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Prospettive sul futuro tra colonialisme de gauche e la Rockefeller

I. DEVEREUX BEFORE DEVEREU

2. LA FORMAZIONE INTELLETTUALE E SCIENTIFICA

2.2. Prospettive sul futuro tra colonialisme de gauche e la Rockefeller

Uno dei punti programmatici della nuova scienza dell’uomo “concreto”, voluta da Mauss, Lévy-Bruhl e Rivet, era l’osservazione diretta dell’altro nel suo milieu naturale. Sulla scia della ‘nuova’ antropologia anglosassone, sebbene con vent’anni di ritardo, agli inizi degli anni ’30 l’Institut d’Ethnologie cominciò a sponsorizzare le ricerche sul campo di studenti ‘iniziati’ alla nuova disciplina. 264 Queste erano

anzitutto finalizzate a raccogliere collezioni etnografiche per il Musée Ethnographique del Trocadero (1878), nucleo embrionale di quello che, nel 1938, sarebbe stato il Musée de l’Homme.

Rivet, dalla posizione di prestigio della storica cattedra di antropologia fisica del Muséum National d’Histoire Naturelle, ne aveva assunta la direzione nel 1928, dando il via a una profonda riorganizzazione che aveva il fine di creare al Trocadero una sorta di laboratorio scientifico dell’Institut d’Ethnologie. Il museo era infatti destinato ad archiviare, catalogare e studiare i materiali etnografici raccolti sulla base dei dettami della nuova scienza.265 Nel clima nazionalista e xenofobo degli anni ’30, aveva poi lo scopo, non meno importante, di divulgare la nuova disciplina grazie a esposizioni pubbliche delle collezioni.266 Intento scientifico, politico e pedagogico erano, infatti, inscindibili nel progetto della nuova etnologia francese, una scienza

264 La prima fu la spedizione di Dakar-Gibuti, nel 1930, guidata da Marcel Griaule. Ricordiamo che è invece del 1898 la prima grande spedizione del mondo britannico, organizzata dallo zoologo Alfred Cort Haddon allo stretto di Torres, a cui parteciparono W. H. Rivers e C. Seligman. Franz Boas compì uno studio geografico – che di fatto si rivelò etnologico – nel 1883 presso una comunità eschimese dell’isola di Baffin nel Canada nord-orientale. In Francia il periodo tra le due guerre costituì la fase di passaggio da un’antropologia “a tavolino” allo studio diretto di popolazioni “altre”. La ricerca sul campo, nel suo senso malinowskiano, sarebbe diventata routine in Francia solo nel secondo dopoguerra. Cfr. F. Barth, A. Gingrich Andre, R. Parkin, S. Silverman, One Discipline, Four Ways : British, German, French and American Anthropology, Chicago-London, Chicago University Press, 2005 e il volume curato da G. Stocking, Observers Observed. Essays on Ethnographic Fieldwork, London-Madison, University of Wisconsin Press, 1983.

265 Cfr. A. Conklin, In the Museum of Man (2013), cit.

266 Sponsorizzato dai surrealisti, il museo diventò presto un nuovo luogo d’incontro per l’élite aristocratica, intellettuale e artistica parigina. A questo riguardo si veda anche il testo di Sergio Moravia dedicato a Lévi-Strauss, precedentemente citato.

“militante” che attraverso “risultati scientifici” doveva mostrare nelle sale del museo l’uguaglianza delle culture e del loro grado di civilizzazione, educando la comunità a cogliere l’“unità del genere umano” a partire dalle differenze.267

Nell’ottica dei tre professori questo intento umanitario doveva rivolgersi anche oltreoceano. Puntando sull’aspetto dell’ideologia coloniale di mise en valeur della cultura delle popolazioni “pacificate” rispetto a quello di mission civilisatrice – che aveva caratterizzato fino ad allora, tranne in rare eccezioni, l’operato di missionari, funzionari militari e amministratori coloniali268 – alla loro etnologia davano il compito di migliorarne e umanizzarne la politica. Si trattava, da una parte, di fornire l’amministrazione coloniale degli strumenti scientifici per comprendere le popolazioni locali, dall’altra di mettere un freno alla distruzione dei mondi culturali d’oltreoceano, che si stava compiendo in nome della cosiddetta opera di “civilizzazione”. Primo obiettivo era, dunque, creare un network di etnologi che studiassero i possedimenti dell’Impero.

La letteratura ha sottolineato le ambiguità di questo legame di Mauss, Rivet e Lévy- Bruhl con l’amministrazione coloniale che, dietro un’apparente accettazione dell’Impero, mirava anzitutto a fare convergere tutte le forze per lo sviluppo dell’etnologia. 269 Nel momento in cui la questione coloniale era all’ordine del giorno in Francia, i tre professori avevano, infatti, immediatamente rivolto il loro sguardo alle colonie per cercare finanziamenti e legittimità statale per la loro scienza.270

Il supporto maggiore provenne dall’Indocina francese, grazie al legame di Mauss con Louis Finot, orientalista al Collège de France e dal 1929 direttore dell’École Française d’Extrême Oriente di Hanoi.271 Maggiori contatti con l’amministrazione coloniale indocinese furono stretti da Mauss e Rivet in occasione dell’esposizione coloniale del 1931. Nel dicembre di quell’anno, quest’ultimo partiva per quattro mesi in “missione esploratrice” in quei territori. Entusiasta, dedicava al suo ritorno un intero corso alle

267 Cfr. A. Conklin, In the Museum of Man (2013), cit.

268 Cfr. O. Salemink, “Mois and Maquis. The Invention and Appropriation of Vietnam’s Montagnards from Sabatier to the CIA”, in George W. Stocking (a cura di), Colonial Situations. Essays in the Contextualization of Ethnographic Knowledge, Madison, University of Wisconsin Press, 1991, pp. 243-264.

269 Cfr. A. Conklin, In the Museum of Man (2013), cit.

270 Il Ministero delle Colonie fu infatti il principale finanziatore, nel 1925, dell’Institut d’Ethnologie e gli allievi dell’École Coloniale, che formava i futuri amministratori, erano invitati a seguire i corsi impartiti nel nuovo istituto.

271 Una stretta collaborazione era stata infatti creata nell’immediato tra l’Institut d’Ethnologie e l’EFEO. A questo riguardo si veda l’articolo di Nélia Dias, “From French Indochina to Paris and back again: The Circulation of Objects, People, and Information, 1900-1932”, Museum & Society, vol. 13, n. 1, 2015, pp. 7-21.

popolazioni degli altipiani dell’odierno Vietnam e ideava il progetto di destinare loro una sezione specifica del Trocadero.272 Era dunque urgente inviare studenti a raccogliere materiali etnografici su quella cultura, prima mai studiata.

Tra il 1933 e il 1935, il giovane Dobó è così uno dei primi etnologi ‘professionisti’ a compiere una ricerca sul campo nell’Indocina francese sulle basi della nuova “scienza”.273 È il primo a studiare la popolazione dei Sedang della regione settentrionale del Protettorato dell’Annam.

Sarebbe partito grazie ai finanziamenti della Fondazione Rockefeller, molto attiva a Parigi in quegli anni, con la quale Mauss era entrato in contatto alla ricerca di fondi per le missioni dei suoi studenti. Numerose erano, infatti, le spese per l’avvio della nuova scienza etnologica e i finanziamenti coloniali riuscivano a malapena a coprire i progetti in loco.274

Inizialmente finalizzata alla prevenzione della tubercolosi in Francia, l’unità amministrativa parigina della Rockefeller – stanziata, a pochi anni dalla nascita della fondazione, negli uffici di Rue de la Baume (1917) – era divenuta, a cavallo tra gli anni ’20 e ’30, la base strategica per l’avvio dei progetti europei. 275 Uno degli obiettivi di quel periodo – insieme a quelli che riguardavano la medicina, l’igiene, la pedagogia, le scienze naturali – era incrementare lo sviluppo delle scienze economiche e sociali all’interno di un’ottica “scientifica” che le portasse al livello delle scienze naturali.276 Due erano i punti programmatici di intervento: l’istituzione o

la promozione di centri di ricerca e la formazione di nuovi ricercatori, grazie a borse di studio che finanziassero ricerche su fenomeni “concreti” e “contemporanei”.

272 Cfr. gli scritti di A. Conklin e N. Dias, “Rivet’s Mission in Colonial Indochina (1931-1932) or the failure to create an ethnographic museum”, History and Anthropology, 2014, vol. 25, n. 2, pp. 189-207. 273 I primi studi sulle popolazioni locali furono infatti condotti da etnografi “dilettanti” come amministratori coloniali, missionari e funzionari militari. Cfr. O. Salemink, op. cit. Jeanne Cuisinier e Véra Sokoloff furono gli altri studenti inviati da Rivet in Indocina per compiere degli studi sugli strumenti musicali in Malesia. Si veda l’articolo di Dias sopra citato.

274

A. Conklin, In the Museum of Man (2013), cit.

275 Brigitte Mazon ricostruisce il ruolo avuto dalla Rockefeller nello sviluppo delle scienze sociali in Francia e, nello specifico, la storia del suo legame con la nascita dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales nel suo libro Aux origines de l’École des hautes études en sciences sociales: le rôle du mécénat américain : 1920-1960, Paris, Cerf, 1988.

276 “Per promuovere il benessere dell’umanità nel mondo” – slogan della Rockefeller – era necessario occuparsi anche dell’“equilibrio sociale”, attuabile solo conoscendo in profondità i “meccanismi della società contemporanea”. Così sosteneva E. Day, il primo direttore della Sezione di Scienze Sociali della Rockefeller. Cfr. B. Mazon, op. cit. Nel 1929, in seguito a una riorganizzazione della fondazione, era stata creata una sezione speciale per le scienze sociali che aveva il fine di centralizzare le prime iniziative portate avanti in quel decennio e in questo ambito dalla Fondazione filantropica Laura Spelman, istituita nel 1918 dal petroliere americano in memoria della mogliee nel 1929 assorbita dalla Rockefeller.

Portati a termine i primi progetti americani,277 la Rockefeller si era rivolta all’Europa.

Dopo avere stanziato massicci finanziamenti alla London School of Economics e alla Deutsche Hochschule für Politik di Berlino, nel 1929 veniva inviato a Parigi il sociologo e politologo americano Charles Merriam, per condurre un’indagine che valutasse la situazione delle scienze economiche e sociali nelle maggiori facoltà parigine, al fine di progettare un piano d’azione. Nonostante la ricchezza e il prestigio intellettuali delle ricerche della Parigi di Comte e di Durkheim, Merriam rilevava la mancanza di risorse materiali e di coordinazione intellettuale tra le scienze sociali francesi, frammentate tra le varie Facoltà di Lettere e di Diritto. Primo obiettivo era dunque creare un grande istituto che centralizzasse la ricerca.

Furono coinvolti i professori parigini, a cui si apriva la possibilità di ricevere finanziamenti per progetti rifiutati dal Governo, che poco fino ad allora aveva investito nella causa delle scienze sociali francesi.278 Immediate erano le proposte di Mauss, che nel 1929 veniva invitato dai delegati della Rockefeller a Parigi, T. B. Kittredge ed E. Day, insieme a Charles Rist e Célestine Bouglé, a visitare l’Università di Chicago, fondata da John Rockefeller. Molto significativo è il titolo della conferenza che Mauss pronunciò in quell’occasione: “Unité et rapports des sciences humaines: anthropologiques, psychologiques et sociologiques”.279 Lì erano contenuti i presupposti teorici del progetto che presentò a Merriam al suo ritorno, volto a istituire una sesta sezione all’École Pratique des Hautes Études destinata nello specifico alle scienze sociali.280 Benché fosse in linea con l’idea di Merriam di un grande istituto

parigino, gli americani ritennero il progetto del professore troppo teorico, troppo vasto e privo di un piano d’azione strutturato.281 Completamente compatibile con lo spirito della fondazione era invece la seconda richiesta di Mauss di stanziare borse di studio per le missioni nei domini coloniali degli allievi più promettenti; un progetto più ‘concreto’.

277 Ricordiamo l’istituzione nel 1923 del Social Science Research Council.

278 Ci si era rivolti prevalentemente a privati. In quegli anni la Rockefeller andava, infatti, a sostituire il banchiere Albert Kahn che consacrò tutta la sua fortuna a finanziare l’università e la ricerca. Fu infatti Kahn il finanziatore del “Centre de documentation sociale” (1920), che ebbe un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle scienze sociali tra le due guerre.

279 Cfr. J. Poirier, op. cit.

280 Il progetto scientifico di Mauss si sarebbe sì realizzato grazie ai finanziamenti della Rockefeller (con la nascita della VI Section des Sciences Économiques et Sociales dell’EPHE, dove nel 1963 sarebbe stata istituita la prima cattedra europea di etnopsichiatria affidata a Devereux) ma solo nel 1947 e sotto l’egida degli storici guidati da Lucien Febvre.

Fallito il progetto dell’istituto, ritenuto prematuro,282 la Sezione di Scienze Sociali

della Rockefeller aveva infatti deciso di volgersi al secondo punto programmatico del piano di intervento, incanalando i suoi finanziamenti nella ricerche di giovani studenti. I primi, nel corso dell’anno accademico 1932-33, andarono al neonato Institut de Droit Comparé, al Centre de Documentation Sociale, e all’Institut d’Ethnologie.

Il giovane Dobó era uno dei primi a usufruirne. La condizione imposta dalla Rockefeller, prima della partenza nella colonia francese, “terrain très dangereux”, era una formazione preliminare negli Stati Uniti atta ad apprendere i rudimenti della ricerca sul campo, seguita da un’esperienza “pratica” presso popolazioni meno pericolose.283 “Troppo teorica” era stata definita da Merriam, nel suo rapporto del 1929, la formazione francese e la nuova generazione andava iniziata ai “metodi di osservazione e ricerca empirica” sulla base di una “raccolta e uno studio sperimentale dei fatti”, grazie a soggiorni negli Stati Uniti.

È così che Devereux, una volta sostenuti gli esami per la Licence Libre ès Lettres alla Sorbonanel giugno del 1932, 284 parte come “Research Fellow” della Rockefeller alla volta degli Stati Uniti, “per dedicarsia studi antropologici […] di autentico valore per il Governo Francese”.285

282

Scontratasi con la situazione conflittuale delle scienze sociali francesi e su consiglio del Rettore dell’Università di Parigi, Sébastien Charléty, che riteneva prematura l’idea di un grande istituto, la Rockefeller presto abbandonò il progetto di istituire un grande istituto di scienze sociali nella capitale francese.

283 Così racconta Devereux nell’intervista rilasciata nel 1982, precedentemente citata e conservata nel Fondo Devereux dell’IMEC [DEV 164].

284 Come già anticipato Devereux otteneva il Diplôme de Licencié ès Lettres il 30 agosto 1932, grazie a tre “Certificats d’Études Supérieures”, nello specifico in “Ethnologie” (24 giugno 1931), “Littérature étrangère: allemand” (25 giugno 1932), e “Histoire des religions” (27 giugno 1932). Certificati e diplomi sono conservati all’IMEC in DEV 1.8 e DEV 1.25.

285 Così scrive il referente della Rockefeller Stacy May l’8 febbraio 1936 in una lettera rivolta all’United States Immigration Service e conservata nel faldone del Fondo Devereux relativo alla sua emigrazione negli Stati Uniti [DEV. 1.3].

2.3. Il “mestiere” di antropologo (1932-35)

Mi dici di non capire l’uomo bianco. Non credo di capirlo nemmeno io. Penso spesso che la mente dei bianchi funzioni in un modo davvero bizzarro.

Devereux ad Agnes Savilla (30 marzo 1959)286

Alla scuola degli Indiani Mohave. I primi rudimenti grazie allo studio della sessualità

Il 7 luglio del 1932 Devereux giunge negli Stati Uniti287 per imparare il “mestiere” di antropologo. Aveva richiesto di svolgere il suo training a Yale, per partecipare al

Seminar on Impact of Culture on Personality, inaugurato proprio quell’anno da

Edward Sapir e John Dollard in collaborazione con lo psichiatra Herbert Stack Sullivan;288 un ‘dettaglio’ non di poco conto che lascia intravedere dove erano già

rivolti i suoi interessi. La Rockefeller aveva invece optato per la ‘scuola’ di Alfred Kroeber all’University of California a Berkeley, come vedremo meno incline a una collaborazione tra antropologia e psicologia. Come Mauss, anche Kroeber rivendicava l’autonomia dei fenomeni culturali, irriducibili a quelli biologici, ma, a differenza di Mauss, rifiutava nella sua ‘scienza’ della cultura qualsiasi discorso sulla psicologia dell’individuo.289 Parallelamente alla tradizione inglese di Malinowski, invece, insegnava un nuovo modo di fare indagine antropologica attraverso la raccolta di dati empirici e lo studio di individui ‘in carne ed ossa’.

Sotto la supervisione di Kroeber e dopo una breve esperienza nell’Arizona settentrionale presso gli Hopi di Oraibi insieme al gruppo di ricerca di Leslie White,290 nell’inverno tra il 1932 e il 1933291 il giovane Dobó svolse il suo training a

286 [trad. mia]. Conservata nel Fondo Devereux dell’IMEC tra le carte sui Mohave [DEV 94, Doc. 13]. 287 Dalla lettera di Stacy May sopra citata [DEV. 1.3].

288 Come emerge da una lettera della Rockefeller inviata a Devereux il 27 aprile 1932 e conservata tra la corrispondenza tra Marcel Mauss e Devereux [IMEC, Fondo Marcel Mauss, MAS 3.30].

289 Si rimanda al capitolo 3. del presente lavoro “L’allievo ribelle di Kroeber”. 290 Così racconta Devereux nei suoi appunti autobiografici [DEV 108]. 291 Dalla lettera di Devereux ad Agnes Savilla del 18 gennaio 73 [DEV 94].

Parker, nella riserva degli indiani Mohave situata sulle sponde del Fiume Colorado, al confine tra l’Arizona e la California.

“Sei settimane infami” erano state quelle trascorse dagli Hopi.292 Alla difficoltà di interagire con una popolazione profondamente ostile agli stranieri si era aggiunta quella di fare i conti con una tradizione scientifica molto diversa dall’europea, che male vedeva la sua precedente formazione. Era negativo il rapporto presentato da Leslie White ai membri della Rockefeller. 293

Fu quello il primo scontro con l’antropologia americana di cui il giovane etnologo capiva immediatamente i limiti: come avrebbe sempre sostenuto nei suoi scritti e dichiarato nel 1982 riferendosi a quella prima esperienza, “gli americani non vogliono uscire dall’empirismo; è l’eredità di Boas”.294 L’eccessivo “fattualismo” del padre dell’antropologia americana e il suo scetticismo verso riflessioni metodologiche e generalizzazioni teoriche295 male si confacevano infatti con la ricerca di leggi e di tratti costanti nell’umano del giovane etnologo. Più volte lo scienziato Devereux avrebbe sostenuto che “una descrizione non è una teoria”, individuando il limite maggiore degli allievi di Boas nel non comprenderne la differenza.296

Nonostante i disaccordi che Devereux avrebbe avuto a livello teorico anche con Kroeber,297 quest’ultimo in quell’occasione intercedeva con la Rockefeller perché gli fosse data un’altra possibilità presso gli indiani Mohave.298 L’antropologo americano dava al giovane Dobó il compito di studiarne la vita sessuale, “argomento nuovo nel campo dell’antropologia nord-americana”, scriveva il professore all’allievo nel dicembre del 1932 consigliandogli di procedere “in modo intensivo” anziché

292 Così racconta Devereux nell’intervista del 1982 più volte citata e conservata nei suoi archivi [DEV 164].

293 Ibidem. Nello specifico confida: “Pour te donner une idée comment j’ai été reçu par ce group en Arizona en ‘32. On m’a demandé: Qui sont tes professeurs? Marcel Mauss. C’est qui? Rivet. C’est un fou. Lévy-Bruhl. Tout le monde sait qu’il a tort”.

294 Ibidem.

295 È però indispensabile sottolineare che il “particolarismo storico” di Boas, secondo il quale ogni cultura ha una fisionomia propria da studiare nella sua particolarità, ha le sue origini nella critica del padre dell’antropologia americana al paradigma evoluzionistico e agli abusi del metodo comparativo che collocava le diverse “razze” su una ipotetica linea di continuità in base a diversi gradi di progresso e sviluppo.

296 Cfr. G. Devereux, Dall’angoscia al metodo, cit., pp. 19-20. 297 Si veda sempre il capitolo 3. del presente lavoro .

298 Kroeber dedicò infatti la sua carriera allo studio sistematico delle popolazioni indiane della costa occidentale degli Stati Uniti, suo maggiore interesse scientifico. Cfr. Handbook of the Indians of California (1925). Devereux, in numerose lettere, avrebbe sempre ringraziato Agnes Savilla per avere “salvato” la sua borsa Rockefeller. Si veda la corrispondenza sopra citata con Savilla [DEV 94].

“estensivo”, sulle base degli insegnamenti del funzionalismo di Malinowski.299 Per

Kroeber, il giovane etnologo, in quanto europeo, avrebbe potuto fornire “un contributo prezioso all’antropologia americana”, ancora troppo puritana e reticente ad affrontare l’argomento.300 Solo in quel periodo, infatti, l’antropologia si stava volgendo, con sguardo nuovo,alla tematica della sessualità che, insieme alla religione e al lavoro, diveniva un argomento privilegiato per lo studio di culture altre e del rapporto tra individuo e società;301 basti pensare ai lavori di Margaret Mead e di

Malinowski di quegli anni.302

Iniziativa interessante del periodo è il volume collettivo, pubblicato nel 1929 e progettato da Victor Francis Calverton e Samuel Schmalhausen, volto a indagare “da ogni angolo” la relazione tra Sex e Civilization coinvolgendo studiosi di tradizioni geografiche e ambiti disciplinari diversi. “La sessualità nella civiltà [civilization] come forma di evoluzione sociale deve essere ancora studiata”, scrivevano i due autori nella prefazione.303 Le scoperte freudiane avevano stimolato una “nuova attitudine” scientifica verso la sessualità e l’obiettivo successivo era passare dal suo studio nell’individuo a quello nella collettività. L’argomento doveva essere affrontato “nello spirito della scienza”; cosa possibile solo allora grazie a una maggiore “libertà da pregiudizi, sebbene ancora poco comune”, le “acquisizioni della moderna sessuologia” e, non da ultimo, le nuove scoperte antropologiche. Così scriveva, citando i più recenti lavori di Malinowski e della Mead, Havelock Ellis, uno dei padri della sessuologia moderna chiamato a introdurre il volume. 304

Importantissimi erano per lui i nuovi studi sulla vita sessuale delle altre popolazioni che permettevano di relativizzarne le convinzioni più assodate, frutto più della

299 Così scrive Kroeber in una lettera a Devereux del 29 dicembre 1932 [DEV 24]: “You will […] recall that Malinowski, though he may write an essay or a book on a single aspect of a culture, speaks always from a background of well-rounded knowledge of the whole culture. This is in line with what you said about Mauss’s view of how a subject like prayer or gifts should be treated so as to afford a complete cross-section of the total culture. […] Your work also will almost certainly carry more weight through intensiveness than extensiveness; especially as you are broaching a subject which is new in the North American field”.

300 Cfr. Dall’angoscia al metodo, cit., p. 242 e il “Preambolo alla Vita sessuale dei Mohave”, pubblicato in Etnosistemi, numero speciale Antropologia e psicologia a cura di Carlo Severi, a. VII, n.