naturali, ciascu- na dotata di peculiari caratteristiche ecologiche, economiche, sociali e culturali [Park, 1999a]. Non a caso, infatti, in tale direzione sono state approntate numerose delle ricerche realizzate dai componenti della Scuola, miranti a descrivere ed analizzare la formazione e – più in ge- nerale – la vita di gruppi e comunità locali radicatisi in particolari zo- ne della Chicago dell’epoca. Tuttavia, ciò su cui, in questa sede, si vuole maggiormente indirizzare l’attenzione consiste nella posizione che il sociologo statunitense ha assunto nei confronti del tema riguar- dante il comportamento e l’integrazione della singola individualità nel contesto metropolitano, a cominciare dall’idea che il medesimo ha e- laborato in merito all’oggetto città.

Innanzi tutto, a parere del Nostro la metropoli è paragonabile ad un sistema complesso costituito dal continuo intrecciarsi dell’elemento artificiale con l’elemento umano136 (ed è osservabile da una molteplicità di prospettive, tra le quali risultano predominanti quelle economiche, culturali ed ecologiche).

A suo avviso, la città sembra dunque sussistere per opera del ri- petuto innestarsi di rapporti tra soggetti diversi – dagli individui alle istituzioni – che ne determinano la consistenza e la possibile evoluzio- ne. Tant’è che, in proposito, i mezzi della comunicazione – sia fisica

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Già questo testimonia chiaramente il debito teorico che il Nostro nutre nei confronti di G. Simmel.

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Scrive R. E. Park: «In altre parole, la città non è semplicemente un meccanismo fisico e una costruzione artificiale: essa è coinvolta nei processi vitali della gente che la compone; es- sa è un prodotto della natura, e in particolare della natura umana» [Park, 1999a: 5].

che mediata – svolgono un ruolo di primo piano137, in quanto non sol- tanto rendono possibile bensì agevolano e potenziano l’incremento delle “connessioni” tra gli attori urbani, al punto che la mobilità fisica e una diffusa relazionalità si presentano come due caratteristiche di- stintive della metropoli moderna. Non a caso, infatti, quest’ultima si rivela essenzialmente come il luogo del movimento, dello scambio e delle interazioni, tutti fattori che sembrano peraltro contraddistinguer- la in maniera ulteriore con l’andare del tempo.

D’altro canto, nonostante quanto appena affermato, secondo lo studioso è altresì vero che l’accrescersi della frequenza e della quanti- tà dei rapporti interpersonali nell’ambiente urbano non è necessaria- mente sinonimo di un corrispettivo aumento della coesione sociale, ma, al contrario, di una progressiva sostituzione dei legami stabili con relazioni più evanescenti, aventi una minore capacità di coinvolgere in profondità le personalità individuali. A tale riguardo, occorre notare che R. E. Park, assieme a molti altri esponenti del proprio Dipartimen- to [Hannerz, 1992], era particolarmente interessato al problema – da Egli stesso definito – dell’«ordine morale»138. A suo avviso, infatti, sebbene la metropoli fosse certamente caratterizzata dal “naturale” formarsi ed organizzarsi delle comunità di vicinato, contemporaneamente si rivelava come il luogo della spersonalizzazione dei rapporti e, non così di rado, della disgregazione sociale. Del resto, a parere del Nostro, lo sviluppo della metropoli è «ac- compagnato dalla sostituzione di relazioni indirette e “secondarie” alle relazioni dirette, immediate e “primarie” nelle associazioni degli indi- vidui nella comunità»; al punto che in «una grande città, dove la popo- lazione è instabile, dove genitori e figli lavorano fuori casa e spesso in parti molto distanti della città, dove migliaia di persone vivono per anni le une accanto alle altre senza conoscersi neppure superficial-

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«I mezzi di trasporto e di comunicazione, le linee tranviarie e i telefoni, i giornali, la pub- blicità, le costruzioni in acciaio e gli ascensori – tutte cose, di fatto, che tendono a produrre nello stesso tempo una maggiore mobilità e una maggiore concentrazione delle popolazioni urbane – sono fattori primari dell’organizzazione ecologica della città» [Ibidem: 5-6].

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A cui veniva ricollegato il problema dell’aumento della criminalità nelle città statunitensi dell’epoca.

mente, queste relazioni intime del gruppo primario si indeboliscono e l’ordine morale che poggiava su di esse si dissolve gradualmente» [Park, 1999a: 24-25]. Tutto ciò è peraltro da ricollegarsi (nonché si manifesta) con la perdita dell’«attaccamento» delle persone ai luoghi di vita e col divenire dell’ambiente metropolitano un grande teatro del movimento e dell’azione, nei confronti del quale non pochi attori sten- tano a trovare modalità efficaci di condivisione simbolico-culturali, prima ancora che di radicamento sociale. D’altro verso, in un ambien- te urbano in cui «trasporti e comunicazioni hanno prodotto, tra molti altri mutamenti silenziosi ma di grande portata, ciò che [R. E. Park ha] chiamato la “mobilitazione dell’individuo”», i singoli si ritrovano spesso a “transitare” tra diversi gruppi associativi, con i quali però in- tessono rapporti circoscritti e – invero di frequente – sostanzialmente labili. Questo fenomeno rappresenta, ovviamente, tanto un fattore di incertezza (e debolezza) per la vita del soggetto, quanto un indice del- la sua libertà di azione. Certo è che dallo stesso sembra derivare l’immagine di una città sempre più divisa in «un mosaico di piccoli mondi che si toccano, ma non si compenetrano», ognuno identificato da suoi codici morali (e comunicativi), che permettono all’individuo di potere sperimentare il vivere «allo stesso tempo in mondi diversi contigui, e tuttavia fortemente separati» [Ibidem: 38-39].

In conclusione, come si è brevemente illustrato, per il sociologo statunitense erano già chiari alcuni degli aspetti della vita metropolita- na che oggi, ancora di più che nel passato, sono presenti. Tra questi emergono, con più evidenza, l’importanza rivestita dai diversi mezzi della comunicazione, il dissolversi dell’intensità e della densità dei rapporti primari ed il corrispettivo mutare della relazionalità delle per- sone – della quale sembra accentuarsi soprattutto il lato più individua- listico e razionale –, che spesso si traduce nel mero incremento della quantità dei rapporti ma non della loro stabilità o significatività per il soggetto.

3.3.2. Metropoli e personalità urbana

L. Wirth, come nota A. M. Sobrero, è stato il membro della Scuola ecologica di Chicago che è riuscito a dare una «sistemazione teorica a convinzioni rese ormai mature da precedenti ricerche»139, tra le quali la principale consiste – richiamando il titolo del più celebre dei saggi dell’Autore – nel fatto che «l’urbanesimo sia in primo luogo “un modo di vita”» [Sobrero, 1997: 84].

Lo studioso americano è giunto ad individuare, in parte ripren- dendo il tracciato già segnato da G. Simmel, tre fattori che determina- no questo stile di vita – ovvero la grande numerosità degli abitanti nel- le città, l’elevata densità abitativa e la differenziazione tanto degli uomini140 quanto delle loro attività [Wirth, 1998] – che interagendo tra loro sono in grado di aumentare notevolmente la complessità della struttura sociale urbana. «Numerosità, densità, eterogeneità, comples- sità» – osservano L. Davico e A. Mela – «emergono, dunque, come caratteri fondamentali della dimensione metropolitana, entrando inti- mamente a far parte dell’esperienza di vita dell’abitante della grande città, modificandone percezioni, personalità, relazioni interpersonali» [Davico, Mela, 2002: 42].

Secondo L. Wirth, nel processo che ha portato alla crescita e alla diffusione, ben oltre il perimetro amministrativo e geografico della cit- tà, dell’urbanesimo (che l’Autore tiene a distinguere dalla urbanizza- zione141), lo sviluppo dei mezzi della comunicazione, sia fisica che mediata, ha avuto un peso tutt’altro che indifferente. A parere del No- stro, infatti, se le persone sono «affascinate» da ciò che Egli definisce

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Riportando peraltro l’attenzione della Scuola sullo studio degli individui in quanto attori urbani, piuttosto che degli aspetti strettamente ecologici o istituzionali riguardanti gli stessi [Hannerz, 1992].

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Rileva L. Wirth: «La città non è solo il luogo nel quale molti si concentrano in uno spazio limitato, ma anche un complesso di esseri umani che mostrano la più straordinaria eterogenei- tà quasi in ogni caratteristica nella quale un individuo po’ differire da un altro» [Wirth, 1999: 236].

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Se per urbanesimo L. Wirth pensa a «quel complesso di tratti che forma il modo caratteri- stico di vita nelle città», per urbanizzazione il medesimo intende invece «lo sviluppo e l’estensione di questi fattori» [Wirth, 1998: 67].

«l’influsso» della città, la quale garantisce loro libertà e facoltà di a- zione tali da non essere possibili in altri ambienti (su tutti quello rura- le), ciò accade «mediante la forza delle proprie istituzioni e personali- tà, che agiscono attraverso i mezzi di comunicazione e di trasporto» [Wirth, 1998: 64].

Per quanto concerne, invece, il tema della specificità delle intera- zioni sociali nelle metropoli, per L. Wirth (che riprende ancora le ri- flessioni elaborate da G. Simmel) queste sono definite da alcuni ele- menti peculiari, quali: l’aumento delle relazioni secondarie a discapito di quelle primarie; la crescente spersonalizzazione di molti rapporti; l’incapacità dei singoli di reagire emotivamente, oltre che razional- mente, agli stimoli che ricevono nella normale quotidianità142; nonché una certa tendenza al calcolo utilitaristico143, quest’ultima accesa e al- lo stesso tempo testimoniata dall’ampio svilupparsi dei fenomeni della specializzazione professionale, della divisione del lavoro e della circo- lazione del denaro.

L’abitante urbano, dal canto suo, se da un lato appare al Nostro come un individuo abituato ad avere un’elevata mobilità fisica così come all’intrattenere molteplici relazioni – ovvero a frequentare, in varia misura, gruppi sociali differenti (magari per periodi brevi e per scopi precisi144) – dall’altro si dimostra essere una persona che, in ge- nere, accetta «l’instabilità e l’insicurezza del mondo come una norma» [Ibidem: 79]. Tant’è che, mentre questa nella città «guadagna, per un verso, un certo grado di libertà e di emancipazione dai controlli perso- nali ed emotivi da parte del gruppo degli intimi, perde, dall’altro, la propria spontaneità, la morale ed il senso di partecipazione derivanti

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«La superficialità, l’anonimato ed il carattere transitorio dei rapporti sociali urbani spiega anche la affettazione e la razionalità generalmente attribuite agli abitanti delle città» [Ibidem: 74].

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Tale per cui lo studioso giunge ad affermare, senza mezzi termini, che le «nostre cono- scenze tendono a stabilizzarsi in un rapporto vantaggioso sul piano personale secondo l’utilità del nostro punto di vista, nel senso che il ruolo degli altri nella nostra vita è considerato preva- lentemente come un mezzo per il raggiungimento dei nostri fini» [Ibidem: 74].

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«Nella città non vi è nessun gruppo che riscuota la fedeltà piena dell’individuo… l’individuo si associa a gruppi ampiamente divergenti, ciascuno dei quali svolge una funzione solo in relazione ad un singolo segmento della sua personalità» [Ibidem: 79].

dal vivere in una società integrata» [Ibidem: 74]; al punto di diventare soggetta al rischio di disorganizzazione sociale, in quanto contrasse- gnata da una sorta di stato di fluttuazione permanente della personali- tà.

In definitiva, nell’insieme delle riflessioni di L. Wirth brevemen- te riportate, ai fini del nostro ragionamento, quelle che maggiormente interessano riguardano: l’importanza delle comunicazioni per il nor- male dipanarsi della vita metropolitana (in quanto garanti e mezzi per la mobilità fisica e, soprattutto, la relazionalità degli individui); il mo- dificarsi della personalità dei singoli (tendenti sempre di più a pro- muovere la propria individualità); la riduzione della componente emo- tiva dei rapporti sociali; nonché, per concludere, l’incremento del nu- mero e della frequenza delle relazioni tra i soggetti.