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3. C OSTRUZIONE DELLA REALTÀ FEMMINILE

1.2 Allontanarsi dalla Calabria

Siamo 3000 abitanti, ci conosciamo tutti, siamo tutti legati ognuno in modo diverso lì, è come se fosse un grande famiglia, ecco. E quindi… il mio paese ci sono legata soprattutto perché ho passato una bella infanzia, diciamo che avendo casa, essendo piccolino, si poteva fare tutto a piedi, quindi i miei mi lasciavano abbastanza libera da fare qualsiasi cosa, la piazzetta, stare con gli amici, quindi c’era il parco, ogni attività era sempre collegata al fatto che fosse un paese piccolino, le persone si conoscevano… S., 20 anni.

Allora, guarda, io… Rosarno è proprio intrisa di ‘ndrangheta, cioè…tu la vedi… cioè, si vede… però la cosa… cioè… la mia esperienza personale per fortuna non è stata contaminata da questo aspetto, perché vengo da una famiglia in cui fortunatamente non ci sono mai stati problemi del genere, siamo sempre stati lontani da qualunque fenomeno che poteva essere mafioso, via… la mia famiglia si è sempre circondata di persone per bene, perché Rosarno sì, è pieno di ‘ndrangheta però c’è anche una fetta di persone oneste, di persone che vogliono lavorare e vogliono che i loro figli crescano in un contesto in cui c’è cultura, in cui si viva normalmente, quindi io… quando vado a raccontare a una mia coinquilina a Pisa quello che succede, è come se gli raccontassi che ho visto un film, ho letto un libro… perché poi lei mi guarda scioccata, perché si sono dei racconti che ti scioccano, però io li racconto molto freddamente, perché è come se me li avessero raccontati altri. M. R., 24 anni.

Io sono cresciuta, nata e cresciuta in un paesino molto piccolo di 20 mila abitanti, questo faceva sì che io volessi aprire i miei orizzonti una volta uscita dal mio paesino, no? E quindi vedevo Pisa come se fosse, sì più grande, ma ancora non abbastanza grande come volevo. Quindi vedevo Milano come effettivamente

come la meta dei miei sogni, una città grande, una metropoli, no? Volevo vedere la gente lavorare, cosa che mi era mancata sempre, volevo vedere la gente alzarsi la mattina e correre, e andare, essere attiva. B., 25 anni.

La decisione di trasferirsi fuori dalla Calabria, in modo permanente, emerge condivisa da tutte le partecipanti; questa scelta, che i soggetti avvertono come centrale e fondamentale nelle loro biografie, costituisce, nella progettualità personale e lavorativa, l’obiettivo principale da cui generare a cascata, idealmente, una serie di azioni per condizionare positivamente il futuro personale e lavorativo: impegnarsi negli esami universitari, laurearsi, seguire eventuali corsi di specializzazione, cercare, trovare e svolgere una lavoro che possa valorizzare le inclinazioni personali, ricoprire un ruolo professionale che produca mobilità sociale e stabilità economica.

La categoria Allontanarsi dalla Calabria può essere ritenuta esplicativa dell’intenzionalità, della composizione della progettualità, e degli orientamenti passati, presenti e futuri dei soggetti in merito al percorso migratorio: il suo contenuto fa emergere le proiezioni, le valutazioni, di ordine materiale e pragmatico, e i processi di causazione che hanno condotto le intervistate a maturare la scelta, volontariamente irreversibile, del trasferimento al Centro Nord.

Infine, oltre a individuare le cause e le direzioni del percorso migratorio, questo costrutto concettuale da voce alle tensioni emotive che animano l’esperienza della migrazione, prima del trasferimento e durante la permanenza a Pisa (Dover far collimare tutto, Non essere più una ragazza di 19 anni, Sentire la lontananza

da casa, Non avere la forza di cambiare completamente e andare a vivere con il fidanzato).

Relativamente all’intenzionalità e alla composizione della scelta e della progettualità migratoria, la dinamica di causazione emersa dai dati riguarda fattori, interconnessi, che possono essere definiti ambientali nel modo in cui le narrazioni corrispondenti riguardano:

- la percezione dei contesti, dei valori, delle rappresentazioni e delle pratiche sociali dei gruppi di riferimento e appartenenza;

- la conoscenza, l’esperienza e la rappresentazione del fenomeno mafioso ‘ndranghetista e della gestione dell’immigrazione nel comune di Rosarno;

- l’esperienza dell’interazione con le aspettative genitoriali;

- la valutazione e la comparazione delle possibili prospettive lavorative future in Calabria e in Nord Italia.

Nella costruzione della progettualità migratoria delle intervistate, le dimensioni dell’interazione, della proiezione e dell’immaginazione legate al futuro personale risultano infatti condizionate dal modo in cui i soggetti valutano la propria esperienza di vita sul territorio Calabrese o rappresentano, ipoteticamente, il loro futuro in Centro - Nord Italia o all’estero.

In ognuna delle partecipanti, le considerazioni personali sul territorio calabresi (Non ritenere il Sud in una

circostanze personali dei soggetti: Non avere una situazione economica rosea, Senso di responsabilità,

Preferire fare l’università, Non sentirsi adeguata, Non informarsi realmente sugli sbocchi lavorativi).

Con riferimento al rapporto tra le intervistate e i quadri valoriali con cui queste si sono confrontate nel percorso di crescita, le narrazioni hanno fatto emergere una presa di distanza dalla Mentalità rigida dei contesti di provenienza; le partecipanti, sollecitate a descrivere il proprio ambiente di provenienza, hanno infatti sviluppato narrazioni articolate, in cui sono emerse fin da subito immagini riguardanti il rapporto con i quadri valoriali e morali della realtà sociale calabrese.

Lo vedo veramente morto sto’ paese, poi vedo che la mentalità invece che progredire regredisce, ancora siamo con la fuitina, con il matrimonio a 18 anni, ancora siamo… non sono tutti così ovviamente, io ne sono l’esempio, però… è la verità… M. R., 24 anni.

In un paese, soprattutto sottolineiamo piccolo, molto piccolo, questa cosa ti fa cambiare mentalità su tante cose, o meglio, ti fa crescere con una certa mentalità, soprattutto il rispetto della persona, che tu andando in giro non puoi fare determinate cose perché magari vieni giudicato in modo diverso da quello che realmente sei, il fatto di dire “Oh io non posso stare con una persona che poi alla fine si sa già prima che io ci sto e sono lì ma sono che enfatizzano i pettegoli” che poi si sa… Quindi ti fa crescere con una mentalità abbastanza rigida, sempre spensierata, sempre tutto ma con certi valori che ti rimangono e che ho ritrovato anche a Pisa, e questa mentalità forse è abbastanza diversa da questa che hanno qui, è una cosa che siamo abbastanza…distanti perché magari io… sì, sei affettuoso, sei espansivo, e tutto il resto però allo stesso tempo ti mantieni un po’… sei un po’ restio, ti dici “Non posso fare una determinata cosa perché sei circondata da persone, devo portare rispetto per le persone che mi stanno intorno e soprattutto perché non li conosci”. S., 20 anni.

La mentalità di paese secondo me è già più chiusa di quella di città, no? è una mentalità ancora ancorata alle origini, una mentalità che… l’idea che una può uscire fino a tardi piuttosto che… da sola con 3 ragazzi e non con 3 ragazze, è un po’… e reagiscono in maniera… “Tre ragazzi addirittura?”, diciamo che sono cose che quando io facevo il liceo, quando facevo la scuola media, erano cose che un po’ si dicevano, tipo “Eh, no, non farla questa cosa che poi in paese la gente dice …” Ci si conosce tutti, alla fine è un paese… siamo… eravamo 16 mila, forse ora neanche ci arriviamo, quindi… F., 25 anni.

Bigotto, proprio sono bigotti, non solo con la mentalità molto molto chiusa, nel senso che tu certe volte rimani... cioè, ti fanno dei discorsi un po’… “Sì, perché e allora che gli dobbiamo fare, il bagno pure per i gay?” Aspetta un attimino: tu stai facendo di quella persona una malattia, non lo so, trasformi quello che è normalità per il resto del mondo in una malattia e ti senti proprio… “Io sono aliena da dove vengo? Ciao…”. M. C., 19 anni.

Con mio fratello, con il maggiore, in realtà siamo cresciuti come fossimo gemelli, con la differenza che lui era maschio nella società calabrese, quindi visto come il pupillo, il fiore all’occhiello della famiglia, quindi tutto il resto veniva in secondo piano, e in secondo luogo, come se questo non bastasse lui è veramente una persona dotata, laureato in fisica delle particelle, ora sta facendo una specializzazione, poi andrà a Ginevra, al CERN a lavorare, quindi insomma è molto dotato, è sempre stato bravo, una mente brillante. In realtà tra di noi non c’è mai stata competizione che non fosse competizione stimolata da nostra madre. B., 25 anni.

L’immagine fotografata dalla comparazione mostra, a seconda dei soggetti, come i valori della società tradizionale calabresi emergano, nel vissuto di queste giovani donne, in contesti urbani limitati, sul piano del

numero degli abitanti e delle infrastrutture di collegamento, e limitanti, sul piano delle norme sociali e dei limiti – divieti, espliciti e impliciti, che i soggetti raccontano di aver esperito.

Il quadro valoriale dei gruppi di riferimento (famiglia, parenti più o meni stretti, vicini di casa, amici, conoscenti residenti in Calabria) viene percepito, dalle partecipanti, in contrapposizione al loro sentirsi estranee, differenti, aliene al pensiero e al senso comune del contesto di origine.

Esperita, interpretata e descritta come rigida, ristretta, in regressione, ancorata alle origini, completamente avulsa alle realtà esplorate fuori dalla Calabria, la mentalità ascritta al Vivere in un paese molto piccolo emerge tanto nelle descrizioni, materiali e astratte, degli spazi urbani e sociali in cui sono cresciute (Vivere in un

paesino è come avere il mondo in tasca, Conoscerci tutti), quanto nelle valutazioni dell’esperienza, passata e

futura, nel territorio calabrese (Accontentarsi di poco, Non viaggiare molto, Venire da un paesino sperduto

che ha le sue tradizioni, Voler vedere la gente lavorare, Il paese offre poco, Rimanere nel meridione non offre più quasi nulla).

In tal senso, le esperienze più significative, sul piano della scelta e della progettualità migratoria, riguardano: la conoscenza e l’esperienza di pratiche sociali e forme di controllo orizzontale delle azioni, come l’utilizzo del pettegolezzo e del giudizio (Dover portare rispetto, Essere giudicata per quello che non sei, Non poter

uscire da sola con dei ragazzi); l’esperienza di pratiche familiari di controllo verticale e condizionamento degli

schemi di giudizio e degli orientamenti; l’esperienza vissuta, all’interno del nucleo familiare, della differenziazione sessuale della realtà e ravvisata, percepita, nella relazione e nel dialogo con la figura materna (Il figlio maschio è il pupillo nella società Calabrese, Gli altri figli erano figli semplici).

Nella dimensione della consapevolezza dei rapporti di differenziazione e dominio tra genere maschile e femminile, è significativo il rimando di una delle intervistate al tema del matrimonio precoce e alla pratica, percepita come desueta, sebbene apparentemente ancora in utilizzo, della fuitina: l’argomentazione, seppur breve, e condotta con tono sarcastico, rivela, non solo il segno della secolarizzazione religiosa e morale nelle nuove generazioni, ma anche la distanza che intercorre tra il soggetto ventiquattrenne e una pratica connotata dalla differenziazione dell’educazione morale e fisica delle donne, in funzione del loro scambio sul mercato - simbolico - del matrimonio (Siebert, 1991; Bourdieu, 1998).

Nel rapporto con le origini, con il tradizionale, le giovani intervistate dimostrano, infatti, una tendenza a distanziarsene, evitando di sottostare a ciò che percepiscono come norme sociali radicate, dominanti e al contempo desuete rispetto al tempo storico vissuto.

Inoltre, è importante sottolineare come nelle narrazioni, la percezione del conflitto tradizione – novità, emerge e si manifesta con l’introduzione del tema del viaggio, come fattore che catalizza il confronto dei soggetti con le pratiche e il pensiero comune del territorio di provenienza.

Infatti, determinate esperienze vissute fuori dalla Calabria, riproducono e giustificano i dubbi che le intervistate hanno sugli schemi di pensiero e di giudizio corrispondenti al sistema valoriale del luogo di origine;

l’esperienza della novità, in un ambiente esterno a quello di provenienza, contribuisce così a legittimare l’opposizione vissuta verso il sistema valoriale e il pensiero comune dei gruppi di riferimento.

Io avuto la possibilità di vedere Pisa, di vedere Roma, e la vita è diversa, cioè anche come… a Palmi tutti sanno tutto, qualsiasi persona sa tutto di tutti, cioè si sposa il vicino di casa e lo sa tuo zio che abita dall’altra parte, cioè lo sa chiunque e per qualsiasi cosa vieni giudicata e messa in giudizio come se fossi, non so, l’imputato di un processo e nonostante tutto, cioè nonostante siamo nel 2018, l’epoca di… cioè io sento ancora discorsi… comunque persone adulte che fanno “I gay di qua…i gay di là…”, ragazzi di 20 anni proprio, 20, 25 anni, i gay no, i neri manco, cioè… mentalità un attimino di paesino proprio, mentalità che ti aspetti dal paesino di 2000 abitanti che ancora non è sviluppato e ancora si sparano nelle porte e non da una città che per estensione dovrebbe essere una delle più grandi della provincia di Reggio, non te le aspetti certe cose, poi vieni qua ed è completamente diverso. Cioè, ti dico ho visto gente… io ho visto gente… la prima volta che sono venuta qua ho visto due lesbiche baciarsi e ho fatto così ma non perché reputavo sbagliato quello che stessero facendo, perché io realmente non le avevo mai viste…M. C., 19 anni.

La decisione di emigrare appare fortemente connessa sia a giudizi di valore, sia a valutazioni pragmatiche delle condizioni economiche e del mercato del lavoro in Calabria; la progettualità migratoria è riconducibile tanto al social placement, quanto alla posizione delle partecipanti nello spazio temporale, e dunque alla loro età anagrafica e alla contingenza con determinati fenomeni, quali la globalizzazione economica e culturale (Martell, 2010; Mezzadra, Neilson, 2013).

Inoltre, ritengo significativo evidenziare come le intervistate associno le caratteristiche del sistema valoriale e del pensiero comune del luogo di origine anche alle prospettive del processo di sviluppo sociale, culturale ed economico del territorio calabrese; in tal senso sono esemplificativi i codici Siamo l’ultima ruota del carro,

Trasformare in malattia ciò che per il resto del mondo è normale, Non ci sono prospettive lavorative, Regressione della mentalità, Chi cerca di far migliorare il territorio non viene ascoltato, Le sole menti non bastano, Il paese non può darmi quello che voglio.

Siamo l’ultima ruota del carro e ne ho avuto la conferma qua a Pisa, poche persone fanno valere il proprio paese e, hmmm, leggo ovunque che magari la Calabria, il Sud in generale ma soprattutto proprio la Calabria viene sempre, hmmm, legata alla mafia, e legata al fatto dell’arretratezza, “Voi coltivate, voi contadini, voi qui, voi lì...”, che è anche una cosa che ti rende fieri del proprio paese però allo stesso tempo essere legati alla mafia, dici “No, cioè, la mia terra non è solo mafia, io che ci abito non vedo solo quello, ci sta e sono problematiche che hanno tutti però io non vedo solo quello” e quindi cerchi di portare anche le persone che sono convinti anche di cose che non conoscono, qualcosa… sempre la parte positiva delle cose, “Noi abbiamo il mare così, abbiamo quest’altro…” Io ho conosciuto persone che ecco, già i pazienti stessi per come parlavano, per come parliamo, ecco è un accento abbastanza forte e quindi si nota, già fanno una sorta di distinzione tra “Io so’ pisano, io sono della Toscana, tu non sei di qua”, l’importante è non farsi né prevalere né sottomettere e devi sempre mantenere quel giusto equilibrio che ti spetta. Quindi tu sei lì, ti dicono nel ruolo di infermiera “Ma tu i coltelli in tasca ce li hai?” e tu dici “Cioè…che nominata è…? Che cosa brutta della Calabria ti hanno detto? Perché non…” Sì, io abito in un paese che è praticamente la terra dei fuochi e penso che i miei paesi limitrofi so’ quelli più intervistati per stè cose, c’abbiamo pure noi stessi il terrore che possa succedere qualcosa, ma ci fai l’abitudine perché vedi sempre le cose positive… S., 20 anni.

Una cosa che non si sa mai… specie in un liceo del sud, della Calabria, in cui effettivamente tante cose non vengono… hm... non sono conosciute, diciamo così per non dire altro insomma… e quindi sì, mi interessava far si che ci fosse del giusto e poi ovviamente la mia scelta di giurisprudenza è legata anche al fatto che una ragazza che vive in Calabria è una ragazza che conosce che cos’è la malavita secondo vari aspetti, no? B., 25 anni.

Una delle altre connessioni contenute dalla categoria Allontanarsi dalla Calabria riguarda l’esperienza del fenomeno mafioso, in particolare la percezione che le intervistate hanno della presenza della criminalità e della ‘ndrangheta sul territorio calabrese: l’argomento della mentalità e della criminalità mafiose è emerso ogni qual volta le partecipanti sono state sollecitate a descrivere o esprimere considerazioni sull’ambiente, geografico e sociale, di provenienza.

I racconti biografici prodotti hanno evidenziato come le rappresentazioni che le giovani hanno, e danno, di questo fenomeno e delle immagini associate, siano il frutto di una dinamica di routinizzazione e di una condizione di abitudine: Fare l’abitudine all’avere il terrore che possa succedere qualcosa, Una ragazza che

vive in Calabria conosce la malavita secondo vari aspetti, Prendere degli accorgimenti per paura.

Queste rappresentazioni sono scaturite e riprodotte, da un lato, dalle esperienze dirette vissute nello svolgimento delle relazioni familiari e istituzionali (L’esperienza personale del fenomeno crea l’esigenza di

rendersi utili contro la criminalità, La scuola non sa preparare alla legalità) e dal processo di costruzione

delle aspirazioni (Fare il magistrato antimafia, Mancanza di appoggio familiare, Ricevere pressioni materne,

Impressionarsi per le reazioni familiari).

Dall’altro, vengono generate dalle esperienze indirette e mediate, le quali sono legate sia a una cultura personale delle condizioni ambientali e sociali in cui versa il territorio di provenienza (Abitare nella terra dei

fuochi, Una parte della classe era composta da ragazzi appartenenti a famiglie mafiose, Rosarno è il paese con il più alto tasso di criminalità e ‘ndrangheta), sia all’interazione vera e propria con soggetti, schemi di

pensiero e media reputati estranei al territorio e alla mentalità calabresi, ma replicanti in toto immagini fortemente negative della Calabria.

Nel caso di S., per esempio, la percezione che ha delle rappresentazioni mediatiche, e presumibilmente l’esperienza di episodi in cui il suo accento è stato oggetto di commenti o giudizi che sottolineavano le sue origini, si fanno a tratti ostilità, oltre che disaccordo, nei confronti delle immagini che i mezzi di informazione e i calabresi stessi veicolano sul territorio e sulle abitudini dei suoi abitanti.

Tali rappresentazioni sono esperite e percepite dall’intervistata come fonti che condizionano in modo poco costruttivo il dibattito pubblico e le opinioni del resto degli italiani: Non voler sentir parlare male della

Calabria, Non esiste solo la mafia, Non esiste solo arretratezza, Non tradire la terra, Non farsi sottomettere e prevalere.

Infine, ritorno a precisare, come spiegato nel lavoro di descrizione esplicativa della categoria Famiglia, le significative differenze che sono emerse, durante il lavoro di analisi, tra le narrazioni delle due sorelle

intervistate: al silenzio della più giovane, corrisponde, nella sorella maggiore, un racconto esplicito, denso e articolato, che rivela una profonda riflessività e consapevolezza nell’interazione con se stessa circa il tema ‘ndrangheta, in particolare in relazione all’esperienza del fenomeno mafioso all’interno delle relazioni con i familiari e con i compagni di classe.

Il Senso di responsabilità, anch’esso discusso in precedenza, emerge in questa categoria nella composizione della progettualità migratoria, nel modo in cui le intervistate avvertono il dovere di rispettare e adempiere le aspettative che i genitori hanno sul loro futuro, aspettative che contemplano il miglioramento delle condizioni economiche e dello status sociale delle figlie.

L’esperienza diretta che alcune intervistate hanno della disoccupazione prolungata o periodica (Ritrovarsi

senza lavoro), gli insegnamenti e le indicazioni dei genitori stessi (Non avere il rimpianto di non aver studiato, Vedere i sacrifici ricompensati, Non essere aperti al mondo del lavoro, Non pentirsi, Fare ciò che piace),

spingono le partecipanti a impegnarsi notevolmente nello studio e a dare per scontato l’idea della futura migrazione interregionale, nonché la zona di arrivo (Voler stare al Nord, Rimanere al Nord).

Al contempo, connotano la progettualità dei soggetti di considerazioni ed emozioni intense, spesso contrastanti: Ritenersi contraddittoria, Voler fare ciò che piace, Dover adattarsi, Non poter fare quello che si

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