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La metropoli come mondo delle interazioni quotidiane

SOCIOLOGICHE DEL RAPPORTO INDIVIDUO-METROPOL

3.5. La metropoli come mondo delle interazioni quotidiane

Alla pari di D. Riesman, un altro sociologo che, pur non essendo classificabile come sociologo urbano, ha comunque fornito alcuni spunti interessanti – alla luce delle finalità specifiche del presente la- voro – per l’analisi delle interazioni in ambito metropolitano è stato il canadese E. Goffman. Questi, come noto, ha realizzato un approccio alquanto particolare150 (e personale) con cui osservare le dinamiche di relazione tra gli individui, così come ha ideato una serie di possibili chiavi interpretative – o metafore – per leggere i fenomeni studiati. Uno degli interessi principali dell’Autore, infatti, è rivolto essenzial- mente all’analisi di ciò che è stato definito lo «spettacolo della vita quotidiana» [Faccioli, Pitasi, 2000: 397], per comprendere il quale lo

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Nota A. Mela, commentando il titolo dell’opera principale di D. Riesman: «L’immagine della “folla solitaria” sembra, infatti, esprimere sinteticamente l’idea secondo cui, nel pano- rama metropolitano delle società industriali, la comunicazione è al tempo stesso intensissima, obbligata e inautentica» [Mela, 1985: 42].

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Inscrivibile comunque all’interno dell’ampio filone dell’interazionismo simbolico [Walla- ce, Wolf, 2000].

stesso fa ricorso di frequente – ma non esclusivamente – a tre metafo- re esplicative: la metafora drammaturgica, la metafora del gioco e la metafora dello spionaggio.

La prima metafora si fonda essenzialmente sull’immaginare una analogia tra l’agire dell’individuo in un ambito di relazione e lo sforzo recitativo che un attore teatrale deve compiere per mettere in scena il proprio ruolo, tenendo conto del contesto in cui si trova, nonché delle parti svolte dagli altri attori, giacché «una sola nota stonata può di- struggere l’armonia di tutta una rappresentazione» [Goffman, 1969: 64]. Lo scopo è quello di identificare le strategie attraverso le quali i soggetti danno una definizione della situazione e si occupano della propria definizione del sé, di modo tale da permettere e salvaguardare la corretta “recitazione” dell’interazione.

La seconda metafora richiede invece di leggere il rapporto faccia a faccia che s’instaura tra soggetti diversi come se fosse lo svolgimen- to di un gioco. In quanto tale, esso necessita di regole (regole di irrile-

vanza) tali da salvaguardarne l’integrità «dall’afflusso caotico di pre-

supposti diversi dell’agire» [Goffman, 1979: 22], che altrimenti ri- schierebbero di paralizzare gli attori. Facendo questo, l’attenzione del- lo studioso è chiamata a focalizzarsi sui meccanismi di inclusio- ne/esclusione nella e dalla relazione, la definizione dell’attività svolta, il ruolo di chi non è compreso nella stessa, assieme a tutti gli altri e- lementi che intervengono per determinare l’inizio, il progresso e la conclusione dell’incontro.

La terza metafora151 suggerisce infine di interpretare l’interazione come se questa richiedesse agli attori una sorta di atteggiamento spio- nistico, poggiante sulla capacità di una persona di «ottenere informa- zioni da un’altra persona» [Goffman, 1988: 10], allo stesso tempo, pe- rò, non concedendone altrettante. Tutto questo è realizzato per mezzo di vari espedienti, come il controllo delle proprie espressioni, le simu-

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La quale – come notano P. Faccioli e A. Pitasi – è in verità ritenuta, da alcuni interpreti del pensiero goffmaniano, compresa in quella del gioco [Faccioli, Pitasi, 2000].

lazioni, i bluff, e tutto ciò che potrebbe essere impiegato in un normale “gioco di spie”.

Più in generale, ciò che ad E. Goffman interessava era giungere a definire le regole che gli individui osservano nello svolgersi delle loro interazioni [Crespi, 1998], considerando il fatto che la persona che il sociologo s’impegnava a studiare appariva al medesimo come un sog- getto depositario di una molteplicità di sé, giacché il sé è «prodotto di una scena che viene rappresentata, non una causa» [Goffman, 1969: 289]. Ammettendo questo, l’Autore non voleva tuttavia sostenere che l’uomo da egli analizzato avesse, per così dire, smarrito la sua identità specifica152, ovvero fosse divenuto mero ricettacolo di maschere so- cialmente costruite153, bensì che per svolgere determinate relazioni oc- correva che gli attori fossero in grado recitare il ruolo richiesto a se- conda della situazione [Faccioli, Pitasi, 2000]. Considerando però – come nota M. Wolf – che la «possibilità di scoprire che tipo di perso- na “realmente” uno sia non indica qualcosa di residuo rispetto al gioco delle rappresentazioni ma è regolata da questo, gli è del tutto interna» [Wolf, 1979: 61].

Secondo lo studioso nato a Mannville, quindi, l’uomo contempo- raneo è un individuo abituato a definire con gli altri le regole e perfino la personalità – o, meglio, la “facciata” – richieste per le interazioni in cui è coinvolto. Inoltre, ancora prima di queste, egli appare un sogget- to costituzionalmente votato ad interagire con l’“altro” (si possono dunque intravedere delle analogie con l’individuo eterodiretto illustra- toci da D. Riesman). Ciò avviene in modo particolare nella città, che per E. Goffman (malgrado il medesimo non abbia mai cercato di pre- sentare una propria teoria dell’ambiente urbano) rappresenta, più che «un sistema unitario di comunicazioni», una «molteplicità di occasioni di interazione, come un caleidoscopio di scene di vita» [Mela, 1985:

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Non a caso, Egli identifica il meccanismo della distanza dal ruolo da attivare se necessi- tiamo di fare sapere agli altri che il nostro io non si rispecchia nella parte interpretata nella si- tuazione particolare [Goffman, 1979].

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Per una trattazione del tema dell’identità del sé in E. Goffman si veda, ad esempio, U. Hannerz [1992].

48], laddove però il controllo sociale è assicurato dai meccanismi (so- ciali) che sovrintendono lo svolgimento delle stesse154.

Per concludere, di quanto si è segnalato finora, ciò che qui, in primo luogo, più interessa rimarcare è l’estrema importanza che il so- ciologo canadese attribuisce alle relazioni che i soggetti intrattengono tra loro, al punto di ipotizzare che l’emersione della reale personalità degli individui sia in parte legata alle stesse. In secondo luogo, risulta utile sottolineare la (conseguente) concezione dell’attore quale deposi- tario di una molteplicità di sé, da impiegarsi a seconda della peculiare situazione di riferimento; nonché l’implicita visione dell’abitante me- tropolitano come un soggetto costantemente immerso in un fitto in- treccio di rapporti, ciascuno dei quali però necessita di adeguati stru- menti interpretativi per essere adeguatamente inscenato, pena la para- lisi dell’azione.