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II. DEVEREUX DIVENTA DEVEREU

3. L’ALLIEVO RIBELLE DI KROEBER (1935-1938)

3.2. Alla ricerca di un metodo

Dall’antropologia alla psicopatologia

Devereux dichiarò che nei “passaggi” della sua tesi di dottorato tagliati da Kroeber erano contenute embrionalmente le idee chiave dell’opera del 1967 dedicata all’epistemologia delle scienze dell’uomo; prima tra tutte la spinosa questione dell’impossibilità di prescindere dalla soggettività del ricercatore nell’osservazione del comportamento umano. Non è perciò difficile capire come il professore consigliò allo studente di eliminare quelle prime riflessioni, poco compatibili con l’imperativo primario della nuova antropologia della neutralità dell’osservazione dei ‘fatti’. E, alla luce della sua teoria della cultura, non è difficile capire come Kroeber non appoggiò i primi timidi tentativi di Devereux, ugualmente presenti in quei “passaggi”, volti a cercare un legame tra i dati antropologici e psicologici raccolti in Indocina e in Arizona. Quello era infatti il maggiore cruccio scientifico di Devereux in quel momento.

Per il giovane antropologo troppo precoce era stata la rinuncia del professore a una collaborazione tra antropologia e psicologia 33 e l’allievo ribelle, al ritorno

aveva pretese di “autenticità storica” bensì si riferiva a un “evento tipico” e “atemporale”, che spiegava “ciò che è psicologicamente potenziale” e che è “alla base di certi fenomeni storici ricorrenti o di certe istituzioni quali il totemismo e il tabù”, allora “espressa in una forma del genere, […] avrebbe potuto da tempo rivelarsi fertile nel dominio della comprensione della cultura invece di essere prevalentemente respinta o ignorata come frutto di una brillante fantasia”. A. Kroeber, “Totem e tabù in retrospettiva”, in La Natura della cultura, cit., pp. 577-78.

31 Cfr. B. Malinowski, Sex and Repression in Savage Society (1927) e The Sexual Life of Savages in North-Western Melanesia (1929).

32 A. Kroeber, “Totem e tabù in retrospettiva”, cit., p. 578.

33 Scrive Devereux negli appunti autobiografici conservati al Fondo Devereux e più volte citati [DEV 108].

dall’Indocina (1935), svolse delle ricerche presso il laboratorio di Clarence Warren Brown, professore di Psicologia Fisiologica dell’Università di Berkeley,34 e presso l’Agnew State Hospital in California, mosso dal desiderio di “vedere di persona delle grandi malattie mentali” da confrontare con quelle osservate presso i Sedang.35Una volta conseguito il dottorato, si buttò poi “disordinatamente” nella lettura di una serie di scritti di psicopatologia. Lesse Mc Dougall, Woodworth, Jung, Adler, Hollingworth, Kraepelin e Horney, senza trovare però risposte o validi aiuti per interpretare i suoi appunti di campo. Solo i testi psichiatrici di Rivers gli sembrarono collegati a quello che stava cercando.36

In quel clima di ostilità verso la psicoanalisi lesse “tutto fuorché Freud” e “deliranti” gli sembrarono gli scritti del padre dell’antropologia psicoanalitica Géza Róheim, che Devereux si era fatto spedire da Budapest mentre era in Indocina. 37 Riteneva infatti “poco credibile” la sua analisi di miti alla stregua di sogni, per di più condotta con un modo di procedere “pieno di lacune” e di “enormi salti”, per lui molto lontano dal “metodo scientifico”.38 Come gli aveva insegnato il suo professore Kroeber, i ‘fatti’ antropologici erano “fatti culturali” e la loro interpretazione doveva essere anzitutto culturale.

Certamente, come vedremo, dalla fisica quantistica la critica di Devereux all’eccessivo riduzionismo in senso psicologico di Róheim avrebbe tratto spunto, ma la necessità di diversi “livelli” di spiegazione dell’umano caldeggiata da Kroeber – già presente del resto nelle riflessioni di Mauss e di Durkheim – fu un insegnamento altrettanto prezioso.39 Ad esso lo scienziato Devereux sarebbe rimasto sempre fedele, eleggendolo però nei suoi scritti a principio epistemologico anziché ontologico.

34 Così dichiara sempre negli appunti autobiografici conservati nei suoi archivi [DEV 108]. Nel fascicolo delle lettere indirizzate all’Ufficio d’immigrazione (tra le lettere di prsentazione) è poi presente una lettera di C. W. Brown del 7 ottobre 1936 che conferma che il professore aveva messo a disposizione di Devereux il suo laboratorio, elogiando le sue conoscenze in matematica, biologia e antropologia [DEV 7.15].

35 Così racconta ai suoi studenti nell’intervista del 1982 più volte citata e conservata nei suoi archivi [DEV 164].

36 Ibidem.

37 Ibidem.. Si tratta del primo resoconto di Róheim della ricerca sul campo compiuta presso gli indiani yuma tra il 1929 e il 1931, dal titolo “Psycho-analysis of Primitive Cultural Types”, pubblicato nel doppio numero speciale dell’International Journal of Psychoanalysis del 1932.

38 Dall’intervista del 1982 sopra citata.

39 Kroeber scrive nell’articolo del 1948 “The Concept of Culture in Science”: “Ciò che è specificamente caratteristico e significativo dei fenomeni di un certo livello è intellegibile soltanto in termini di altri fenomeni, qualità o regolarità dello stesso livello. Le qualità o i fenomeni più caratteristici non possono mai essere spiegati in base a ciò che sappiamo di un altro livello: essi non sono mai raggiunti realmente dalla conoscenza a un altro livello, specialmente quando i livelli sono ben distinti”, in P. Rossi (a cura di), Il concetto di cultura, cit., p. 105.

Avrebbe criticato infatti lo scivolamento di Kroeber in quel concetto di cultura sui

generis (racchiuso nella teoria del “super-organico”), che fu a fondamento del

determinismo culturalista dell’antropologia americana e di cui Devereux avrebbe sottolineato il maggiore limite nel “perdere di vista” l’individuo, ridotto a una “marionetta” appesa ai fili del suo ambiente.40

Dalla psicopatologia all’epistemologia

Devereux collaborò con l’antropologo americano nei due anni successivi alla tesi di dottorato (1935), i più difficili dal punto di vista economico ed esistenziale ma i più proficui intellettualmente.41 Impegnato in occasionali lavori di ricerca – tra cui lo studio per il “Committee for the Study of Suicide” (1936) precedentemente citato42 – e senza sostentamenti, viveva a Los Angeles, ospitato dall’attrice Constance Bennett e dal regista Henry de La Falaise, conosciuto nella primavera del 1934 nella giungla

40 G. Devereux, Saggi di etnopsicoanalisi complementarista (1972), cit., p. 138. Come vedremo, sulla base della differenza espressa da Poincaré tra fenomeno e dato scientifico, nonché dell’insegnamento quantistico, Devereux avrebbe infatti criticato l’idea che i diversi livelli di strutturazione dell’umano fossero “sostanze”, entità ontologiche autonome – così dichiarava Kroeber nell’articolo programmatico del 1917 “The Superorganic” –, considerandoli invece strumenti epistemologici per selezionare, raggruppare e studiare i fenomeni umani senza cadere in determinismi o riduzionismi. Lo stesso Kroeber sul finire della sua carriera avrebbe ritrattato le sue prime formulazioni sostenendo che “l’individuazione di livelli è, in un certo senso, questione di metodologia scientifica, […] cioè un problema tutto interno alla scienza”. Non avrebbe però mai rinunciato all’idea che il sociale e il culturale si trovassero a un livello di spiegazione superiore. Scrive infatti nel saggio del 1948, sopra citato, riguardo ai “quattro livelli”: “le dimensioni si intersecano l’una con l’altra, i livelli implicano un parallelismo. […] È tuttavia necessario non confondere i ‘livelli di organizzazione’ con i ‘livelli di astrazione’. È vero che, quando concentriamo la nostra attenzione sugli aspetti culturali stiamo astraendo (in senso tecnico) dagli aspetti organici e fisici che interessano gli stessi fenomeni […] ma i fenomeni culturali non sono più astratti dei fenomeni fisici od organici, nel senso di essere più astrusi, più rarefatti, meno concreti o più concettualizzati. […] Soltanto la cultura come concetto generalizzato è astratta; ma altrettanto astratte sono la società, la psiche, il corpo, la materia e l’energia. Molto più significativo dell’astrattezza è il fatto che i fenomeni culturali si presentano organizzati in base a principi diversi dai fenomeni sociali, i fenomeni sociali in base a principi diversi dai fenomeni psichici, e via dicendo per tutta la serie. Ciò che appare chiaramente a proposito dei livelli è che certe proprietà o qualità dei fenomeni di ciascun livello sono peculiare ad esso. Ciò è presumibilmente dovuto a una differenza di sistemazione o di organizzazione. […] In breve, sembra che il lavoro complessivo della scienza debba svolgersi su una serie di livelli che l’esperienza scientifica scopre gradualmente. Ridurre ogni cosa nell’universo a un insieme monistico di principi, meccanici o di altro genere, può essere una filosofia legittima oppure può non esserlo; certamente essa non è un metodo scientifico adeguato” (pp. 102-105).

41 Dichiarerà negli appunti autobiografici più volte citati [DEV 108].

42 Si veda il sotto-paragrafo del presente lavoro He came back alive. La ricerca sul campo presso i Sedang (in 2.3).

indocinese.43 Il maggiore tormento di quegli anni era la paura di essere costretto a

ritornare in Europa, che lo spinse a dare il via nel 1936 alle procedure per la naturalizzazione americana, che avrebbe ottenuto nel febbraio del 1941.44

In quegli anni Devereux pubblicò una serie di scritti sui Mohave,45 che attirarono l’attenzione di Ruth Benedict e Margaret Mead, come dimostra la corrispondenza conservata nei suoi archivi.46 Tramite la Mead e Ralph Linton, Devereux si avvicinò alle ricerche di Cultura e Personalità, che proprio in quel periodo, in direzioni diverse, prendeva slancio e da cui, però, si sarebbe distanziato presto.47Aveva conosciuto Linton in occasione del seminario estivo tenuto dall’antropologo nel 1937 all’Università di Berkeley. Devereux ne era rimasto molto colpito poiché era la prima volta che ascoltava un antropologo che tentava di interpretare dati psicologici.48 Era, infatti, quello l’anno in cui Linton subentrava a Boas nella direzione dello storico Dipartimento di antropologia della Columbia University di New York, dando il via contemporaneamente a quella collaborazione con lo psicoanalista Abram Kardiner che avrebbe sancito l’alleanza teorica tra neofreudiani e antropologi culturalisti.49

43 L’uno a “seguire le tracce della tigre […] e la vita dei selvaggi” per il suo film Kliou. The Tiger (1936), l’altro a seguirle “nella mente di quegli uomini”. Così scrive Devereux nel dattiloscritto più volte citato “Tiger man”, conservato nel Fondo Devereux dell’IMEC tra il materiale scientifico sui Sedang [DEV 104, doc. 35].

44 Nello specifico il 3 febbraio del 1941, come dimostrano i documenti biografici del Fondo Devereux [DEV 1.5]. Si veda il faldone relativo all’emigrazione negli USA [DEV 1.3] che contiene numerose lettere in cui Devereux esprime una profonda angoscia di fronte alla possibilità di essere “deportato” in Europa.

45 Quattro solo nel 1937. Si rimanda alla bibliografia sugli scritti di Devereux allegata a conclusione del presente lavoro.

46 Si veda la lettera di R. Benedict del 22 giugno 1937 in cui l’antropologa si congratula con Devereux per la sua tesi di dottorato e i suoi scritti sui Mohave [IMEC, Fondo Devereux, Corrispondenza scientifica, DEV 12] e la lettera del 26 luglio 1938 di Margaret Mead [Corrispondenza scientifica, DEV 25].

47 Cfr. F. Barbano, “Cultura e personalità nel pensiero sociologico americano”, in Ferruccio Rossi- Landi (a cura di), Il pensiero americano contemporaneo. Scienze sociali, Milano, Edizioni di comunità, 1958, pp. 3-36; H. R. Hays, From Ape to Angel, New York, Alfred A. Knopf, 1958; E. Bourguignon, Psychological Anthropology. An Introduction to Human Nature and Cultural Differences, New York, Holt, Rinehart and Winston, 1979 ; P. H. Bock, Rethinking Psychological Anthropology. Continuity and Change in the Study of Human Action, New York, W. H. Freeman and Company, 1980; G. W. Stocking, Malinowski, Rivers, Benedict and Others. Essays on Culture and Personality, History of Anthropology. Vol IV, Madison, The University of Wisconsin Press, 1986.

48 Racconta negli appunti autobiografici conservati nei suoi archivi [DEV 108]. Alla morte di Linton (1953) Devereux si occuperà della pubblicazione del suo Culture and Mental Illness (1956).

49 Nel 1938 si inaugura infatti il celebre seminario “Psychological Analysis of Primitive Cultures” organizzato da Linton e Kardiner alla Columbia University e finalizzato ad analizzare i dati psicologici raccolti da antropologi durante le ricerche sul campo. Vi parteciparono E. Sapir, R. Benedict, C. Kluckhohn, R. Bunzel, C. Dubois, C. Whithers e F. Hsu. Frutto concreto del seminario furono i testi in cui i due antropologi coniarono e svilupparono il concetto di “personalità di base”: The Individual and his Society (1939) e The Psychological Frontiers of Society (1945), due “basic books” delle ricerche di Cultura e Personalità. Cfr. G. Splinder, The Making of Psychological Anthropology, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London, 1978; W. C. Manson, “Abram Kardiner and the Neo-

Sebbene le critiche dei grandi dell’antropologia (Kroeber e Malinowski) avessero molto pesato sul rifiuto della teoria della cultura freudiana, nondimeno tramite questa ‘alleanza’ la psicoanalisi sarebbe riuscita a influenzare l’antropologia americana. Ne sarebbe uscita a sua volta, però, profondamente trasformata. C’è chi ha parlato di “dialogo mancato” tra le due discipline,50 altri invece hanno sottolineato “la singolare permeabilità dell’antropologia culturale alla démarche psicoanalitica” ma aggiungendo: “se non altro per meglio tenerla a distanza”.51 Paradossi che ben

spiegano le ambiguità della letteratura sull’argomento. Gli Stati Uniti furono, in sostanza, il luogo dove la psicoanalisi, assimilata dalla psichiatria, ebbe più presa, ma anche il luogo dove la teoria freudiana fu più trasfigurata: da alcuni ‘biologizzata’ nell’intimo legame instaurato con la medicina, da altri al contrario ‘depurata’ dai retaggi del determinismo biologico di Freud; un aspetto senza dubbio presente nel pensiero freudiano,52 ma criticato dagli antropologi americani a partire da una mancata comprensione della fondamentale differenza tra istinto [Instinkt] e pulsione [Trieb], tra latente e manifesto, tra repressione e rimozione, nonché dell’equivalenza tra “realtà” e realtà psichica: tutti elementi cardine del pensiero freudiano, anzi concetti senza i quali mai sarebbe nata la psicoanalisi. Anticipiamo che Devereux avrebbe sempre sostenuto che il risultato di questo duplice ‘trapasso’ poco aveva a che vedere con il pensiero freudiano.

Senza riferirsi ancora alla psicoanalisi (che costituirà poi lo scheletro concettuale dell’opera), fu sempre nei due anni successivi al dottorato che Devereux, “lavorando giorno e notte”, stese le prime bozze di From Anxiety to Method (1967). È di quel periodo anche l’idea di un “Handbook of Ethnopsychiatry”, progetto perseguito da Devereux fino agli ultimi anni della sua vita, ma mai compiuto, di cui sono sparsi nel suo fondo d’archivio numerosissimi bozze e indici.53 Non rinunciò infatti, come lo

freudian Alternative in Culture and Personality”, in G. W. Stocking, Malinowski, Rivers, Benedict and Others. Essays on Culture and Personality, cit.; P. H. Bock, op. cit. Ricordiamo che un tentativo simile era stato proposto a Yale dal seminario “on impact of culture on personality” organizzato da Edward Sapir e John Dollard, in collaborazione con Sullivan (1932-33).

50 Cfr. G. Charuty, op. cit.

51 Cfr. R. Rechtman, F. Raveau, “Fondements anthropologiques de l’ethnopsychiatrie”, Encyclopédie Médico-Chirurgicale, Psychiatrie, 37-715 A-10, 1993, pp. 1-8, qui p. 5 [trad. mia].

52 A questo riguardo si veda F. J. Sulloway, Freud, biologist of the mind: beyond de psychoanalytical legend, New York, Burnett Books, 1979.

53 IMEC, Fondo Devereux [DEV 34, 117, 119, 133, 134, 147]. Così dichiara negli appunti autobiografici ma è importante tenere presente che Devereux non avrebbe utilizzato il termine etnopsichiatria prima del 1961, utilizzato nel titolo dell’opera sulle teorie psicopatologiche degli indiani dell’Arizona, Mohave Ethnopsychiatry and Suicide. Sulla questione della scelta e dell’utilizzo da parte di Devereux del termine “etnopsichiatria” si rimanda al sotto-paragrafo del presente lavoro

aveva spronato a fare il suo professore Kroeber, alla ricerca di leggi e costanti nell’umano e di un’epistemologia capace di studiarle.

La sua maggiore preoccupazione era “inserire i suoi punti di vista nel quadro di un metodo scientifico”54 ed èa quel punto che per trovare risposte metodologiche che lo aiutassero a trovare un filo teorico che tenesse insieme i dati raccolti, consentendo di capirli, questa volta insoddisfatto dalle scienze umane, Devereux si rivolse nuovamente a quelle ‘esatte’. Si buttò infatti a capofitto nella lettura di tutto ciò che riguardava “la fondazione logica del metodo scientifico” con l’aiuto di due fisici dell’Università di Berkeley, Victor Fritz Lenzen e Leonard B. Loeb; gli unici ad avere incoraggiato il suo tentativo di rendere le “scienze dell’uomo logicamente coerenti e inattaccabili”, 55 mentre la cerchia degli antropologi, primo tra tutti Kroeber, lo riteneva “un matto”.56 Lesse “con voracità” Carnap, Russell, Pareto, Keynes, Tolman, Donnan e gli scritti di Lenzen sulla logica della fisica moderna.57

Sono gli anni della messa a punto del suo metodo che troverà nelle riflessioni scientifiche di Niels Bohr uno schema epistemologico in cui inserire la sua lunga riflessione sui rapporti tra cultura e psichismo. Sono gli anni in cui nell’ambito ancora “informe” dell’etnopsichiatria i “dati erano scarsi, il metodo per interpretarli inadeguato, una struttura teoretica idonea alla loro analisi inesistente e la necessità di un’epistemologia non riduzionistica, finalizzata ad affrontare i problemi chiave (cultura/psiche, dentro/fuori, individuo/gruppo), non era lontanamente sentita”58 e

Devereux individuava nel complementarismo l’“atto di fondazione” di un’autentica pluridisciplinarità che rendeva “ogni riduzionismo psicologico o sociologico

Dalla psichiatria transculturale all’etnopsichiatria (in 8.1). Un grande trattato di etnopsichiatria sarà uno dei punti programmatici del progetto portato avanti da Devereux nell’ultimo ventennio della sua vita, volto a istituire un centro interdisciplinare dedicato espressamente all’etnopsichiatria. Un trattato di quel genere era infatti per lui realizzabile solo grazie a un lavoro di équipe. A questo riguardo si rimanda all’epilogo, “Gli ultimi anni di un puritano del pensiero”.

54 Così scrive Devereux negli appunti autobiografici conservati nei suoi archivi [DEV 108] 55 Ibidem.

56 Così scriverà Devereux a Lenzen e Loeb – in occasione della decisione da parte della University of California di Berkeley di pubblicare la raccolta dei suoi saggi più epistemologici Ethnopsychanalyse complémentariste (1972) – ringraziandoli per averlo in quegli anni incoraggiato a perseguire le sue intuizioni. “No matter what my colleagues said. For nearly 35 years I kept on butting my head against a wall of utter incomprehension. […] The only way I can make a return to you for having told me I was not a cranck, not barking up the wrong tree, at the time when anthropologists thought I was off my rocker, is to tell you that you were right and they were wrong”, scrive Devereux a Lenzen e con Loeb aggiunge: “I don’t know what would have happened to me intellectually if you and Prof. Lenzen did not encourage me”. Entrambe le lettere sono del 12 giugno 74 [IMEC, Fondo Devereux, Corrispondenza scientifica, DEV 23-24].

57 Sempre negli appunti autobiografici [DEV 108]. 58 Ibidem [trad. mia].

impossibile”.59 Grazie all’epistemologia quantistica costruirà, così, una ‘terza via’ tra

il culturalismo e l’antropologia psicoanalitica, per lui poco accettabili dal punto di vista scientifico.

59 Cfr. G. Devereux, “The Works of Georges Devereux”, in G. D. Splinder (a cura di) The making of Psychological Anthropology, cit., p. 381.