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Alfred Binet e le indagini sulle personalità multiple

Nel secolo XIX si verificò un cospicuo numero di casi pubblicati di personalità multiple, e sorse l’esigenza d’operare una discriminazione tra le varie forme cliniche in cui si manifestava il fenomeno. Lo psicologo sperimentale Binet descrisse i casi di depersonalizzazione come forme alleggerite e temporanee di personalità alternante. La classificazione più generale di tali disturbi era la seguente:

1. – Personalità multiple simultanee. Hanno caratteristiche distinte, ma sono capaci di manifestarsi insieme e contemporaneamente. Rientra in tale casistica il fenomeno della comparsa di ricordi d’una vita precedente in soggetti che, al contempo, mantengono chiara coscienza della propria identità e dell’ambiente circostante. Non si può parlare di sdoppiamento di personalità quando c’è solo la presenza concomitante di due centri d’attenzione o di due flussi di coscienza. In un caso effettivo di personalità multiple, ciascuna di esse ha la sensazione di vivere la propria individualità, da cui esclude l’altra (o le altre). Anche quando le due personalità si riconoscono reciprocamente, di solito una delle due è dominante.

2. – Personalità multiple successive. Possono essere mutuamente consapevoli oppure amnestiche. Il primo tipo è molto raro; nel secondo, l’una personalità ignora l’esistenza dell’altra. C’è poi un ultimo caso, il più frequente, quello delle personalità multiple successive amnestiche in una sola direzione, che si verifica quando soltanto una delle due personalità è consapevole dell’altra. Il celebre caso dell’isterica Félida costituisce un perfetto esempio di tale patologia. La donna era paziente di Eugène Azam, un professore di chirurgia che si occupava anche d’ipnosi. Egli tenne sotto osservazione la sua paziente, ad intervalli, dal 1858 al 1887, l’anno in cui riordinò e completò le proprie analisi, pubblicandole con una introduzione di Charcot.

Federica Adriano, Alienazione, nevrosi e follia: esiti della ricerca scientifica nella narrativa italiana tra Otto e Novecento, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali; Università degli Studi di Sassari

S’osservò che nella gran parte di questi casi la personalità secondaria era più libera e positiva, mentre la primaria era inibita e depressa. Sia Myers che Janet tendevano a ritenere che la personalità primaria fosse patologica, mentre la secondaria fosse un tentativo di ritorno all’originaria personalità sana, cioè alla condizione che aveva preceduto l’insorgere della malattia. 3. – Raggruppamenti di personalità. Nel corso del tempo, man mano che

procedevano gli studi, gli scienziati compresero che dalla psiche umana possono affiorare e differenziarsi interi gruppi di personalità secondarie. Pierre Janet fu uno dei primi promotori di esperimenti sistematici su alcuni dei suoi pazienti, i quali, posti sotto ipnosi, manifestavano delle sottopersonalità multiple.

Quanto alle cause di tali patologie, furono avanzate molteplici teorie. In principio emerse una querelle tra gli associazionisti, che sospettavano una perdita di connessione tra i due principali gruppi d’associazioni mentali, e gli organicisti, che ipotizzavano delle modificazioni organiche nel cervello. In seguito, verso la fine dell’Ottocento, gli scienziati formularono i concetti di fattore motivazionale, di regressione e progressione della personalità totale. A partire dal 1910 una parte della comunità scientifica espresse dubbi o nette reazioni contro la nozione di personalità multiple.67

Alfred Binet era uno psicologo empirista ed acquisì grande notorietà per le intuizioni sulla scomposizione della personalità e le prime ipotesi sull’inconscio, quale spazio inaccessibile della psiche. La sua diagnosi di un frazionamento dell’io collegato a casi di personalità successive o coesistenti riguardava i fenomeni isterici ed ipnotici: «On constate que chez un grand nombre de personnes, placées dans les conditions les plus diverses, l’unité normale de la conscience est brisée; il se produit plusieurs consciences distinctes, dont chacune peut avoir ses perceptions, sa mémoire et jusqu’à son caractère moral».68 Ne

consegue che, quando il fenomeno dello sdoppiamento si verifica nei soggetti “normali”, esso non produce una personalità secondaria vera e propria, ma un’attività psichica di cui la persona non ha piena coscienza; se pure, in certi casi,

67 Cfr. H.F. ELLENBERGER,La scoperta…, 153-167.

68 BINET,Les altérations…, VIII: ‘Si constata che in molte persone, poste nelle condizioni più diverse, l’unità normale della coscienza è frammentata; si producono molteplici coscienze distinte, ciascuna delle quali può avere le sue percezioni, la sua memoria e perfino il suo carattere morale’.

Federica Adriano, Alienazione, nevrosi e follia: esiti della ricerca scientifica nella narrativa italiana tra Otto e Novecento, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali; Università degli Studi di Sassari

può profilarsi un processo di disgregazione, questo non minaccia mai l’unitarietà complessiva della personalità sana, che è un dato certo, pur non avendo più il carattere monolitico che gli attribuiva la psicologia precedente: «L’unité de notre personnalité adulte et normale existe bien, et personne ne songerait à mettre sa réalité en doute; mais les faits pathologiques sont là qui prouvent que cette unité doit être cherchée dans la coordination des éléments qui la composent».69

Gli studiosi che influenzarono la formazione binetiana furono Taine e soprattutto Ribot, Charcot e Richet, e la sua fama è dovuta in modo particolare agli studi sull’isteria e l’ipnosi condotti alla Salpêtrière: La psychologie du

raisonnement, recherches sur l’hypnotisme (1886). Morto Charcot nel 1893, Binet

assunse la direzione del Laboratorio di psicologia fisiologica alla Sorbona, che, nel giro di poco tempo, divenne il centro della psicologia sperimentale francese. Nel 1894, con la collaborazione di Ribot e Benais, fondò la rivista “L’Année Psychologique”, che resta tuttora uno degli strumenti più utili della psicologia moderna. Grazie agli studi di Ribot, l’indagine sulla malattia diventava una strategia comparativa fra lo stato fisiologico normale e quello clinico-patologico, mentre l’approccio di Binet si concentrava sulla patologia mentale, rilevandone il decorso rispetto ad uno standard di normalità. Questi poneva l’unità della personalità in primo luogo nei processi della memoria, ma non escludeva l’ipotesi che fattori situati oltre i limiti della coscienza potessero svolgere una funzione unificatrice:

Tous les faits que nous avons étudiés tendent à montrer que la mémoire ou d’une façon plus générale la conscience est un facteur de la personnalité.

Est-ce le seul? Nous ne le croyons pas, et nous nous élevons, avec M. Ribot, contre les auteurs qui veulent faire de la mémoire le seul fondement de la personnalité. La preuve que cette opinion est exagérée, c’est que dans certaines conditions, une personne peut, tout en gardant la conscience et la mémoire de certains de ses états, les répudier, les considerer comme étrangers à sa personnalité. […]

Tout ceci montre qu’une seule mémoire peut embrasser différents états sans que ces états soient considérés par l’individu comme faisant partie d’une seule personnalité. Le jugement qui unifie ces états ne se produit pas. L’individu ne les reconnaît pas tous pour siens, il n’y retrouve pas la marque de sa personnalité. […] L’activité nerveuse de chacun de nous serait donc de deux espèces: l’une lumineuse, consciente d’elle-même; l’autre aveugle, dépourvue de conscience et réduite à des

69 BINET,Les altérations…, 316: ‘L’unità della nostra personalità adulta e normale esiste davvero, e nessuno si sognerebbe di mettere in dubbio la sua realtà; ma i fatti patologici stanno là a provare che questa unità deve essere cercata nella coordinazione degli elementi che la compongono’; la trad. è mia.

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changements matériels qui s’accompliraient dans les cellules et les fibres composant les centres nerveux. […] En un mot, il peut y avoir chez un même individu, pluralité de mémoires, pluralité de consciences, pluralité de personnalités; et chacune de ces mémoires, de ces consciences, de ces personnalités ne connaît que ce qui se passe sur son territoire. En de hors de notre conscience, il peut se produire en nous des pensées conscientes que nous ignorons; fixer la nature, l’importance, l’étendue de ces consciences nous paraît impossible pour le moment; il se peut que la conscience soit le privilège de certains de nos actes psychiques; il se peut aussi qu’elle soit partout dans notre organisme; il se peut même qu’elle accompagne toutes les manifestations de la vie.70

In On Double Consciousness Binet illustrò le analogie intercorrenti tra i sintomi dell’isteria e dello sdoppiamento della personalità ed i fenomeni di spiritismo. In merito alle manifestazioni di scrittura automatica vi menzionava gli esperimenti di William James su individui cosiddetti normali durante pratiche di spiritismo: attraverso la scrittura automatica la seconda coscienza poteva esprimere le sensazioni percepite ed i pensieri spontaneamente combinati, senza interrompere la comunicazione tra le due coscienze. Tale fenomeno di sdoppiamento psichico, pertanto, era da ritenersi affine a quello che si produce nei casi di sonnambulismo e d’isteria, postulando una sostanziale similarità tra isterici, sonnambuli e medium.

70 BINET,Les altérations…, 321-23: «Tutti i fatti che abbiamo studiato tendono a mostrare che la memoria, o in guisa più generale la coscienza è un fattore della personalità. E’ il solo? Noi non lo crediamo, e ci leviamo, con il signor Ribot, contro gli autori che vogliono fare della memoria il solo fondamento della personalità. La prova che questa opinione è esagerata, è che in certe condizioni, una persona può, pur conservando la coscienza e la memoria d’alcuni dei suoi stati, ripudiarli, considerarli come estranei alla sua personalità. […] Tutto questo mostra che una sola memoria può abbracciare differenti stati senza che questi stati siano considerati dall’individuo come facenti parte d’una sola personalità. Il giudizio che unifica questi stati non si produce. L’individuo non li riconosce tutti per suoi, non vi ritrova il segno della sua personalità. […] L’attività nervosa di ciascuno di noi sarebbe dunque di due specie: l’una luminosa, cosciente di se stessa; l’altra cieca, sprovvista di coscienza e ridotta a dei cambiamenti materiali che si compirebbero nelle cellule e nelle fibre che compongono i centri nervosi. […] In una parola, si può avere entro uno stesso individuo una pluralità di memorie, una pluralità di coscienze, una pluralità di personalità; e ciascuna di queste memorie, di queste coscienze, di queste personalità non conosce che ciò che accade sul suo territorio. Al di fuori della nostra coscienza, possono prodursi in noi dei pensieri coscienti che noi ignoriamo; determinare la natura, l’importanza, l’estensione di queste coscienze ci pare impossibile per il momento; può darsi che la coscienza sia il privilegio d’alcuni dei nostri atti psichici; può darsi che essa sia dappertutto nel nostro organismo; può darsi pure che essa accompagni tutte le manifestazioni della vita».

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Capitolo II

La scienza psicologica e il romanzo del secondo Ottocento

II.1. Il naturalismo e il romanzo sperimentale

Il sereno orizzonte di certezze positive che percorre la cultura europea del secondo Ottocento trova espressione in Francia nella narrativa naturalista, la cui poetica si contraddistingue per la tendenza a codificare scientificamente le metodologie ed i contenuti dell’arte. Parecchi scrittori si dedicano alla informazione scientifica come ad una fase essenziale dell’attività creativa. Frequenti riferimenti al campo delle scienze naturali e sociali caratterizzano le pagine critiche di molti letterati.

Nella Prefazione alla Storia della letteratura inglese (1863), il francese Taine – trasferendo alla tecnica del romanzo i metodi d’indagine proprii delle scienze – condensa i principii del «determinismo», ossia del carattere non arbitrario e non libero del comportamento umano, quale effetto risultante da cause ben precise, come qualunque prodotto della natura. Probabilmente, Taine è stato il principale responsabile dell’utilizzo in letteratura del termine naturalismo, in linea con una concezione estetica che, intendendo l’opera letteraria come una

psychologie vivante, ne influenzava la definizione dei caratteri. Dato che il metodo

sperimentale è destinato a connettere la narrativa alla scienza, gode di notevole prestigio l’Introduzione allo studio della medicina sperimentale (1865) di Claude Bernard, che chiarisce l’importanza dell’osservazione dei fenomeni in rapporto alle condizioni in cui si manifestano. Tale indagine pionieristica, che pure aveva compenetrato lo spirito positivistico, maturava un distacco da esso e dai campioni del determinismo, sia quando accoglieva una incipiente nozione d’inconscio che quando negava l’opportunità che la ratio scientifica giungesse a soffocare integralmente l’aspirazione verso l’assoluto.

Il romanzo dei fratelli Goncourt Germinie Lacerteux (1864) costituisce la prima significativa traduzione di tali canoni. Incentrato su un caso d’isterismo, dedica una parte preminente all’osservazione fisiologica:

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Germinie non aveva una di quelle coscienze che si sottraggono alla sofferenza con l’abbrutimento e con quella rozza stupidità nella quale una donna vegeta, ingenuamente colpevole. In lei una sensibilità malata, una specie di eccitazione cerebrale, una disposizione d’animo a lavorare di continuo, ad agitarsi nella amarezza, l’inquietudine, il malcontento di se stessa, un senso morale che era quasi risorto in lei dopo ognuna delle sue cadute, tutte le doti di delicatezza, d’elezione e di sventura si univano per torturarla.1

Pochi anni più tardi Zola stesso definiva il suo Thérèse Raquin «un grande studio psicologico e fisiologico», confermando la validità teorica del Corso di

filosofia positiva del Comte (1842), secondo cui i fenomeni psichici, sia

individuali che sociali, sono sempre determinati da fattori fisiologici.

Il progetto del ciclo dei Rougon-Macquart di Zola si fonda sull’indagine dei caratteri che vanno a determinarsi sugli individui di una famiglia nel corso di cinque generazioni. Compare qui il concetto di race, una tara iniziale che condiziona l’intera discendenza, determinandone tutte le manifestazioni naturali, sulle quali esercita una potente influenza anche l’ambiente (milieu). Nei suoi saggi di critica letteraria Luigi Capuana concepiva il Naturalismo innanzitutto come un metodo d’analisi da condursi in chiave sia fisiologica che psicologica. Tuttavia, a suo giudizio, l’adesione a tali principii non comportava il necessario impiego dei temi e dei milieux socialmente degradati tipici del romanzo francese.

In Francia dominavano il dibattito scientifico Charcot ed i suoi esperimenti alla Salpetrière, ai quali assistevano anche i letterati. Di fronte ad una narrativa incentrata quasi esclusivamente sul dato oggettivo, come prescriveva la convinzione zoliana che la letteratura dovesse abbandonare qualunque rappresentazione astratta dell’uomo, il Capuana, e prima il De Roberto, ne suggerirono un’altra che teneva presenti i risultati della scienza, ma sapeva assecondare le esigenze della forma, grazie alla quale i dati scientifici venivano «messi a posto».2

1 E.G.DE GONCOURT, Le due vite di Germinie Lacerteux, trad. it. di O. Del Buono, Milano,

Rizzoli, 1951, 132.

2 L.CAPUANA, Gli «ismi» contemporanei: Verismo, Simbolismo, Idealismo, Cosmopolitismo ed altri saggi

di critica letteraria ed artistica, Catania, N. Giannotta, 1896, 55, 70. De Roberto aveva sostenuto

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La scienza sembrava ormai certa dell’esistenza di morbi trasmessi da una generazione all’altra, anche se ancora non si conoscevano le modalità di tale trasmissione. Nella recensione del 1878 a Une page d’amour di Zola, lo scrittore mineolo riassume le teorie scientifiche che il francese aveva premesso ai suoi volumi, ed aggiunge:

L’arte tende a […] rinnovellarsi per mezzo della osservazione diretta e coscienziosa. Il difficile sta nel mantenere la giustezza delle proporzioni fra gli elementi della scienza e quelli della fantasia, in guisa che la libera natura dell’arte non ne sia tarpata, e il processo della creazione artistica si sottometta a tutte le esigenze del metodo positivo.3

Inoltre afferma di voler accettare come essenziale la decisa volontà dello Zola di subordinare l’attività artistica alla nozione fisiologica di eredità naturale. Questo è il motivo costitutivo, appunto, dell’arte “realistica”, nel senso che “perfeziona” il reale, portando alle estreme conseguenze la sua logica interna: «nella vita reale la legge ereditaria spesso vien attraversata dall’accidente», mentre nell’arte «eliminando il cieco accidente, creando una serie di circostanze simili a quelle che in altri casi reali hanno prodotto questo o quel risultato, l’arte […] acquista un valore scientifico». Per Capuana lo studio della letteratura francese contemporanea è una necessità per chi voglia dare un orientamento a quella italiana; questo è il motivo per cui introduce il naturalismo francese in Italia. Nel decennio che va dal 1872 all’82, anno in cui pubblica la seconda serie degli Studi della letteratura contemporanea, egli ha un solo programma: studiare la letteratura contemporanea italiana e francese da un punto di vista scientifico, e in primo luogo analizzare quella realistica:

Una vera forma artistica indica una maniera di vedere e di sentire molto fuor del comune. Quando la forma ha una spiccata singolarità, vuol dire che questa proviene dal solido impasto dell’organismo. Si tratta di un fenomeno; […]. Un caso letterario equivale ad un bel caso patologico.

Questa formulazione rientra fra le applicazioni di un’estetica basata sulla perfetta analogia con le scienze fisiologiche, che Capuana aveva trovato anche in Zola: di qui discende la teoria dell’opera d’arte come un “caso patologico”, la quale tiene in considerazione non solo i dati fisiologici della materia narrata,

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ma anche le leggi e le condizioni espressive dell’opera stessa; il critico deve – scrive Capuana – ricostruire tutte le componenti di un’opera, senza escludere quella biografica e fisiologica. Egli credeva anche alla storicità del dato bio- fisiologico, in base alla quale lo stesso uomo è visto come il prodotto di accumulo degli strati fisici e psicologici lasciati dalle generazioni precedenti.4

In Italia si diffondeva tra differenti discipline un interesse crescente per il patologico, grazie al recupero del pensiero del Comte da parte di un medico come Tommasi e di un filosofo come Spaventa. Un gran numero di critici letterari, quando parlavano di psicopatologia, facevano immediato riferimento alle teorie lombrosiane relative all’interpretazione psicopatologica del genio; ne furono coinvolti celebri scrittori come Leopardi e Tasso, che molta critica classificava come neuropatici, epilettoidi, etc. Il mineolo privilegiava la manifestazione patologica come strumento d’indagine critica, poiché essa, con tutto ciò che comporta di sintomatologia e prassi terapeutica, consentiva sia al medico che al letterato d’osservare quelle parti del corpo e dell’animo normalmente celate. Così egli riprendeva il binomio critico/scienziato, e gli conferiva il compito di studiare l’opera tentando d’indagarne il meccanismo profondo.

La farmacopea del tempo prescriveva il cloralio per il trattamento delle patologie nervose. Allora la medicina affrontava con desolante scarsità di mezzi le varie forme di «frenosi», che la psichiatria aveva individuato tra lo stato “normale” e la pazzia vera e propria. Probabilmente per tale ragione, in un primo momento, i medici preferirono accontentarsi dell’osservazione, almeno per ciò che riguardava le malattie “nervose”; e grosso modo fin oltre gli anni ’80, neppure la narrativa che trattava di questo genere di disturbi impiegava un linguaggio medico specifico.

L’utilizzo della figura del medico e della sua ottica come filtro del racconto offriva allo scrittore naturalista sia l’opportunità di raggiungere la più compiuta oggettività espositiva, che quella di sfruttare un’ampia gamma di

4 «Grande ammiratore del romanziere, il Capuana fu ostile verso lo Zola teorico,