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2. L’ipotesi allegorica

2.10. Mito e allegoria nella tarda antichità

Secondo la nostra analisi, il mito degli Argonauti costituisce un ‘velo’ dietro al quale si cela un significato da decifrare. La scelta narrativa operata dall’anonimo poeta rispecchia una tendenza che conosce un crescente sviluppo a partire dall’età imperiale e che coincide con l’affermazione di un nuovo metodo di interpretazione dei miti, caratterizzato da evidenti affinità, a partire dalla terminologia usata, con l’esperienza misterica. Brisson (2005, in part. 79- 86), che sintetizza i tratti fondamentali del fenomeno, parte dall’osservazione che gli interpreti vedono nel mito un ‘ai[nigma’, il cui vero significato deve essere svelato «au terme d’une initiation où se trouvent indissolublement liés purification et enseignement, comme dans les mystères»: come l’iter misterico prevede una serie di purificazioni e insegnamenti che

112 Herrero 2010, 85. Si ricordi, ad esempio, come Marino (Procl. 27), durante le letture dei carmi orfici,

pregasse il maestro Proclo mhdev th;n toiauvthn e[nqeon poivhsin ajnexhvgeton eja'sai; anche Damascio e Olimpiodoro considerano importante sottoporre gli scritti orfici ad una reinterpretazione in chiave filosofica.

113 L’espressione ricorda un frammento della Melanippe euripidea (484 Kannicht), laddove sono forse da

attribuire alla protagonista le parole koujk ejmo;" oJ mu'qo", ajll∆ ejmh'" mhtro;" pavra; l’interesse deriva peraltro dal fatto che il contenuto del frammento è ritenuto «ad doctrinam Orphicis familiarem» (Kannicht ad l.).

condurranno gli iniziandi alla visione e alla comprensione del significato di oggetti sacri che facevano riferimento «à un drame divin susceptible de modifier radicalement l’existence des initiés», così il mito cela importanti rivelazioni che possono condurre al divino i pochi in grado di decrittarle. L’analisi di Brisson è un’utile panoramica sulle modalità di utilizzo del mito da Platone in poi; nella sezione dedicata all’esegesi neoplatonica non vi è tuttavia accenno ad una personalità che si è in realtà espressa a tal proposito, l’imperatore Giuliano. Nell’orazione contro il cinico Eraclio, Giuliano biasima l’avversario, colpevole di aver tentato di mascherare l’attacco nei suoi confronti dietro un’allegoria; nonostante ciò, l’imperatore effettua considerazioni di un certo peso sull’utilità del mito e sulla sua interpretazione che vale la pena ricordare. In Or. 7.10 (215c) si dice che del mito, come pure dell’intepretazione allegorica, hanno fatto uso molti filosofi e teologi, w{sper jOrfeu;" me;n oJ palaiovtato" ejnqevw" filosofhvsa"; egli qualifica dunque immediatamente Orfeo non solo come teologo e filosofo, ma anche come il più antico ad aver fatto ricorso al mito e all’allegoria, dato senza dubbio interessante anche per il caso delle AO. L’idea è del resto diffusa anche in ambito cristiano: Clemente Alessandrino (Strom. V 4.21.4), ad esempio, afferma che tutti oiJ qeologhvsante~, sia bavrbaroi, che {Ellhne~, hanno trasmesso la verità per enigmi, simboli e allegorie, e aggiunge ajlla; kai; oiJ para; touvtwn tw'n profhtw'n th;n qeologivan dedidagmevnoi poihtai; di∆ uJponoiva~ polla; filosofou'si, to;n jOrfeva levgw, to;n Livnon, to;n Mousai'on, to;n {Omhron kai; jHsivodon kai; tou;~ tauvth/ sofouv~. parapevtasma de; aujtoi'~ pro;~ tou;~ pollou;~ hJ poihtikh; yucagwgiva (ibid. V 4.24.1-2). Proseguendo le sue considerazioni, Giuliano (11, 216b-d) afferma che la composizione dei miti è utile per la filosofia pratica che riguarda il singolo individuo e per la teologia relativa a riti iniziatici e misterici, stabilendo, come si è osservato in precedenza, un legame di fatto tra mito e misteri; le narrazione allegoriche prevedono quindi l’infusione di verità divine di∆ aijnigmavtwn... meta; th'" muvqwn skhnopoiiva". Interessante l’osservazione successiva: ejpei; kai; Plavtwni polla; memuqolovghtai peri; tw'n ejn {Aidou pragmavtwn qeologou'nti kai; prov ge touvtou tw/' th'" Kalliovph", jAntisqevnei... pragmateuomevnoi" hjqikav" tina" uJpoqevsei" ouj parevrgw" ajlla; metav tino" ejmmeleiva" hJ tw'n muvqwn ejgkatamevmiktai grafhv; le narrazioni allegoriche sono state sfruttate, tra gli altri, anche da Orfeo per illustrare importanti tematiche teologiche, in modo particolare, i misteri relativi all’Oltretomba. Ancora una volta l’osservazione si mostra suggestiva per l’interpretazione delle AO, che, partendo dall’episodio mitico della catabasi di Orfeo, sfruttano la vicenda mitica del viaggio degli Argonauti come paradigma della discesa e del ritorno dell’anima al punto di partenza. Giuliano darà peraltro prova pratica di come verità profonde possano celarsi dietro la simbologia del mito nella trattazione della vicenda di Attis dell’ottava orazione (vd. § 2.8).

La scuola neoplatonica di Atene è il principale teatro dell’assimilazione tra teologia e filosofia metafisica e della reinterpretazione dei miti trasmessi da Omero ed Esiodo come enigmi da svelare per mezzo dei dogmi neoplatonici. Caso indubbiamente emblematico, di cui abbiamo spesso parlato in quest’introduzione, è rappresentato dall’Antro delle Ninfe di Porfirio: si è visto, in particolare, come la vicenda del ritorno di Odisseo costituisse uno degli oggetti preferiti dell’allegoria neoplatonica e come lo sviluppo narrativo delle AO abbia presumibilmente risentito di questo modello. Uno dei protagonisti assoluti della scena è tuttavia Proclo che, come Giuliano, individua in Orfeo uno dei primi rivelatori di principi divini tramite miti e simboli (cfr. Theol. Plat. I p. 20.6-7 Saffrey-Westerink). Egli è convinto che il vero significato dei miti di Omero, teologo al pari di Platone, di Orfeo e dei Caldei, debba essere svelato dall’interprete, che deve dunque comportarsi come vero e proprio mistagogo (vd. § 2.1.4); il mito non è che un parapevtasma, che consente di cogliere il vero significato solo a chi

ha la preparazione e la guida giusta per farlo114. Proclo non fa che risfruttare un topos millenario: il papiro di Derveni presentava i contenuti orfici come aijnigmatwvdei" e distingueva tra oiJ ojrqw'" ginw'skonte", in grado di capire tali aijnivgmata, e oiJ ouj ginwvskonte" (c. XXIII 2, 5). Altro caso interessante è rappresentato dal secondo ditirambo pindarico, su cui mi limito a riportare le efficaci parole di Lavecchia (2000, 121): dal momento che per il mystes la conoscenza acquisita nella teletav è prolessi della bivou teleutav, «forse nell’Eracle l’iniziazione ad Eleusi, la catabasi e il suo esito positivo mostravano aijnigmatwdw'" come per l’iniziato la morte sia un’esperienza priva di angoscia, preludio di una condizione superiore. I sunetoiv potevano cogliere un significato più profondo nel mito, nell’ai[nigma; ai polloiv il ditirambo pindarico destinava l’exemplum di Eracle, stimolandoli a percorrere il mustiko;" oi\mo"». In base a tutte queste osservazioni, mi pare che le AO possano rientrare a buon diritto in questa categoria: mito e rituale si intersecano sin dal principio e racchiudono un messaggio che solo chi, come Museo, ha recepito i precedenti insegnamenti di Orfeo e ne seguirà i precetti, potrà comprendere fino in fondo. Una qualsiasi considerazione sulla vitalità dell’allegoria nella letteratura tardoantica non può tuttavia prescindere da un altro aspetto di cui, con molta probabilità, la tradizione delle stesse AO risente.