2. L’ipotesi allegorica
2.9. Apollo, Calliope e il kevntron/oi\stro~
A questo punto, è necessario recuperare alcune questioni riguardanti il proemio. Si è anticipato che l’invocazione ad Apollo non dipende da una cieca adesione al modello, né dunque dalla volontà di far appello, come sostiene Luiselli, al nume tutelare della poesia profana (vd. §§ 2.1.2 e 2.1.3); al contrario, la rinuncia alle Muse presenta le AO come un prodotto nuovo rispetto all’epos tradizionale e la sostituzione con Apollo acquisisce forse un rilievo ben diverso dal caso di Apollonio Rodio. Il legame di Orfeo al dio non è estraneo alla tradizione110, ma la richiesta preliminare di fama e, soprattutto, di un’ejtumhgovron aujdhvn (v. 4), benché frequente in contesto innodico, non rappresenta un mero luogo comune; è rilevante infatti, alla luce di quanto osservato in precedenza, che l’elemento trovi riscontro in vari scritti tardoantichi, in particolare nei commentari a Platone, i quali, si è visto, erano percepiti niente meno che come rivelazioni del maestro (vd. § 2.1.4). Proclo, ad esempio, quando si appresta a spiegare gli scritti teologici di Platone in Theol. Plat. I p. 7.17-21 Saffrey-Westerink, annuncia aujtou;" tou;" qeou;" parakaloi'men to; th'" ajlhqeiva" fw'" ajnavptein hJmw'n tai'" yucai'"; stessa richiesta compare nell’esordio del commento al Parmenide (I p. 617.1-7 Luna-Segonds): eu[comai toi'" qeoi'" pa'si kai; pavsai" podhgh'saiv mou to;n nou'n eij" th;n prokeimevnhn qewrivan, kai; fw'" ejn ejmoi; stilpno;n th'" ajlhqeiva" ajnavyanta" ajnaplw'sai th;n ejmh;n diavnoian ejp∆ aujth;n th;n tw'n o[ntwn ejpisthvmhn, ajnoi'xaiv te ta;" th'" yuch'" th'" ejmh'" puvla" eij" uJpodoch;n th'" ejnqevou tou' Plavtwno" uJfhghvsew". Se in questi esempi il filosofo fa appello a tutti gli dèi, non mancano associazioni dell’ajlhvqeia proprio ad Apollo. In Theol. Plat. VI p. 61.14-20 Saffrey-Westerink,
106 Agosti ibid. 184-5: «In sostanza l’autore di Arg. Orph. compie un’operazione del tutto simile (anche se
con simbolismo opposto) a quella dell’imperatore Giuliano, che in Or. 8, 165 c pone l’unione di Attis con la ninfa dentro una grotta, simbolo della generazione, aggiungendo un particolare estraneo alla versione tradizionale: l’unione con la ninfa e la ‘discesa’ nell’antro simbolizzano la salvezza del cosmo».
107 Per quanto riguarda il rapporto tra Cibele e Attis si veda anche il passo del quarto libro dei Fasti
ovidiani citato in comm. ad AO 647-8.
108
A tal proposito si vedano le considerazioni del filosofo Salustio, contemporaneo di Giuliano e come lui autore di un’interpretazione allegorica del mito di Attis. Nel trattatello De diis et mundo c. 4, egli specifica come il mito possa esser considerato metafora di tutta la realtà, essendoci una comprensione reciproca tra mondo e mito; aggiunge poi, in merito all’episodio specifico che si appresta a interpretare, che kai; aujtoi; pesovnte" ejx oujranou' kai; th/' Nuvmfh/ sunovnte" ejn kathfeiva/ ejsmevn.
109 Cfr. Porph. Plot. 22.35.
110 Vd. comm. ad vv. 1-6. Per l’idea di Apollo come una sorta di ‘garante’ della poesia orfica, voglio
segnalare la raffigurazione di una coppa attica (V sec. a.C.) conservata al Fitzwilliam Museum di Cambridge (Loan Ant. 103.25): un uomo seduto sembra scrivere sotto dettatura della testa di Orfeo e Apollo presenzia alla scena.
si dice che Helios111 ejkfaivnei to; noero;n fw'" kai; ejxaggevllei pa'si toi'" deutevroi" kai; plhroi' pavnta th'" o{lh" ajlhqeiva" kai; ajnavgei pro;" to;n nou'n to;n tw'n qew'n e che il compito principale della mantica di Apollo è th;n ejn aujtoi'" periecomevnhn toi'" qeivoi" ajlhvqeian ej" fw'" proavgein kai; to; a[gnwston <gnwsto;n> toi'" deutevroi" ajpotelei'n; in VI 22, p. 98.20-4 che Apollo dia;
mousikh'" ta; pavnta teleioi' kai; ejpistrevfei pavnta oJmopolw'n... kai; di∆ aJrmoniva" kai; rJuqmou' pro;" th;n noera;n ajnevlkwn ajlhvqeian kai; to; ejkei' fw'". Helios/Apollo occupa posizione centrale nella dottrina caldaica e neoplatonica per il ruolo nella purificazione ed elevazione dell’anima: Proclo lo invoca non solo, come il nostro poeta, per ottenere fama in campo poetico (cfr. H. 1.43-4 eujkleivh" t∆ ejpivbhson ejmev, progovnwn t∆ ejni; qesmoi'", / Mousavwn ejrasiplokavmwn dwvroisi meloivmhn), ma soprattutto in quanto yucw'n ajnagwgeuv" (H. 1.34). Se le AO devono essere davvero configurate come allegoria del percorso ultraterreno dell’anima, l’invocazione del dio in esordio assume un significato di evidente spessore.
Resta invero problematico percepire l’autentico valore da attribuire al kevntron / oi\stro" nominato nella sezione proemiale. Esercitato dall’azione congiunta di Apollo e Dioniso (vv. 9- 10), esso caratterizza il passato letterario del poeta; durante il racconto a Museo, così come al momento di affrontare la spedizione, Orfeo è invece libero dal totale asservimento a tale pungolo, definito espressamente dhvi>o", ovvero “bellicoso”, “che consuma” (v. 47), da cui la madre lo ha liberato prima dell’entrata nella caverna (vv. 103-4). Che significato può avere questo cambiamento? A mio parere, il poeta non vuole stabilire un contrasto netto tra passato e presente e rinnegare i frikwvdea kh'la citati nel prologo; egli vuol piuttosto porre l’accento sull’evoluzione della condizione che ha portato alla realizzazione delle due differenti tipologie di opere. Lo stato di enthousiasmos implica che Orfeo abbia agito in modo passivo, trascinato dall’influenza delle due divinità che nei racconti tradizionali condizionano la sua esistenza sino alla tragica morte. La liberazione da un tale asservimento potrebbe alludere al fatto che il poeta- cantore affronta la nuova esperienza con piena autonomia e consapevolezza del proprio operato, spinto dal suo qumov~ (v. 8), sebbene protetto dalla tutela illuminatrice di Apollo. Per la prima volta, Orfeo affronta un’esperienza che lo investe del ruolo di ejparhgwvn ed ejpihvrano~ di giovani eroi che lo reclamano in quanto unico a possedere quelle conoscenze necessarie ad affrontare con successo un viaggio che rappresenta uno specchio della catabasi. Tale cambiamento di status incide ovviamente anche sulla tipologia di narrazione e di rivelazione al discepolo: assimilato e superato il valore dell’esperienza passata, il cantore avvisa Museo che il nuovo racconto non resterà rigidamente fedele ai tradizionali miti di nascite, smembramenti, morti tragiche e rinascite e non si limiterà alle azioni normalmente associate al suo profilo dalla tradizione. La narrazione del viaggio in Colchide è nuova in quanto da capitolo marginale e, possiamo dire, pressoché insignificante della leggenda di Orfeo, diviene un’esperienza di primaria importanza, che investe il cantore di un’inedita responsabilità nella salvezza di se stesso e degli eroi che accompagna. L’autore affida dunque a Orfeo, come ultimo atto prima della morte, la realizzazione e il successivo racconto di questa esperienza che spinge Museo e i lettori, già illuminati sui temi della tradizione orfica, ad impegnarsi alla ricezione di un contenuto che richiede uno sforzo di lettura completamente diverso rispetto al passato. Come ho precisato in precedenza, ho difficoltà a riconoscere nelle AO un prodotto eminentemente filosofico, come suggerito da Schelske, e sono pressoché convinta che un ruolo importante sia stato giocato dalla cultura greca di IV-V secolo, che può aver spontaneamente stimolato l’anonimo poeta ad una realizzazione di questo tipo.
111 Procl. Theol. Plat. VI pp. 58.1-65.3 Saffrey-Westerink, trattando la triade degli dèi ajnagwgoiv
ipercosmici, ricorda come già Orfeo e Platone identificassero Apollo con Helios (p. 58.1-26). A questo proposito cfr. in particolare p. 59.23-5 o{ te ga;r {Hlio" jApovllwn uJmnouvmeno" caivrei diaferovntw" kai; oJ jApovllwn {Hlio" ajnakalouvmeno" eujmene;" prolavmpei to; th'" ajlhqeiva" fw'".
Il cantore non rinnega dunque il suo trascorso, ossia la tradizione orfica, ma si colloca in una fase nuova, che comporta un modo diverso di far poesia: l’inedita narrazione dell’impresa argonautica è di fatto costruita, si è visto, con elementi riconducibili alla tradizione pagana, ma l’autore sceglie di reinterpretare tale esperienza in chiave simbolica. Questo aspetto è molto importante se si pensa all’atteggiamento, in particolare, degli ultimi pagani: Proclo, ad esempio, segue i predecessori Porfirio e Giuliano nel recupero e nella difesa della cultura pagana; rispetto a Giuliano, che attacca a viso aperto i cristiani, uno dei punti fondamentali dell’impresa di rivalorizzazione intrapresa da Proclo è fondata proprio sulla rilettura simbolica degli antichi miti di Omero e Esiodo. A proposito del rapporto tra cultura tardoantica e tradizione orfica, Herrero mette inoltre in luce un aspetto molto importante: i Neoplatonici tardi, i quali, si è visto, legano al nome di Orfeo la salvezza della propria tradizione, «quoted Orphic poems as inspired poetry that only needed to be rightly interpreted through allegory (corsivo mio)»112. Il narratore del poema argonautico sembra entrato proprio in questa fase, che non prevede più l’esclusiva produzione di poesia ispirata, nata dunque da uno stato di possessione divina, bensì la rilettura in chiave allegorica di un episodio mitico fulcro dell’intera tradizione pagana.
Determinante è infine il ruolo esercitato dall’unica Musa che trova spazio nel poema, Calliope. Diversamente da Eagro, la sua presenza non è limitata ad una semplice menzione, bensì riveste importanza primaria nell’impresa e nella vita stessa del figlio. Mostrando i connotati di una qei'a gunhv, interviene personalmente nel mito (ad esempio, è lei, e non Fineo, ad aver informato Orfeo sulla pericolosità delle Simplegadi, cfr. vv. 682-3) e si dimostra determinante nel liberare il figlio da una condizione logorante e nel ricondurlo (prima della spedizione argonautica) nel ‘porto salvifico’ della caverna (§ 2.6). Oltre a ciò, Orfeo ricorda spesso che il suo canto è ispirato dalla madre: a conclusione dell’invocazione iniziale egli afferma di cantare Mouvsh" ejfhtmai'" (v. 6) e in due punti cruciali del viaggio, ovvero il blocco della nave a Pagase (v. 252) e il passaggio presso le Sirene (v. 1275), ripete mhtro;" ejmh'" ejkevrass∆ eujterpeva kovsmon ajoidh'"113
. Nella tarda antichità, Calliope è raffigurata come rivelatrice di importanti contenuti al figlio: Proclo (in Ti. III p. 168.9-15 Diehl), ad esempio, dice che Pitagora fu iniziato da Aglaofamo ai contenuti indicibili della teologia orfica, che lui definisce h}n peri; qew'n jOrfeu;" sofivan para; Kalliovph" th'" mhtro;" ejpinuvsqh (cfr. Iamb. VP 146 jOrfeu;~ oJ Kalliovpa~ kata; to; Pavggaion o[ro~ uJpo; ta'~ matro;~ punusqeiv~). Calliope ricopre dunque una posizione di assoluto rilievo nella costruzione del nostro poema.