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Il Seminario di etnopsichiatria (1963)

III. DALL’ETNOPSICHIATRIA ALL’EPISTEMOLOGIA

6. IL DEBUTTO IN EUROPA

6.1. Il Seminario di etnopsichiatria (1963)

L’altro “a casa propria”

Nella storia di questo ambito di ricerche dai molteplici nomi, dai confini sfumati e dalla data di nascita incerta, possiamo considerare la creazione del Séminaire

d’ethnopsychiatrie di Devereux nel 1963 il momento della sua istituzionalizzazione

nel mondo europeo. Ad essa seguirono la pubblicazione dei testi summa del suo pensiero – From Anxiety to Method in the Behavioral Sciences (1967) e le due raccolte: Essais d’ethnopsychiatrie générale (1970) ed Ethnopsychanalyse

complémentariste (1972) – l’istituzione di una Société Française d’Ethnopsychiatrie

(1974) e la fondazione della rivista Ethnopsychiatrica (1978).1

Se negli Stati Uniti possiamo presumere che la nascita di interesse verso questo campo scientifico sia imputabile al particolare contesto storico e socio-culturale americano – dove il confronto con l’‘altro’ è dalle origini di casa2 – in Europa, invece, i primi albori sono legati alla psichiatria coloniale3 e si inizierà a parlare in modo

1 Riguardo alla nascita della rivista si rimanda al paragrafo 8.2. del presente lavoro. 2 Primo tra tutti l’indiano d’America.

3 Si risale comunemente alla “psichiatria comparata” di E. Kraepelin e agli studi compiuti a Giava nel 1904 con lo scopo di valutare l’incidenza e le manifestazioni della dementia praecox. Lì lo psichiatra si trovò di fronte a sindromi etnicamente caratterizzate come l’amok e il latah, da lui ricondotte ai quadri dell’epilessia psichica e dell’isteria. Cfr. R. Beneduce, Etnopsichiatria: sofferenza mentale e alterità fra storia, dominio e cultura, Roma, Carrocci, 2007.

specifico di “etnopsichiatria” solo durante la decolonizzazione, soprattutto sotto la spinta delle forti critiche di Franz Fanon ai discorsi psichiatrici sulla mentalità del “colonizzato”.4 In sostanza, bisognerà aspettare l’arrivo dell’altro “a casa propria” a partire dalla fine degli anni ’50.5

La Francia rivestiva in quegli anni un ruolo centrale nel dibattito sull’immigrazione, tra i primi paesi europei segnati dall’urgenza pratica di affrontare il problema dell’adattamento socio-culturale e psicologico dei molti migranti affluiti in maniera esponenziale all’indomani della decolonizzazione d’Algeria e del Centro-Africa.6 Nei primi anni ’60, i maggiori centri parigini attuarono numerosi programmi di ricerca e di intervento rivolti ai migranti, dall’assistenza sociale alla presa in carico medica e psichiatrica, e un nuovo spazio disciplinare era dedicato ai “problemi di etnopsichiatria”.7 L’École Pratique des Hautes Études era naturalmente uno di questi, grazie soprattutto alla presenza del sociologo Roger Bastide, autorità indiscussa in Francia della tematica del rapporto tra disagio psichico e acculturazionee dal 1951 professore del corso di Sociologie Ethnique in quella università. Nel 1963 il suo seminario prendeva il nome di Psychiatrie Sociale, consacrandosi in modo più esplicito “alla dimensione culturale dei disturbi mentali” e nello specifico – nell’ambito della collaborazione con il neurologo e antropologo François Raveau – “allo studio di casi di Africani nevrotici”.8 Proprio il suo Centre de Psychiatrie

4 Nel 1952 è pubblicato il testo di Fanon, Peau noire, masques blancs (1952), emblematico per la nascita di quella “etnopsichiatria critica” volta a smascherare l’operazione epistemologica compiuta dagli psichiatri coloniali che naturalizzarono e patologizzarono comportamenti, in realtà “sociali”, del “colonizzato”. L’etnopsichiatria critica nasceva così sulla denuncia dell’intimo legame tra la logica del dominio coloniale e i discorsi del positivismo medico di matrice biologica ed evoluzionista sulla “mentalità dell’arabo” o “dell’africano”, volti in realtà a fornire una legittimazione ‘scientifica’ alla colonizzazione. Cfr. R. Beneduce, Etnopsichiatria: sofferenza mentale e alterità fra storia, dominio e cultura, cit.

5 Si veda la distinzione tra etnopsichiatria abroad ed etnopsichiatria at home, proposta da Roberto Beneduce come uno spartiacque euristico per considerare la storia di questo ambito di ricerche. Cfr. Breve dizionario di etnopsichiatria, Roma, Carrocci, 2008.

6 Si trattava soprattutto di giovani alla ricerca di un lavoro e di studenti universitari. Si registrò un afflusso progressivo a partire dal 1945, ma “l’emigrazione prese pienamente avvio nel 1958 a partire dalle città africane sature che non offrivano più lavoro”, soprattutto in seguito alla stipula della “Convention Franco-Centre Africaines” (sulla circolazione e il soggiorno degli africani in Francia) del 1960 che consentiva l’ingresso diretto in Francia senza passare per stadi intermedi. Si vedano gli atti del convegno organizzato a Parigi nel marzo 1964, su cui ritorneremo e che vide coinvolti antropologi, psichiatri, psicologi, assistenti sociali dei maggiori centri di ricerca parigini. Cfr. R. Bastide, F. Raveau, (a cura di), Table Ronde sur l’Adaptation des Africains en France, Paris, EPHE, 1965. Si veda in particolarela relazione di Josette Dubois che fa il punto della situazione nel 1964.

7 Ibidem.

8 Si vedano gli annuari dell’EHESS. Ricordiamo che è del 1964 il primo congresso internazionale di Psichiatria sociale, svoltosi quell’anno a Londra.

Sociale9 avrebbe organizzato, nel maggio del 1964 e con il patrocinio dell’EPHE, una

tavola rotonda multidisciplinare sul problema dell’adattamento degli africani in Francia, con lo scopo di “gettare le basi di una cooperazione” tra i vari progetti parigini che fino a quel momento “avevano lavorato in ordine disperso, non conoscendosi a vicenda, senza essere utili gli uni agli altri”.10

Non è perciò difficile capire come la forte convergenza di interessi avesse spinto Bastide a volere, insieme a Lévi-Strauss, la creazione dell’insegnamento di etnopsichiatria di Devereux all’EPHE; convergenza che andava a toccare anche il comune interesse per le teorie freudiane.Ricordiamo che furono, infatti, proprio Lévi- Strauss e Bastide a rianimare in Francia il dibattito sul rapporto tra antropologia e psicoanalisi, accennato timidamente da Mauss ma ‘scoppiato’ solo con la pubblicazione dei testi “Le sorcier et sa magie” e “L’efficacité symbolique” (1949)11 di Lévi-Strauss e Sociologie et psychanalyse (1950) di Bastide,12 tardivamente quindi rispetto al mondo anglosassone, sebbene con la stessa conflittualità e vivacità.13 Ricordiamo, inoltre, che dal 1962 Bastide dedicò il suo corso alla Sorbona – tenuto dal 1958 in parallelo a quello dell’EPHE – espressamente alla tematica Psychanalyse

et Ethnologie.

9 Fondato, insieme a C. Morazé, H. Baruk e F. Raveau, nel 1959 per favorire il confronto scientifico tra psichiatri, psicologi, sociologi e storici sugli aspetti socio-patologici dei cambiamenti culturali (i temi trattati erano l’adattamento e questioni di sociologia delle malattie mentali, di etnopsichiatria e di patologia concentrazionaria). Dal 1964 sarà ospitato dal Centre Charles Richet d’étude de la personalité normale et pathologique post-concentrationaire, fondato quell’anno da Antonin Mans. Nel 1974 F. Raveau avrebbe unito i due centri fondando il CREDA (Centre de recherche et d’étude des dysfonctions de l’adaptation) che sarebbe stato attivo fino al 1996.

10 Cfr. R. Bastide, F. Raveau, (a cura di), Table Ronde sur l’Adaptation des Africains en France, Paris, EPHE, 1965, p. 1 [trad. mia].

11 Pubblicati inizialmente rispettivamente sulle riviste Les temps modernes e Revue de l’Histoire des Religions e poi ripubblicati nel volume Anthropologie Structurale, Paris, Plon, 1964.

12 Ricordiamo che con sociologia Bastide intende il senso ampio datole da Durkheim e Mauss e che comprende anche l’antropologia e l’etnologia. Si veda a riguardo la prefazione del sociologo.

13 Cfr. G. Charuty, “Anthropologie et psychanalyse: le dialogue inachevé”, in Gérard Althabe, Daniel Fabre, Gérard Lenclud (a cura di), Vers une ethnologie du présent, Paris, MSH, 1992, pp. 75-115. Il dibattito tra antropologia e psicoanalisi sembra chiudersi invece in quegli anni negli Stati Uniti parallelamente alla ‘morte’ del movimento di Cultura e Personalità. La riflessione su psichismo e cultura confluirà, come abbiamo visto, nello sviluppo della cosiddetta “Psychological Anthropology”, potpourri eterogeneo dei paradigmi psicologici abbracciati dai diversi protagonisti: presente la teoria freudiana, ma predominanti gli approcci cognitivisti o di ispirazione fenomenologica. Cfr. G. Splinder, op. cit.

Dal CNRS all’EPHE

Nell’ottobre del 1963 la “più antica e cara ambizione” di Georges Devereux si realizza: diventare professore universitario a Parigi.14 Ottiene una cattedra alla sesta sezione dell’École Pratique des Hautes Études,15 proprio in quella “Scuola” dove più di trent’anni prima il suo “maestro” Marcel Mauss gli aveva insegnato a “distinguere la scienza dalle vane apparenze di scientificità nello studio dell’uomo”. Una scuola “dove i soli anticonformisti sono coloro che non hanno audacia intellettuale”.16 Come abbiamo visto, era stato soprattutto il desiderio di potersi dedicare interamente ai suoi studi e in un contesto che li valorizzasse maggiormente a spingerlo a trasferirsi in Francia. Devereux ringrazierà sempre con riconoscenza Lévi-Strauss e Bastide per averlo accolto tra loro, nonché interceduto presso Fernand Braudel, allora Presidente della sesta sezione dell’École Pratique des Hautes Études, affinché venisse creato in quell’università uno spazio per le sue ricerche. Le carte conservate negli archivi universitari17 testimoniano che diverse furono però le vicende che portarono all’istituzione del suo seminario e maggiori i personaggi coinvolti. Nella ‘rete’ creata per lui a Parigi dal 1961 troviamo infatti, oltre a Lèvi-Strauss e Bastide, anche gli psicoanalisti Daniel Lagache e Solange Faladé, l’antropologo Georges Condominas e il “braccio destro” di Braudel alla sesta sezione Clemens Heller, che ebbeun ruolo di primo piano come intermediario e ‘coordinatore’.18

L’idea iniziale era proporre la candidatura di Devereux alla Sezione diPsicologia del CNRS, più nello specifico nell’ambito delle ricerche del Centro di Psicologia Sociale di Lagache, in quegli anni “patrono della psicologia francese”19 e uno dei maggiori

14 Così scrive nell’introduzione a Dall’angoscia al metodo (1967), cit., p. 25. 15 Dal 1975 l’attuale École des Hautes Études en Sciences Sociales.

16 Scrive sempre nell’introduzione a Dall’angoscia al metodo, cit., p. 23. 17 Nel Dossier di carriera di Devereux custodito negli archivi dell’EHESS.

18 Dal 1952 Chargé des conférences al Centre de Recherches Historiques. Braudel vide in Heller “l’uomo per la sesta sezione” grazie ai suoi contatti con gli Stati Uniti, l’Unesco e la partecipazione a numerosi progetti di ricerca di istituzioni europee e americane. Heller fu immediatamente coinvolto dallo storico nel progetto di estensione della VI sezione portato avanti durante gli anni della sua direzione. Cfr. B. Mazon, Aux origines de l’École des hautes études en sciences sociales: le rôle du mécénat américain : 1920-1960, Paris, Cerf, 1988. Lévi-Strauss, a fronte del desiderio dell’amico di ritornare a Parigi, consigliò a Devereux di rivolgersi direttamente a lui (come racconta Devereux stesso in una lettera a Heller del 3 marzo 1980). E’ infatti di Heller la maggior parte della corrispondenza conservata nel dossier di carriera di Devereux, custodito negli archivi dell’EHESS. Sue sono le lettere in cui, passo per passo, aggiorna Devereux sull’evolversi della sua candidatura, prima al CNRS e poi all’EPHE, facendo da intermediario tra Braudel, Lévi-Strauss e Lagache.

19 Cfr. A. Ohayon, “La psychologie clinique en France. Eléments d’histoire”, Connexions, 2006/1, n. 85, pp. 9-24, p. 12.

fautori dell’istituzionalizzazione e della diffusione culturale della psicoanalisi in Francia.20 Numerose erano le affinità tra le posizioni teoriche dei due psicoanalisti, ma prima di tutto affine era l’ambizione di coniugare lo studio dell’individuo con quello della collettività fondando una “scienza del comportamento umano” in grado di coglierne la complessità. Se nella mente dell’uno vi era l’etnopsicoanalisi, in quella dell’altro una “psicologia generale” – rivolta anzitutto all’uomo ‘normale’ – che unisse psicologia clinica e sperimentale, conciliando idealmente Freud e Janet21 e

integrando l’etnologia e la psicologia sociale. Comune è anche la critica al relativismo dei culturalisti americani, entrambi sostenitori convinti dell’esistenza di ‘universali’.22 Possiamo dunque supporre che Lagache, proponendo nel novembre del 1962 la candidatura di Devereux al CNRS,23 vedesse in lui uno studioso con cui perseguire il progetto scientifico di unificare psicologia e sociologia ma anche un possibile alleato nello scontro che animava quegli anni il CNRS e che aveva visto i sociologi proclamare, contro lo psicoanalista, l’indipendenza tra le due discipline, separandosi dalla Commission 11, quella di “Sociologia e Psicologia Sociale”.24

20 Ricordiamo che fu proprio Lagache, dal 1953 Direttore dell’Institut de Psychologie dell’Université de Paris, a introdurre la psicoanalisi in università – nell’ambito della sua cattedra di Psychologie générale (1947-55) e di Psychologie patologique (1955-1967) alla Sorbona – impegnandosi parallelamente sul fronte della sua diffusione culturale. È infatti Lagache il fondatore, nel 1947, presso la casa editrice Presses Universitaires de France, della preziosa collana Bibliothèque de Psychanalyse, destinata a pubblicare le traduzioni francesi dei testi freudiani e degli altri “grandi” del movimento psicoanalitico. Proprio per quella collana uscirà nel 1967 il celebre e maestoso lavoro degli allievi Laplanche e Pontalis: il Vocabulaire de psychanalyse. Cfr. A. Ohayon, op. cit. ed E. Roudinesco, Histoire de la psychanalyse en France, cit.

21 Le pesanti critiche e la forte eredità teorica dello psicologo avevano, infatti, molto influito sulla difficile penetrazione delle teorie freudiane nell’ambito medico e psichiatrico francese. Cfr. S. Vegetti- Finzi, op. cit. e l’opera di E. Roudinesco sopra citata.

22 Si veda la lezione inaugurale di Lagache alla Sorbona dal titolo L’unité de la psychologie (1947). Cfr. A. Ohayon ed E. Roudinesco, op. cit. Per Lagache “seule l’investigation clinique sous diverses formes, avec la psychanalyse, la psychologie sociale, l’ethnologie, peut fournir une vue suffisamment compréhensive des conduites humaines” (cfr. “Psychologie clinique et méthode clinique”, L’evolution psychiatrique, 1949; passo citato in A. Ohayon, op. cit, p. 13). Grande estimatore di Kurt Lewin, punto di riferimento della sua idea di psicologia sociale e perno teorico sul quale rianimare, per lui, la tradizione francese di Le Bon e Tarde, Lagache si era avvicinato alle ricerche dei culturalisti americani. Tra il 1951 e il 1953 aveva creato un laboratorio di psicologia sociale collegato alla sua cattedra alla Sorbona.

23 Si veda la lettera di Lagache a Braudel del 13 novembre 1962, conservata nel dossier di carriera di Devereux custodito negli archivi dell’EHESS.

24 Nel 1960 la “Commission 11” si divise in “Sociologie et démographie” e “Psychologie”. Il progetto di Lagache di una unificazione tra sociologia e psicologia fu liquidato definitivamente nel 1965, quando Paul Fraisse, professore di Psicologia sperimentale alla Sorbona, succeduto nel 1961 a Lagache nella direzione de l’Institut de Psychologie de l’Université de Paris, riuscì a portare a compimento la sua politica atta a estrapolare la psicologia dall’ambito delle “scienze dell’uomo” per inserirla in quello delle “scienze della vita”, recidendone così i legami con la filosofia e la sociologia. Cfr. A. Ohayon, op. cit.

Forse proprio per questo clima poco favorevole alla assunzione di un professore che sul legame tra lo studio dell’individuo e quello della sua società e cultura aveva fondato il suo sistema teorico, la nomina di Devereux al CNRS non andò a buon fine, nonostante il voto favorevole della Commission de la Recherche Scientifique e la presenza di Lévi-Strauss tra i membri del Directoire.25

Lagache batteva quindi su un altro fronte e, su consiglio di Heller, 26 sempre nel novembre del 1962, scriveva a Braudel. Da tempo lo psicoanalista conosceva e apprezzava l’“opera considerevole” di Devereux e proponeva allo storico di prendere in considerazione il “ruolo utilissimo” che avrebbe potuto avere “nell’animazione e direzione scientifica del Gruppo di etno-psicopatologia africana, ancora barcollante e al cui sviluppo l’EPHE non [era] indifferente”. La possibilità di avere Devereux in Francia costituiva per Lagache “un’occasione da non perdere a favore di un ambito ancora poco sviluppato della ricerca”.27

Lo psicoanalista faceva infatti parte del gruppo di ricerca dell’Institut d’Ethno- psychopathologie Africaine, fondato nel 1961 all’EPHE dall’allieva di Lacan Solange Faladé,28 in partenariato con la cattedra di Psichiatria di Henri Collomb alla Facoltà di Medicina di Dakar. Il progetto scientifico era studiare “le manifestazioni psicopatologiche dell’uomo dell’Africa Nera”29 e formare in questo ambito giovani psichiatri africani e ricercatori europei – etnologi, medici, sociologi, psicologi, psicoanalisti – nonché dare assistenza ai molti pazienti africani ospedalizzati al Centro psichiatrico di Sainte-Anne o all’ospedale Henri-Rousselle.30 I primi risultati delle

ricerche e del lavoro clinico svolti sarebbero stati esposti in quella tavola rotonda sull’adattamento organizzata da Bastide nel 1964.

Nell’autunno del 1962 lo stesso Collomb scriveva a Heller rallegrandosi della possibilità del trasferimento di Devereux in Francia, che avrebbe facilitato future collaborazioni dando “alla ricerca etnopsichiatrica la spinta [impulsion] che le

25 Dalla lettera di Heller a Devereux del 28 novembre 1962 custodita negli archivi dell’EHESS.

26 Che già nei mesi precedenti aveva discusso con Braudel della possibilità di proporre Devereux come professore di quella università. Si veda la lettera a Heller di Lagache del 26 giugno 1962 [Dossier di carriera di Devereux, archivi EHESS].

27 Dalla lettera di Lagache a Braudel del 13 novembre 1962 [Ivi, trad. mia].

28 Conosciuta da Devereux nell’estate del 1962. Ne fanno parte Guy Rosolato, Jean Laplanche, Lacan, Lagache e Balandier.

29 Si veda la conferenza “Études Africaines” di S. Faladé presentata in occasione del convegno sull’adattamento degli africani in Francia del 1964, precedentemente citato. Cfr. R. Bastide, F. Raveau, (a cura di), Table Ronde sur l’Adaptation des Africains en France, cit.

30 Cfr. S. Faladé, “Rapport sur le fonctionnement de l’Institut d’ethnopsychopathologie africaine”, Cahiers d’Études Africaines, vol. 4, n. 6., 1964, pp. 603-20 e R. Beneduce, Etnopsichiatria, cit.

mancava”. Perché non pensare poi alla possibilità di creare a Dakar “un’unità di ricerca in etnopsichiatria” collegata all’EPHE e diretta da Devereux?31

Sostennero la sua candidatura anche Lévi-Strauss e Condominas32 e il 16 giugno l’EPHE votò favorevolmente la proposta di Braudel di assumereDevereux 33 a partire dal 1 ottobre 1963.34 Era stata colta l’occasione di un posto rimasto vacante alla sesta sezione35e l’interesse crescente per la questione del disagio psichico degli africani in Francia aveva giocato in suo favore. Certamente Devereux non era nello specifico un africanista, ma Braudel e Heller avevano ben colto il valore scientifico delle ricerche che da trent’anni rivolgeva al legame tra cultura e psichismo, nonché la loro potenzialità per lo sviluppo dei progetti realizzati in seno all’EPHE in quegli anni. Anticipiamo che, nonostante l’interesse dimostrato a Heller per la proposta di una collaborazione con Collomb, Devereux avrebbe visitato il centro di Dakar, insieme all’allievo Andreas Zempleni, solo nel marzo del 1968 e solo per pochi giorni, in occasione del secondo Congresso di Psichiatria Africana.36 Pur nutrendo una grande stima per il lavoro portato avanti dallo psichiatra a Dakar,37 non sarebbe mai stato totalmente d’accordo con le sue vedute teoriche. 38 Forse per questo il progetto di una collaborazione di Devereux con uno dei maggiori protagonisti dell’etnopsichiatria non vide la luce. O forse anche perché, al di là dei grandi progetti degli anni ’60-70 –

31 Questa la lettera di Collomb a Heller dell’undici ottobre 1962 (conservata nel dossier di carriera di Devereux custodito negli archivi dell’EHESS): “Sono stato informato del prossimo arrivo di Devereux in Europa, dove desidererebbe lavorare. Penso che se Devereux accettasse […] di venire a lavorare in Africa, potrebbe dare alla ricerca etnopsichiatrica un impulso [impulsion] che le manca. Gli incarichi di assistenza che sono obbligato a svolgere mi impediscono di dedicare tempo alla ricerca. Se accettasse di venire avrebbe a disposizione materiale clinico e collaboratori. E potrebbe disporre di un gran numero di studenti africani, studenti in psicologia o in psicopatologia che potrebbero partecipare ai lavori. Si potrebbe persino pensare alla creazione di un’unità di ricerca in etnopsichiatria di cui assumerebbe la direzione” [trad. mia].

32 La lettera di presentazione di Condominas sarebbe stata letta in occasione dell’assemblea del Consiglio amministrativo dell’EPHE del 16 giugno 1963. Si veda la lettera di Condominas a Braudel del 14 maggio 1963, conservata nel dossier di carriera di Devereux degli archivi dell’EHESS.

33 Dalla lettera di Braudel a Devereux del 26 giugno 1963 [Ivi].

34 Cfr. “Arrête du Ministère de l’éducation nationale” del 17 ottobre 1963 [Dossier di carriera di Deverux, archivi EHESS]. Viene assunto come “Directeur d’Études Suppléant” e nel 1966 verrà nominato “Directeur d’Études Associé”. Devereux non potrà mai diventare “Titulaire” in quanto straniero e il suo contratto sarà rinnovato ogni due anni. Andrà in pensione nel 1978 ma insegnerà fino all’anno accademico 1980-81.

35 Si veda la lettera di Braudel al Ministère de l’éducation nationale del 1 luglio 1963 in cui chiede l’approvazione della nomina di Devereux [Dossier di carriera di Deverux, archivi EHESS].

36 Dal dossier di carriera custodito negli archivi dell’EHESS. A riguardo si veda anche S. Inglese, “Georges Devereux: dietro i nomi la natura molteplice dell’etnopsichiatria”, postfazione a Georges Devereux, Saggi di etnopsichiatria generale, Roma, Armando Editore, 2007 (2a ed.), pp. 363-391. 37 Si veda ad esempio la lettera di Devereux a Bastide del 1 aprile 1971, conservata nel Fondo Devereux dell’IMEC tra la corrispondenza scientifica [DEV 12].

38 Per quanto riguarda soprattutto la questione dei guaritori tradizionali. Come visto, Devereux non considerava autentiche cure le pratiche sciamaniche.

pensati, però, prevalentemente per assicurare un futuro ai suoi allievi39 –, ciò che a

Devereux interessava maggiormente era “sedere in un angolo tranquillo” per portare avanti le sue ricerche.40 E non poteva esserci luogo migliore dell’EPHE, nata essenzialmente come “laboratorio” di iniziazione alla ricerca di giovani studenti raccolti “attorno a un maestro”, per tradizione “vivaio di ricercatori” provenienti da