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Anche nel romanzo successivo, L’Innocente (1892), la struttura monologica attribuisce direttamente al protagonista, Tullio Hermil, la responsabilità di confessare apertamente sentimenti ed emozioni di natura nevrotica. Tale autoanalisi parte dal motivo tipicamente “giudiziario” della confessione per diventare funzionale alla manifestazione d’una follia lucida. Ancora una volta il tema della pazzia è legato a quello del crimine, in questo caso l’infanticidio. Tullio va soggetto alle lombrosiane influenze climatiche e dipende da un suo speciale

stato organico, proprio come il folle e il genio lombrosiani, personalità non

centrate sul piano emotivo e morale.18

La nozione di genialità come evasione dalla norma include i connotati del superomismo fogazzariano e soprattutto dannunziano, incarnato dall’essere d’eccezione eternamente in bilico tra la passione tormentosa e la tensione verso mete assolute. Si profilava spesso un sottile processo d’identificazione tra lo scrittore, sovente provvisto dei tratti del genio, ed il suo protagonista, che esasperandone le qualità singolari diventava un alter ego dell’autore. Dunque la concezione diffusa e convalidata dalla ricerca scientifica del legame tra genio e follia agiva notevolmente anche sugli scrittori, che tendevano a caricare di “tare” abnormi i loro personaggi eccezionali.

Affiancano la scrittura de L’Innocente, sequenza dopo sequenza, le lettere indirizzate a Barbara Leoni, «il più grande amore» del poeta, che a lei restò legato per cinque anni, dal 1887 al 1892. Lo studio dal vero abbonda nel romanzo, come dimostra un’epistola in cui Gabriele richiede chiarimenti a Barbarella sui dettagli della malattia che la aveva colpita di recente e che affligge anche Giuliana; al punto che l’intero episodio dell’infermità e della convalescenza della protagonista è composto riandando al materiale relativo all’intervento chirurgico ai genitali subìto dalla sua amante. Qui la funzione narrativa del medico è svolta dallo stesso Tullio cui, apparentemente, non dovrebbe toccare, dato che anche lui è un malato. Egli, infatti, esercita pervicacemente su di sé la stessa minuziosa analisi che opera su Giuliana, ma non può curare l’anima di sua moglie, sia a causa dei sentimenti conflittuali che nutre per lei, sia perchè consapevole della propria morbosità psichica. Come molte altre protagoniste del romanzo fin de siècle anche l’autolesionistica

Federica Adriano, Alienazione, nevrosi e follia: esiti della ricerca scientifica nella narrativa italiana tra Otto e Novecento, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali; Università degli Studi di Sassari

Giuliana concentra in sé una potenza attrattiva al contempo sensuale e spirituale nei confronti di Tullio, che tuttavia non può fare a meno di pensare a lei come ad un essere inferiore, incompleto e pateticamente manipolabile, una femmina che per quanto possa tentare dei velleitari sforzi d’elevarsi resta pur sempre inchiodata al suo elementare destino biologico:

E una disperata pietà strinse le mie viscere d’uomo, per quella creatura che i ferri del chirurgo violavano non soltanto nella carne miserabile ma nell’intimo dell’anima, nel sentimento più delicato che una donna possa custodire: - una pietà per quella e per le altre, agitate da aspirazioni indefinite verso le idealità dell’amore, illuse dal sogno capzioso di cui il desiderio maschile le avvolge, smanianti d’inalzarsi, e così deboli, così malsane, così imperfette, uguagliate alle femmine brute dalle leggi inabolibili della Natura; che impone a loro il diritto della specie, sforza le loro matrici, le travaglia di morbi orrendi, le lascia esposte a tutte le degenerazioni.19

In seguito, quasi inebriato dal pensiero che un solo suo cenno avrebbe potuto uccidere la donna convalescente, l’uomo si sofferma a riflettere sugli effetti d’una tale azione, perfettamente consapevole della vena sadica insita nella propria sensualità; poi, sgomento e disgustato della propria crudeltà, s’interroga sui risvolti talora aberranti del desiderio maschile:

Ed io pensai, curioso e perverso, che avrei veduto la debole vita della convalescente ardere e struggersi sotto la mia carezza; e pensai che la voluttà avrebbe avuto quasi un sapore d’incesto. […] E, per quella crudeltà che è in fondo a tutti gli uomini sensuali, il pericolo non mi spaventò ma mi attrasse. […] «Perché l’uomo ha nella sua natura questa orribile facoltà di godere con maggiore acutezza quando è consapevole di nuocere alla creatura da cui prende il godimento? Perché un germe della tanto esecrata perversione sàdica è in ciascun uomo che ama e che desidera?»20 (In 383)

Ad un certo punto della narrazione, passando bruscamente dalla prima alla terza persona, l’autore entra nel racconto per spiegare la natura del male del protagonista; una forma di patologica scomposizione dell’io per la quale tutte le più svariate istanze avanzate da sentimenti, impressioni e convinzioni

19 G.D’ANNUNZIO,L’Innocente, in Prose…, 373 (= In).

20 Ricordiamo che nel 1896 usciva a Roma lo studio di Krafft-Ebing sulla psicopatia sessuale, dove un intero capitolo era dedicato al sadismo nelle sue più svariate manifestazioni.

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di segno diverso od opposto confliggono incessantemente tra di loro senza mai poter pervenire ad una sintesi coscienziale unitaria:

E chi s’indugiava in queste miserabili sottigliezze di maniaco era l’uomo medesimo che poche ore innanzi aveva sentito il suo cuore tremare nella semplice commozione della bontà, al lume di un sorriso impreveduto! Di tali crisi contraddittorie si componeva la sua vita illogica, frammentaria, incoerente. Erano in lui tendenze d’ogni specie, tutti i possibili contrarii, e tra questi contrarii tutte le gradazioni intermedie e tra quelle tendenze tutte le combinazioni. Secondo il tempo e il luogo, secondo il vario urto delle circostanze, d’un piccolo fatto, d’una parola, secondo influenze interne assai più oscure, il fondo stabile del suo essere si rivestiva di aspetti mutevolissimi, fuggevolissimi, strani. […] Il suo centro di gravità allora si trovava spostato e la sua personalità diventava un’altra. Silenziose onde di sangue e d’idee facevano fiorire sul fondo stabile del suo essere, a gradi o ad un tratto, anime nuove. Egli era multanime. (In 384-85)

A contrastare la superomistica volontà di potenza del protagonista c’è sempre la femmina col suo invincibile potere seduttivo e la sua lussuria; ma mentre la moglie sopporta eroicamente lo strazio procuratole dalle sue continue infedeltà senza mai muovergli una parola di rimprovero – nella strenua aspirazione a rendersi degna di lui donandogli l’amore devoto di chi fa al contempo da madre, amica e sorella – la sua amante, invece, lo tiene servilmente avvinto ispirandogli un desiderio irrefrenabile ed esacerbato dalla gelosia:

Tenuto da quel sentimento che meglio di ogni altro rimescola il fango essenziale nell’uomo, io patii tutto lo strazio che una donna può fare di un’anima fiacca, appassionata e sempre vigile. Acceso da un sospetto, una terribile gelosia sensuale divampò in me disseccando tutte le buone fonti interiori, alimentandosi di tutto il fecciume che posava nell’infimo della mia sostanza bruta.

Teresa Raffo non m’era parsa mai desiderabile come ora che non potevo disgiungerla da una imagine fallica, da una sozzura. Ed ella si valeva del mio stesso disprezzo per inacerbire la mia brama. (In 395)

Troviamo riflessioni analoghe sulla passione carnale in un importante saggio del Bourget uscito nel 1890:

L’homme moderne est un animal qui s’ennuie. Une émotion qui lui morde sur le coeur, voilà ce qu’il ne saurait payer trop cher. […]

La jalousie des sens se distingue des autres par ce signe qu’elle procède par accès, comme les

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certaines femmes très perverses. Nous aurions cette arme contre elles de mépriser leur bassesse. Par Malheur, ce méprise-là ne fait qu’activer le désir; et leur bassesse, elles ne la sentent pas. 21

Ed è ancora una volta un sentimento ferito del possesso a dilaniare Tullio e farlo riflettere sull’ingenuità del suo narcisismo, quando s’accorge che l’umile Giuliana, ribellatasi per un attimo al vincolo di sacrificio che la lega a lui, si lascia andare alle dolci lusinghe d’un nuovo amore per un artista che la circuisce d’un corteggiamento galante ed appassionato. Ma tale presa di coscienza resta pur sempre inficiata dalle istanze di un io straordinariamente egotico, in cui il senso morale è radicalmente compromesso in vane pastoie estetizzanti; e se da un lato essa è capace d’infliggergli un motivo di disincanto e d’ulteriore disperazione, non lo è altrettanto di smascherare e censurare il suo sadico cinismo nei confronti della moglie, ma solo di renderlo schiavo ancora più abietto dell’insana passione per Teresa:

Tutta la mia vita d’errore era stata accompagnata dalla grande illusione, che rispondeva non pure alle esigenze del mio egoismo, ma a un mio sogno estetico di grandezza morale. «La grandezza morale risultando dalla violenza dei dolori superati, perché ella avesse occasione d’essere eroica era necessario ch’ella soffrisse quel ch’io le ho fatto soffrire.» Questo assioma con cui molte volte ero riuscito a placare i miei rimorsi, s’era profondamente radicato nel mio spirito, generandovi un fantasma ideale dalla parte migliore di me assunto in una specie di culto platonico. Io dissoluto obliquo e fiacco mi compiacevo di riconoscere nel cerchio della mia esistenza un’anima severa diritta e forte, un’anima incorruttibile; e mi compiacevo d’esserne l’oggetto amato, per sempre amato. […] Io credevo che per me potesse tradursi in realtà il sogno di tutti gli uomini intellettuali: – essere costantemente infedele a una donna costantemente fedele (In 402).

In Tullio, «fratello» di Andrea Sperelli per l’eretismo della vita cerebrale, il sentimento della propria natura artificiosa e disgregata sollecita ripetutamente l’anelito a radicare nell’inconscio la dimensione della coscienza. Hermil, infatti, aspira ad uno stile di vita in cui il rovello del pensiero si dilegui nella rigenerante comunione con la natura, ch’egli vede incarnata nel fratello

21 P. BOURGET, Physiologie…, 164, 200: «L’uomo moderno è un animale che s’annoia.

Un’emozione che lo morde nel cuore, ecco quel che mai potrebbe pagare troppo caro. […] La gelosia dei sensi si distingue dalle altre dal fatto che essa procede in modo incostante, come le immagini che la suscitano. È un’alienazione intermittente che ci infliggono a sangue freddo certe donne molto perverse. Noi avremmo quest’arma contro di loro: disprezzare la loro bassezza. Per sfortuna, quel disprezzo non fa che stimolare il desiderio; e la propria bassezza, loro non la sentono».

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Federico, immagine dell’uomo naturale, semplice e buono, l’apostolo dei contadini esemplato su un diretto modello tolstoiano.22 Ma l’integrazione del

conscio nell’inconscio, e dell’io, attraverso l’inconscio, nella stirpe e nella natura, gli è concessa solo estemporaneamente ed in minima parte. Egli è persuaso, infatti, che «Lo sviluppo eccessivo della [sua] intelligenza» e la sua

multanimità non abbiano potuto «modificare il fondo della [sua] sostanza, il

substrato nascosto in cui erano inscritti tutti i caratteri ereditarii della [sua] razza»; ma è altresì consapevole di essere «un violento e un appassionato consciente, nel quale l’ipertrofia di alcuni centri cerebrali rendeva impossibile la coordinazione necessaria alla vita normale dello spirito» (In 503): la armonizzazione cioè fra il piano della coscienza e l’eredità inconscia della stirpe. E la divaricazione dei due piani estremizza la sua inautenticità e la disgregazione della sua personalità. Solo alla fine del romanzo Tullio è in grado di cogliere appieno la propria duplicità, quando è ormai deciso ad uccidere il piccolo Raimondo, «l’intruso», il figlio illegittimo rimasto a Giuliana dalla breve relazione con l’Arborio, quasi una vittima sacrificale che espia le colpe materne. Di fronte all’orribile gesto che sta per compiere, egli si sdoppia ed attribuisce ad un «altro» la responsabilità del disegno criminale, un oscuro «predecessore» che lo spinge ad imitare una vita anteriore:

Certo, mi ricordavo. Era il ricordo d’una lettura lontana? […] O qualcuno, un tempo, m’aveva narrato quel caso come occorso nella vita reale? Oppure quel sentimento del ricordo era illusorio, non era se non l’effetto d’una associazione

d’idee misteriosa? Certo, mi pareva che il mezzo mi fosse stato suggerito da qualcuno estraneo. […] Ma quell’uomo, il predecessore, m’era ignoto; e io non potevo associare a quella nozione le imagini relative senza mettere me stesso nel luogo di colui. Io dunque vedevo me stesso compiere quelle speciali azioni già compiute da un altro, imitare la condotta tenuta da un altro in un caso simile al mio. Il sentimento della spontaneità originale mi mancava (In 603-04).

Sentendo un giorno il neonato tossire, lo coglie come un lampo l’idea di farlo perire di polmonite, esponendolo per un po’ fuori della finestra all’aria gelida della notte; così, una sera, mentre Giuliana dorme e i parenti sono fuori, mette in atto il suo piano. Alle violente emozioni di quegli istanti subentra nei giorni immediatamente successivi uno stato di torpore ed ottundimento psicofisico, durante il quale s’intensificano le sensazioni di spersonalizzazione:

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Da quell’ora s’impadronì del mio spirito una specie d’inerzia quasi stupida, forse perché ero esausto, sfinito, incapace d’altri sforzi. La mia conscienza perse la sua terribile lucidezza, la mia attenzione s’indebolì, la mia curiosità non fu pari all’importanza degli avvenimenti che si svolgevano.23 […] Gli avvenimenti della

vigilia mi apparivano irreali e lontanissimi. Sentivo un distacco immenso tra me e il mio essere anteriore, tra quel che ero e quel che ero stato. C’era una discontinuità tra il periodo passato e il presente della mia vita psichica (In 614-16).

Il delitto dovrebbe salvare l’amore dei due coniugi, dato che il neonato è motivo d’odio esasperato per l’uomo e di rimorso per la donna, la quale infatti si macera in un senso di colpa esiziale e, pur intuendo la premeditazione dell’infanticidio da parte del marito, mantiene un silenzio acquiescente fino al suo compimento. Ma la morte del bambino non risolve nulla: un lutto profondo cala sui due e coinvolge nel suo alone funereo anche gli altri personaggi.

Al D’Annunzio di quegli anni i romanzieri russi proponevano un’originale teoria del male e del dolore, ed in particolare il concetto per cui gli uomini sono responsabili degli atti e degli errori in cui inducono i loro simili. E’ il tema di uno dei romanzi di Bourget, oltre che dell’Innocente, dove la personalità di Federico Hermil è pervasa dell’ideale evangelico tolstoiano proprio come quella del contadino Giovanni di Scordio, mentre il fratello protagonista tende ad esprimersi come Raskolnikov.24 Delineando la frantumazione dell’unità

psichica di Tullio in una molteplicità di io, non solo il narratore mostrava di conoscere i testi di psicologia contemporanea, ma di sopravanzare in acume scientifico i suoi colleghi letterati. A questo proposito, sono interessanti i termini con cui uno scienziato contemporaneo di D’Annunzio, il criminologo Enrico Ferri, formulava il suo giudizio sulla personalità di Tullio:

Tullio Hermil […] è uno di quei mascalzoni elegantemente vestiti, che si incontrano sui marciapiedi delle grandi città, delinquente nato per congenita

23 «La fatica quando è molto forte, sia che ci siamo stancati in un lavoro intellettuale od in un lavoro muscolare, produce un cambiamento nel nostro umore e diventiamo più irritabili, […]. Ci manca la resistenza al lavoro intellettuale, e la curiosità e la forza dell’attenzione, che sono le caratteristiche più importanti dell’uomo superiore ed incivilito. […] Una forte emozione ci affatica collo stesso processo interno, col quale nel lavoro intellettuale si esaurisce il cervello» (A.MOSSO,

La fatica…, 222, 230).

24 Cfr. G.TOSI, Incontri di D’Annunzio con la cultura francese, «Quaderni del Vittoriale», n. 26, marzo-aprile 1981, 10-1.

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atrofia del senso morale e per corrispondente ipertrofia dell’io, specialmente dell’io sessuale – che non ricorre certo al mezzo ingenuo e primitivo del veleno o del coltello, per uccidere una creatura umana, ma che non è meno degenerato e perverso per questo.25

Ma è illuminante, per individuare appieno la gamma di suggestioni che può aver contribuito alla genesi di un personaggio come l’Hermil, leggere quanto Lombroso ed un allievo del Ferri, Sighele, scrivevano in merito al comportamento criminoso ed al suo presupposto fondamento biologico:

Quanto alla natura della delinquenza […] io dichiaro di accettare completamente la spiegazione di Enrico Ferri, che disse essere la delinquenza «una forma veramente specifica di anomalia biologica, che si distingue da ogni altra forma di anomalia […], e che determina appunto il delitto concreto, quando si trova in quel dato ambiente fisico e sociale che offre alla disposizione individuale le circostanze ed i mezzi da tradursi in atto. […] io credo che il concetto più preciso e positivo, nel lato biologico, sia ancora quello di una «nevrosi criminale» distinta per sé da ogni altra forma patologica, atavica, generativa od altro».26

Fino a Novecento inoltrato il motivo della maternità nella narrativa è subordinato al più generale tema «sociale» del matrimonio e dell’adulterio. Il primo, nella società borghese ottocentesca, sembra offrire la perfetta integrazione fra leggi sociali e biologiche, giacchè dal punto di vista ideale la figura della moglie incarna la femmina biologica, la figlia obbediente, la compagna fedele, la madre responsabile. Se il vincolo coniugale s’incrina, tale equilibrio si sfalda e la sposa infedele diventa, per una sorta d’implicito automatismo sociale, una cattiva madre. Ad un gradino ancora inferiore rispetto alla «cattiva madre», incarnata qui da Giuliana, si colloca la donna sterile in quanto agente ancor più pernicioso di disordine sociale, un prototipo della quale farà la sua comparsa da protagonista nel successivo romanzo del ciclo.27 Nei capitoli 25 E.FERRI, I delinquenti nell’arte ed altre conferenze e saggi di scienza ed arte, Torino, UTET, 1926, 127.

26 S. SIGHELE, La coppia…, 43. Per LOMBROSO (Delitti…, 28) i rei nati, costitutivamente, mostrano apatia e sangue freddo sia prima che dopo il crimine, al quale vengono indotti non da gelosia o amore, ma da orgoglio ferito; inoltre «portano nella faccia e nel cranio e nella trista loro storia anteriore, tutta l’impronta, a cui l’amore fu un semplice pretesto di menare le mani e di sfogare la tristizia dell’anima, sfogarla con agguato da lunga man preparato […]».

27 I. NARDI, Le «cattive madri»…, 79-80. Probabilmente, Lombroso avrebbe definito la protagonista una rea d’occasione per motivi passionali, la categoria che a suo giudizio contava il maggior numero di infanticide: «Per molte criminali, l’occasione che le tira nolenti al delitto, è la

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dedicati alla coppia infanticida ed ai genitori libericidi Sighele equipara l’infanticidio all’aborto, ritenendo ambedue dei crimini commessi da soggetti perversi, generalmente le madri, al fine di riparare ad una colpa che produrrebbe effetti eversivi dell’ordinamento sociale:

[l’infanticidio è un delitto] che nasce come conseguenza spontanea, se non necessaria, dell’amore illecito. […] Molto spesso è la prova della colpa che occorre fare scomparire; è il bambino – il quale, uscendo alla vita, accusa la madre – che bisogna sopprimere. […] l’infanticidio è il delitto specifico delle campagne e delle classi meno colte, che non hanno la furberia di sostituirlo coll’aborto. [Frequente è il