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Lo studio scientifico della cultura Kroeber vs Freud

II. DEVEREUX DIVENTA DEVEREU

3. L’ALLIEVO RIBELLE DI KROEBER (1935-1938)

3.1. Lo studio scientifico della cultura Kroeber vs Freud

Nel gennaio del 1935 il giovane antropologo partiva da Saigon con tremila pagine di appunti e centinaia di fotografie. 2 Prima della partenza consegnava a Jean Yves Claeys i più di mille oggetti nativi raccolti, che sarebbero stati inviati alla fine di quell’anno al Trocadero.3 Caduta la speranza del posto promessogli dai suoi professori al costituendo Musée de l’Homme di Parigi,4 per via dei nuovi provvedimenti politici che impedivano agli stranieri di lavorare in Francia,5 ritornava negli Stati Uniti. Era ormai Georges Devereux. Il Ministero della Giustizia Rumeno

1 [trad. mia]. Dattiloscritto senza titolo conservato nel Fondo Devereux dell’IMEC tra il materiale scientifico sui Sedang [DEV 106, doc. 16].

2 Così dichiara Devereux nel dattiloscritto “Tiger man”, precedentemente citato e conservato nel Fondo Devereux tra il materiale scientifico sui Sedang [DEV 104, doc. 35].

3 In “Tiger man” dichiara di averne spediti 1400. La collezione etnografica raccolta da Devereux è conservata oggi al Musée du Quai Branly di Parigi ed è composta da 713 oggetti. Molti pacchi arrivarono infatti aperti e molti oggetti deperiti (così racconta lui stesso in un “abstract” sui dati e il materiale raccolti presso i Sedang, conservato nel faldone della corrispondenza scientifica con G. Devos [DEV 15]). Sulla collezione etnografica di Devereux si veda A. Guerreiro, op. cit.; B. Dupaigne, “Histoire des collections d’Asie du Musée de l’Homme”, Outre-Mers, n. 88, 2001, pp. 129-152; N. Dias, “From French Indochina to Paris and back again: The Circulation of Objects, People, and Information, 1900-1932”, Museum & Society, vol. 13, n. 1, 2015, pp. 7-21.

4 Così scrive Devereux in un breve curriculum vitae inviato a W. La Barre [DEV 23]. 5 In seguito all’affaire Stavisky (1934).

aveva approvato la sua richiesta di cambiare patronimico e la notizia gli era giunta nel gennaio del 1934, mentre era in Indocina.6

Sotto la guida di Kroeber, nel dicembre del 1935, Devereux conseguì il dottorato in antropologia alla University of California di Berkeley discutendo una tesi sulla vita sessuale degli indiani Mohave.7 Nelle “serate solitarie” dei diciotto mesi trascorsi nella giungla indocinese, con pochi libri da leggere con sé e senza potere scambiare idee con nessuno, aveva avuto la possibilità di pensare, scrivere e lavorare moltissimo.8 Il suo manoscritto sui Mohave era uno dei frutti di quei mesi, come rivelano alcune lettere di Kroeber del 1934, in cui il professore comunicava al giovane etnologo la sua opinione e i suoi consigli. Il lavoro era considerato dall’antropologo americano una “buona etnologia, un buon modo di trattare la sessualità”. C’erano però troppi “tocchi personali”, troppi “passaggi” che contenevano “la sua opinione soggettiva” e che per Kroeber andavano eliminati; era meglio lasciare la teoria ai più anziani, “più forti nel loro nome”.9 Per di più, nessuno richiedeva a Devereux di essere “brillante”. Doveva limitarsi a descrivere dettagliatamente quello che aveva osservato, senza lasciarsi andare, mosso dalla volontà di “giustificare tutto”, a “interpretazioni” e senza ricercare “principi fondamentali” o “universali”. 10

Nelle indicazioni del professore ritroviamo, in sostanza, le ‘regole base’ del “particolarismo storico” inaugurato da Boas, secondo il quale ogni cultura va studiata nella sua particolarità, nei suoi stessi termini e nel suo contesto, rinunciando al metodo comparativo e privilegiando la descrizione empirica rispetto alla riflessione teorica. Ma ritroviamo anche alcune indicazioni epistemologiche che Kroeber sviluppò nella sua opera nell’intento di stabilire il campo d’azione e gli obiettivi della nuova disciplina antropologica, fornendone una delimitazione teorica e una legittimazione in quanto scienza autonoma.11 Queste si riferivano anzitutto alla

6 Il Decreto del Ministero di Giustizia Rumeno è datato 3 aprile 1933 e conservato tra il materiale biografico del Fondo Devereux insieme a un certificato del Résident de France a Kontum Paul Guilleminet del 6 gennaio 1934 [DEV 1.1].

7 Il Diploma di “Doctor of Philosophy (original research in anthropology)” della University of California è datato 20 dicembre 1935 [DEV 1.25].

8 Così racconta nei suoi appunti autobiografici, più volte citati [DEV 108].

9 Nella lettera del 25 settembre 1934 [IMEC, Fondo Devereux, Corrispondenza scientifica con A. Kroeber, DEV 24].

10 Ibidem [trad. mia].

11 Sebbene non rispecchiassero realmente la sua “personalità scientifica”, in quanto il suo obiettivo primario era “lavorare su dati concreti” e faceva fatica a definirsi “uno scienziato sociale”, numerosi sono infatti gli scritti teorici di Kroeber, i principali dei quali sono dedicati a definire concetto di

differenza tra l’approccio “storico”, “idiografico” e descrittivo dell’antropologia, che per Kroeber consentiva di mantenere i “fenomeni intatti”, e quello analitico, “nomotetico” e generalizzante della “scienza”, che invece li “scompone” per ricercare leggi e costanti. L’antropologia si rivolgeva ai fenomeni non alle leggi, il suo strumento era la descrizione non l’astrazione. E quelli culturali erano per l’antropologo“fenomeni particolari in sé”, da spiegare in termini puramente culturali senza l’ausilio di cause e fattori esterni, extra-culturali. 12 Sulla base della sua idea che

la realtà umana si strutturasse su quattro “livelli” di organizzazione e complessità crescente (corpo, psiche, società, cultura), Kroeber considerava i fenomeni culturali “il livello più elevato della […] gerarchia”, completamente indipendente dalla dimensione organica e da quella psicologica, perciò ad esse irriducibile. 13 I fenomeni culturali erano infatti “sovra-individuali” e perché l’antropologia potesse acquisire uno statuto autonomo era, per l’antropologo, necessario “essere pronti […] a ignorare e a sopprimere l’individuo, che sotto l’aspetto della comprensione della cultura è forse più spesso irrilevante e fuorviante anziché utile”.14 A differenza di Boas e dell’altro suo allievo Edward Sapir, sostenitore dell’idea che il locus della cultura andasse collocato nell’individuo, Kroeber avrebbe sempre sostenuto e insegnato ai suoi allievi la necessità di estromettere dallo studio della cultura ogni riferimento alla psicologia e

“cultura” (nella differenza con quello di “società” e per marcare la distanza dall’antropologia sociale britannica e dall’etnologia francese) e furono raccolti nell’opera The Nature of Culture, Chicago, University of Chicago Press, 1952; tr. it. a cura di F. Remotti, La natura della cultura, Bologna, il Mulino, 1974. Così scrive Kroeber nella prefazione ai saggi teorici di questo volume (p. 3). Sugli aspetti epistemologici dell’opera dell’antropologo americano di veda l’introduzione all’edizione italiana di Francesco Remotti, pp. VII-XXXVI.

12 Scriverà Kroeber nell’articolo “The Concept of Culture in Science” (1948), che contiene l’esposizione ‘più matura’ della sua visione della cultura e che troviamo, tradotto in italiano, nel volume a cura di P. Rossi, Il concetto di cultura. I fondamenti teorici della scienza antropologica, Torino, Einaudi, 1970, p. 108. Kroeber in questo passo si rifà naturalmente allo storicismo tedesco e alla distinzione di Windelband e Rickert. Specifica infatti sempre in quel saggio che “l’approccio che abbiamo chiamato ‘storico’ in contrapposizione a quello nomotetico risulta caratterizzato in primo luogo non già dall’accentuazione dell’elemento ‘tempo’ […] bensì dalle altre sue proprietà” che per l’antropologo erano “la sovra-individualità, l’organizzazione secondo modelli, il relativo disinteresse per le cause” (p. 114).

13 Ivi, p. 109. Si tratta della teoria di Kroeber del “super-organico” proposta per sfuggire a un determinismo sia biologico sia psicologico ed esposta per la prima volta nell’articolo programmatico del 1917 “The Superorganic”, pubblicato sull’American Anthropologist e poi raccolto nel volume del 1952, sopra citato, The Nature of Culture. Nella dimensione organica l’antropologo collocava anche i fenomeni psicologici. Questi erano i livelli: inorganico (fenomeni della materia), organico (fenomeni della vita), organico mentale o psichico (fenomeni della coscienza), super-organico (fenomeni della vita sociale e culturale). Cfr. F. Remotti, op. cit.

14 A. Kroeber, “The Concept of Culture in Science” (1948), in P. Rossi, Il concetto di cultura. I fondamenti teorici della scienza antropologica, cit., pp. 114-115.

all’individuo, considerato dall’antropologo puro veicolo di trasmissione anziché “agente” dello sviluppo culturale.15

Non va però dimenticato che gli iniziali interessi scientifici di Kroeber furono rivolti proprio alla psicologia; il suo scetticismo verso l’idea che conoscenze psicologiche potessero illuminare la natura del culturale era “frutto di delusione, anziché di pregiudizio”.16 Dedicò infatti i suoi primi studi universitari alla psicologia17 e, dopo un’analisi didattica a New York con Gregory Stragnell, dal 1920 al 1923 esercitò la psicoanalisi in una clinica neuropsichiatrica a San Francisco.18 “Temendo di subire una scissione nella [sua] personalità a causa del tentativo di esercitare permanentemente due professioni” che gli “parevano inconciliabili”, aveva poi però abbandonato la psicoanalisi. Non gli sembrava, infatti, che “queste conoscenze” lo “aiutassero in maniera apprezzabile a comprendere meglio la cultura”.19

All’indomani della traduzione inglese di Totem e tabù (1912-13) del 1918, fu proprio Kroeber a dare il via negli Stati Uniti al dibattito tra antropologia e psicoanalisi con una critica serrata al testo freudiano, che molto avrebbe pesato durante tutto il secolo sulle sorti del “dialogo mancato”.20 Dimostrando di conoscere il pensiero di Freud più profondamente dei colleghi britannici, in un dettagliato articolo del 1920 pubblicato sull’American Anthropologist,21 Kroeber sottolineava l’importanza, la validità e l’acutezza delle scoperte della psicoanalisi, che non potevano più essere ignorate senza “cadere nel ridicolo” e che facevano di Freud “il più grande personaggio che sia comparso nel mondo della psicologia”.22 “Indiscutibili” erano per l’antropologo

“le corrispondenze” messe in luce da Freud “tra i costumi relativi ai tabù e le

15 Così scrive sempre in quel saggio: “è chiaro che, mentre gli esseri umani sono sempre le cause immediate degli eventi culturali, queste cause umane sono esse stesse il risultato di situazioni culturali precedenti, adattate alle forme culturali esistenti che esse incontrano. Esiste dunque una continuità di causazione indiretta da un evento culturale all’altro per il tramite di intermediari umani. […] In un certo senso, di conseguenza, agisce anche qualche sorta di causalità culturale. Tuttavia, rispetto alla causalità efficiente immediata degli uomini sulla cultura, la causazione della cultura sulla cultura appare indiretta, remota […]. Ad ogni modo, finché l’interesse è rivolto a ciò che accade nella cultura, sono i precedenti culturali che diventano significativi” (p. 125).

16

Scrive Kroeber introducendo i suoi pochi articoli dedicati alla psicologia, inclusi nel volume The Nature of Culture (1952). Introduzione alla parte quarta “Digressione psicologica”, in F. Remotti (a cura di), La natura della cultura, cit., p. 559.

17 Che in parte confluirono nella sua tesi di dottorato sostenuta con Boas nel 1901. 18 A. Kroeber, “Digressione psicologica”, cit.

19 Ivi, p. 559.

20 G. Charuty, op. cit.

21 Cfr. “Totem and Taboo: an Ethnologic Psychoanalysis”, American Anthropologist, Vol. 22, n. 1, 1920, pp. 48-55; l’articolo fu raccolto in The Nature of Culture (1952), cit.; tr. it. “Totem e tabù: una psicoanalisi etnologica”, in F. Remotti (a cura di), La natura della cultura, cit.

nevrosi”,23 così come – a differenza di quanto sosteneva Rivers – quella logica di

compensazione tra sociale e sessuale che struttura la cultura, ancora più manifesta nelle “società primitive”, dove gli antropologi ritrovavano istituzionalizzati “quegli impulsi che nella nostra civiltà conducono alle nevrosi”. Il tabù, la magia, il mito, anche per Kroeber, erano “sfoghi approvati e quindi innocui” per “l’individuo che ha tendenze nevrotiche”.24

Per lui “avventate” e “inconsistenti” erano tuttavia alcune ipotesi e sintesi di Totem e

tabù,25 prima tra tutte la tesi centrale volta a dimostrare – attraverso l’ipotesi del parricidio originario (per Kroeber storicamente inverificabile, quindi inaccettabile) – che all’origine della cultura ci fosse la situazione edipica.26 Era una tesi che, per l’antropologo, Freud non era riuscito a “dimostrare” attraverso un ragionamento strettamente “scientifico”. Per di più le “prove” addotte a suo sostegno erano tratte da una vecchia etnologia evoluzionistica, “speculativa” e a tavolino. “Credere all’‘origine’ di qualsiasi cosa in pieno secolo ventesimo” era infatti per Kroeber “una forma di infantilismo”.27 D’altronde proprio nella rinuncia a una ricerca delle ‘origini’, la ‘nuova’ antropologia si era emancipata dall’evoluzionismo. Il tentativo freudiano “di tagliare il nodo gordiano della cultura con un colpo solo dell’immaginazione”28risultava dunque ingenuo “a chi ha deciso da tempo che l’etnologia, come qualsiasi branca della scienza, è una cosa seria e non un gioco in cui vince chi riesce a indovinare”.29

Kroeber avrebbe addolcito le sue critiche vent’anni dopo,30 quando ormai il dibattito

tra antropologia e psicoanalisi, in seguito alle ricerche di Malinowski, 31 era però

23 Ivi, p. 567. 24 Ivi, pp. 568-569. 25 Ivi, p. 569.

26 Per Freud il parricidio originario rappresenta l’attualizzazione di sentimenti incestuosi e dell’ambivalenza affettiva di odio e amore verso il padre che caratterizzano la situazione edipica e portarono all’istituzione del tabù dell’incesto e del totemismo.

27 Ivi, p. 559. Scrive in modo pungente Kroeber: “A Freud non si può rimproverare che lo zelo del propagandista e forse una composizione frettolosa; ma il risultato è che questo libro è acuto senza essere ordinato; è basato su un ragionamento intricato, anziché rigoroso; è caratterizzato da una certa forza di convinzione, ma è privo di un adeguato sostegno di prove. Il lettore critico si accorgerà di queste caratteristiche; ma il libro cadrà nelle mani di molte persone a cui fa difetto una capacità di giudizio responsabile e indipendente, e che si lasceranno condurre a una credenza puramente illusoria dall’influenza di un grande nome e da un’immaginazione meravigliosamente fertile” (p. 567).

28 Ivi, p. 559. 29 Ivi, p. 570.

30 Cfr. A. Kroeber, “Totem and Taboo in Retrospect”, The American Journal of Sociology, vol. XLV, n. 3, 1939, pp. 446-451, raccolto sempre in The Nature of Culture (1952). Nell’articolo del 1939 l’antropologo sosteneva che se Freud avesse subito chiarito – come fece, però ironicamente, per rispondere agli antropologi (Cfr. P.L. Assoun, Freud e le scienze sociali, cit.) – che la sua ipotesi non

arrivato a un punto di non ritorno. In ogni caso, anche allora per Kroeber la teoria freudiana, in quanto teoria psicologica, era “inutilizzabile” per spiegare i fenomeni culturali. L’antropologo concludeva l’articolo del 1939 scrivendo:

Per quanto ci riguarda – se posso parlare a nome degli etnologi – l’incontro con Freud, pur non essendoci convertiti alle sue teorie, c’è stato; riconosciamo che l’incontro è stato memorabile e con ciò lo salutiamo.32