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Alcuni dati statistici riguardanti la figura del city manager

Ricapitolando quindi, dieci anni fa,con la cosiddetta “Bassanini 2”, la L.127 del 1997,viene istituita per legge la posizione del Direttore generale dell’Ente locale come possibilità per le amministrazioni comunali superiori ai 15000 abitanti e per le amministrazioni provinciali. L’obiettivo alla base era di somministrare una robusta iniezione di managerialità agli Enti e di porre la responsabilità dell’attuazione delle politiche in mano ad una figura di diretta scelta e fiducia del vertice politico.

Ne consegue immediatamente,almeno negli enti che usufruiscono della possibilità,un certo ridimensionamento della figura del segretario comunale che molto spesso era stato il vero capo sopraordinato delle amministrazioni. Tale ridimensionamento cresce quando,nel prosieguo delle azioni di riforma, la figura del segretario comunale viene svincolata dal ruolo nazionale e viene

inserita in un Albo presso un’Agenzia in capo al sistema delle Autonomie. Mentre prima il Sindaco era costretto a subire il segretario nominato dal Ministero dell’Interno,dopo la riforma è lui a sceglierlo,seppure all’interno di un elenco chiuso.

A complicare le cose, la legge istitutiva del Direttore generale prevede anche la possibilità per gli Enti di attribuire la funzione di Direttore generale al segretario comunale. Ne nascono quindi tre situazioni:

1. Direttore generale “puro” e quindi doppia figura: in questo caso il Presidente di provincia o il Sindaco attribuiscono il ruolo di Direttore generale ad un soggetto indipendente e in generale(non sempre) esterno all’ente. Il segretario generale permane nel ruolo e nella sua funzione di controllo ex ante e ex post della legittimità dei provvedimenti;

2. Segretario-direttore: in questo caso la funzione di Direttore Generale viene attribuita( in genere con un incremento della retribuzione) al segretario generale in carica che, mantenendo anche il suo precedente ruolo, si trova ad essere figura unica di vertice con funzioni esecutive e di controllo;

3. Solo segretario: in questo caso il Sindaco o il Presidente semplicemente rinunciano ad usufruire della possibilità data dalla legge 127.

Questa situazione ha portato negli ultimi anni ad un certo contenzioso tra le due figure, attivato specie da parte dell’associazione dei Segretari, con reciproci scambi di accuse.

I segretari denunciano come pericolosa una situazione in cui il vertice politico può nominare chi vuole a capo dell’amministrazione con il solo debolissimo vincolo dell’approvazione della giunta,senza nessun obbligo di dimostrarne la professionalità Rivendicano poi la loro nuova professionalità di manager pubblici, garantita da nuovi percorsi formativi, e si identificano quindi come

figura unica al vertice delle amministrazioni,giustificando la scelta anche in termini di risparmio e di semplificazione.

I Direttori a loro volta si sono riuniti in un’Associazione professionale,

l’ Andigel, che è più simile ad una comunità di pratica che non un sindacato. Essi considerano un valore il loro essere “precari” in quanto il loro stesso ingaggio è legato al conseguimento dei risultati e all’attuazione delle politiche, ribadiscono l’importanza del rapporto fiduciario con la politica,si sentono responsabili di assicurare che le politiche si traducano in strategie operabili presidiando il processo di pianificazione e controllo mettendo in connessione amministratori e responsabili delle strutture operative,supportare gli organi di governo a selezionare la priorità da realizzare, proporre obiettivi di efficacia,efficienza e qualità e di miglioramento del portafoglio servizi. Si descrivono come responsabili inoltre della gestione operativa dell’amministrazione: ossia di raccordare strategie e risorse, di definire i programmi di realizzazione delle attività, di presidiare l’integrazione fra settori ed attività diverse, di definire le strategie interne sulle modalità di acquisizione,utilizzo ed organizzazione delle risorse, di controllare l’andamento della gestione, di definire infine piani di sviluppo delle risorse umane.

In questa situazione di stallo entrambe le parti hanno guardato al Codice delle Autonomie come ad un giudice che potesse regolare la materia. In realtà questo non è successo: il Codice nella sua versione più recente non parla affatto né di direttori generali né di segretari comunali,né avrebbe potuto farlo vista la sua forma di legge delega e quindi di principi. Un emendamento aveva indicato la necessità di una figura apicale unica. Ma al di là del merito esso ha suscitato più di un dubbio di costituzionalità.

Ad oggi le parti sono così schierate: da una parte i Segretari aprono uno spiraglio proponendo una figura unica che il Sindaco possa scegliere in un Albo che sarebbe temporaneamente aperto agli attuali Direttori generali. Dall’altra i Direttori generali riconoscono l’importanza della funzione di controllo e quindi, implicitamente,di una doppia figura che sia paritetica e sia costituita da un presidio della funzione di controllo e da un presidio della funzione di gestione.

In questo momento quindi c’è un tentativo di avvicinamento: che esito avrà è tutto da vedere. Riguardo al numero dei direttori generali c’è da dire che:

I Direttori generali “puri” (ossia che non siano anche Segretari generali) in carica, ad oggi sono 190 (143 nei comuni e 47 nelle province) pari al 20,3% dei posti teoricamente possibili nei comuni (le 701 città sopra i 15.000 abitanti) e al 45,1% delle province (47 su 104); 263 comuni (pari al 42,4%) hanno scelto di non istituire del tutto la figura del Direttore generale. Questa percentuale scende al 32,7% nei comuni capoluogo e al 20,9% nei comuni al di sopra dei 10.000.Nelle province tale percentuale è del 32,7% (34 su 104). Infine 262 Comuni (pari al 37,2%) hanno attribuito la funzione del Direttore generale al Segretario generale in carica unificando quindi le funzioni di gestione e di controllo.Tale percentuale è del 22,1% nelle province e del 30,2% nelle città al disopra dei 100.000 abitanti.

La distribuzione geografica dei direttori generali “puri” è diversa sul territorio nazionale: se la media italiana è del 20,3% dei comuni questa è maggiore nel centro (27%) e nel nord-est (25%) e minore nel nord-ovest (15%) e nel sud (17%).

Viceversa se parliamo di città che non hanno affatto attribuito la funzione del direttore generale la media nazionale è del 42,4%, ma nel nord-est la percentuale è decisamente più bassa (36%) e così nel centro (37%) mentre arriva al 57% nel sud.In controtendenza nel nord-ovest ove è la puù bassa d’Italia con il 28%.In questo caso è sensibilmente più alta la percentuale della figura unica( segretario generale che è anche direttore generale) pari al 57% rispetto ad una media nazionale del 37,3%.

Passando alle province resta l’affezione alla figura del direttore generale puro nelle province del centro che contano una percentuale del 57% contro una media nazionale del 45,2% e si conferma la maggiore adozione della figura unica nel nord ovest che segna una percentuale del 43% contro una media nazionale del 22,1%.

Dopo un’attenta analisi sul genere (uomo,donna) dei direttori generali,sulla data del loro incarico e sulla loro provenienza (interna o esterna); al di là dei singoli dati il risultato è univoco: il direttore generale puro è uomo (89,1% nei comuni e 91,5% nelle province), proviene dall’esterno (76,6% nelle province e 74,1% nei comuni), ha un incarico piuttosto recente( il 29% ha meno di una anno di anzianità di incarico, il 30% tra uno e due anni, solo il 22% ha più di 5 anni di anzianità) grazie all’alto turn-over, per altro immaginabile per una funzione legata strettamente al rapporto fiduciario con la politica.

A dieci anni dalla sua istituzione la figura del direttore generale è al centro di molte polemiche: vale la pena quindi di chiedersi se è in effetti un plus per gli Enti che l’hanno istituita.

Si sa che la Pubblica Amministrazione italiana non brilla per l’uso della misurazione e della valutazione dei risultati, è quindi necessaria una metodologia di indagine compatibile con i dati che ci sono disponibili.

Provando quindi a verificare la tesi che esista una correlazione tra avere la figura del direttore generale ed essere una “buona amministrazione” e andando a guardare la presenza o meno di questa figura tra le amministrazioni prime o ultime della classe, nelle varie classifiche che soggetti diversi hanno presentato nel corso degli anni.I risultati che se ne osservano sono interessanti ed univoci: esiste un significativo rapporto tra essere in testa alle classifiche e avere attivato la figura del direttore generale “puro”. Viceversa ,come controprova, esiste una significativa ed anche maggiore correlazione tra essere fanalini di coda delle classifiche e non avere la figura del direttore generale. Ovviamente i dati non precisano la direzione di questa correlazione: ossia se sono gli Enti migliori a scegliere il Direttore generale o, viceversa,è la presenza del Direttore che fa migliorare l’Ente. In entrambi i sensi la relazione esiste ed ha un significato indubbio.

Riguardo alle indagini a campione che sono state fatte negli ultimi anni sulla figura e il ruolo del Direttore generale negli Enti locali, c’è da dire che all’interno dei questionari alla base dell’indagine è stato chiesto agli interpellati di indicare sesso,età e titolo di studio; il profilo che ne è venuto fuori è quello di un individuo di 48 anni, maschio e laureato. Statisticamente su 45 soggetti interpellati, soltanto 5 sono donna, 8 possono vantare un master di specializzazione post-laurea, mentre soltanto una persona ha al suo attivo semplicemente un titolo di istruzione secondaria superiore.

Andando, invece ad una connotazione più specificamente professionale, sono state fatte indagini sulle esperienze pregresse che possono incidere fortemente sullo stile manageriale. Il 62% degli intervistati proviene da un iter professionale da dirigente pubblico(indistintamente all’interno degli stessi enti o presso altre pubbliche amministrazioni), il 24% può vantare un passato da manager privato o imprenditore a livello locale e soltanto un residuo 14% ha un passato da libero consulente.

Al di là del valore in sé, questo dato è un indicatore interessante della percezione che le Amministrazioni locali hanno rispetto al processo di managerialità che stà investendo l’ente pubblico. Pur riconoscendo l’andamento pubblico e privato in alcuni processi interni e nel ricorso a specifici strumenti operativi, appare evidente come i Sindaci abbiano piena consapevolezza di quanto la gestione pubblica sia differente, per iter procedurali, vincoli normativi e strettoie burocratiche, dalla gestione privata e abbiano, pertanto,dato prevalenza a figure professionali con una determinata esperienza nella gestione della cosa pubblica.

All’interno delle più recenti indagini che si sono susseguite, per profilare la figura del City Manager da un punto di vista strettamente professionale si è ricorso a domande mirate ad individuare in primo luogo la percezione che il City Manager ha di sé e della sua funzione all’interno dell’ente: questo si può incrociare con quello risultante dalle indagini effettuate sui Sindaci e Segretari Generali.

Il dato interessante che emerge è che solo una percentuale relativamente bassa rispetto alle altre ritiene che la funzione distintiva di un City Manager sia il supporto alla giunta,quindi un compito puramente esecutivo degli indirizzi di vertice politico. Piuttosto la commistione rilevate tra una funzione di puro raccordo e quella di responsabile dell’apparato amministrativo sembra individuare una figura che ambisce ad autonomi poteri di

gestione,coordinamento e programmazione. C’è una certa simmetria in questo con l’opinione espressa dai Sindaci consultati nelle indagini, mentre decisamente più cauta la posizione dei Segretari Generali che, in forte percentuale ( il 90%) attribuisce al City Manager un ruolo più specifico di semplice raccordo tra vertice politico e amministrativo.

Pressoché tutti i city Manager che sono stati intervistati nei vari sondaggi,ritengono che la prima caratteristica sia una forte capacità organizzativa/progettuale in accordo con l’opinione espressa da Sindaci e dai Segretari Generali: questo ad ulteriore conferma dei compiti di responsabilità gestionale che il Direttore Generale percepisce come proprio compito istituzionale peculiare. Paradossalmente, invece,l’elemento che sembrerebbe determinante nella scelta da parte dei Sindaci cioè la profonda conoscenza dell’ambiente istituzionale della pubblica amministrazione, non è considerato distintivo dai diretti interessati che ritengono invece,più qualificante la capacità progettuale e la propensione all’innovazione.

Un punto nevralgico è rappresentato dal rapporto con il Segretario Generale, figura istituzionale che pre-esiste rispetto al City Manager e che è legittimato in modo differente rispetto all’investitura politica: l’introduzione del Direttore Generale ha spiazzato gran parte della categoria e la resistenza potrebbe essere soprattutto un modo per salvaguardare privilegi di casta o di potere. Il riscontro fatto con i dati riguardanti i Segretari Generali sull’esperienza di gestione manageriale vissuta in prima persona rivela una forte tensione tra i due ruoli: il 60% dei soggetti su cui sono state fatte le indagini denuncia una sostanziale ambiguità nella definizione dei rapporti e nella ripartizione delle competenze. A fronte, il City Manager percepisce netta e definita per legge le divisione dei compiti.

Questo delicato equilibrio tra le parti in realtà non si limita al rapporto Segretario-Direttore: all’interno dei comuni possono prodursi comportamenti di forte resistenza, se non addirittura di chiaro ostracismo, rispetto l’introduzione del City Manager a diversi livelli. Ci sono i casi in cui i sindaci particolarmente accentratori, con una gestione estremamente personalizzata creano delle figure, per così dire, “fantoccio”, nominando come Direttori Generali persone di fiducia o, più semplicemente i vecchi Segretari Generali. A questo si aggiunge la resistenza al cambiamento da parte dei dirigenti più anziani adagiati su procedure di gestione tradizionali e obsolete,che vivono

questa ventata innovativa con quieta rassegnazione: forma di resistenza passiva,questa, difficile da combattere.

Infine da non sottovalutare l’ostracismo da parte del personale dei livelli più bassi che, se non opportunamente coinvolto nel cambiamento in atto, lo percepisce come un aggravio per il proprio lavoro cui non corrisponde alcun vantaggio.

Partendo dalla constatazione della rinuncia, da parte di alcuni enti locali, alla figura del City Manager, è stato chiesto nelle indagini quali potrebbero essere le possibili cause di una scelta di questo tipo. Anche in questo ambito la posizioni dei Direttori e Segretari divergono. Il segretario insiste piuttosto sulla mancata funzionalità della figura del Direttore Generale, qualcuno ha fatto notare come, in termini di efficacia della gestione amministrativa, nessun decisivo apporto è stato introdotto dalla nuova gestione manageriale avendo riscontrato l’amministrazione risultati positivi anche prima del 1997 quando la direzione operativa apicale era affidata al Segretario Generale. La riforma del Titolo V della Costituzione prospetta una decisa evoluzione in senso autonomistico degli enti locali.All’autonomia giuridica, determinata

accompagna una sempre maggiore autonomia finanziaria, garantita da una significativa capacità di imposizione fiscale. A fronte, l’ente deve acquisire una maggiore capacità di decidere autonomamente e a prescindere dalle direttive centrali: si profila una nuova sfida manageriale per i Comuni. In considerazione di questo, nelle varie indagini a campione che sono state fatte, è stato chiesto ai City Manager, una personale opinione sulle future prospettive di sviluppo di questa figura.

Il punto di vista di una forte maggioranza dei Direttori Generali non coincide sostanzialmente con la visione di Sindaci e Segretari che sembrano più propensi a credere in un semplice consolidamento di rapporti pre-esistenti se non addirittura in un loro forte ridimensionamento.

Quello che appare certo è che si è innescato un meccanismo virtuoso di sviluppo e innovazione per la struttura organizzativa delle amministrazioni locali: la gestione per obiettivi, i meccanismi di incentivazione, la ristrutturazione organizzativa, da una parte; la sfida per una maggiore efficienza, a fronte di una richiesta di servizi sempre più ampia e qualificata da parte dei cittadini, dall’altra. L’evoluzione, nel senso di un quality management sembra un processo innescato da cui è difficile tornare indietro: mai come in questo momento è forte la necessità di un mediatore tra cittadini, amministrazione e apparato politico che comprenda il linguaggio di tutti e trovi equilibrio tra differenti necessità ed aspettative.

La figura del city manager, o direttore generale di un comune ha poco più di dieci anni e una storia variegata: alcuni lo vogliono,altri no, altri ancora, dopo la stagione delle efficienze gli chiedono di essere integratore di reti e stimolatore del territorio.

E’ il caso dei cosiddetti comuni holding in cui i servizi, una volta improntati, vengono esternalizzati e affidati a istituzioni per le funzioni scolastiche, a fondazioni per la cultura e gli sport e a consorzi per i servizi sociali.

Il controllo di queste attività resta quindi in corpo al city manager che però, alleggerito nella gestione, può concentrarsi su altre responsabilità previste dal ruolo e diventare un vero e proprio animatore del territorio, per integrare soggetti diversi e identificare nuove opportunità di sviluppo.

Il suo profilo professionale si evolve quindi sempre più in quello di un manager che sa fare rete, aggregare i servizi ed essere motore di iniziative che portino valore aggiunto alla cittadinanza e al mondo economico.

Nata con la legge 127/1997, la figura del city manager sta quindi evolvendosi. Per ora sono 620 i grandi comuni che hanno la possibilità di nominare un city manager.

Non tutti e 620 i grandi sindaci coinvolti, tuttavia, hanno già scelto il proprio city manager: se in 220 casi il direttore è ormai una figura consolidata e ben distinta, in altri 200 la funzione è stata assorbita dal segretario generale che allarga così le sue competenze, mentre nei restanti municipi il ruolo non è previsto.

In ogni caso, dove non esiste una figura di city manager ad hoc il compito di coordinamento è di fatto già attribuito a figure di rilievo come i dirigenti amministrativi o il segretario generale.

Ma se il segretario generale deve essere scelto fra gli iscritti all’albo specifico, il direttore generale può essere assunto anche sul mercato.

Secondo alcuni dati, il profilo del city manager è variegato, con una predominanza per le esperienze nella pubblica amministrazione, da cui proviene il 40% dei direttori generali oggi in servizio.

Un altro 30% viene dal pera pubblico o dalle municipalizzate, e il restante 30% da aziende private, società di consulenza o università.

E’ comunque difficile che le due esperienze, la pubblica e la privata , siano rintracciabili nello stesso curriculum, come non è facile reperire sul mercato figure già formate: per questo stanno sviluppandosi percorsi ad hoc per city manager organizzati dalle università (per esempio, Sda Bocconi, Cattolica, Forlì, Ca’ Foscari, Bologna, Roma Tre e Pisa) e da realtà specialistiche distribuite sul territorio.

Sono percorsi formativi specifici, improntati su una delle caratteristiche principali del direttore generale: quella di essere la chiave di volta tra l’indirizzo politico del sindaco e la gestione amministrativa dei dirigenti. E’ una posizione che sottolinea come l’aspetto dell’efficienza lasci ampio spazio ad altri tipi di considerazioni.

A differenza della figura analoga in un’azienda di tipo privato, il direttore generale di un ente come il comune deve assicurare non solo efficienza ed efficacia ma anche imparzialità e trasparenza.

Non occorre solo fornire alta qualità e bassi costi, ma è opportuno che la possibilità di accedere al servizio sia offerta a tutti, e alle stesse condizioni. Il punto focale per l’introduzione della figura del city manager è stato l’elezione diretta del sindaco, che ha portato con sé la netta distinzione tra due realtà che precedentemente erano una cosa sola: il mondo politico e il mondo amministrativo/gestionale.

Capitolo 3 La figura del City Manager nel Comune di Lucca: