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Managerialità negli enti pubblici: ruolo e funzioni del city manager

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Academic year: 2021

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INDICE

-Premessa...pag.3 -CAPITOLO I Le disfunzioni dell'ente locale...pag.5 1.1 Il nuovo ruolo dell'ente locale...pag.5 1.2 Principali categorie di disfunzioni...pag.10 1.3 Disfunzioni dell'assetto organizzativo...pag.11 1.4 Disfunzioni relative all'attività di governo e decisionale...pag.13 1.5 Disfunzioni relative alle risorse umane...pag.17 1.6 Ulteriori disfunzioni ...pag.18 1.7 Possibili soluzioni per le disfunzioni a livello di governo e di

direzione...pag.18 1.8 Vincoli riguardanti le attività da svolgere a favore della

cittadinanza...pag.26 1.9 Confusione a livello concettuale tra funzioni pubbliche e servizi

pubblici ...pag.28 1.10 Confusione tra efficienza e modello privatistico...pag.29 -CAPITOLO II La dirigenza all'interno degli enti locali...pag.37 2.1 Nascita di una figura: il dirigente locale ...pag.37 2.2 Il direttore generale e la funzione di city management...pag.41 2.3 Le competenze del direttore generale...pag.45 2.4 Rapporto di lavoro del direttore generale...pag.50 2.5 Nomina e revoca del city manager ...pag.51 2.6 I city manager tra politica e amministrazione...pag.58 2.7 Ruolo e modalità di azione...pag.64 2.8 La responsabilità...pag.69 2.9 I rapporti con la giunta e gli assessori...pag.72

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2.10 I rapporti con il presidente del consiglio e con i consiglieri...pag.73 2.11 La recente giurisprudenza sulla figura del direttore generale...pag.74 2.12 Alcuni dati statistici riguardanti la figura del city manager...pag.77

-CAPITOLO III La figura del city manager nel comune di Lucca: esperienze e risultati...pag.90

-CAPITOLO IV Altre figure dell'ordinamento locale: i segretari

comunali e provinciali...pag.104 4.1 Il segretario comunale e provinciale dalle origini fino alla legge

142/90...pag.104 4.2 Dalla legge di riforma dell'ordinamento degli enti locali n.142/90

alla legge 127/97...pag105 4.3 La riforma Bassanini...pag.107 4.4 Lo status del segretario comunale e provinciale: l'inquadramento

e la carriera...pag.108 4.5 Il rapporto di lavoro...pag.109 4.6 Le funzioni del segretario comunale e provinciale...pag.111

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Premessa

Negli ultimi diciotto anni sono state emanate diverse riforme che hanno riguardato la Pubblica Amministrazione e in particolare l'amministrazione locale, dopo che per oltre cinquant'anni c'era stato un silenzio normativo quasi totale; tanto è vero che prima della legge 142/90, l'assetto dei comuni e delle province era regolato dai testi unici risalenti ai primi anni del novecento.

Queste riforme hanno modificato in modo notevole lo schema delle competenze degli organi , nel cui contesto è ricompresa la figura del direttore generale.

Fino al 1990, le varie competenze erano condensate in capo agli organi politici, visto che ai dirigenti erano riconosciute solo competenze eventualmente delegate dall'organo politico.

Il 1990 segna quindi l'anno dell'introduzione della separazione delle competenze tra struttura politica e struttura gestionale, attribuendo per la prima volta in modo netto, al dirigente comunale , la natura di organo.

Quindi si ha il passaggio delle competenze gestionali dalla giunta ai dirigenti. Il ruolo di estremità della struttura burocratica è attribuito al segretario comunale, nelle mani del quale rimangono le funzioni di legalità e notarili.

La legge 127/97, pur rimarcando la separazione delle competenze tra sfera politica e dirigenziale, avvia un meccanismo di limitazione dei primi sulle carriere dei secondi (meccanismi di nomina,revoca, assegnazione incarichi dirigenziali) che ha praticamente reso inutile il principio di sovraesposto.

E' cosi che questa nuova figura entra in scena come soggetto emanato direttamente dall'organo politico, una specie di alter ego di questo, una figura con parvenza sicuramente politica.

Analizzando l'evoluzione normativa di questi ultimi anni in tema di separazione delle competenze nelle amministrazioni locali, si può affermare che è stata più un involuzione caratterizzata dalle seguenti fasi:

-ante legge 142/90: governo di diritto del consiglio, e di fatto della giunta;

-post legge 142/90 e ante 127/97: di diritto, governo concorrente della giunta e dei dirigenti, di fatto governo della giunta;

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-post legge 127/97 e ante legge 191/98 (Bassanini -ter): di diritto, come ante legge 127/97 e di fatto governo del sindaco per interposta persona, rappresentata dal direttore generale e dai dirigenti;

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CAPITOLO 1 Le disfunzioni dell’ente locale 1.1 Il nuovo ruolo dell'ente locale

Negli ultimi decenni, l’ente locale ha assunto sempre più un significato di ente fornitore di servizi ben oltre rispetto a quanto la normativa prevedesse.

Nell’ottocento e nei primi anni del Novecento, quando la nostra struttura amministrativa si è venuta a creare, lo stato veniva uniformato come stato guardiano o stato regolatore. Era uno stato il cui compito principale era mantenere l’ordine pubblico. Lo stato moderno, oltre a garantire l’ordine pubblico, deve anche offrire una serie di servizi e coordinare le varie infrastrutture.

Lo stato moderno viene quindi definito stato funzionale.

Nel testo unico del 1934, che ha disciplinato la vita dei nostri enti locali sino alla convalida nel 1990 della L. n.142, considerava come spese facoltative quelle relative alla fornitura di un servizio d’illuminazione pubblica, di fognatura e di acqua potabile.

In un quadro di questo tipo, non occorreva una organizzazione amministrativa molto sofisticata.

La nostra amministrazione pubblica ha pian piano assunto una conformazione confacente con questa situazione.

Ma gli incarichi dello stato (soprattutto a livello locale) sono mutati: l’attenzione ora non è più sulla salvaguardia dell’ordine pubblico quanto sull’attività di fornitura di servizi.

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Il passaggio è avvenuto nel periodo tra la fine della seconda guerra mondiale e la metà degli anni settanta. In questo arco di tempo, per esempio, nel comune di Firenze, le spese per la cultura incrementano, a tassi reali, di più del 900%, quelle per l’edilizia di più del 530% e le spese per l’assistenza sociale di più del 310%. Nel comune di Prato per esempio, le spese per i servizi alla persona hanno sono aumentate dal 1951 al 1991 di ben ventidue volte.

Oggi l’amministrazione comunale incarna diversi ruoli contemporaneamente ossia è il maggior fornitore di lavoro presente sul territorio comunale, il maggior acquirente dello stesso territorio ed il maggior fornitore di servizi.

Se a questo si aggiunge l’effetto regolatore che ha la gestione comunale ( licenze commerciali, concessioni edilizie), è chiaro che l’efficienza dell’organizzazione comunale diventa una condizione essenziale per la salute economica del comune: un comune il cui funzionamento sia efficiente avrà sicuramente un valore aggiunto rispetto ad uno la cui macchina amministrativa lasci a desiderare.

A questo riguardo si sa che, tra i principali motivi che spingono le aziende a posizionarsi in una sede piuttosto che in un’altra, un ruolo fondamentale è svolto dall’efficienza del sistema amministrativo locale.

Nell’evoluzione da una concezione regolatrice ad una funzionale , gli incarichi degli enti locali sono variati in sostanza in tutti i settori, da quello economico, a quello dell’assistenza e anche in quello della sanità.

In economia lo stato regolatore si limita a garantire le infrastrutture di base e a svolgere una funzione di garante dell’ordine pubblico, consentendo l’accesso alla scena economica solo a quegli attori che assicurino garanzie dal punto di vista dell’ordine pubblico; lo stato funzionale si trova innanzitutto ad agire in un momento in cui lo sviluppo tecnologico rende insostituibile non solo la garanzia del buon funzionamento di strade e porti ma anche per quanto riguarda ferrovie,

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aerei, telecomunicazioni, etc; particolarmente interessante per gli enti locali è l’attestazione del criterio della programmazione, della necessità che l’ente pubblico non lasci l’economia senza ogni guida ma che le forze economiche possano essere in un modo o in un altro guidate e orientate per sostenere lo sviluppo; le licenze commerciali, dunque, non sono più solamente rilasciate in seguito a valutazioni di ordine pubblico ma anche conseguentemente alla messa a punto di piani commerciali, le licenze di edificazione non vengono più concesse solo dopo la verifica che attesta che l’opera in questione è tecnicamente corretta ma anche in ottica di messa a punto di piani urbanistici e di edificabilità.

Per quanto riguarda l’assistenza, i deboli, nel periodo in cui domina la concezione regolatrice dello stato, trovano la loro tutela nell’istituzione della “grande famiglia”; la beneficenza serve a proteggere le aree di bisogno che sono fuori dal raggio d’azione della grande famiglia; nella fase attuale, la grande famiglia è stata rimpiazzata dalla “famiglia nucleare” (formata da i due coniugi e dai figli e nella quale tutti e due i coniugi lavorano) in maniera che i deboli devono trovare sostegno presso la sfera pubblica.

In ambito di sanità/ambiente, la salute, nella fase regolatrice dello stato, è considerata un vantaggio del singolo e la medicina è di tipo esclusivamente curativo; nella fase funzionale dello stato, la salute è considerata un utilità della comunità e la medicina ha un carattere sempre più prudenziale esigendo interventi in larga scala che solamente la pubblica autorità può realizzare; nella fase regolatrice dello stato, l’effetto delle attività umane sull’ambiente è circoscritto e perciò non rappresenta un problema; ben diversa è la situazione degli obblighi pubblici nei confronti dell’ambiente nella fase odierna in cui le attività umane possono avere un peso notevole sull’ambiente naturale.

Ormai gli amministratori locali non hanno più scuse: la normativa e l’indipendenza finanziaria consentono loro di far fronte alle domande derivanti dalla società civile e dall’economia.

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Con la L. 144/89 e con il dpr 504/92 agli enti locali è stata riconosciuta quell’autonomia finanziaria senza la quale non poteva esserci autonomia decisionale.

A tale proposito va detto che, mentre alla fine degli anni ’80 circa l’88% delle risorse comunali erano la risultante di trasferimenti dallo stato, oggi circa il 75% delle risorse finanziarie comunali sono di natura propria.

Tutto ciò provoca, peraltro, un considerevole disorientamento negli operatori degli enti locali, che causa confusioni professionali e scientifiche non di poco conto.

Il fatto è che la cultura dell’ente locale si è sviluppata e rafforzata nel periodo della concezione regolatrice dello stato.

In questo periodo, l’ente locale doveva assolvere più che altro compiti di “polizia amministrativa” e l’ente locale era subordinato al regime di “tutela amministrativa”. Si tratta quindi di una logica contraddistinta da due elementi di fondo:

• addensa la sua attenzione soprattutto sull’aspetto della regolarità degli atti

e non su quello della efficacia/efficienza;

• è alla perenne ricerca di una autorizzazione preventiva.

Oggi all’ente locale è richiesto di coordinare le infrastrutture e somministrare servizi, attività che richiedono, invece, di porgere attenzione soprattutto ai problemi di efficienza e di efficacia.

Ebbene i problemi dell’efficienza e dell’efficacia non possono essere eliminati utilizzando delle leggi: l’addetto dell’ente locale è stato addestrato a ricercare la risoluzione ai suoi problemi nella legge e non in una capacità organizzativa-gestionale.

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I problemi legati all' efficienza e all’efficacia, inoltre, esigono una certa tempestività a livello decisionale ed è difficile un' adeguamento alla pratica delle autorizzazioni e dei pareri preventivi.

Di fatto il vecchio concetto di “azione amministrativa” è stato ormai rimpiazzato da quello di “azione pubblica”,per il quale il punto di riferimento normativo è solamente un punto di riferimento di secondo piano e non una pista operativa e per la quale la supervisione dei livelli superiori di governo su quelli inferiori non è di tipo preventivo ma ex post. Si possono riassumere le peculiarità dei due tipi di azione come segue:

• azione amministrativa: propende primariamente a garantire l’ordine pubblico, si concretizza attraverso l’esercizio di autorità unilaterale, l’ente pubblico è ritenuto sovraordinato all’attore di tipo privato;

• azione pubblica: propende all’attuazione dell’interesse pubblico e non

solamente alla salvaguardia dell’ordine pubblico; si concretizza mediante la somministrazione di servizi, l’esercizio di autorità stesso è visto come un servizio e non è unilaterale, l’ente pubblico è ritenuto non sovraordinato all’interprete privato ma al suo servizio.

Non siamo di fronte solo alla perdita di orientamento da parte dell' operatore dell’ente locale. Tale confusione è rafforzata anche dal disorientamento del legislatore che è il primo a non essere in grado di ridimensionare la propria ottica culturale e dimostra di insistere a credere che l’efficienza e l’efficacia siano raggiungibili attraverso strumenti di legge.

L’incertezza del legislatore è messa in luce dalla produzione normativa di questi ultimi anni, la quale è caratterizzata da continue e ripetute marce indietro rispetto a provvedimenti vecchi anche solo di pochi mesi.

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La perplessità è incrementata dal fatto che l’ente si trova ad esercitare senza paracadute: svincolato ormai dai controllo preventivi, è in difetto nel prendere decisioni in prima persona e nell’assumersene la responsabilità.

Le problematiche di fondo sono due:

-avere le giuste professionalità: si tratta di dotare l’ente locale di mansioni organizzativo-gestionali oggi non presenti;

-un problema di atteggiamento mentale: l’operatore dell’ente locale deve adattarsi a preannunciare i problemi, a scorgere autonomamente delle soluzioni e ad essere responsabile personalmente delle proprie decisioni.

In altre parole, si tratta di avviare nell’ente pubblico locale la cultura del management pubblico. Questo approccio del management pubblico è un approccio che riguarda più discipline.

La difficoltà risiede nel saper sfruttare la buona disciplina al momento giusto. Occorre fare attenzione a non cercare di fare fronte ai problemi dell’efficienza e dell’efficacia mediante strumenti di tipo giuridico. E’ opportuno anche , non lasciarsi prendere la mano e credere che la ricerca dell’efficacia e dell’efficienza possa motivare il mancato rispetto dei principi del diritto. Nel primo caso, non solo non si ottiene l’effetto voluto, ma si consegue l’efficacia perdendo la legittimità.Nel secondo caso si rifiuta il rispetto della legalità scordandosi che a medio e lungo termine questa rinuncia non può non provocare delle diseconomie molto pesanti.

1.2 Principali categorie di disfunzioni

Le disfunzioni dell’ente locale possono essere raggruppate in quattro categorie principali:

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• disfunzioni di tipo organizzativo, relative in linea di massima al fatto che

il complesso organizzativo dell’ente locale non è ancora giunto ad una istituzionalizzazione;

• disfunzioni relative alla funzione di governo o decisionale in senso lato, riconducibili in pratica al fatto che l’ente locale possiede ancora la mentalità tipica della fase regolatrice dello stato e quindi non ha una condotta attiva ma di tipo passivo e si mette in azione dopo aver ottenuto determinate garanzie da parte delle autorità centrali;

• disfunzioni relative alle risorse umane: si tratta in sostanza del fatto che le competenze delle risorse umane ed i sistemi di governo delle stesse sono ancora praticamente indirizzati su una variabile di natura gerarchica e non su competenze tecniche;

• disfunzioni di natura derivata: si tratta di disfunzioni che derivano dalle tre

tipologie di disfunzioni sopra citate; si tratta sostanzialmente: 1) dell’esplosione di organismi di tipo derivato da cui vengono esternalizzate funzioni comunali; 2) della opacità e scarsa capacità di comunicazione dell’ente locale; 3)del basso livello qualitativo dei suoi output.

1.3 Disfunzioni dell'assetto organizzativo

La prima categoria di disfunzioni riguarda la sfera statica, al modo di essere dell’organizzazione comunale; la seconda riguarda il lato dinamico dell’ente locale, cioè al suo modo di agire.

Con riferimento alle disfunzioni della macchina organizzativa, esse possono essere riassunte come segue:

-la distribuzione dei compiti tra i vari uffici non è razionale ma il prodotto del sedimento nel tempo di decisioni occasionali; mansioni simili sono disperse in strutture diverse e mansioni diverse sono accorpate nella stessa struttura;

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-esiste una forte confusione tra l’aspetto personale e quello istituzionale; nella maggior parte dei grandi enti lo snodo formale si ferma al livello di settore e all’interno di ogni settore non esiste nessuna ripartizione formalizzata delle funzioni; negli enti più piccoli l’articolazione è molto sfumata; sia negli enti di dimensioni importanti che in quelli meno rilevanti l’unico punto di riferimento è la persona;

-la struttura formale si discosta molto da quella reale; negli enti di grandi dimensioni questo vuol dire che non è ben chiaro lo schema dell’assegnazione dei compiti; questo provoca una certa difficoltà ad imputare i costi alle varie attività del comune;

-le procedure relative alla realizzazione dei vari output comunali sono mutevoli e non codificate; la procedura è diversa a seconda dell’impiegato che in una certa situazione è interpellato ad applicarla; questo aspetto è all'origine delle difficoltà di applicazione della L.241/90 che prevede l’esistenza di procedure codificate e standardizzate;

-il controllo avviene solo “a vista”, sui singoli casi e sulle singole persone; non esiste un percorso preordinato per le pratiche ed esse si muovono autonomamente e il dirigente controlla solamente i dati riepilogativi delle pratiche che seguono i vari percorsi procedurali;

-come conseguenza della mancanza di procedure, non si distingue tra l’iter della pratica e l’informazione dello stato di avanzamento della stessa;

-in generale ci si trova di fronte ad una condizione disastrosa dei protocolli e degli archivi: progettati per attestare e non per gestire, oggi l’operatore non scorge l’utilità dei protocolli e degli archivi e preferisce trascurarli; in questa maniera, non soltanto non si soddisfano le necessità gestionali, ma non si considerano nemmeno più i criteri di certificazione.

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1.4 Disfunzioni relative all'attività di governo e decisionale

Riguardo alle disfunzioni dell’attività di governo e decisionale in senso lato esse possono essere riassunte in :

-Mancanza di programmazione; l’incapacità a programmare si divide in due sottocategorie: 1)quella relativa all’elaborazione di programmi strategici da parte della giunta e 2)incapacità di mettere in atto programmi operativi da parte dei dirigenti dell’ente locale; per quanto riguarda la prima tipologia di incapacità essa è molto poco visibile poiché tutte le amministrazioni sono dissipatrici di programmi più o meno ingegnosi; l’inabilità d’elaborare programmi operativi è riconducibile a carenze professionali dei dirigenti e dei funzionari degli enti locali. Per quanto riguarda la competenza in materia di programmazione dell’intervento, essa viene molto spesso rimpiazzata dalla macchina ricorrendo a consulenze esterne: per esempio le consulenze per i piani commerciali, per i piani regolatori; in linea di principio ciò che caratterizza la dirigenza di un ente è un atteggiamento di tipo “reattivo”e non “proattivo” e la soluzione ai problemi che emergono è ricercata non in una professionalità ben precisa ma nella norma. -Difficoltà nei rapporti tra vertici politici (sindaco e assessori) ed i vertici della tecnostruttura; ovunque c’è una grande difficoltà di comunicazione tra i l vertice della struttura amministrativa e gli eletti; i vertici si occupano solamente di analizzare la conformità delle proposte varate dal politico e non fanno proposte al politico il quale, è costretto a dover riempire un vuoto decisionale che quasi certamente non gli competerebbe.

-La situazione attuale è caratterizzata inoltre da una notevole insufficienza di coordinamento tra le varie strutture all'interno del comune; la mancanza di coordinamento è evidente in particolare nei comuni di dimensioni medio/grandi; la scarsezza della funzione di coordinamento deve essere esaminata in relazione al raccordo dei rapporti tra giunta ed uffici comunali; siamo all’interno di una

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situazione ibrida, contraddistinta da una coabitazione di due modelli: quello ministeriale e quello a comitato per cui le disposizioni politiche vengono maturate tramite delibera di giunta; lo snodo struttura burocratica/vertici politici si suddivide in più livelli ugualmente scoordinati tra di loro: il rapporto assessori/ uffici, il rapporto sindaco/dirigenti; il ruolo del segretario comunale e/o direttore generale che sono i coordinatori dei dirigenti del comune; a questo si aggiunge la “conferenza dei dirigenti” che, in genere nei nostri enti locali non viene utilizzata sicuramente come una possibilità per curare aspetti molto importanti come il coordinamento.

-Gli strumenti formali del comando presentano ulteriori elementi di disfunzione. Prima di tutto si devono richiamare gli strumenti per il governo dell’ente locale cioè:

1) delibera: è un atto di tipo collegiale è rappresenta il momento in cui una decisione viene formalizzata; si può dire che per quanto riguarda questo aspetto, alla giunta manca lo strumento per richiedere agli uffici d’istruire una decisione; 2)ordinanza del sindaco o degli assessori delegati: è uno strumento che viene usato solo per mantenere l’ordine pubblico e solo in via eccezionale questa ordinanza viene utilizzata come strumento per il governo interno; ad esempio anche oggi lo spostamento di un dirigente da un ruolo ad un altro è vincolato da delibera di giunta;

3)ordini di servizio del sindaco o dell’assessore delegato: essi dovrebbero essere il mezzo attraverso il quale l’assessore conduce la macchina ma praticamente sono utilizzati raramente; è chiaro che l’assessore è in difficoltà nell’utilizzare l’ordine di servizio per richiedere decisioni futuribili che riguardano la giunta, ma la complessità maggiore è data dal fatto che non c’è correlazione tra assessore ed ufficio ed è faticoso pensare ad un intervento di tipo “dicasteriale” di un assessore sui suoi uffici, dato che su quegli uffici afferiscono più uffici;

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4)determinazioni del dirigente: in realtà c’è una forte resistenza da parte dei dirigenti ad addossarsi decisioni in prima persona; è stato constatato il fatto che in alcuni comuni, anche dove il regolamento dell’ente impone di utilizzare la “determinazione del dirigente”, la dirigenza richiede di fatto all’assessore competente una firma dopo che egli abbia preso visione; c’è da notare che, peraltro, la dirigenza non rende disponibili all’assessore dei prospetti riassuntivi nei quali sono presenti le percentuali di ferie per periodi , settori etc,; prima di tutto si deve considerare che la maggior parte delle decisioni che vengono prese dal vertice vengono deliberate dalla giunta; il fatto che la maggioranza delle decisioni “politiche” vengano prese per mezzo di atti collegiali di sminuisce il potere effettivo del sindaco di potersi addossare la responsabilità delle decisioni; viene a scarseggiare uno strumento di governo individuale del sindaco; lo strumento di governo principale, la delibera giuntale, si dimostra uno strumento incompleto; la delibera rappresenta il momento in cui l’apparato di governo dell’ente vara la sua decisione; manca uno strumento di comando che consenta all’organo di governo di imporre agli uffici l’istruzione di un eventuale delibera. -L’ iter di formazione delle delibere presenta esso stesso una serie di disfunzioni che vanno analizzate. Alla luce di quanto previsto dalle leggi 142/90 e 127/97, un progetto di delibera di giunta dovrebbe essere presentata in giunta da un componente della stessa (sindaco o assessore) munita di : 1) un giudizio di regolarità tecnica espresso dal dirigente di competenza; 2) un giudizio di conformità contabile. Di fatto la proposta di una delibera può provenire o dal dirigente o da un assessore. Comunque, è quasi sempre un un membro della macchina burocratica che redige il testo della delibera. Molto spesso la delibera stilata dallo stesso dirigente che , poi si occupa di tirare giù il parere di idoneità tecnica della delibera in questione. Anche per questa motivazione, sono molto rari i casi in cui questi pareri sono negativi , e anche in queste rare occasioni il giudizio negativo è fornito dallo stesso dirigente che ha stilato la delibera.

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Può accadere nei comuni di grandi dimensioni che la stesura vera e propria del testo della delibera sia effettuata da un dipendente di livello sottostante. Una volta che il testo è stato tirato giù inizia la procedura per avere tutti i pareri indispensabili che confluisce, alla fine, nell’inclusione della proposta di delibera all’interno dell’ordine del giorno di una specifica seduta di giunta. Una prima anomalia si manifesta proprio nella programmazione della gestione di questo iter. Il percorso che deve compiere la proposta è, nella maggior parte dei casi, fissato dal soggetto che propone la stessa.

Questo comporta che il soggetto proponente tende a minimizzare l’effetto che la delibera può virtualmente avere su altri settori e/o assessorati. Molti assessori recriminano che molto spesso vengono a conoscenza solo in sede di approvazione della delibera che un loro collega assessore sta occupandosi di un determinato progetto. E’ qui indispensabile che la procedura della proposta venga stabilita non dal soggetto proponente ma da un terzo soggetto sopra le parti. E’ indispensabile poi che il trasferimento della proposta da un ufficio ad un altro sia efficacemente registrato in modo da poter:

1. sempre sapere in quale ufficio si trova la proposta e quindi essere in grado di monitorare lo stato di avanzamento della stessa;

2. monitorare i tempi medi di sosta della proposta all’interno dei vari uffici individuando eventuali eccedenze di questi tempi medi.

Sempre a livello di procedura, rimane lasciata alle capacità di pressione psicologica del singolo dirigente e/o assessore, la rapidità con cui una proposta di delibera viene inclusa nell’ordine del giorno di una seduta giuntale. Qui si evidenziano due tipi di carenze: una concernente alla assoluta assenza di programmazione delle decisioni da prendere da parte dell’ente ed un’altra che attiene alla assenza di un fattore decisionale che serva a definire l’ordine del giorno come strategia dell’ente. Si finisce poi che alle decisioni della giunta

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decisioni scaturite dall’emergenza e molte volte presentate anche in maniera incompleta, quando non addirittura prive, all’interno della copertina, di un vero e proprio testo oppure del parere richiesto.

-Mancata corrispondenza capitolo di bilancio/ufficio: un anomalia corrente si verifica quando più delibere di assessorati o uffici diversi passano alla verifica della ragioneria e vanno ad incidere sullo stesso capitolo di spesa. Nel caso il capitolo di bilancio non sia in grado di far fronte a tutti gli impegni di spesa è il dirigente della ragioneria che di fatto decide quale delibera finanziare e quale no, diventando di fatto l’arbitro delle priorità dell’ente.

- La gestione caso per caso: in assenza di una programmazione degli obiettivi e delle procedure per la gestione delle pratiche, capita spesso che gli uffici presentino caso per caso una pratica e la fanno formalizzare dai vertici.

1.5 Disfunzioni relative alle risorse umane

Le disfunzioni relative alle risorse umane nella gestione del personale degli enti pubblici locali si caratterizzano prevalentemente per il fatto che prevale una concezione di tipo legalista e giuridico mentre è assolutamente assente una gestione di tipo manageriale delle risorse umane; come pure prevalgono risorse umane di formazione giuridica quando viceversa la maggior parte dell’attività dell’ente locale concerne la fornitura di servizi e la gestione di infrastrutture finendo per condizionare l’operato delle risorse umane di formazione tecnica. Il tutto si manifesta con una carenza della programmazione degli obiettivi, facendo prevalere una gestione pratica per pratica con una ridondanza della prassi burocratica senza una gestione razionale delle potenzialità dell’ente e di una strategia delle risorse umane disponibili.

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Le disfunzioni relative alla macchina organizzativa ed all’attività di governo, comportano come conseguenza inevitabile, ulteriori disfunzioni.

1.6 Ulteriori disfunzioni

Per esempio la diffusione delle attività comunali ha provocato il dilagare di organismi cui vengono esternalizzate alcune di queste nuove attività; nel caso in cui avvenga l’esternalizzazione, le disfunzioni più frequenti riguardano sia la perdita di controllo sull’attività stessa da parte dell’ente esternalizzante, sia la perdita dei controlli sui costi; ed inoltre molto spesso tali disfunzioni si manifestano come perdita di trasparenza ed anche degenerazione in situazioni ibride nelle quali si accostano posizioni di tipo monopolistico con la libertà d’azione consentita da forme privatistiche di gestione. Inoltre, venendo a mancare una chiara suddivisione dei compiti ed una serie di procedure uniformate, è possibile trovarsi di fronte ad una situazione poco trasparente e a carenze nel rapporto comunicativo con il cittadino utente.

1.7 Possibili soluzioni per le disfunzioni a livello di governo e di direzione Le disfunzioni relative alla funzione di governo o di direzione si esternano:

1. in una completa assenza di obiettivi nell’attività di governo dell’ente; 2. complessità nei rapporti tra vertici politici e tecnostruttura;

3. inidonea conduzione dell’attività delle varie strutture del comune;

4. inadeguato uso degli strumenti di comando e insufficienza di tali strumenti;

5. disfunzione diffusa della procedura di formazione delle delibere; 6. mancata correlazione tra struttura organizzativa e piano dei conti.

Per affrontare queste disfunzioni sono state fatte proposte sia volte a razionalizzare i meccanismi decisionali , sia finalizzate ad introdurre nell’ente locale la pratica della “gestione per obiettivi”.

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Per quanto riguarda il primo gruppo di proposte, esse sono classificabili in tre classi: 1) proposte finalizzate a sovrastare il modello collegiale di governo politico e di passaggio ad una struttura di tipo “ministeriale”; 2) proposte indirizzate a salvaguardare l’organizzazione dell’azione dell’ente locale; 3) progetti volti a ottimizzare il funzionamento della “giunta”.

Riguardo al superamento del modello collegiale e la realizzazione di un modello ministeriale c’è da dire che a seguito della L. 81/93 nell’ente locale italiano siamo di fronte ad un modello presidenziale in cui il potere esecutivo è nelle mani del sindaco; il sindaco è eletto in maniera diretta dal popolo ed inoltre è il sindaco stesso che deve nominare gli assessori e i dirigenti ed eventualmente revocarli. I sistemi di comando sono rimasti però quelli caratteristici di un sistema di tipo puramente parlamentare, in cui moltissime decisioni sono prese dalla giunta e non dal sindaco o dagli assessori, ed in cui non c’è correlazione tra assessorato e settore. In pratica si manifesta una sorta di incoerenza poiché da un lato la legge 81/93 presenta un sistema dove il sindaco è eletto dal popolo e a sua volta nomina automaticamente assessori e figure dirigenziali, dall’altro lato c’è un sistema di governo non trasparente in cui la responsabilità individuale si dissolve in un sistema di decisioni che predilige caratteristiche collegiali rispetto a decisioni individuali. Per poter uscire da una situazione di questo tipo occorre sia far coincidere gli assessorati con gli uffici di dimensione più grande, sia definire le mansioni decisionali in maniera tale che alla giunta spettino solamente decisioni attinenti al coordinamento e alla determinazione degli indirizzi comuni. Relativamente al coordinamento dell’azione dell’ente locale, è da notare che seppure la quasi totalità delle decisioni vengono prese dalla giunta, in realtà l’azione dell’apparato comunale è molto disorganizzata. Ciò dipende dal fatto che la maggior parte dei progetti di delibera arrivano in giunta in maniera inadeguata e gli assessori non hanno una conoscenza approfondita dell’oggetto delle delibere che introducono. Con l’attivazione della pratica delle

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“determinazioni”dei dirigenti, non c'è nessun momento di coordinamento nel quale tutte le determinazioni possano essere comparate. Per far fronte a questo rischio di scoordinamento può essere utile innescare alcuni meccanismi come: convertire la segreteria in “ufficio di direzione”, divulgare tra tutti gli assessori e dirigenti, elenchi delle delibere di gestazione, di delibere approvate e anche di determinazioni adottate ed in gestazione e lo stesso anche per le ordinanze. E’ inoltre opportuno ottimizzare in qualche modo la procedura di formazione delle delibere ed eventualmente dare vita ad ulteriori strumenti di governo.

Per esempio mediante la trasformazione della segreteria in “ufficio direzione”, in termini di procedure tale ufficio dovrà farsi carico di gestire l’iter di formazione delle delibere, di garantire un adeguato coordinamento tra le varie articolazioni della macchina comunale e monitorare lo svolgimento delle attività ed il rispetto dei piani di lavoro, sostenendo anche lo sviluppo organizzativo e delle risorse umane.

Nel caso di una conduzione di tipo unicamente collegiale, questa struttura di raccordo dovrà disporsi allo stesso livello degli uffici e indirizzare i flussi comunicazionali tra gli uffici e l’esecutivo.

Nel caso di una gestione di tipo “ministeriale” tale struttura dovrà porsi come occasione di raccordo dell’attività degli assessori e dovrà servire da supporto agli assessori stessi. Nel caso di un contesto intermedio tra quello di tipo collegiale e quello di tipo ministeriale, questa struttura dovrà avere un riferimento in uno o due membri ben precisi della giunta. Per potersi addossare queste funzioni, a tale ufficio dovranno fare capo i seguenti gruppi operativi: sviluppo delle risorse umane, controller,organizzazione,auditing e sviluppo informatico.

La legge 127/97 disciplina che solamente i comuni con numero di abitanti superiore a 15.000, possano equipaggiarsi di un direttore generale. Al di là del fatto che il direttore generale non coincide con il responsabile dell’ufficio di

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direzione, rimane il fatto che secondo l’articolo 6 della Carta europea riguardante l’autonomia locale, gli enti locali sono totalmente autonomi per quanto concerne il loro coordinamento interno. Le disposizioni di questa carta sono parte indispensabile dell’ordinamento giuridico italiano, nel cui ambito rivestono una posizione di predominio rispetto alla legge ordinaria visto che sono collegate ad un trattato internazionale.

Per quanto concerne la descrizione professionale ed attitudinale del candidato adatto a dirigere l’ufficio di direzione, si deve fare riferimento alle mansioni che ci si aspetta siano svolte da questo responsabile.

In effetti questa figura dovrebbe svolgere una funzione di top management nei confronti dei dirigenti comunali.

Dunque i dirigenti comunali si dedicano di attività molto differenziate: si va dalla pianificazione del commercio e dell’urbanistica alla produzione e erogazione di acqua potabile, alla conduzione di asili nido, ai lavori pubblici, all’assistenza sociale, etc. Il primo requisito, tra l’attitudinale ed il professionale, che il soggetto candidato deve avere è quello di essere addestrato ad affrontare e condurre con successo situazioni molto complicate in cui c’è la necessità di trarre il mix più consono delle varie risorse ( umane ,finanziarie e tecnologiche), cercando di ridurre il più possibile sia i costi di produzione sia i tempi di realizzazione. Quindi è opportuno cercare un soggetto munito di grandi capacità di sintesi. E’ comunque necessario che il soggetto, dopo una specifica formazione e dopo esperienze professionali effettuate in precedenza, abbia la padronanza della tecnica di reporting e degli strumenti del controllo di gestione, che a differenza di un contesto aziendale, devono essere impiegati in una molteplicità di situazioni produttive in cui esplicano la propria azione le amministrazioni comunali; per ogni comparto di intervento devono essere determinati e monitorati indicatori di qualità e di efficienza che consentano interventi in tempo reale sul sistema di produzione dei servizi stessi. Accanto a

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queste tecniche di natura gestionale sono obbligatorie competenze di carattere organizzativo in ambito di analisi delle procedure, di automazione del lavoro d’ufficio, di utilizzo adeguato delle risorse umane.

Solamente la concomitanza di tutte le caratteristiche elencate permette di potenziare al massimo le capacità di analisi e di propositività che sono necessarie per tale figura.

Bisogna chiedersi se sia conveniente che il responsabile di quest’ufficio di direzione giunga dal pubblico impiego o dall’impresa privata.

Nel caso in cui il responsabile dell’ufficio di direzione provenga dall’ente pubblico, esso avrà il vantaggio di avere già una certa dimestichezza con la cultura dell’ente pubblico; sarà al corrente dei meccanismi finanziari di esso, e soprattutto, sarà avvezzo al fatto che all’interno dell’ente pubblico tutto deve muoversi secondo una via formale, soprattutto gli strumenti gerarchici non sono strumenti informali come nell’impresa di tipo privato. Sarà in grado quindi di decifrare in comportamenti conformi con la cultura amministrativa le sue scelte strategiche. Un’aspetto negativo sarà rappresentato dal fatto che esso non è abituato a ragionare secondo obiettivi ma secondo uno schema di legittimità o meno rispetto alla legge.

Nel caso in cui il responsabile dell’ufficio di direzione provenga dall’impresa privata, un vantaggio può essere l’abitudine a ragionare per obiettivi, a domandarsi prima di tutto quale sia il problema e che cosa sia necessario fare per risolverlo. Tra gli svantaggi ci sarà soprattutto la difficoltà a trasferire il suo piano strategico in atti amministrativi.

La soluzione ideale sarebbe quella di avere a disposizione un soggetto che abbia sviluppato una rilevante esperienza sia in ambito pubblico che privato. Nel caso che un candidato simile non sia disponibile, ne occorrerà uno che pur arrivando

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da una esperienza esclusiva possegga la capacità di adattarsi velocemente alle competenze della posizione.

La figura del direttore generale , ancor prima della pubblicazione della legge 127/97, era già stata diffusa nei comuni di diverse dimensioni e collocazione geografica, grazie alla legge 142/90 la quale autorizzava l’assunzione di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione mediante contratto a tempo determinato di diritto privato.

La legge 127/97 invece ha avviato ufficialmente nella normativa dei comuni e delle province la figura del direttore generale , il quale potrà essere ingaggiato al di fuori della dotazione organica e mediante contratto a tempo determinato la cui durata non potrà andare oltre quello del mandato del sindaco o del presidente della provincia.

In altre parole il direttore generale, che si occupa della gestione dell’ente cercando di raggiungere livelli ottimali di efficacia e di efficienza, ha l’incarico di predisporre la proposta di Peg e, in seguito all’approvazione della giunta e la contemporanea assegnazione ai dirigenti, di seguirne la realizzazione da parte dei dirigenti nel corso dell’esercizio. In questa maniera l’organizzazione dei dirigenti è volta alla completa realizzazione degli obiettivi formulati dalla giunta e formalizzati nel bilancio di previsione e nel Peg.

La disfunzioni che normalmente si evidenziano nella gestione del personale negli enti locali si misurano con una assenza di orientamento agli obiettivi, una gestione fatta quasi giorno per giorno, confusione fra profili e mansioni e una concezione legalista e giuridica delle funzioni, mancando assolutamente una gestione di tipo manageriale. Per cui diventano fondamentali, nella politica del personale:A) l’analisi e la programmazione dei fabbisogni di personale, individuando correttamente le professionalità di cui l’ente locale abbisogna per far fronte ai compiti istituzionali affidati dalla normativa; B) la programmazione

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economica e l’uso di meccanismi incentivanti; C) la formazione programmata del personale per una più efficace gestione delle competenze e dei profili professionali.

Poiché i compiti dell’ente locale hanno assunto col trascorrere del tempo connotazioni radicalmente modificate, la gestione strategica delle risorse umane impone di adeguare tali risorse alle nuove funzioni dell’ente stesso, quindi anche diversificando le professionalità in funzione dei compiti assegnati dalla normativa e in funzione della strategia di sviluppo di cui ogni ente deve dotarsi. Pertanto è determinante che l’ente adotti con delibera di giunta il quadro dei nuovi profili professionali a cui dovrà seguire la dotazione delle professionalità previste dai nuovi profili atrraverso la riqualificazione del personale esistente, la assunzione di nuove professionalità ex novo, la programmazione del turn-over in modo da graduare la sostituzione di chi lascia l’ente con personale nuovo dotato di professionalità adeguate. Ad esempio tra le professionalità ex-novo , figure di rilievo assumono l’esperto in controllo di gestione e come pure l’analista di organizzazione. Il tutto, attraverso il metodo della valutazione dei carichi di lavoro relativi, applicato diffusamente nelle grandi aziende private altamente tecnologiche e che poi confluisce in una eventuale revisione o adeguamento della pianta organica. Un criterio legato all’incremento della produttività delle risorse umane presenti nell’ente è quello dell’applicazione di meccanismi incentivanti che possono avere un effetto realmente dirompente e che permette di orientare con maggiore certezza il raggiungimento degli obiettivi strategici nella politica dell’ente.

Tali incentivi possono essere relativi alla posizione, che tende a mettere in competizione i dipendenti tra di loro per vedersi assegnate le posizioni più incentivanti, oppure incentivazioni del rendimento quantitativo parametrate agli obiettivi che l’ente si è posto e quindi commisurando il premio secondo il grado di raggiungimento dell’obiettivo, oppure incentivazione del rendimento di tipo

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quantitativo legato alla qualità del lavoro svolto e alla qualità del risultato raggiunto.

Altre forme di produttività sono rappresentate dai cosiddetti progetti obiettivo su obiettivi particolari individuati dall’ente e che esulano normalmente dai compiti istituzionali dell’ente stesso e dell’ufficio.

La strategia della formazione rimane uno strumento indispensabile e necessario per garantire e migliorare il rendimento della funzionalità degli enti pubblici locali e quindi della efficacia e professionalità resa alla comunità amministrata. Considerando i cambiamenti repentini e continui che si susseguono in tutti i livelli della società civile, dei mercati, dei prodotti, il capitale umano di cui dispone l’ente deve essere in grado di rispondere con un grado di preparazione sempre più adeguata.

Quindi è esenziale per una formazione , usufruire delle varie iniziative nel campo dell’aggiornamento; quindi partecipare a corsi o convegni che affrontino problematiche legate alle nuove normative.

Quindi si può dire che la formazione continua può essere programmata e per fare ciò occorre: esaminare in modo attento e puntuale i bisogni formativi e fissare gli obiettivi che si intendono conseguire con l’azione formativa; trasporre l’analisi dei bisogni e gli obiettivi formativi in un programma formativo; dare una valutazione al risultato dell’azione formativa.

Per quanto riguarda la valutazione dei bisogni formativi, essi possono avere tre tipi di derivazione:

1. esigenza di conformare le risorse umane a fronte di un cambiamento di strategia dell’ente da cui scaturisce un mutamento dei profili professionali;

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2. inadeguato grado di efficienza dell’ente dovuto o a capacità conoscitive non adeguate o a competenze non all’altezza o a comportamenti inidonei delle risorse umane;

3. esigenza di tenere aggiornate le proprie risorse umane in ordine : alle evoluzioni riguardanti lo scenario politico-economico, alle conoscenze, alle professionalità, agli atteggiamenti.

Per quanto concerne il passaggio dall’identificazione dei bisogni al piano formativo, è opportuno determinare quali sono gli obiettivi che ci si propone con l’intervento formativo, i quali possono riguardare sia conoscenze che abilità. Successivamente ci si dovrà chiedere come questi risultati possono essere raggiunti, per esempio: organizzando dei corsi internamente all’ente; mettendo in condizione i soggetti interessati, di poter partecipare a corsi messi a disposizione da organizzazioni che svolgono un ruolo importante nel campo della formazione; oppure anche associandosi ad altri enti per organizzare corsi personalizzati con indubbi vantaggi dovuti alla condivisione dei costi di formazione. Riguardo alla valutazione dei risultati della formazione, è opportuno analizzare, al termine di ogni intervento formativo, l’impatto dello stesso. Questa valutazione deve essere effettuata in due periodi differenti: subito dopo l’intervento (si deve verificare se i vari soggetti hanno assimilato le conoscenze, le abilità e i comportamenti desiderati, mediante test di verifica) ; e alcuni mesi dopo l’intervento (in cui si deve verificare se il livello di rendimento dell’ente è stato incrementato oppure no).

1.8 Vincoli riguardanti le attività da svolgere a favore della cittadinanza L’ente locale è appellato a svolgere svariate attività di servizio a favore dei cittadini. Poiché le sue risorse non sono destinate a durare per sempre, i suoi organi decisionali sono obbligati ad effettuare alcune scelte. Esse riguardano sia

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le tipologie di servizi che l’ente locale è in grado di offrire, sia le modalità di gestione tra i diversi servizi pubblici.

Le scelte da attuare però non sono libere, esse sono vincolate da fattori diversa natura:

-normativi: poiché il comune è tenuto a svolgere alcuni servizi, considerati fondamentali come l’attività di smaltimento dei rifiuti urbani, inoltre gli obblighi normativi provenienti dall’unione europea, hanno come conseguenza quella di aprire le attività economiche alla concorrenza, con effetti sulla determinazione delle possibili forme di gestione di questi servizi;

-economico-sociali: poiché tra i vari servizi alcuni sono essenziali per la conservazione della comunità locale; e altri possono essere punti di riferimento necessari per la conduzione di attività economiche o cause di sviluppo economico dell’ente locale e della relativa comunità; le attività di somministrazione di pubblici servizi sono quasi sempre anche attività fornitrici d’impiego;

- organizzativo-gestionali: visto che non tutte le modalità di gestione dei servizi pubblici locali si equivalgono sia per quanto riguarda l’aspetto dei costi di gestione del servizio, sia relativamente al tipo e alla qualità delle prestazioni fornite alla comunità;

-tecnici: infatti alcuni servizi essenziali come l’acquedotto, distribuzione di gas, di energia elettrica, le fognature sono classici servizi a rete;

-storici: infatti alcune attività erano state ingerite dall’ente locale in una situazione storico economica diversa (ex. farmacie comunali);

-politici: oggi si parla sempre più spesso di privatizzazione delle attività economiche di tipo pubblico e questa tendenza è giustificata sia con la necessità

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di trovare risorse volte a coprire il debito pubblico, sia con l’idea che le mancanze e disfunzioni dei servizi pubblici potrebbero essere risolte se fossero amministrate sulla base dei modelli delle aziende private.

L’orientamento normativo ormai predominante anche a livello europeo che indica la necessità di aprirsi alla concorrenza e al confronto con il mercato induce anche gli enti e le istituzioni a trovare forme di trasformazione nella gestione dei servizi preparandosi ad operare sul mercato con strumenti moderni e partecipati. 1.9 Confusione a livello concettuale tra funzioni pubbliche e servizi pubblici Queste operazioni sono diventate ormai quasi una azione costante nella scelta dei gestori dei servizi di pubblica autorità locali, in buona parte costretti dalle stesse norme europee in materia di pubblici servizi.

In questo ambito è necessario evitare alcune confusioni concettuali che alimentano attualmente il dibattito sui servizi pubblici locali, come ad esempio la confusione concettuale tra pubbliche funzioni e pubblici servizi che può portare a delegare a privati la gestione di attività che costituiscono invece una tipica espressione della potestà pubblica cioè di quelle attività per le quali era scaturita la necessità di costituire un pubblico potere: ad esempio il potere di riscuotere le tasse in cui, mentre spetta alla pubblica autorità competente tale compito, nella realtà si crea la figura del concessionario delle imposte.

Tale confusione porta anche a delegittimare l’ente pubblico in quanto non si capisce più la sua ragione di essere e inoltre risulta pericoloso perché affidarsi ad un soggetto privato non sono assicurate le stesse garanzie di un potere esercitato dall’ente pubblico che è regolamentato da principi di correttezza e legalità nell’azione amministrativa, come ad esempio la trasparenza, o la gestione delle sanzioni penali.

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Ma anche attività più tipiche di servizio pubblico sono storicamente attività di prestazione a favore della collettività e quindi considerati più esclusive della funzione pubblica come ad esempio i servizi erogati per le infrastrutture (fognature ,strade) trasporti scolastici , la estensione del servizio idrico, gas , o le nuove tecnologie legate alla telecomunicazione.

1.10 Confusione tra efficienza e modello privatistico

Un'altra confusione può determinarsi tra la valutazione dell’efficienza e il riferimento al modello privatistico in cui anche le varie normative hanno spinto gli enti a cercare modelli di gestione dei servizin pubblici locali con forme diverse, prima, dell’azienda speciale, in seguito con una prevalenza per la S.p.a , diffusa nel sistema privato e dove recentemente si è confermata la tendenza in quanto l’ente pubblico partecipa anche in forma minoritaria salvaguardando il più possibile il profilo di servizio pubblico.

Queste forme di partecipazione recentemente divenute ormai strumento di prassi dell’ente pubblico, nell’erogazione dei servizi pubblici, non deve confondere la capacità di controllo dell’efficacia e della qualità dei servizi con la proprietà delle imprese di erogazione, e quindi è assolutamente necessario mantenere e organizzare forme di controllo rigoroso a scadenze programmate sull’azienda erogatrice del servizio, anche prevedendo poteri di sanzione in caso di violazione degli obblighi contrattuali stabiliti a difesa degli interessi della comunità.

Una confusione ulteriore può derivare dalla convinzione dell’ente locale che adottando forme societarie di diritto privato, possa attirare più facilmente gli investimenti privati, mentre invece chi ha disponibilità da investire, non guarda tanto alla forma societaria , ma al fatto che tali attività di servizio pubblico locale presenti dati economici di interesse e prospettive di sviluppo economico

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redditizie; come del resto anche per quanto attiene agli eventuali utili, frequentemente l’ente pubblico parte dal principio che tali utili saranno reinvestiti nell’azienda, mentre nel privato non è necessariamente la regola corrente in quanto gli azionisti privati intendono vedersi attribuita una rendita per il loro investimento.

Le normative europee in un concetto ampio di governo delle comunità locali ha inteso non tanto stabilire il concetto di proprietà nella gestione dei servizi pubblici, se affidata al pubblico o al privato, quanto nel ricercare e migliorare la competitività all’interno della dimensione europea del mercato, aprendo tali servizi a regole di concorrenza e di liberalizzazione per ottenere miglioramento nella qualità dei servizi, nel promuovere l’innovazione, nel ribassare prezzi e tariffe, anche beneficiandone in creazione di nuovi posti di lavoro con beneficio complessivo a favore del consumatore utente.

Per cui sempre più , in questo ambito sono state adottate norme comuni dal governo europeo fino a estendersi anche su aspetti di tutela della qualità delle acque , di gestione dei rifiuti, e degli imballaggi ed altro con poteri di controllo sul rispetto delle norme comunitarie da parte di tutti gli stati membri e di tutte le loro comunità locali.

Nel principio di libera concorrenza nel dettato europeo, il presupposto è la chiara distinzione fra ciò che compete nell’esercizio della pubblica autorità e ciò che concerne le prestazioni di servizi e relative attività economiche conseguenti; come prerogativa che rimane tipica nell’esercizio del potere pubblico sono, ad esempio, la giustizia, i compiti di sicurezza, i servizi di polizia.

Nelle attività di servizio pubblico considerate prestazioni di servizi e di natura economica, ai fini del principio di libera concorrenza che deve animare i rapporti tra pubblico e privato, devono prevalere il principio della trasparenza dei conti

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delle aziende pubbliche e l’obbligo di attuare procedure di evidenza pubblica quando si vanno ad affidare pubblici servizi.

La rilevanza dei pubblici servizi quali componenti essenziali per la costituzione del modello europeo di società ha prodotto principi-guida anche relativamente agli obblighi nei confronti dell’utenza di un pubblico servizio come la qualità e la continuità dell’erogazione del servizio stesso e l’uguaglianza nell’accesso a tali servizi da parte di tutti gli aventi diritto; obblighi che hanno poi prodotto l’affermazione della carta dei pubblici servizi e ulteriori norme di tutela dei consumatori o di tutela dell’ambiente, obblighi tali che siano garantiti i diritti dei consumatori quali il diritto di qualità di beni e servizi, alla trasparenza ed equità nella stipula dei contratti relativi, secondo standard di qualità e di efficienza per l’erogazione dei servizi stessi.

Anche quindi in materia di tutela dei consumatori, ove esista contrasto tra le norme nazionali e il diritto comunitario, gli enti locali hanno il potere-dovere di privilegiare la norma comunitaria, qualunque sia la forma giuridica (pubblica o privata) scelta per la gestione del pubblico servizio.

Su emanazione di tali normative, in Italia le forme di gestione si sono sviluppate in due categorie:

-attraverso una gestione diretta dei servizi ,in economia dell’ente;

-attraverso una gestione esternalizzata che può essere tramite azienda speciale, o in convenzione con altri comuni,o tramite consorzi, o tramite S.p.a. o s.r.l. a capitale misto, o mediante concessione a privato, oppure, per quanto attiene prevalentemente ai servizi sociali, è previsto anche il modello dell’istituzione. La scelta del tipo di gestione è sempre adottata dall’ente con delibera di consiglio comunale che deve riferirsi sempre ad una analisi tecnico- economica e ad un progetto di massima con previsione del risultato economico che deve essere in

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equilibrio, i mezzi di finanziamento, il costo delle opere di impianto il regolamento tecnico e amministrativo per la gestione del servizio.

Il criterio di scelta per una gestione in economia viene adottato quando tali servizi sono di modeste dimensioni e quindi non è ritenuto opportuno costituire una istituzione o un’azienda, cosa peraltro che prevale nella maggior parte degli enti locali sul territorio italiano.

In contrapposizione si pone il problema di disporre di risorse umane specializzate per la gestione di tali servizi che molte volte non sono presenti nell’ente locale. Tuttavia tale forma di gestione diretta in economia si realizza con l’assegnazione di un budget e di obiettivi ad un dirigente in modo che attraverso le determinazioni dirigenziali anche le decisioni vengono prese in modo tempestivo e adeguato alle necessità della gestione, con trasparenza anche dei costi di gestione del servizio.

Nel caso della esternalizzazione della gestione si evidenzia un costo delle risorse umane superiore al costo del dipendente dell’ente locale e una perdita di controllo da parte dell’ente istituzionale che aveva l’esclusività del servizo per emanazione diretta della volontà politica dei cittadini per cui l’ente dovrà comunque mettere in atto un attività di monitoraggio della gestione nella forma adottata.

Una tipologia del serviziop esternalizzato è quella dell’azienda speciale prevista dalla legge 142/90 come trasformazione delle aziende “municipalizzate”.

La differenza tra l’azienda speciale e le precedenti municipalizzate consta essenzialmente nell’attribuire alle aziende speciali una personalità giuridica diversa da quella dell’ente da cui sono emanate.

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L’azienda speciale è comunque prevista per l’eserczio di attività economiche e non per l’erogazione di servizi sociali per i quali è prevista la forma giuridica di istituzione.

L’azienda speciale acquisisce personalità giuridica a seguito di iscrizione alla camera di commercio, le nomine per le cariche sociali sono fatte dal sindaco dietro convalida del consiglio comunale e le cariche durano quanto il mandato del sindaco.

I programmi di gestione operativa, i bilanci di previsione pluriennali e annuali, il conto consuntivo e il bilancio di esercizio dell’azienda speciale devono essere approvati espressamente dal comune attraverso una serie di atti fondamentali che regolano tali rapporti.

Il problema principale delle aziende speciali, come per le precedenti municipalizzate consiste nel fatto che il comune di appartenenza è tenuto a ripianare i deficit di bilancio e quindi rimane sempre garante verso i terzi per l’attività esercitata dall’azienda speciale, rimanendo comunque fuori sia dalla gestione che dall’attività dell’azienda essendo tale azienda un soggetto giuridicamente autonomo, per cui risulta determinante affidarsi ad un contratto di servizio ben calibrato che non possa dar luogo a contestazioni e tale che l’azienda erogatrice dei servizi possa essere chiamata a rispondere anche economicamente delle carenze gestionali.

In questo ambito è importante anche il contratto del top management in modo che in caso di obiettivi non raggiunti preveda la rescissione automatica del rapporto.

Un'altra forma di esternalizzazione è quella che prevede la possibilità a comuni diversi di convenzionarsi per svolgere dunzioni e servizi in modo coordinato. Nelle forme più diffuse uno dei comuni fornisce il servizio e gli altri lo pagano.

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In questo caso deve essere garantita l’unicità della erogazione del servizio e della responsabilità dell’erogazione del servizio.

Una forma diffusa di esternalizzazione è rappresentata dalla facoltà degli enti locali di costituire dei consorzi per la gestione associata di servizi; in questo caso gli enti locali stipulano una convenzione che individua in modo esplicito i fini del consorzio, la durata, gli obblighi, le garanzie, le nomine e le competenze oltre le quote di partecipazione degli enti aderenti al consorzio.

Anche nel consorzio oltre alla definizione degli organi gestionali, sono determinanti il contratto di servizio e il contratto di lavoro del top management. Quando, per la estensione del territorio su cui deve essere gestito il servizio o per la natura stessa del servizio sia opportuno coinvolgere piu soggetti pubblici o privati, si ricorre ad utilizzare una delle forme societarie previste dal diritto privato (srl o S.p.a.) con il risultato di una maggiore dinamica imprenditoriale e anche della possibilità di far confluire più facilmente risorse tecniche e finanziarie dalla componente privata.

Questi modelli societari sono venuti recentemente sempre più in uso nella amministrazione pubblica anche per realizzare opere ed infrastrutture di interesse pubblico e dove la presenza dell’ente si presenta alternativamente sia in partecipazione maggioritaria che minoritaria, in funzione delle risorse e degli obiettivi, come pure è invalsa per l’ente la possibilità di partecipare a società già presenti sul mercato.

E’ anche prevista la trasformazione dell’azienda speciale in S.p.a o in srl che tra l’altro comporta vantaggi fiscali in quanto come l’esonero da tassazione dei conferimenti di beni mobili e immobili fatti dall’ente a favore delle società partecipate. Anche l’affidamento del servizio viene fatto in modo diretto, senza procedure di evidenza pubblica, per cui la società partecipata dall’ente si trova in

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una posizione privilegiata rispetto ad altri potenziali operatori del mercato, mentre invece la ricerca del partner privato deve essere fatta con procedure di evidenza pubblica.

L’ente pubblico tuttavia, nell’affidarsi in partecipazione a tali modelli societari, non deve sottovalutare che, se da una parte sembra raggiunto l’obiettivo dell’apporto, con la propria presenza, del fine di interesse pubblico, dall’altra deve tenere conto che il fine primo di una società di diritto privato è il raggiungimento del profitto e, in caso di insolvenza della società, se la partecipazione dell'ente risulta maggioritaria, deve rispondere anche dei disavanzi di gestione oltre alla responsabilità che compete agli addetti ai posti di comando nella gestione.

Inoltre , può verificarsi anche, nel caso la società vada a quotare in borsa, che le azioni passino di mano ad altri soci, rispetto ala scelta iniziale che era stata fatta con procedura pubblica.

Un altra forma di esternalizzazione dei servizi è rappresentata dalla forma di concessione al privato attraverso una procedura di appalto pubblico come richiede la normativa comunitaria europea ad esempio nei settori energia acqua-luce-gas-trasporti-telecomunicazioni.

Al vincitore della gara di appalto, viene affidato il servizio atteraverso un contratto di concessione con clausole ben dettagliate a tutela dell'ente e dell'utenza di quel servizio visto che il contratto dovrà prevedere una lunga durata, tale da permettere gli investimenti necessari per gli obiettivi prefissati. In questo campo talvolta esiste molta confusione di ruoli,quando ad esempio l'ente affida in concessione un servizio (per esempio lettura dei contatori dell'acqua e riscossione delle bollette) che fa assumere ad un terzo la potestà di

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riscossione di un credito, quando l'utente debitore è anche creditore dell'ente erogatore del servizio stesso.

Una forma di esternalizzazione particolare è rappresentata dalla istituzione, riservata solo per l'esercizio di servizi sociali che non comportano rilevanza di tipo imprenditoriale.

Essa prevede autonomia gestionale, senza personalità giuridica propria, con personale dipendente a contratto pubblico locale, con il vantaggio di avere una migliore individuazione dei costi gestionali rispetto al mantenimento di una gestione dentro l'ente.

Alla luce di queste considerazioni , risulta prima di tutto necessario per l'ente locale avere una conoscenza precisa dei costi dei servizi che esso si prefissa di somministrare sia in modo diretto, che in modo indiretto.

Per fare una valutazione attenta riguardo alla possibilità di esternalizzare un servizio, è necessario prima avere una panoramica relativamente al costo del servizio gestito in economia . Per arrivare ad una determinazione dell'entità di costo dell'esternalizzazione, occorre anche considerare sia l'eventuale perdita in termini di posti di lavoro all'interno dell'ente locale, sia le risorse per le infrastrutture dell'ente che rimangono inutilizzate in virtù dell'esternalizzazione, ed inoltre non si deve dimenticare la svalutazione legata al non utilizzo dei materiali. Tra le componenti di costo delle esternalizzazioni , è necessario anche annoverare quelle legate ala creazione di forme giuridiche ben precise ( Spa, srl, consorzio); queste componenti per lo più sono di tipo fisso e quindi non indifferenti da sostenere.Inoltre questi organismi che si vengono a creare sono caratterizzati da una forte rigidità determinata da processi decisionali molto complicati.Quindi in questi casi risulta molto più semplice optare per altre forme di esternalizzazione come la convenzione o l'appalto.

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CAPITOLO 2 La dirigenza all’interno degli enti locali 2.1 Nascita di una nuova figura: il dirigente locale

L’atto ufficiale di nascita di una struttura dirigenziale nelle autonomie locali può essere identificato nel decreto che recepiva il primo accordo nazionale di lavoro stipulato in epoca successiva alla “legge quadro” riguardante pubblico impiego:il D.P.R 25 giugno 1983,347.

Tale provvedimento segnava l’introduzione negli enti locali della funzione dirigenziale,finalizzata ad “concretizzare i programmi di sviluppo economico e sociale sula base degli indirizzi politico-amministrativi elaborati dai competenti organi istituzionali. Il settore delle autonomie locali è stato negli anni seguenti al centro di numerose sperimentazioni mirate all’introduzione di una riforma di ampio respiro,successivamente trasposta in via generale nel corpo delle pubbliche amministrazioni. La legge 8 giugno 1990,n.142,oltre a riscrivere l’ordinamento che fino a quel momento era regolato dai Testi Unici del 1915 e del 1934,fissa una svolta anche nella riforme riguardanti la dirigenza locale,con l’introduzione di nuove regole per la definizione dei rapporti tra politica e gestione.

Attraverso l’articolo 51 di questa legge il legislatore introduce nell’ordinamento italiano il principio di distinzione tra funzioni di indirizzo,attribuite agli organi politici,e funzioni di gestione amministrativa,riservate invece ad un corpo burocratico di funzionari,che sarà pilastro fondamentale e immutabile di una serie di interventi che modificherà profondamente,negli anni 90,l’aspetto della pubblica amministrazione.

Il disegno di fondo è quello di minimizzare ,almeno a livello normativo,il problema dell’ingerenza del potere politico nella gestione amministrativa ,grazie alla creazione di sfere separate di attribuzioni:è di competenza del

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politico quindi la fissazione degli obiettivi,degli indirizzi e dei programmi,e la scelta sulle strategie da adottare;al dirigente compete la realizzazione dell’indirizzo e il conseguimento degli obiettivi prefissati,con relativa assegnazione dei mezzi necessari e della responsabilità in caso di mancato raggiungimento degli stessi.

L’attribuzione del potere di manifestare all’esterno la volontà dell’ente introduce l’istituzione di un nuovo ruolo del dirigente locale,che nel sistema delineato dalla legge 142/1990 diviene organo tecnico-burocratrico dell’ente di pertinenza.

In seguito,con ulteriori di provvedimenti ,il legislatore ha cercato di dare soluzione ai problemi sorti in fasi di applicazione della norma,attribuibili non solo alla sua formulazione ,ma anche alla resistenza delle amministrazioni locali in sede di effettivo conferimento ai dirigenti dei rilevanti compiti gestionali.

Già con la riforma della contabilità degli enti locali territoriali, 25 febbraio 1995,n.77,il legislatore concretizza le enunciazioni in tema di responsabilità dirigenziale,ponendo le basi per l’instaurazione di un amministrazione per obiettivi e processi, fondata sulla logica della programmazione e basata sull’introduzione di un duplice sistema di controlli,di gestione e sulla gestione.

La legge 15 maggio 1997, n.127 ha quindi chiarito in modo netto e potenziato le competenze dirigenziali, tramite un’enunciazione generale circa l’attribuzione di tutti i poteri gestionali e la previsione di compiti specifici. Essa ha inoltre ribadito l’applicazione del principio di distinzione anche agli enti di minori dimensioni ,privi di personale dirigenziale.

Riferimenti

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445 del 28 dicembre 2000, sottoscritte dal titolare/legale rappresentante e dal personale tecnico del Centro, di impegno alla riservatezza (cfr. 10 agosto 2007). |__|

ai sensi del D.M. provveda a svolgere l'esame istruttorio preventivo e a inviare la presente istanza, completa della documentazione, al Ministero dello Sviluppo Economico –

provveda a svolgere l'esame istruttorio preventivo e a inviare la presente istanza, completa della documentazione, al Ministero dello Sviluppo Economico – Direzione Generale

Il/la sottoscritto/a………nato/a……….. titolare/legale rappresentante della ditta... provveda a svolgere l'esame istruttorio preventivo e a inviare la presente istanza,

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