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L’episodio libico: un’assenza apparente

2. L’ipotesi allegorica

2.3. Il motivo della katavbasi~

2.3.1. L’episodio libico: un’assenza apparente

Nel percorrere la narrazione del viaggio di ritorno dalla Colchide, si resta a prima vista colpiti dalla scarsissima attenzione riservata dall’anonimo al capitolo dello scalo in Libia, che costituisce invece una delle costruzioni più complesse e ricche di suggestioni del poema di Apollonio Rodio (vd. in particolare Livrea 1991, 139). Nonostante la consuetudine del poeta di ridurre e variare il modello, il racconto appare qui limitato a fugaci, quasi casuali, menzioni (vv. 143 e 1348), di contro ai quasi 400 versi del poeta alessandrino (4.1223-1619). Schelske (389) ritiene che una trattazione dettagliata dell’episodio non avrebbe costituito che un inutile elemento di disturbo per la «kunstvoll arrangierten Szenenablauf der AO und den Prozess der kultischen Reinigung durch Orpheus (...), der durch den Abschluss der Phaiaken-Episode und den ,,Freispruch” Medeas durch Alkinoos eingeleitet worden ist». Una spiegazione di questo tipo è valida e pienamente condivisibile, dato il peso che abbiamo voluto riconoscere, in particolare, a questa sezione del viaggio argonautico. Ritengo tuttavia che la reale motivazione della ‘sinteticità’ dell’anonimo sia un’altra. A ben guardare, infatti, la narrazione apolloniana dell’episodio libico non è stata totalmente trascurata dall’anonimo, bensì sfruttata per un’altra porzione del viaggio argonautico, ovvero l’abbandono della Colchide e l’exokeanismos56

. Un simile riuso è facilmente spiegabile partendo proprio dalla valutazione del racconto del modello. Come osservò Livrea (cit. 154), una delle caratteristiche peculiari dell’episodio libico è la «Stimmung fosca, tenebrosa, angosciosa, opprimente» che caratterizza la rappresentazione degli eroi nell’inospitale deserto africano: stessa atmosfera si respira nel tratto di navigazione dal Fasi all’Oceano Atlantico del racconto anonimo, cui si aggiunge una serie di visibili coincidenze. La fase conclusiva di risalita del Tanai e l’entrata nell’Oceano Artico riflettono specularmente l’approdo degli Argonauti all’interno della Sirte libica di Apollonio Rodio: come nelle AO gli eroi avanzano sul fiume ejnneva me;n nuvkta" te kai; h[mata mocqivzonte" (v. 1071) fino a giungere nell’Oceano, così in Apollonio la tempesta di Borea messhgu;" pevlago" de; Libustiko;n ejnneva pavsa" / nuvkta" oJmw'" kai; tovssa fevr∆ h[mata, mevcri" i{konto / propro; mavl∆ e[ndoqi Suvrtin (4.1233-5). La presenza di bassi fondali (v. 1094 tevnago") che rendono impossibile una regolare navigazione all’uscita dal Tanai dipende dal racconto di A.R. 4.1237, che spiega come una volta entrate nella Sirte, le navi non potessero uscirne, in quanto pavnth/ ga;r tevnago" (h\n); in entrambi i casi, inoltre, la difficoltà è incrementata dalla totale, quasi surreale, assenza di vento (AO 1092-3 ~ A.R. 4.1249 eujkhvlw/ de; kateivceto pavnta galhvnh/). A.R. 4.1237-43 raffigura la Sirte come una palude piena di alghe, in cui ejpibluvei u{dato" a[cnh e dove la marea (plhmuriv") spinge velocemente la nave a causa della risacca che si abbatte con violenza sulla costa: la descrizione ricorda da vicino l’attraversamento dell’ultimo tratto della palude Meotide in AO 1065-9, quando la nave, spinta dalla risacca, viene ‘scagliata’ nell’Oceano dalla furia del Tanai, che o[cqh/si cqamalh/'sin ajpobluvei aijpu;n o[leqron57. La narrazione successiva è costruita con elementi simili, ma sviluppi differenti. In A.R. 4.1245-76 gli eroi, bloccati nella Sirte, sono presi dall’angoscia e dall’impotenza, e Anceo, in quel momento timoniere della nave, non fa che accrescere il loro sconforto, ripetendo più volte come oujd∆ uJpavluxi" / e[st∆ a[th" e arrivando

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La presenza di un’affinità è stata notata dal solo Vian (37; 1988, 181 [= 2005, 375]), che si limita tuttavia a far notare un singolo caso di evidente analogia espressiva tra i due nuclei narrativi (vd. infra tevnago"), senza chiarire i reali termini del rapporto tra Apollonio e l’anonimo.

57 In margine, si osservino la rappresentazione della palude Meotide (AO 1053-4), che alimenta

(plhmmuvrousa) e spinge il corso del Sarango al mare kanachdo;n eJleionovmou dia; poivh", e quella dell’Acheronte (AO 1130-5), che ajmbluvzwn... divnaisi baqeivai" scorre attraverso una terra gelata per gettarsi nella nera palude Acherusia. Per la presenza di alghe nel fondo della Sirte, non si dimentichi come l’impossibilità di solcare le acque dell’Oceano Boreale fosse imputata, tra le varie cause, alla presenza di alghe, cfr. Avien. Ora marit. 122-4 plurimum inter gurgites / extare fucum et saepe virgulti vice / retinere puppim.

addirittura a offrire il suo posto di comando. Quando sono ormai rassegnati a morire58, le Ninfe libiche si rivolgono a Giasone (cfr. in particolare 4.1317 meilicivoi" ejpevessin ajtuzovmenon proseveipon), invitandolo a far alzare i compagni (1325 a[nsthson d∆ eJtavrou") e rivelandogli un’enigmatica profezia, che impone agli eroi di trasportare la nave Argo sulle loro spalle per uscire dalle secche, come spiegherà poi Peleo (1369-79). Nelle AO, una volta giunti nell’Oceano, gli Argonauti sono egualmente angosciati, non credono di poter sfuggire a lugro;n o[leqron (v. 1083, cfr. 1184-5 oujd∆ a[r ti" ejsau'qi" ajnapneuvsesqai ojlevqrou / h[lpeto), sono stremati dopo il faticoso remigare e tormentati dalla fame (vv. 1088-91, cfr. A.R. 4.1295 a[kmhnoi kai; a[pastoi; identica è la condizione di Odisseo all’arrivo a Scheria, cfr. z 250). Tuttavia, a differenza del racconto apolloniano, Anceo non si abbandona all’ajmhcaniva, bensì guida la nave evitando la deriva (vv. 1084-6), incoraggia a più riprese i compagni (vv. 1092-3, 1145-54), sostituisce le Ninfe libiche nell’incitarli sin da subito a trascinare la nave fino al capo di Ermione (cfr. in particolare vv. 1093 malakoi'si paraifavmeno" ejpevessin, 1147 muvqoisi proshuvda meilicivoisi, cfr. A.R. 4.1317 supra) e, successivamente, ad allestire albero e vele per la navigazione (cfr. in particolare 1152 ajnasthvsasqe, cfr. A.R. 4.1325 supra). La profezia delle Ninfe indigete, che si manifestano in un ‘punto di non ritorno’ dell’impresa, è qui sostituita dalla profezia di Argo, collocata ad hoc al centro del periplo oceanico, nel punto esatto di passaggio dall’Oceano boreale all’Atlantico, contrassegnato peraltro dal sollevarsi di un forte Zefiro. Si presti attenzione alle parole impiegate dall’anonimo: Argo si rivolge agli eroi nel momento di massima sofferenza, in cui, dice Orfeo, sfh/' a[th/ baru;n oi\ton ajnaplhvsante" (v. 1144)59; A.R. 4.1387-8 si chiede, al momento del disvelamento della profezia delle Ninfe, duvhn ge me;n h] kai; ojizu;n / tiv" k∆ ejnevpoi, th;n kei'noi ajnevplhsan mogevonte"; (cfr. a tal proposito AO 1065 duvhn ajmevgarton e[qhkan / ajqavnatoi). In A.R. 4.1278-9 il cuore dei Minî si gela dinanzi alla rassegnazione di Anceo (ejn d∆ a[ra pa'si pacnwvqh kradivh); reazione identica è invece provocata agli eroi dalla profezia di Argo in AO 1170-1 (ejn d∆ a[ra qumo;" / pacnwvqh Minuvaisi diamperev"). Le analogie proseguono. In A.R. 4.1458-84, dopo la lunga sofferenza gli eroi si imbattono in una fonte fatta precedentemente sgorgare da Eracle e, presi dalla nostalgia per il compagno abbandonato in Misia, alcuni iniziano inutilmente a cercarlo; tra questi Linceo, il quale, in grado di ojxeva thlou' / o[sse balei'n, è l’unico a credere di vedere Eracle in lontananza, w{" tiv" te nevw/ ejni; h[mati mhvnhn / h] i[den h] ejdovkhsen ejpacluvousan ijdevsqai. La figura di Linceo interviene anche nelle AO, ma, a differenza del modello, è l’unico che, grazie alla sua straordinaria dote visiva (v. 1188 oJ ga;r thlwpo;n o[pwpe), riesce a scorgere l’isola di Demetra, benché avvolta da una coltre di nebbia (v. 1190).

Al di là delle innegabili coincidenze espressive e narrative, l’aspetto più interessante che lega i due episodi e che può spiegare i motivi della ripresa da parte dell’anonimo è lo stato d’animo degli Argonauti. Il loro sgomento deriva, oltre che dalla stanchezza e dalla fame, dall’incognita del luogo in cui si vengono a trovare indipendentemente dalla loro volontà60: in AO 1186 Orfeo dice che, arrivati a metà del periplo oceanico, oujdev ti" e[gnw h|/sin ejni; fresi;n ou| pot∆ a[r∆ ejsmevn, anche se a posteriori preciserà più volte a Museo che gli spazi erano quelli dell’Oceano sterminato (cfr. vv. 1104, 1187). In A.R. 4.1250-8 gli eroi si pongono gli stessi interrogativi (tiv"

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La rassegnazione nel momento di massima disperazione è caratteristica di Odisseo, quando, trattenuto da Calipso e desideroso di rivedere Itaca, qanevein iJmeivretai (a 59).

59 La dolorosa apostrofe della nave agli eroi, che esordisce lamentando w[ moi ejgwvn, o[felovn me

diarraisqei'san ojlevsqai / Kuanevai" pevtrh/sin ejn jAxeivnw/ te kluvdwni ktl. (vv. 1159-60) ricorda il falso racconto del mendico Odisseo a Eumeo (x 274-5), che esclama wJ" o[felon qanevein kai; povtmon ejpispei'n / aujtou' ejn Aijguvptw/.

60 Nelle AO l’ira degli dèi scatenata dall’assassinio di Apsirto provoca l’errare degli Argonauti; in A.R.

4.1232-5 la nave è spinta nella Sirte da una tempesta di Borea, cfr. 4.1566-7, dove Eufemo spiega a Tritone deu'ro ga;r oujk ejqevlonte" iJkavnomen, ajlla; boreivai" / crivmyante" gaivh" ejni; peivrasi th'sde quevllai".

cqw;n eu[cetai h{de… Povqi xunevwsan a[ellai / hJmeva"…), trovandosi dinanzi un’ejrhvmh pevza che diwlugivh" ajnapevptatai hjpeivroio. In entrambi i casi, dunque, la preoccupazione dipende dallo smarrimento in uno scenario sconfinato e senza speranza di uscita, che mostra tutte le caratteristiche del mondo ultraterreno, luogo privo di confini e coordinate spazio-temporali per antonomasia. In Apollonio Rodio quest’idea è ulteriormente rafforzata: nella fase di partenza dalla costa africana e penetrazione nel mare cretese (4.1694-1701), la nave è avvolta da un’oscurità (katoulav"), che il poeta definisce oujranovqen de; mevlan cavo", hjev ti" a[llh / wjrwvrei skotivh mucavtwn ajniou'sa berevqrwn61

; in questa condizione, gli Argonauti ei[ t∆ jAijdh/ ei[ q∆ u{dasin ejmforevonto / hjeivden oujd∆ o{sson: ejpevtreyan de; qalavssh/ / novston, ajmhcanevonte" o{ph/ fevroi. Come ha osservato giustamente Livrea, in quest’ambito l’accento deve esser posto sull’«Erebos-Aspekt des Meeres» e sul fatto che solo l’epifania di Apollo ad Anafe porrà fine a «quella metafora di morte che è l’episodio libyco»62. L’anonimo evita pertanto un ampio

resoconto perché ha già sfruttato il rispettivo racconto apolloniano, proprio come ‘metafora di morte’, per la costruzione dell’exokeanismos.

La menzione effettiva dello scalo in Libia si inserisce in un rapido excursus che riunisce gli ultimi eventi della spedizione in una sorta di climax di sofferenza che, differentemente da Apollonio, non potrà esser sedata dall’intervento di Apollo (vv. 1360-2):

jAll∆ ou[ oiJ qevmi" e[ske diampere;" ejx aJlo;" e[rxai 1360

Aijsonivdhn: peri; gavr rJa Êluvtron fevrenÊ. \Alto d∆ ojpivssw Moi'r∆ ojlohv: kovteen ga;r ajrifradevw" JUperivwn.

La salvezza degli eroi, i.e. l’uscita dal mare e il novsto" in patria, non può verificarsi prima della purificazione espiatoria, confinata in questo caso proprio alla fine del poema, di modo che l’intero percorso di ritorno sia caratterizzato da difficoltà e angoscia, che possono esser in qualche modo ‘gestite’ da Orfeo, unico, lo ripetiamo, ad aver coscienza della portata di tale impresa. Ecco dunque spiegato il motivo per cui il poeta si limita a chiedere a Museo (vv. 1347- 8) e[nta tiv toi, Mousai'e qehgenev", ejxagoreuvsw / o{ss∆ e[paqon Minuh'e" oJmou' poti; Suvrtin ajhvtai"...… Egli seleziona il minimo indispensabile utile al suo scopo, ovvero esprimere la sofferenza che perseguiterà gli Argonauti fino all’espiazione del loro misfatto. È da notare inoltre come sia sfruttata ancora una volta una componente del racconto del modello: oltre alla citazione dei venti della Sirte, che rimanda alla tempesta di Borea che spinge la nave a incagliarsi nelle secche libiche in Apollonio, la preterizione usata da Orfeo per rivelare al discepolo le ultime fatiche dipende molto probabilmente dalla domanda che Apollonio si pone nel bel mezzo del racconto, cfr. 4.1387-8 cit. Da questo punto di vista, risulta ancor più chiaro come un’eventuale narrazione dettagliata dell’episodio avrebbe ‘disturbato’ il racconto del novsto", costituendo un vero e proprio duplicato della sezione del periplo oceanico.

Concludiamo prendendo brevemente in esame gli elementi salienti del racconto di Apollonio Rodio trascurati nella nostra analisi: le morti di Canto e Mopso; il dono della zolla di terra da parte di Tritone a Eufemo; la leggenda libica di Eracle. In A.R. 4.1485-1536, Canto è ucciso da un indigeno, Mopso dal morso di un serpente velenoso; nelle AO si ha un accenno alla perdita di Canto nel catalogo degli eroi (vv. 141-3), mentre è taciuto il destino del secondo. Più consistente la totale mancanza di considerazione per le altre due vicende: per quanto riguarda la prima, che costituisce motivo portante della IV Pitica pindarica, l’assenza sarà senz’altro dovuta alla sua sostanziale ‘inutilità’ per gli intenti narrativi dell’anonimo; stesse riflessioni possono valere nel secondo caso – seppur con alcune considerazioni. Nei corrispondenti versi di Apollonio (4.1393-1484), le ninfe Esperidi, che salvano gli eroi smarriti nel deserto indicando

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A questo proposito si ricordi come in AO 1042, alla ripartenza dalla Colchide, gli eroi siano avvolti da una skoterh; o[rfnh.

loro una fonte fatta scaturire da Eracle il giorno precedente, narrano la venuta dell’Alcide e l’uccisione di Ladone, serpente-guardiano dei pomi d’oro custoditi nel loro giardino. Oltre all’irrilevanza di tale narrazione per la traccia del novsto", l’interpretazione – esaminata in precedenza – del conseguimento del Vello come punto ‘di svolta’ del viaggio ha forse indotto l’anonimo ad evitare una vicenda che presuppone un obiettivo per natura identico63

, come pure l’inibizione di un guardiano ctonio.