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2. L’ipotesi allegorica

2.11. Allegoria e inno

Riconoscendo nelle AO un’allegoria fondata sulla ripartizione monhv - provodo" - ejpistrofhv (peculiare degli Inni di Proclo), Schelske (100-4) riserva attenzione alla funzione di ‘baricentro’ che l’inno svolge nella letteratura neoplatonica. Le sue osservazioni riassumono le numerose pagine che Van den Berg (2001, in part. cap. II) ha dedicato all’argomento nel suo studio degli

Inni di Proclo, di cui mi limiterò a riprendere lo stretto necessario per la valutazione delle AO. Il

caso del Parmenide platonico è la migliore dimostrazione di come la scuola ateniese e, in modo particolare, Proclo, equiparasse il fare filosofia al cantare inni agli dèi: la prima hypothesis era considerata u{mnon dia; tw'n ajpofavsewn qeologiko;n eij" to; e{n (in Prm. VII p. 1191.34 Cousin); della seconda si dice che oujde;n a[llo ejsti;n h] qew'n gevnesi" uJmnhmevnh (Theol. Plat. I p. 31.25-7 Saffrey-Westerink). Il fenomeno ha inoltre portata storica: i Neoplatonici si affidano infatti alla filosofia per ribadire le loro convinzioni sul divino in un’epoca in cui la millenaria cultura pagana deve fare i conti con il Cristianesimo; Saffrey (1996, 217) osserva come «alors que les empereurs chrétiens interdisent le cult des dieux païens,... la prière et la liturgie païennes sont devenues une prière intérieure et une liturgie domestique, mieux encore l’activité philosophique elle-même, par son objet propre, est un culte rendu aux dieux». I Neoplatonici ritengono dunque che l’unica via per onorare il divino sia avvicinarsi e assimilarsi ad esso e considerano l’inno mezzo per farvi ritorno; non solo, essi si sforzano di interpretare gli stessi dialoghi platonici (e i miti in essi inclusi) come inni. Un iter ciclico è innegabilmente riconoscibile anche al viaggio degli Argonauti narrato dall’anonimo; nascondendosi dietro la maschera di Orfeo guida degli Argonauti, il poeta costruisce una rappresentazione che pare simboleggiare il novsto~ salvifico al

114 Ritengo utile riportare per intero l’osservazione di Procl. in R. I 74.16-30: eij ga;r oiJ me;n mu'qoi th;n

probeblhmevnhn aujtw'n a{pasan skeuh;n ajnti; th'" ejn ajporrhvtoi" iJdrumevnh" ajlhqeiva" proesthvsanto kai; crw'ntai toi'" fainomevnoi" parapetavsmasi tw'n ajfanw'n toi'" polloi'" kai; ajgnwvstwn dianohmavtwn (kai; tou'tov ejstin, o} mavlista ejxaivreton aujtoi'" ajgaqo;n uJpavrcei, to; mhde;n tw'n ajlhqw'n eij" tou;" bebhvlou" ejkfevrein, ajll∆ i[cnh tina; movnon th'" o{lh" mustagwgiva" proteivnein toi'" ajpo; touvtwn eij" th;n a[baton toi'" polloi'" qewrivan periavgesqai pefukovsin), oiJ de; ajnti; me;n tou' zhtei'n th;n ejn aujtoi'" ajlhvqeian tw/' proschvmati movnw/ crw'ntai tw'n muqikw'n plasmavtwn, ajnti; de; th'" kaqavrsew" tou' nou' tai'" fantastikai'" ejfevpontai kai; morfwtikai'" ejpibolai'", tiv" mhcanh; tou;" muvqou" aijtia'sqai th'" touvtwn paranomiva", ajll∆ oujk ejkeivnou" tou;" kakw'" toi'" muvqoi" crwmevnou" th'" peri; aujtou;" plhmmeleiva".

regno intellegibile115. Non si trascuri peraltro come un’interpretazione simile potrebbe spiegare un altro punctum dolens degli studi dedicati all’opera (vd. § 7).

Può risultare utile prendere in esame in questa sede il caso del Timeo platonico, che, al pari del Parmenide, fu considerato un inno dall’esegesi neoplatonica. Come osserva Van den Berg (cit. 23-4), Platone stesso (Ti. 21a1) percepiva il racconto di Crizia a Socrate relativo al mito di Atlantide come inno a Atena in occasione della celebrazione delle Panatenee. Secondo l’interpretazione di Proclo (cfr. in part. in Ti. I pp. 85.16-26, 197.4-10 Diehl) adorare la dea, nume tutelare della filosofia, implica rendersi simile ad essa imitandone l’azione tramite la recitazione di inni, ovvero, si è visto, mediante l’esercizio della filosofia; in questo senso, il racconto scelto da Crizia è oggetto ideale per una riflessione di questo tipo. Tracce di un’interpretazione allegorica della guerra tra Ateniesi e abitanti di Atlantide compaiono già in Amelio, Origene e Numenio, ma il contributo più significativo giunge da Porfirio, autore di un perduto commentario al Timeo di cui Proclo riporta alcuni frammenti nell’opera omonima116. Da quest’ultimo, sappiamo che Porfirio interpretava la vicenda come immagine del conflitto tra demoni buoni e malvagi, i quali tentano di trascinare i primi nella materia; che esistono tre tipi di demoni, di cui i primi due (divini e anime individuali) corrispondono agli Ateniesi, gli ultimi (demoni malvagi) agli Atlantini; infine, che lo scontro ricorda altre celebri ‘opposizioni’, come quelle di Osiride/Tifone e Dioniso/Titani117. È superfluo sottolineare l’importanza di quest’ultimo dato anche in contesto orfico e dionisiaco: in età ellenistica e tardoantica, i Titani/Giganti costituiscono il simbolo del male per eccellenza e non a caso Proclo tornerà a insistervi (in Ti. I pp. 172.15-177.34 Diehl). Tra i demoni identificabili con gli Ateniesi, Porfirio individua altre sottocategorie (Procl. in Ti. I p. 152.13-27 Diehl = fr. XVII Sodano): spiccano nel gruppo gli iJerei'" (corrispondenti agli ‘arcangeli’), messaggeri della divinità; i mavcimoi, ovvero gli spiriti che scendono nel regno materiale per incarnarsi; i nomei'", posti a guardia del ‘gregge’ di tutti gli esseri viventi. Come si legge nel passaggio di Proclo precedentemente citato, la lotta ha inizio nel momento in cui le anime individuali (coincidenti con i mavcimoi) discendono nel regno della materia e sono attaccate dai demoni malvagi, appunto, gli abitanti di Atlantide. L’identificazione dell’isola con la dimensione ilica parte dalla visione negativa stessa che i Neoplatonici hanno dell’Oceano Atlantico, cfr. Procl. in Ti. I p. 175.19-25 Diehl: to; de; jAtlantiko;n pevlago" kat∆ aujth;n th;n u{lhn, ei[te a[busson aujth;n ei[te ajnomoiovthto" povnton ei[q∆ oJpwsou'n ejqevloi" prosonomavzein: kai; ga;r hJ u{lh devcetai ta;" ejpwnumiva" th'" ceivrono" sustoiciva", ajpeiriva kai; skovto" ojnomazomevnh kai; ajlogiva kai; ajmetriva kai; eJteroiwvsew" ajrch; kai; duav", w{sper ajpo; th'" jAtlantivdo" to; jAtlantiko;n pevlago" e[sce th;n proshgorivan. L’interpretazione allegorica del mito di Atlantide costituisce, a mio parere, uno spunto suggestivo per la riflessione sulle AO. In un certo modo, infatti, anche la vicenda narrata dall’anonimo è interpretabile come viaggio nel regno materiale, in cui gli Argonauti sembrano rappresentare quelle anime di combattenti che sono insidiate continuamente dall’intervento

115 L’operazione non è di poco conto, se del resto, come osserva anche Van den Berg (2001, 26) a

proposito di Proclo, «the subject who does the ‘hymning’ in the sense just described cannot be just any philosopher. He belongs without exception either to sources of wisdom which Proclus had incorporated in the Platonic tradition (e.g. Homer, Orpheus, Pythagoras) or to Platonic philosophers (e.g. Socrates, Plato, etc.)».

116 Vd. anche l’edizione di Sodano 1964. 117

Procl. (in Ti. I p. 77.5-17 Diehl) oi} de; kai; mivxante" th;n jWrigevnou", w{sper oi[ontai, kai; Noumhnivou dovxan (tra i quali Porfirio, cfr. I p. 77.22 Diehl) yucw'n pro;" daivmona" ejnantivwsin ei\pon, tw'n me;n daimovnwn katagwgw'n o[ntwn, tw'n de; yucw'n ajnagomevnwn: para; oi|" oJ daivmwn tricw'": kai; ga;r ei\naiv fasi to; me;n qeivwn daimovnwn gevno", to; de; kata; scevsin, o} merikai; sumplhrou'si yucai; daimoniva" tucou'sai lhvxew", to; de; ponhro;n a[llo kai; lumantiko;n tw'n yucw'n. tou;" ou\n ejscavtou" daivmona" to;n povlemon tou'ton sugkrotei'n kai; ta;" yuca;" ejn th/' eij" th;n gevnesin kaqovdw/: kai; a{per oiJ palaioiv, fasi, qeolovgoi eij" [Osirin kai; Tufw'na ajnhvgagon h] eij" Diovnuson kai; Tita'na", tau'ta oJ Plavtwn eij" jAqhnaivou" kai; jAtlantivnou" ajnapevmpei di∆ eujsevbeian ktl.

deviante di figure che svolgono il ruolo di veri e propri demoni malvagi. Orfeo impersona invece lo iJereuv", riportato dalla madre nella caverna natale e ormai volto verso la dimensione intellegibile, che accetta però di sorvegliare e proteggere le anime buone dall’assalto dei demoni ilici, proprio come un nomeuv". Non dimentichiamo inoltre lo spazio che, diversamente dagli altri poeti, l’autore riserva all’attraversamento dell’Oceano Atlantico, a[busso" che mette a serio rischio il ritorno degli eroi118. La mia riflessione non pretende ovviamente stabilire un’equivalenza diretta tra il mito di Atlantide e quello degli Argonauti; ho tuttavia ritenuto importante prendere in considerazione il caso di un racconto mitologico che, al pari di quello odissiaco e, come si è visto, di quello di Attis e Cibele, subisce in età tardoantica una reinterpretazione allegorica, che vede nella vicenda la rappresentazione del contatto dell’anima (o più di una nel mito di Platone) con una dimensione che ostacola il suo percorso di salvezza. Considerati questi esempi della letteratura tarda, una rilettura simbolica delle AO non appare più del tutto improbabile.